Perchè gli Stati Arabi non sono più destinati a seguire la politica di Washington sull'Iran?

25.05.2020

 

Descrizione: TRSA342342 

Con la diminuzione della presenza militare statunitense nel Golfo Persico in seguito al recente ritiro delle truppe del pentagono dall'Arabia Saudita, una questione importante che gli stati arabi del golfo devono considerare è se devono seguire la linea anti-iraniana imposta dagli Stati Uniti o meno.

Per gli Stati Uniti, l'Iran rimane uno stato nemico. Di conseguenza, gli USA continuano ad infliggere nuove sanzioni, a lanciare avvertimenti alla marina iraniana rispetto a qualsiasi “disavventura” nel golfo e a cercare il modo di bloccare la vendita di petrolio iraniano.

Per i sauditi e per il resto degli stati rivali dell'Iran, (gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait, ecc.), questa ostilità, pur reale nel suo senso proprio, non riflette più la vera realtà della geopolitica mediorientale. Per gli stati del golfo, la strategia statunitense di "massima pressione" non ha funzionato a loro vantaggio. Se la "massima" pressione economica e politica non ha funzionato, nulla funzionerà, in particolare considerando la scarsa potenza militare degli stati del golfo collocati di fronte dell'Iran, il che comporta la necessità di affrontare la situazione da un'angolazione diversa.

Allo stato attuale, se gli stati del golfo continuassero a perseguire la strategia della "massima pressione", non farebbe altro che rendere difficili le future iniziative diplomatiche e la normalizzazione delle relazioni. Pertanto, in seguito al ritiro degli Stati Uniti dal medioriente e al trasferimento di sistemi militari, è importante che gli stati del golfo sfruttino questo scenario di sicurezza e distensione, costruendo migliori relazioni con l'Iran. Una cooperazione estesa alla lotta comune contro il COVID-19 potrebbe dare un ulteriore impulso alle fragili relazioni diplomatiche.

Una politica di questo tipo avrebbe un duplice significato. In primo luogo, gli stati del golfo non avranno altra scelta che riconciliarsi tra loro in caso Donald Trump vincesse le elezioni a gennaio e continuasse il processo di graduale ritiro militare dal Medio Oriente. Un ritiro militare dall'Afghanistan con molte probabilità andrebbe a ripercuotersi sulla presenza militare USA in altri stati del golfo.

In secondo luogo, se Trump perdesse le prossime elezioni, è altamente improbabile che i democratici assumerebbero la posizione radicalmente anti-iraniana di Trump. In effetti, l'attenzione potrebbe benissimo spostarsi verso il rilancio dell'accordo nucleare iraniano grazie ad un rientro di Washinghton nel documento, rinegoziandolo leggermente. Ciò fornirebbe nuovamente agli stati del golfo un contesto favorevole alla normalizzazione delle relazioni con l'Iran. [Infatti] in questo scenario, una ricerca insensata della "pressione massima" metterebbe gli stati del golfo in una posizione svantaggiata sul tavolo dei negoziati.

Sulla scia della [eventuale] rielezione di Trump e del suo persistere nel ritirare dal medioriente risorse e truppe militari USA, gli stati del golfo, mal equipaggiati per combattere militarmente l'Iran, possono e devono unirsi agli alleati europei degli Stati Uniti stringendo i ranghi con loro ed avviando una forte azione diplomatica verso l'Iran con lo scopo di normalizzare le relazioni.

Non c'è dubbio che la decisione degli Stati Uniti di tirarsi fuori dall'accordo nucleare ha creato molti attriti con l'Europa. Nonostante le ripetute minacce degli Stati Uniti, l'Europa continua a mantenere legami con l'Iran, anche se tutt'altro che normali. Nonostante le relazioni UE-Iran siano fragili, rimane il fatto che l'Europa-Germania, la Francia e la Gran Bretagna vedono fortemente di cattivo occhio qualsiasi prospettiva di avventura militare degli Stati Uniti nel Golfo contro l'Iran: una guerra che, secondo gli europei, farebbe convergere su di loro un'altra massiccia ondata di rifugiati e creerebbe una miriade di problemi politici, economici e sociali, con conseguenti prospettive di sempre più forti “radicalizzazioni identitarie bianche”.  La guerra civile siriana ha dimostrato fin troppo chiaramente che questo è il tallone d'Achille dell'Europa, con le proteste anti-migranti all'interno delle nazioni dell'UE che generano gravi insidie politiche per i leader.

L'Europa può quindi essere un facile alleato a cui gli stati del golfo possono ricorrere al fine di ristabilire i loro legami con l'Iran, soprattutto in un momento in cui la pandemia ha lasciato tutti i paesi del golfo ugualmente e gravemente esposti e vulnerabili, costringendoli a privilegiare non la guerra ma la stabilità economica e politica. Questo spiega perché molti giornali favorevoli ai regimi del golfo stanno già parlando di un [necessario] miglioramento delle relazioni con l'Iran, anche se sostengono ancora che debba essere l'Iran a fare il primo passo.

Le relazioni commerciali tra l'Iran ed il resto del golfo stanno già mostrando segnali positivi, grazie ad alcuni stati del golfo, tra cui gli Emirati Arabi Uniti, che stanno ristabilendo i legami con Teheran. Secondo gli ultimi dati, l'Iran ha esportato 12,5 miliardi di dollari e importato 9 miliardi di dollari di materie prime dai seguenti paesi: Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Iraq, Oman e Bahrein. Portando così il volume del commercio reciproco ad una cifra promettente di 22 miliardi di dollari.

Sull'onda della decisione degli Stati Uniti di riciclarsi al di fuori del medioriente utilizzando le risorse altrove, in particolare contro la Cina, l'economia del Golfo ha quindi un'occasione d'oro per riassettare l'attuale scacchiere geopolitico mediorientale. Incluso l'Iran, colpito da un massiccio calo dei prezzi del petrolio. Se dovesse essere mancata questa occasione, inevitabilmente gli stati del golfo saranno costretti ad una inutile corsa agli armamenti per rinforzare la loro difesa in seguito al cosiddetto "vuoto" lasciato dal ritiro degli Stati Uniti.

In effetti, una corsa agli armamenti in medioriente, con tutti gli stati del golfo che corrono verso il complesso militare industriale statunitense allo scopo di acquistare armi e sistemi di difesa “made in USA”, è prorio ciò che gli Stati Uniti vorrebbero che accadesse. Il fatto che gli Stati Uniti vogliano una corsa agli armamenti è evidente dal modo in cui continuano ad infliggere sanzioni all'Iran e a minacciarlo nel golfo e dal modo in cui parallelamente si stanno ritirando dagli stati arabi, costringendoli direttamente a vedere la loro vulnerabilità nei confronti dell'Iran e la necessità di affrontarla (con l'acquisto di armi “made in USA”), rendendo ancora più importante per gli stati del golfo il ripensare dalle basi la loro politica nei confronti dell'Iran e intraprendere una politica indipendente.

 

Salman Rafi Sheikh, ricercatore-analista delle Relazioni Internazionali e degli affari esteri e interni del Pakistan, in esclusiva per la rivista online "New Eastern Outlook"

 

Da neweasternoutlook

Traduzione di Michele P. per CIVG.IT