Pakistan: fra passato, presente e futuro

 

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Introduzione

Il viaggio che ho intrapreso con un piccolo gruppo a marzo 2020 in Pakistan, da Karachi a Islamabad lungo la Valle dell’Indo, aveva come obiettivo il sopralluogo di alcuni siti archeologici della civiltà dell’Indo e del Buddhismo del Gandhara, cui si sovrapposero le significative testimonianze dell’Islam. L’emergenza COVID-19 ha imposto un necessario ridimensionamento degli obiettivi della “missione” e l’accettazione, senza troppe discussioni, della scorta da parte della polizia locale lungo tutto il tragitto...

Aldilà degli aspetti archeologici, prima di partire avevo raccolto alcune notizie di storia recente e, più o meno, sapevo quello che mi attendeva. L’aspetto che più sconcerta del Pakistan è la diseguaglianza sociale, tangibile sia nelle città che nelle campagne. La miseria di gruppi che vivono ai margini della civiltà, gli accampamenti nomadi, l’arrangiarsi dei mestieri poveri, la mendicità in periferie provvisorie senza infrastrutture e caratterizzate da quella tipica edilizia inconclusa… Tutto ciò colpisce l’osservatore tanto quanto gli esclusivi insediamenti per ricchi privilegiati con la sorveglianza armata, la confusione dei bazar che convivono con grattacieli, centri commerciali, palestre e centri estetici. In tutto questo caos emerge la sicura presenza della polizia e l’arroganza dei militari che, in veste di eredi dei servitori dell’India britannica, fanno sentire la presenza dello Stato.

 

Etnie e religioni

Le province e i territori (muhafazah) costituiscono la suddivisione amministrativa di primo livello della Repubblica Federale del Pakistan. Le Province sono 4: Beluchistan (capoluogo Quetta), Sindh (capoluogo Karachi), Punjab (capoluogo Lahore), Khyber Pakhtunkhwa (Capoluogo Peshawar). Ad esse si aggiungono due Territori Autonomi (Azad Kashmir, Gilgit-Baltistan), il Territorio della capitale Islamabad e quello delle Aree tribali di amministrazione federale, il cui capoluogo è ancora Peshawar.

Con 196 milioni di abitanti il Pakistan è il sesto stato più popoloso del mondo e sta raggiungendo il traguardo di maggior popolazione islamica mondiale. L’età media è di 23 anni. Tanto per fare un esempio: il nostro autista e l’interprete, ambedue di circa 40 anni (con una sola e unica moglie), hanno 5 figli ciascuno…

Il paese è estremamente eterogeneo sotto il profilo etnico, tanto che – in qualsiasi situazione e per ogni interlocutore – oltre al nome viene citata sia l’etnia che l’affiliazione ad una delle scuole islamiche. L’etnia più numerosa è quella Punjabi (45%), seguita da quella Sindhi (14%); verso il confine con l’Afghanistan sono presenti i Pashtun (15%); vicino al confine con l’Iran nel territorio del Baluchistan abitano i Balochi o Baluchi. I profughi musulmani, arrivati dall’India dopo la separazione tra i due paesi, costituiscono un’etnia separata e vengono chiamati Muhajir che, insieme ai Saraiki e ai Baluchi, non raggiungono il 10% del totale della popolazione. Ognuna di queste etnie vanta radicate tradizioni sociali e familiari che la globalizzazione non riesce a scalfire.

Come riconosciuto dall’ultima Costituzione della Repubblica islamica del Pakistan (1973), redatta da parte del governo di Zulfiqar Ali Bhutto, l'Islam è religione di stato, praticata dal 98% dei cittadini. Questi sono divisi in due sette, quella Sunnita largamente maggioritaria e quella Sciita (circa il 5-20% a seconda delle regioni).

I Sunniti, che si considerano i soli ortodossi interpreti della volontà di Maometto riconoscendo legittimi i primi quattro califfi elettivi, appartengono alla scuola Hanafita[1]. Un numero minoritario di Sunniti segue la Scuola del Hanbalismo, fondata da Ahmad ibn Hanbal, teologo e giurista di Baghdad fra il 780 e l’855 Gli Hanbaliti, nonostante contino solo 79 milioni di fedeli in totale, costituiscono il Madhhab più importante della penisola arabica, adottato da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar, e si diramano nelle più recenti forme di Salafismo e Wahhabismo.

Gli Sciiti, che, come detto sono una significativa minoranza, reputano legittimo solo il quarto califfo, Ali, e non ammettono che altri possano essere elevati al Califfato se non i discendenti di Ali. La maggior parte dei Pakistani sciiti sono Duodecimani (credono nell'Imamato dei Dodici Imām), mentre una minoranza sono gli Ismailiti (o Settimani perché credono ad Ismāʿīl, considerato il settimo Imam). Corrente importante degli Ismailiti in Pakistan è quella dei Nizariti il cui Imam è denominato Aga Khan. Ci sono inoltre un buon numero di scuole di diritto islamico: Madhahib (scuole di giurisprudenza), denominate 'Maktab-e-Fikr' in lingua Urdu.

Mi soffermo su queste distinzioni per sottolineare come anche la vita politica e lavorativa dei cittadini pakistani sia predeterminata dall’appartenenza religiosa ed etnica, poiché partiti e movimenti politici sono in realtà di derivazione religiosa e condizionano le relazioni con altri paesi islamici. Ad esempio ad Islamabad-Rawalpindi si possono vedere auto e residenze lussuose di proprietà di emigrati in Arabia Saudita, i quali con un periodo di lavoro all’estero hanno potuto far fortuna permettendosi lusso ed agiatezza in veste di seguaci della scuola del Hanbalismo, tanto importante nella ricca Arabia Saudita. E ancora è un fatto che gli Sciiti (l’Islam sciita è dominante nel vicino Iran) appartengono al settore più povero e marginale della classe lavoratrice, benché vedano riconosciute e “accontentate” – quasi a titolo di risarcimento per l’indigenza economica – le loro tradizioni nei luoghi di culto.

 

La dipendenza dai modelli britannici e l’odio anti-indiano

Tutti i Pakistani, Sunniti-Sciiti e di varie etnie, sembrano accomunati dall’essere filo-britannici: nessuno mette in dubbio il modello inglese, ben riconoscibile nei numerosi istituti di alta formazione, nei college, nelle facoltà universitarie, nelle biblioteche e nei grandi musei di fondazione britannica.

La “buona e generosa amministrazione britannica” è diventata un mito da “età dell’oro” nell’immaginario pakistano. Insieme alle memorabili istituzioni culturali inglesi, si conservano le memorie di Kipling, il cannone Zam-Zammah di Kim (l’orfano europeo di Lahore “piccolo amico di tutto il mondo” che “non faceva niente e con enorme successo”), e ogni ricordo delle imprese di spionaggio e destrezza diplomatica britannica nel corso del cosiddetto Grande Gioco. Il quale Grande Gioco, seppur ormai rivelatosi chiaramente nella sua vera natura coloniale, viene ancora inteso e apprezzato dall’opinione pubblica pakistana come scudo di difesa dai Russi e dalle ambizioni di influenza da parte dei Raja indiani. Ma si nota ora soprattutto eterna gratitudine agli Inglesi per aver spazzato via dal Punjab l’Impero Sikh (1799- 1849) la cui soldataglia occupava in modo irriverente la Grande Moschea Badhshahi di Lahore…

A tal proposito merita citare la cerimonia di “abbassamento delle bandiere” a chiusura del confine di Wagah, tra Lahore e Amritsar (il “Wagah Border” in periodi di attentati o minacce militari è l’unico posto di frontiera aperto tra India e Pakistan). Si tratta di una performance militare che le forze di sicurezza dell'India (Border Security Force) e del Pakistan (Pakistan Rangers) fanno congiuntamente ogni giorno, all’ora stabilita, dal 1959.  Per tale “cerimonia” esemplare vengono scelti robusti e atletici pezzi di Marcantonio, con lo scopo di togliere ogni dubbio agli spettatori che si tratta proprio di un'esibizione di aggressività e disprezzo reciproco tra Indiani e Pakistani: le due parti, sontuosamente vestite con divise, patacche, pennacchi e armi tradizionali, si scambiano insulti, ruggiti, sguardi feroci, esibendosi nel passo militare in cui è superiore chi spinge più in alto la gamba. Un’esperienza teatrale, in un’accurata coreografia, davvero indimenticabile anche per la calca, il caldo e la musica sparata a tutto volume!

L’insofferenza verso tutto ciò che è indiano (o sikh) non ha bisogno comunque della “prova di odio” del Wagah Border, visto che è palese in ogni aspetto della vita sociale: meglio che lo straniero non si azzardi a dire che un manufatto artistico/archeologico rivela una tradizione mutuata dall’India o dall’arte indiana… meglio astenersi dal citare personalità indiane che abbiano contribuito alla civiltà… e soprattutto, si lasci riposare il “traditore” Gandhi con la sua progenie di odiati statisti!

Infine, notiamo che il mito e l’esempio della grande madre inglese è servito ai Pakistani per “assorbire” e gestire altre forme di “invasione” più recenti da parte di Indiani ed Afghani, e per continuare a tenere basso il termometro politico in occasione di attentati nelle zone calde del Baluchistan e del territorio autonomo del Kashmir.

 

Migrazioni e profughi

L’emigrazione dall’India avvenne con la cosiddetta Partition del 15 agosto 1947, che divise il subcontinente: due secoli di dominazione inglese si conclusero tragicamente con un esodo di massa di milioni di persone e massacri tra le diverse comunità induiste e musulmane, dando luogo anche alla prima guerra per il possesso della provincia – ancora oggi contesa – del Kashmir. Tuttavia ogni pakistano continua ad ammirare lo stile e l’imperturbabilità del Vicerè Louis Mountbatten che annunciò quella partizione, rendendo nota la decisione britannica sui confini dei due nuovi stati sovrani, Pakistan e Bangladesh. Le regioni del Baluchistan, della Provincia di Frontiera del Nordovest e del Sindh confluirono nel Pakistan, insieme ai regni locali del Nord (Gilgit e Hunza) benché appartenenti alla regione del Kashmir. Il sovrano del Kashmir (regione all’80% musulmana) invece, nominato e protetto dai britannici, non volle scontentare le opposte fazioni popolari per cui non decise nei tempi richiesti.

Così 7-8 milioni di musulmani lasciarono l’India e altrettanti Indù lasciarono il Pakistan. Il Punjab visse la situazione peggiore: il 55% degli abitanti era musulmana e il 30% induista, i restanti erano Sikh, la nuova frontiera correva tra le due città, Lahore in Pakistan e Amritsar (città sacra dei Sikh) in Kashmir. Treni carichi di musulmani che si dirigevano a Ovest venivano assaliti dai Sikh e dagli Indù, viceversa accadeva ai treni che si dirigevano a Est. Solo a Lahore, che venne abbandonata dai Sikh, le testimonianze parlano di almeno 250.000 morti, su una popolazione che all’epoca contava 1.200.000 persone.

Oggi, come già detto sopra, nei confronti dell’India si percepisce odio e insofferenza: il Pakistan si sente minacciato sia dalle prese di posizione del governo indiano in materia di immigrati (legge sulla cittadinanza proposta da Narendra Modi), sia per le intromissioni in Baluchistan che finanziano attentati e terrorismo per ostacolare il China-Pakistan Economic Corridor. E d’altronde non si è mai sopita l’eco della terza guerra indo-pakistana del 1971 provocata dalla secessione del Bangladesh, o le conseguenze della serie di attentati compiuti dai separatisti del Kashmir. In termini di opinione pubblica il risultato netto è che da un lato gli Inglesi vengono “santificati”, dall’altro l’India è descritta come una minaccia continua, invadente e aggressiva.

I profughi dall’Afghanistan arrivarono circa 40 anni fa, in fuga da Nur Mohammad Taraki (Partito Democratico Popolare dell'Afghanistan), il quale aveva rovesciato la Monarchia afghana; nel 1979, nei mesi che precedettero l’invasione sovietica dell’Afghanistan, molti Afghani fuggivano dall’odiato Hafizullah Amin, secondo presidente della Repubblica Democratica dell'Afghanistan, che aveva messo il paese in ginocchio. Il picco dei rifugiati afghani raggiunse i 4 milioni alla fine del 1980, dopo l’invasione sovietica. Il Pakistan attualmente ospita oltre 1,5 milioni di rifugiati afghani registrati e un altro milione di non registrati. Negli ultimi anni l’immigrazione è drasticamente crollata poiché il governo pakistano ha costretto gli afghani a tornare nel proprio paese, spesso sfruttando la loro presenza come strumento politico nelle frequenti controversie con il governo afghano. Durante la permanenza in Pakistan, i profughi afghani sono stati autorizzati a muoversi liberamente, tuttavia ad essi sono stati riconosciuti pochi altri diritti, visto che il Pakistan non è firmatario della Convenzione sui rifugiati del 1951. Di conseguenza non hanno potuto accedere all’istruzione scolastica, né aprire un conto in banca, lavorare, acquisire proprietà ed è stata negata loro persino l’assistenza sanitaria.

Oggi il lungo confine tra Afghanistan e Pakistan è permeabile al continuo passaggio di lavoratori stagionali di etnia Pashtun (montanari Afghani) ben accetti dai Pashtun pakistani. Una “fratellanza etnica” che fa fiorire anche il contrabbando e il traffico di droga (e altro), gestito da mafie locali. I lavoratori irregolari sono per lo più occupati in condizioni di semi schiavitù nelle fabbriche di mattoni, mentre quelli più autonomi – e fieri della loro appartenenza etnica – sono occupati nelle carbonaie, a produrre carbone ottenuto dal legname da esportare in Arabia Saudita, destinato ai barbecue dei ricchi Sauditi.

 

Camionisti, strada del Karakorum e strada del Passo Khyber

Uno degli aspetti più folkloristici del Pakistan è l’andirivieni da sud a nord di camion da trasporto merci e passeggeri. I mezzi sono decorati con tutte le possibili immagini di culto religioso e di appartenenza etnica, coloratissimi, strabordanti di cianfrusaglie e gadget di ogni tipo… un horror vacui che non è neppure da classificare come kitch perché sembra rappresentare la necessità impellente da parte dei camionisti di arricchire il proprio mezzo, segnalando la propria identità e libertà, oltre che il proprio “progetto” personale di riscatto dalle omologazioni. Se ne vedono decine nei parcheggi lungo la principale via di comunicazione, ma anche nelle strade secondarie che collegano piccoli centri abitati o fanno servizio per passeggeri nelle stazioni d’autobus.

Carichi fino all’inverosimile di pula di grano, banane o meloni, portano timbri spesso cinesi a destinazione Xinjiang, quindi si capisce che sono diretti verso la strada del Karakorum e raggiungeranno Kashgar. I camionisti sono in genere simpatici e disponibili a farsi fotografare. Da tutto l’ambaradan si comprende che essere camionista, in Pakistan, è una posizione lavorativa gratificante che garantisce un buon guadagno e anche una notevole libertà (se non altro di immaginazione!). Il traffico si concentra lungo due grandi arterie. La prima è la spettacolare Strada del Karakorum (Karakorum Highway, sigla KKH) che collega la Cina (da Kashgar in Xinjiang) al Pakistan (Havelian nel distretto di Abbottabad) attraverso una delle strade più alte al mondo, lungo uno dei tratti dell'antica Via della Seta. Completata nel 1978, dopo circa 20 anni di lavori co-finanziati dal governo cinese e pakistano, attraversa la catena montuosa del Karakorum superando il Passo Khunjerab ad un'altezza di 4.693 metri. Dal lato pakistano è stata costruita dalla FWO (Frontier Works Organization), impiegando un corpo militare di genieri, e ancora oggi la divisione ingegneristica dell'esercito pakistano controlla la Karakorum Highway. A causa del conflitto in Kashmir ha una grande importanza strategica e militare e, durante i lavori, è costata la vita a centinaia di lavoratori pakistani e cinesi, soprattutto a causa di frane. Ora, consentendo l’accesso da Islamabad a Gilgit e Skardu, i due principali centri per le spedizioni in alta montagna, è diventata meta di turismo per l’accesso – tra i confini Cina-Pakistan – a montagne oltre gli 8.000 metri (K2, Nanga Parbat), laghi d’alta quota (Karakul in Xinjiang) e ghiacciai (Baltoro).

La via del Passo Khyber (in persiano Dar-i Khaibar) è una strettoia lunga quasi 50 km al confine fra Afghanistan e Pakistan. Il valico congiunge l’alta valle del fiume Kabul (che nasce in Afghanistan e si getta nell’Indo in Pakistan) con la città di Peshawar. Oltre ad avere una grande importanza commerciale, è stata per molti secoli la via più frequentata, anche se difficile, per le invasioni della pianura indiana: da ciò le sue fortificazioni e l’assetto militare che la contraddistingue. Il controllo del passo fu considerato essenziale per la sicurezza dell’India, quando gli Inglesi puntavano a tutelare i loro interessi dal pericolo dell’espansionismo russo. Durante la Prima Guerra Afghana gli Inglesi riportarono (1842) qui una vittoria decisiva; in seguito, annesso il Pakistan e portata la frontiera ai limiti orientali dell’Afghanistan, il passo divenne la strada principale delle numerose spedizioni inglesi dirette contro la capitale afghana.

Oggi, superare il passo Khyber e i tornanti in direzione Afghanistan o viceversa rappresenta una prova di tenacia: la fila degli automezzi è continua e lentissima, estenuanti le attese, severi i controlli di dogana. Che però, mi dicono, si lasciano anche facilmente aggirare tramite trattative sottobanco, specialmente quando si tratta di droga e di armi…

 

La polveriera del Baluchistan e il “China-Pakistan Economic Corridor”

Al nostro piccolo gruppo di archeologi sembrava davvero eccessivo essere trasferiti con una camionetta blindata della polizia locale nel Sindh, oltre che essere scortati da militari armati di mitra per tutti gli eventuali spostamenti a piedi nell’area. Ma abbiamo dovuto accettare tutto ciò che si era stabilito. Salvo poi comprenderne i motivi.

La regione del Baluchistan, tagliata in due dal confine con l’Iran, si estende in Pakistan fino a confinare con le Province del Sindh e del Punjiab. È la più vasta e meno sviluppata delle quattro regioni pakistane: qui il 70% della popolazione vive in condizioni di assoluta povertà e il governo non ha ancora attuato politiche di efficace contrasto all’esclusione economica. I Baluci costituiscono una comunità emarginata ed esclusa dallo sfruttamento delle ricchezze del suo stesso territorio, fra cui gas naturale, carbone e minerali. Essi contestano il governo di Islamabad, chiedono maggiore autonomia ed un governo meno autoritario, invasivo e centralizzato.

Il Baloch Liberation Army (BLA)il più grande raggruppamento armato della galassia di movimenti indipendentisti del Baluchistan. Il BLA si fa portavoce di spinte separatiste e jihadiste che hanno prodotto e ancora producono un pesante tributo di sangue, sia per l’Iran sia per il Pakistan (l’immensa zona frontaliera tra i due Paesi è oggi una delle aree più pericolose al mondo). Il BLA, nato nel 2000, raccoglie l’eredità dei movimenti indipendentisti baluchi degli anni ’70. Suo leader storico fu Khair Bakhsh Marri, morto nel 2014 e appartenente ad una delle due potenti tribù locali (Marri e Bugti). Nocciolo duro della resistenza balucha, le due tribù occupano vaste aree nel nord (Marri) vicine alle principali zone estrattive e nel sud (Bugti) si concentrano lungo l’unico sbocco al mare del Pakistan, lo strategico porto di Gwadar sul Mare Arabico.

L’indipendentismo in Baluchistan ha inizio nel 1948 con il trattato di cessione al Pakistan del preesistente Stato baluchi, il Khanato di Kalat, fino ad allora dominio britannico. Il trattato, pur garantendo l’indipendenza del Khanato, rimetteva al Pakistan le funzioni di governo. Le rivendicazioni etno-nazionaliste per una maggiore autonomia dal Pakistan si sono saldate, in seguito, con le proteste relative alla distribuzione delle risorse, eccessivamente sbilanciate a favorire la maggioranza etnica Punjabi. Ma anche l’estremismo jihadista di matrice sunnita e l’irredentismo anti-indiano si stanno rafforzando e saldando.

L’11 agosto 2019 cinque operai cinesi, mentre si dirigevano al proprio cantiere, sono stati feriti nei pressi di Dalbandin, circa 200 km a sud di Quetta, a dimostrazione che oggi anche i lavoratori cinesi vengono colpiti con frequenza da gruppi separatisti. Il 23 novembre 2019 tre terroristi del BLA hanno attaccato il Consolato cinese a Karachi, uccidendo due uomini del personale di sicurezza locale. Il BLA, vede infatti nella Repubblica Popolare Cinese una nuova potenza coloniale.

Allargando lo sguardo agli scenari internazionali si deve sottolineare che la Cina è preoccupata per i legami tra militanti nelle frontiere pakistane e gli Uiguri del Movimento Islamico del Turkestan orientale (ETIM) nella regione autonoma dello Xinjiang, poiché dopo l'11 settembre 2001, i membri dell'ETIM insieme ad altri gruppi jihadisti hanno trovato rifugio nelle aree tribali ad amministrazione federale del Pakistan. Sotto pressione di Pechino, l'esercito pakistano con l’intervento militare nel Waziristan del Nord (2015) si era mosso contro i militanti uiguri, tanto che molti Uiguri si sono rifugiati in Afghanistan.

Negli ultimi tempi l’attività del BLA è andata in crescendo, e il gruppo si è reso responsabile di sanguinosi attacchi contro l’esercito di Islamabad, oltre che dell’assalto ad un albergo di Gwadar in cui era ospitato del personale straniero. I militanti del BLA inoltre allargano la propria azione non solo presso i Talebani afghani, ma anche presso i Talebani pakistani che rimproverano al Governo di Islamabad corruzione ed anti-islamismo.

Ma veniamo ad illustrare il “China-Pakistan Economic Corridor” (CPEC)che rappresenta per Cina e Pakistan un investimento di strategica importanza, con vantaggi logistici per il dimezzamento delle distanze (solo 3000 km via terra) tra Xinjiang cinese e sbocco al Mare Arabico nel porto pakistano di Gwadar in acque profonde. I cinesi hanno in mente di trasformare Gwadar nel loro secondo hub commerciale dopo Hong Kong, costituendo in tal modo la prima diramazione marittima della Belt and Road Initiative. Ciò consentirebbe di bypassare lo Stretto di Malacca, un collo di bottiglia fondamentale da cui transita gran parte dell’import cinese di idrocarburi proveniente dal Medio Oriente. Il corridoio garantirebbe quindi un sensibile miglioramento dell’approvvigionamento energetico da parte della Repubblica Popolare. Da non sottovalutare anche il suo potenziale ruolo di volano per l’intensificazione delle relazioni economiche con le repubbliche dell’Asia centrale, specie Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan.

Immaginato a metà 2013 e lanciato nell'aprile 2015, il corridoio Cina-Pakistan si colloca nell'ambito segna una nuova epoca nei legami economici e nelle relazioni bilaterali per cooperazione e sicurezza. Il piano a lungo termine del CPEC (2017-2030), pubblicato nel dicembre 2017, definisce il progetto come “asse di crescita e cintura di sviluppo”, “corridoio di trasporto globale che ha come asse principale la cooperazione industriale tra Pakistan e Cina”, “motore di concreta cooperazione economica e commerciale”. Nel piano sono indicate quattro priorità logistiche e di sviluppo: porto di Gwadar, energia, infrastrutture di trasporto, cooperazione industriale. Tutti elementi volti ad accelerare l'industrializzazione e l'urbanizzazione del Pakistan. Secondo le scadenze preventivate, i progetti a breve termine saranno completati entro il 2020; i progetti a medio termine (relativi anche al sistema industriale), saranno prossimi al completamento entro il 2025; i progetti a lungo termine, già avviati, saranno invece realizzati entro il 2030.

Grazie al rilevante investimento cinese, il progetto infrastrutturale ha rifornito le casse statali pakistane di valuta estera e ha consentito il miglioramento delle centrali elettriche pakistane, limitando gradualmente i cali di corrente che hanno afflitto il Paese per anni.

Molti funzionari pakistani sostengono che il CPEC aiuterà a varare riforme economiche e a promuovere l’occupazione, ma il corridoio rischia anche (secondo l’opinione delle persone con cui ho parlato) di aggravare la tensione politica, allargare il divario sociale e generare nuove fonti di conflitto e contrasti con l’alleato nordamericano e con l’India. L’opinione corrente è che il governo eletto nel luglio 2018 dovrebbe quantomeno mitigare i rischi interni ed essere più trasparente sui piani CPEC, consultando cioè tutte le parti interessate, comprese le province più piccole, la comunità imprenditoriale e la società civile. Ma soprattutto dovrebbe fornire un chiarimento in merito alle forti preoccupazioni che il corridoio subordini gli interessi pakistani a quelli cinesi. Il CPEC potrebbe certamente rivitalizzare l’economia pakistana – dice la gente – ma solo se verrà portato avanti con un dibattito con le comunità locali, in caso contrario è destinato ad irritare le province trascurate come il Baluchistan che perderebbero sia la proprietà sulla terra (il governo ha programmato espropriazioni più o meno forzate), sia lo sfruttamento delle proprie risorse energetiche e minerarie.  Al momento le comunità locali, lamentando di non essere state coinvolte nel progetto, si sono dichiarate contrarie in quanto la cooperazione fra Cina e Pakistan risulterebbe per loro dannosa sul lungo periodo: si nota anche che i lavoratori non specializzati – che potevano essere reclutati fra la manodopera locale – vengono dalla Cina o da altre zone del paese, e nessuno ha visto ancora i risultati concreti degli investimenti cinesi nella provincia.

È così che gruppi separatisti trovano facilmente credito presso le comunità locali ed alimentano le preoccupazioni – cinesi e pakistane – per la sicurezza del personale e delle infrastrutture. La Cina si è resa conto della necessità di collaborare con il governo locale attraverso contractors non armati, e gli efficienti servizi di sicurezza pakistani (Inter Services Intelligence) sono attivamente impegnati nel tenere controllata la situazione. Tuttavia la questione della sicurezza e del costo in capitale umano del progetto, pur allarmando le autorità di Pechino, non sembra ancora sufficiente per spingere ad una rinegoziazione dell’accordo e/o investire i fondi – richiesti dal Primo Ministro Imran Khan – in quelle politiche sociali tese ad ammorbidire le tensioni. Se la situazione non dovesse trovare un punto di svolta è facile prevedere che il leitmotiv della Cina come “nuovo colonizzatore” farà sempre maggiore presa sulla popolazione locale. 

A ciò si aggiunga che i risultati del primo anno di governo di Imran Khan non si sono rivelati a tutt’oggi particolarmente positivi perché il Pakistan non solo continua a subire gli attacchi, da nord a sud, di varie formazioni jihadiste. Infatti, anche sul piano finanziario non si registrano miglioramenti apprezzabili: la valuta nazionale si è svalutata nel 2019 addirittura del 35%, alimentando un’inflazione preoccupante che erode il già misero potere d’acquisto della popolazione, tanto che l’esposizione del Pakistan al capitale finanziario internazionale sta crescendo fino a superare i livelli del 1947.

Ma chi sono i “nemici esterni” del China-Pakistan Economic Corridor? Senz’altro l’India, sostenuta dagli Stati Uniti d’America. Una evidente convergenza di obiettivi è perseguita da Washington e New Delhi: impedire che la Cina acquisisca un proprio ruolo dominante nel subcontinente asiatico attraverso la Belt and Road Initiative. L’opposizione dell’India è dovuta anche al fatto che il Corridoio verrebbe a percorrere aree come il Kashmir, dove lo scontro tra India e Pakistan continua a riaccendersi; inoltre è interesse dell’India che il Pakistan rimanga in stato di precarietà e strutturale debolezza.

La contrarietà di Donald Trump per un possibile importante ruolo dei Talebani afghani nella formazione di un governo a Kabul contribuisce ad aggravare la contrarietà “per principio” degli USA al Corridoio. Infatti nel 2018 gli Stati Uniti, del tutto insoddisfatti dell’operato di Islamabad nella lotta al terrorismo talebano in Afghanistan, avevano sospeso gli aiuti al Pakistan. La visita del luglio 2019 del primo ministro Imre Khan negli Stati Uniti tuttavia potrebbe significare il rinnovo degli aiuti, in cambio della promessa da parte pakistana di impegnarsi alla soluzione della crisi afghana. E qui entra di nuovo in campo l’India a cui non piace affatto che l’alleato americano confidi nell’operato del suo storico nemico, il Pakistan per l’appunto… E all’orizzonte non si intravedono soluzioni.

 

Maria Morigi è membro del Comitato Scientifico del CIVG e collabora con l’Osservatorio Italiano sulla Nuova Via della Seta. È autrice di numerosi articoli e saggi di storia delle religioni e geopolitica, fra cui “La Perla del Drago – Stato e religioni in Cina” e “Xinjiang ‘Nuova Frontiera’ – Fra antiche e nuove Vie della Seta” (Anteo Edizioni).

 

Per approfondire

 

Angelo Travaglini “China-Pakistan Economic Corridor. Una nuova prospettiva” http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1584:in-eurasia-e-oltre-la-nuova-via-della-seta-in-pakistan-e-america-del-sud&catid=2:non-categorizzato.


https://d2071andvip0wj.cloudfront.net/bg_colored_1x1.png“China-Pakistan Economic Corridor: Opportunities and Risks”  https://www.crisisgroup.org/asia/south-asia/pakistan/297-china-pakistan-economic-corridor-opportunities-and-risks.

 

Antonio Scaramella, “L’insorgenza nel Balochistan e i rischi per il Pakistan”
https://www.cesi-italia.org/articoli/929/linsorgenza-nel-balochistan-e-i-rischi-per-il-pakistan.

 

 



[1] Riconosciuto come il più antico dei madhahib sunniti. Secondo storici dell’Islam, la nascita della scuola hanafita va collocata tra il 699 e il 767 D.C, poco dopo la morte di Maometto, per opera di  Abū Ḥanīfa al-Nuʿmān b. Thābit.