Breve storia recente dell’Honduras

6 marzo 2020

 

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 “Questo Paese è un disastro: è molto bello, ma non è nostro”

Con questa frase lapidaria un rappresentante sindacale all’inizio degli anni ’90 ci sintetizzava la situazione dell’Honduras, “Paese occupato”. Oggi, a distanza di trent’anni la situazione non è cambiata, se non in peggio. Ripercorrendo la storia dell’Honduras emergono varie costanti, ma questa è quella fondamentale.

Anche dopo il periodo coloniale, i vari governi che si sono succeduti, aprendo le porte agli investimenti stranieri, soprattutto nordamericani, hanno mantenuto una posizione di sudditanza nazionale nei confronti degli Stati Uniti. Questi hanno potuto imporre le strategie più funzionali ai loro interessi grazie alle relazioni di collaborazione/pressione con le classi dominanti locali e con le alte gerarchie militari.

L’Honduras è un Paese ricchissimo di risorse naturali e ampie porzioni di territorio sono state concesse allo sfruttamento incondizionato delle multinazionali. Questo fenomeno si è acuito in maniera impressionante dopo il colpo di stato del 28 giugno 2009. Inoltre l’Honduras è stato concesso alla presenza militare USA, in particolare dopo la vittoria sandinista in Nicaragua nel luglio del 1979. Oggi vi sono strutture e basi militari un pò ovunque, oltre a piste di atterraggio e campi di addestramento. Proliferano a partire dal 1982, anno in cui la presenza dell’esercito USA è divenuta permanente, essendo l’Honduras cruciale per collocazione geografica e disponibilità alle strategie di controinsurrezione e controllo dei Paesi dell’area. La base di Palmerola, la più grande del Centroamerica dopo quella di Panama, occupa la centrale, fertile e pianeggiante valle di Comayagua, prima una delle estensioni agricole più importanti del Paese.  All’epoca anche i contras, usati in funzione anti sandinista, occuparono e devastarono circa 450 kmq di territorio, sottratto con la forza ai residenti ed alle loro attività produttive.

In Honduras non ha potuto svilupparsi una lotta guerrigliera, né un processo di liberazione com’è stato per altre esperienze centroamericane, essendo il Paese totalmente militarizzato: truppe yankee, contras, squadroni della morte, esercito nazionale e polizia usati per la repressione interna. Tutto è stato soffocato sul nascere, con una repressione durissima nella decade degli anni ’80.

Negli anni ‘90 il movimento popolare man mano si riprende, specie a fronte dei trattati commerciali capestro firmati con gli USA; nascono o si ricostituiscono organizzazioni di contadini, operai, studenti, giovani e molte si riuniscono nel Bloque Popular. Nel 1993 viene fondato il COPINH, Consiglio di Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras.

La società honduregna presenta fortissime disparità. A fronte di una decina di famiglie ultraricche e potenti, l’80% della popolazione vive in povertà, anzi un 35% in povertà estrema, con meno di un dollaro al giorno. I settori più trascurati e sfruttati sono quelli indigeni. Essi vivono nelle terre più ricche di risorse (acqua, minerali, foreste, pesca, turismo), tanto appetibili alle grandi imprese che operano secondo il modello estrattivista, ovvero di super sfruttamento di tali risorse lasciando alle popolazioni locali solo i danni ambientali, sociali, economici.

Il movimento popolare pone in questione i molti aspetti della gestione interna del Paese e della sua politica estera.

 

Mel Zelaya e il golpe.

 

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Nel 2005 viene eletto presidente Manuel Zelaya Rosales. Pur provenendo dall’oligarchia economica e dal Partito Liberale, ha saputo ascoltare la crescente pressione sociale.

Finalmente uno sprazzo di luce nella storia buia dell’Honduras: un movimento popolare cresciuto, un presidente democratico ed una congiuntura internazionale favorevole. Vari Paesi della “Nuestra America”, infatti, stavano dando impulso ad un grande ed articolato progetto di cooperazione e affrancamento dalla dipendenza storica dall’impero USA.

Mel (così lo chiamano) inizia ad operare dei cambiamenti, sia in direzione del benessere della popolazione (aumenti salariali, miglioramenti in salute, educazione, infrastrutture…), sia nei progetti d’integrazione latinoamericana (ALBA, Petrocaribe…), con progressivo svincolamento dagli USA e dal FMI (progetto di trasformare Palmerola in aeroporto civile…). Aveva inoltre accolto la richiesta di sottoporre a referendum la possibilità o meno di indire un’Assemblea Nazionale Costituente per redigere una nuova costituzione.

Era davvero troppo. Il colpo di stato che da tempo si veniva covando e organizzando da parte degli Stati Uniti in complicità con le oligarchie più retrograde, la cupola militare e gerarchie delle Chiese Cattolica ed Evangelica, e capeggiato da Roberto Micheletti, viene scatenato il 28 giugno 2009.

Non è solo un colpo di stato contro un presidente, ma contro un progetto di democrazia, contro un popolo, contro tutta l’America Latina ed il suo percorso di emancipazione, il quale stava producendo un’effettiva perdita di controllo del continente da parte degli Stati Uniti. L’Honduras non è un evento isolato, è solo l’inizio, è parte di un progetto di dominazione, controffensiva e destabilizzazione a suon di colpi di stato variamente condotti da parte del potere imperiale. E gli eventi degli anni successivi lo dimostrano.

Vedi la persecuzione giuridica usata contro Lugo in Paraguay nel 2012, contro Dilma Rousseff e Lula in Brasile a partire dal 2016, contro Correa e gli esponenti del suo governo dopo il voltafaccia del suo successore Lenin Moreno a partire dal 2017, le molteplici forme di aggressione contro il Venezuela, il tentativo di destabilizzare il Nicaragua, gli embarghi contro Cuba, i governi dittatoriali asserviti della Colombia, Cile, Ecuador, il colpo di stato in Bolivia nel dicembre 2019 ed il tentativo di renderlo legale attraverso prossime elezioni…. Con la totale strumentalizzazione dell’OEA e dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’ONU e la complicità dell’Unione Europea.

La reazione del popolo honduregno è immediata e potente, la repressione brutale. Si forma il FNRP (Fronte Nazionale di Resistenza Popolare), che coalizza organizzazioni popolari di ogni tipo. La protesta cresce ed agglutina sempre nuovi settori, anche coloro che fino ad allora si erano mantenuti un po’ ai margini della vita sociale. La resistenza è ampia, diversa, creativa e prolungata nel tempo.

Quando il popolo si trova ormai sul punto di un’insurrezione generale, gli USA riescono a far passare la strategia del dialogo, della “normalizzazione”, il riconoscimento internazionale del fraudolento risultato elettorale che porta alla presidenza Porfirio Lobo nel 2009, gli accordi di Cartagena de Indias del 2011, comunque mai rispettati se non nella parte che interessava agli USA: la riammissione dell’Honduras nella OEA, legittimando di fatto il golpe. La maggior parte dei governi ha accettato, ma per la gente ha voluto dire la “normalizzazione” della barbarie, non solo in Honduras, ma in prospettiva in tutto il continente.

La riconciliazione, infatti, non può basarsi sul “dimenticare” quanto successo, sull’ingiustizia, impunità e violazione dei diritti umani che imperterrite proseguono. Riconoscendo l’Honduras si è negato il colpo di stato, con un regime che semplicemente ne è la continuazione, che ha assassinato e represso e continua a farlo. E si è sdoganata tutta quella serie di interventi violatori di ogni diritto internazionale, diplomatico, commerciale, umano, di ogni convenzione con cui gli Stati Uniti hanno poi sempre più sfacciatamente aggredito gli altri Paesi latinoamericani, ma non solo…. nel silenzio/connivenza di ciò che viene definita la “comunità internazionale” salvo poche importanti eccezioni. L’Unione Europea non è fra queste. 

 

Militarizzazione e violenza.

 

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Il golpe ha imposto un governo di fatto, di estrema destra e altamente repressivo. Sono ricomparsi gli squadroni della morte, sono approdati qui gruppi controrivoluzionari della mafia di Miami, istruttori israeliani, gringos e colombiani, mercenari latinoamericani, esperti delle varie dittature, bande paramilitari. Si sono moltiplicate le agenzie di sicurezza private, veri e propri eserciti al servizio delle imprese e delle famiglie della grande oligarchia. La presenza delle truppe USA è aumentata e sono state installate nuove basi militari. Il pretesto, che negli anni ’80 era stato combattere il comunismo, ora diventa combattere il terrorismo ed il narcotraffico, che guarda caso, prospera fiorente proprio intorno alle loro basi.

Lo stesso presidente Juan Orlando Hernandez eletto nel 2013 e riconfermato in elezioni chiaramente fraudolente nel 2017, è accusato di aver finanziato la sua campagna elettorale coi soldi del fratello, riconosciuto e condannato narcotrafficante appartenente al medesimo Partito Nazionale.

Dopo il golpe il narcotraffico ha prosperato in modo esponenziale, raggiungendo zone dove mai si era fatto presente prima, condizionando pesantemente la vita dei residenti.

Altra dose di violenza oggi presente in Honduras, è quella importata dalle maras, bande di giovani criminali comuni rimandate dalle periferie delle città USA nei loro paesi d’origine allo scopo in parte di liberarsene, in parte con la funzione di destabilizzare i governi locali. Vedi quanto successo durante le manifestazioni in Nicaragua contro Ortega, vedi El Salvador, dove le maras controllano intere zone delle città rendendo necessario l’intervento dell’esercito ad affrontare una situazione d’insicurezza divenuta ormai insostenibile.

Il sicariato in Honduras, specie in certe zone, è diventato una fonte d’impiego. Ci sono bambini sicari e bambini soldato, adolescenti che si arruolano nelle forze armate. Sovente l’alternativa sarebbe venire sfruttati in una maquila o da una rete di prostituzione, o rapiti per il traffico di organi. Questa realtà è brutale oggi in Honduras.

E di fondo c’è la violenza sistematica e strutturale dello Stato, con funzione di repressione della protesta sociale ed eliminazione dei leader sociali, sindacali, comunitari, indigeni, dei giornalisti e comunicatori sociali, dei giovani, delle donne, delle minoranze sessuali.

Su una popolazione di 8 milioni di abitanti, già dieci anni fa 1,5 milioni erano emigranti economici forzati. Oggi il fenomeno ha raggiunto proporzioni gigantesche, centinaia di persone lasciano il Paese ogni giorno, in fuga dalla violenza, dalla miseria e dalla mancanza di opportunità.

 

La svendita del territorio nazionale aumenta a dismisura.

Ha assunto anche la forma delle “Zone Speciali di Sviluppo Economico” (ZEDE) stabilite per decreto. Sono zone che pur essendo in territorio honduregno, di fatto non ne fanno parte, concesse in tutto e per tutto alle multinazionali. Un vero Stato nello Stato, governato con leggi proprie, con totale autonomia in quanto a politica fiscale, doganale, lavorativa, giudiziaria e per la sicurezza. Possono anche stabilire i propri sistemi di salute, educazione e previdenza sociale, nonché disporre di un esercito privato; il lavoro è supersfruttato e i diritti inesistenti. Già quattro anni fa vi erano dodici di queste “città modello” nei settori minerario ed energetico. Rappresentano un investimento finanziario ed un paradiso fiscale per riciclare il denaro sporco del narcotraffico.

Sono stati messi a disposizione su un piatto d’argento per i grandi capitali stranieri e nazionali tutti i beni naturali e la ricchezza del Paese. Tutto è stato consegnato: privatizzazione dell’acqua, dei progetti di educazione pubblica e salute, territori dei popoli indigeni e neri per farne hotel di montagna, privatizzate cordigliere per costruire discoteche giganti, spiagge meravigliose dove ora sorgono megastrutture turistiche, coste prima incontaminate per basi militari e porti per navi da crociera di lusso. Vengono invase zone a tutela ambientale, parchi nazionali protetti anche da Convenzioni internazionali per farne campi da golf e megaresort, devastando irrimediabilmente gli ecosistemi.

La privatizzazione selvaggia avanza e non importa che si tratti di terre ancestrali, con tanto di titolo di proprietà delle comunità indigene o afrodiscendenti. Le comunità che vivevano in quei territori e lungo quelle coste di agricoltura e di pesca sono state fatte sgombrare con la forza e senza alcun indennizzo, o hanno dovuto abbandonare case e attività per le rigide restrizioni loro imposte dalla privatizzazione di quei paradisi tropicali. Chi si è opposto è stato minacciato o assassinato.

Cayos Cochinos è uno di questi luoghi, venduto illegalmente a diversi investitori europei già molti anni fa e noto al pubblico televisivo italiano per essere lo scenario dell’”Isola dei famosi”. La popolazione ha il divieto di avvicinarsi, sorveglianza e intimidazione sono affidate ad una pattuglia dell’esercito: si teme che qualche pescatore finisca per sbaglio nell'inquadratura rompendo l'illusione del naufragio su un'isola deserta. Per i Garífuna il divieto significa rinunciare a un'area di pesca che sostenta la comunità. Così mentre qualcuno gioca alla sopravvivenza, per i Garífuna dei Cayos la mancanza di cibo e l'impossibilità di procurarselo è una minaccia tremendamente seria.
Il reality però funziona anche da enorme spot pubblicitario per attirare i turisti verso gli arcipelaghi e costa nord dell’Honduras.

Uno degli atti più aggressivi per svendita della patria ed asservimento agli interessi privati, è stata nel 2011 la conferenza “Honduras is Open for Business”, conclusasi con l’assegnazione di 147 progetti e di fatto il controllo privato nei settori dell’agrobusiness, energia rinnovabile, foreste, infrastrutture, tessile, servizi, turismo.

Oltre ai megaprogetti turistici, situati in particolare lungo la costa atlantica, ma anche a sud nella penisola di Zacate Grande, il regime nel solo anno 2010 ha dato concessioni su 47 fiumi, annullando praticamente il sistema di valutazione di impatto ambientale. Oggi sono in progetto più di 300 dighe. Nel 2012 ha concesso la piattaforma marittima della Mosquitia all’esplorazione e sfruttamento petrolifero della britannica BS Group. Il 30% del territorio nazionale è consegnato alle multinazionali. Più di 800 concessioni hanno messo a disposizione delle multinazionali minerarie canadesi, statunitensi, europee oltre 35.000 Kmq di terreni e risorse idriche. L’acqua, bene fondamentale sottratto all’uso della gente, ha generato ulteriori conflitti, così come i 120.000 ettari (in ulteriore espansione) dedicati alla monocoltura della palma africana, essendo tale coltivazione assolutamente deleteria per i boschi tropicali e le popolazioni locali.

 

La Resistenza.

Oggi la punta di lancia della resistenza honduregna è rappresentata dalle comunità indigene e nere, dalle comunità di contadini e pescatori, essendo i territori in cui vivono quelli maggiormente ricchi di risorse naturali appetibili allo sfruttamento delle grandi compagnie straniere e nazionali.

 

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Hanno condotto delle lotte durissime contro quei giganti divoratori. Ne ricordiamo alcune.

I Lenca, ubicati nella zona sudoccidentale del Paese, organizzati nel Consiglio Civico di Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras (COPINH), la cui co-fondatrice è stata Berta Caceres. Berta è stata protagonista di molteplici lotte durante la sua vita, tuttavia è maggiormente nota e stimata a livello internazionale come ambientalista, ricevendo per questo molti riconoscimenti, il più prestigioso il premio Goldman per l’Ambiente nel 2015.

Oltre ad essere stato parte attiva nel FNRP ed a lavorare ancora oggi per la rifondazione dell’Honduras, il Copinh ha condotto moltissime le battaglie con buoni risultati nella difesa dei territori, dei fiumi, della natura, dei diritti delle comunità indigene. La più nota è quella contro il progetto idroelettrico ”Agua Zarca” dell’impresa DESA, sul fiume Gualcarque che scorre nei territori ancestrali della comunità lenca di Rio Blanco.

Berta Caceres è stata assassinata il 2 marzo 2016 e da allora i familiari ed il Copinh si sono mobilitati per esigere giustizia, sfidando l’impunità strutturale del Paese. Dopo 4 anni hanno ottenuto la condanna dei 7 esecutori materiali e richiedono un processo anche contro gli autori intellettuali. Sarà dura, ma si prosegue. Dopo due settimane dalla consegna di oltre mille firme (di cui 550 organizzazioni) raccolte dalla solidarietà internazionale per chiedere giustizia, il 20 febbraio 2020 il parlamento honduregno, in deroga al codice penale nazionale, ha risposto concedendo l’immunità agli alti comandi militari che violino i diritti umani. Sebbene l’Honduras resti formalmente sottoposto ad un ordinamento giuridico sovranazionale che stabilisce il contrario, il gesto resta comunque emblematico del grado di spudorato esercizio del potere dittatoriale e di militarizzazione vigente oggi.

IlMovimento Unificato Contadino dell’Aguan (MUCA) e le sue strenue lotte. La valle in cui scorre il fiume Aguan, nel nord del Paese, è una zona ricca di acque, terre fertili, produttrici di agrumi, c’è petrolio, è ubicata di fronte al Mar dei Caraibi, ha un potenziale commerciale, è un luogo strategico. Per questo vi si sono concentrati i grandi latifondisti e le multinazionali gringos come la Standard Fruit Company con le loro monocolture. Vi sono estensioni di palma africana, i cui proprietari sono detti i “palmeros della morte”, per i metodi usati contro le rivendicazioni contadine. Dei 150 contadini assassinati dal colpo di stato, 90 sono opera loro. L’Aguan è divenuto oggi una zona totalmente militarizzata, dove sfruttamento, corruzione, squadroni della morte, sicariato, narcos, mafia, comandi speciali dell’esercito addestrati da istruttori USA confluiscono per creare quelle zone di applicazione integrale della ”dottrina di sicurezza democratica”, come osano chiamarla, dove la vita vale nulla e il profitto vale tutto.

 

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L’Organizzazione Fraterna Nera Honduregna (OFRANEH), che opera per lo sviluppo delle comunità di origine africana Garifuna, ubicate nelle zone costiere atlantiche, e per il rispetto dei diritti e dei popoli indigeni in generale. Ha collaborato strettamente con il Copinh ed ha dovuto affrontare l’invasione dei propri territori soprattutto da parte dei grandi imprenditori turistici, ma ultimamente anche la presenza dei narcos, che sta incidendo pesantemente sulla vita delle comunità.

L’Associazione per lo Sviluppo della Penisola Zacate Grande (ADEPZA).  La penisola di Zacate Grande è parte integrante del Parco nazionale marino “Arcipelago del Golfo di Fonseca” nell’Oceano Pacifico e del Sistema nazionale delle aree protette dell’Honduras. La sua ubicazione è strategica. Ci vivono 900 famiglie suddivise in 11 comunità. Adepza è l’organizzazione che le difende.

Negli anni ‘70 esponenti dell’oligarchia si stabilirono a Zacate Grande, posto paradisiaco ideale per le loro pompose residenze estive. È un gruppo di ricconi formato da ex-presidenti della repubblica, impresari ed alti funzionari dello stato, denominati il Club di Coyolito, che dal 1999 si è impossessato anche della maggior parte delle spiagge e terre coltivabili, attraverso sgomberi forzati della popolazione originaria. Ora vogliono realizzare investimenti multimilionari nel settore energetico, minerario e turistico e per farlo puntano a eliminare qualsiasi presenza umana dai territori. L’Adepza ha continuato a denunciare invano la situazione, ottenendo solo che 70 membri delle comunità siano oggi criminalizzati e sottoposti a processi giudiziari, ma rinunciare alla lotta vorrebbe dire per tutti loro ritrovarsi senza terra e senza casa.

 

Ricordiamo anche la lotta che sta portando avanti attualmente la comunità di Guapinol, in difesa del fiume minacciato da un’impresa mineraria, a Tocoa, Colon. E quella degli indigeni Tolupan, della comunità di San Francisco Locomapa, Yoro, per difendere i boschi dal sovra sfruttamento di un’impresa del legname.

Sono solo alcuni degli esempi dello scontro in corso. E la Resistenza, dal canto suo, sta tentando di unire le forze.

Il 25 febbraio 2020 si è svolto a Tegucigalpa l’“Incontro dei popoli per l’acqua”, che ha visto la partecipazione di 20 comunità che stanno difendendo il territorio honduregno dall’attacco delle imprese idroelettriche, minerarie e del legname in 10 dei 18 dipartimenti dell’Honduras, oltre a molte altre organizzazioni del movimento popolare, che le stanno appoggiando.

Nonostante la repressione, il popolo honduregno non ha mai perso la fierezza e la determinazione di continuare a resistere e lottare contro l’imposizione di un modello neoliberista succube dell’imperialismo. Dieci anni dopo il colpo di stato, riempie ancora le strade e le piazze, lotta contro le privatizzazioni, la precarietà del lavoro, il saccheggio dei territori e dei beni comuni. Esige le dimissioni di un governo illegale, risultato di brogli elettorali, e resiste all’attacco di una macchina repressiva al soldo della politica corrotta, collusa con l’oligarchia nazionale e il capitale multinazionale. Merita tutta la nostra solidarietà.

 

Adelina Bottero, Patria Grande/CIVG