Scuole, ospedali, palestre...e amianto

Il Presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale dichiara che seimila persone all’anno, in Italia, muoiono a causa dell’amianto. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono 125 milioni le persone esposte a rischio amianto. Questi dati sono emersi al convegno “Amianto: gestione del sistema e tutela della salute” del Consiglio Nazionale dei Geologi, tenutosi il 23 settembre scorso.

Per saperne di più abbiamo contattato Maura Crudeli, Presidente dell’AIEA, Associazione Italiana Esposti Amianto, che ha gentilmente risposto alle nostre domande, dopo averci dato informazioni introduttive sull’argomento:

 

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“La Lana della Salamandra è il nome con cui spesso viene identificato l’amianto (o asbesto), perché si credeva che la Salamandra resistesse al fuoco.”

Cosa è l’AIEA?

L’AIEA (Associazione Italiana Esposti Amianto) è una parte di Medicina Democratica che si occupa particolarmente dell’amianto, si è costituita nel 1987 a Casale Monferrato col nome di Associazione Esposti Amianto. Poi, in conseguenza all’aumento della consapevolezza del pericolo amianto, si sono formate sezioni in varie parti d’Italia e ha costituito rapporti con altre associazioni nel mondo. Si è aggregata a Ban Asbestos, associazione mondiale, quindi ha aggiunto “Italiana” al proprio nome.”

 

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Perché l’amianto è così pericoloso?

“L’amianto è così pericoloso perché le sue fibre sono piccolissime, pochi micron di diametro che riescono a penetrare nelle nostre cellule, sono molto lunghe ed ogni fibra ne perfora più di una. E’ un minerale inerte e quando i nostri macrofagi lo aggrediscono non riescono a digerirlo, muoiono ed arrivano altri macrofagi per eliminare l’intruso, che però subiscono la stessa sorte dei loro predecessori. L’operazione continua a ripetersi, fino a che si genera la malattia.”

Quali sono i danni che può provocare alla salute?

“La quasi totalità delle malattie si sviluppa nei polmoni con placche pleuriche, asbestosi, carcinoma polmonare e il tremendo mesotelioma pleurico. La sua azione colpisce anche altre parti molli del nostro corpo causando molte altre malattie, quali: mesotelioma peritoneale, tumori alla laringe, faringe, al colon, all’ovaio e alla tunica vaginale del testicolo.”

L’amianto è stato molto usato in passato, in particolar modo nell’edilizia grazie alle sue proprietà. Da qui nasce forse la sua derivata più temibile e conosciuta: l’eternit. Tutti i tipi di amianto, nelle sue diverse lavorazioni, hanno lo stesso grado di pericolosità?

“L’eternit non è il maggior diffusore di fibre d’amianto. Bisogna ben distinguere tra due tipologie: amianto friabile ed amianto compatto. Il primo è composto quasi esclusivamente da amianto, fino a superare il 90%, l’amianto compatto contiene fibre di amianto, in percentuali molto inferiori, inglobate in altri materiali. Nel caso dell’eternit l’amianto è aggiunto al cemento, al massimo fino ad una percentuale del 15%.

La quasi totalità dei decessi per l’amianto ha colpito lavoratori che manipolavano l’amianto, che sono stati esposti a dosi massicce e per tempo prolungato. Da alcuni anni hanno aumentano il numero di decessi anche per persone che non hanno mai toccato l’amianto o materiale contenente amianto, il loro numero è destinato ad aumentare perché anche l’amianto compatto, con la sua vetustà, rilascia fibre d’amianto. I manufatti in cemento non sono eterni, termine a cui allude la definizione commerciale di eternit, ma degradano. Dopo pochi anni di esposizione alle intemperie la superficie esterna perde consistenza ed ogni metro quadrato libera tre grammi di amianto l’anno. I tre grammi sono un peso molto piccolo, le fibre di amianto sono infinitesimali, per fare un milligrammo servono 300.000 (trecentomila) fibre. Una stima, per difetto, delle coperture ancora presenti in cemento amianto ha stabilito che ci sono 2.500 chilometri quadrati.”

Secondo il CNR sono 96mila i siti contaminati da amianto censiti. Non di rado si viene a conoscenza della presenza di amianto in edifici come scuole, palestre o strutture aperte al pubblico, quali rischi corrono le persone che hanno frequentato assiduamente quei luoghi?

“I siti considerati dal CNR sono i siti di interesse nazionale o regionale con una superficie molto estesa, di parecchie migliaia di metri quadrati. Nella maggior parte dei casi sono quei siti in cui ci sono state molte malattie, soprattutto professionali, asbesto correlate. Il pericolo dell’amianto si trova in tutte le zone antropizzate.”

Da quasi trent’anni è accertata la pericolosità della presenza di amianto nel campo dell’edilizia. Quali sono le leggi che attualmente regolano la materia e cosa affermano in sintesi?

“Le leggi che regolano la materia sono più di quattrocento. Riguardano moltissimi argomenti: la manutenzione dei materiali contenenti amianto, il divieto di dispersione di fibre d’amianto, le modalità di intervento, i controlli sanitari a cui devono essere sottoposti gli esposti all’amianto e molto altro ancora.”

Attualmente, si può dire che in Italia la legge viene rispettata in pieno?

“Un numero così alto di leggi genera confusione, alcune leggi contrastano con altre. Un decreto ministeriale del 1994 impone che tutti i proprietari di immobili in cui ci sia materiale contenente amianto devono nominare il responsabile amianto, con compiti ben specifici.”

Non di rado si viene a conoscenza della presenza di amianto in edifici come scuole, palestre o strutture aperte al pubblico. Possiamo dire che gli enti proprietari sarebbero dovuti intervenire già in passato o la presenza di amianto è “tollerabile” dalla legge in alcuni casi? …e se si quali?

“Tutti i proprietari di strutture, non solamente pubbliche, devono intervenire. La valutazione del rischio amianto devono farla tutti, solamente nel caso in cui l’amianto non si disperda si può lasciare tale e quale.”

Cosa deve fare un normale cittadino qualora venga a conoscenza della presenza di amianto in una struttura pubblica o privata?

“Il comportamento varia da regione a regione, una soluzione valida in tutta Italia è la segnalazione al sindaco, tramite raccomandata o posta certificata.”

Cosa può fare un cittadino nel caso abbia contratto una patologia a causa della presenza di amianto nell’ambiente lavorativo o a causa di una esposizione a sua insaputa?

“Se la patologia è stata causata dall’attività lavorativa deve fare richiesta del riconoscimento all’INAIL.

Nel caso la sua malattia sia causata da inquinamento ambientale conviene iscriversi al registro degli esposti all’amianto, in alcune regioni è stato istituito un protocollo sanitario, che si rivolge a strutture specializzate.”

 

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Ringraziamo per la collaborazione Maura Crudeli (Presidente Aiea), Valentino Gritta (Vicepresidente Aiea) e Silvana Zambonini (Presidente Aiea Lazio).

A questo punto vogliamo fare delle considerazioni nostre.

L’amianto? E’ importante continuare a parlarne, mantenere alto e vivo l’interesse di ogni singolo cittadino per non permettere a nessuno di sottovalutare questo problema. In fondo potrebbe trovarsi ovunque, nelle scuole, nel nostro palazzo, in quello del vicino o nel fabbricato abbandonato e affascinante che tutte le mattine incontriamo e osserviamo andando a lavoro.

Tutti dovrebbero denunciare subito la presenza, accertata o dubbia che sia, di questo materiale al fine di tutelare se stesso e gli altri.

Le Istituzioni, gli enti pubblici e le amministrazioni comunali hanno il dovere, accertata la presenza di amianto in una struttura, soprattutto se pubblica e ad uso collettivo, di procedere a tutte le bonifiche previste dalla legge, informando tempestivamente la comunità con rispetto e responsabilità.

“Lo Stato non poteva (e non può) ignorare di averne autorizzato l’uso (materiali da costruzioni e tessili, elettrodomestici, caldaie, aerei, navi, elicotteri ecc…) e di conseguenza aver sottovalutato la pericolosità dell’asbesto per la salute pubblica, ma è solo con la Legge 257/92 che ne vietò la commercializzazione e l’uso. Troppo tardi!

I cittadini (lavoratori e non) da subito cominciarono ad ammalarsi ed è previsto un picco di mortalità non indifferente nel periodo 2020-2050. Sul territorio nazionale (secondo alcune stime) risulterebbero circa 32 milioni di tonnellate di amianto, con 38 mila siti a rischio che non si citano, anche se alcuni arcinoti. Non si vuole inoltre evidenziare la mancanza di aiuti statali per lo smaltimento, ad oggi molto caro per i cittadini, mentre aziende e fabbriche possono usufruire di incentivi in tal senso. Per la prevenzione e per le necessarie cure sanitarie oggi c’è disparità tra Regione e Regione. Le più preparate sono Piemonte, Lombardia, Toscana, Emilia Romagna ed è tutto a discrezione dei piani regionali.

Si accenna soltanto, che dal 2011 (dopo il famoso Convegno di Venezia), ancora non c’è un Testo Unico sulla materia, né un adeguamento della normativa previdenziale e di tutela ambientale.

Oggi è impossibile riconoscere l’esposizione dei lavoratori o dei cittadini secondo la normativa vigente, poiché molti siti sono dismessi, chiusi, abbandonati, ed altri bonificati senza alcun avviso per chi ha vissuto in tali luoghi. La misurazione andrebbe fatta secondo alcune regole (lavoratori in loco con macchinari e condizionatori in funzione, microscopia ottica o elettronica, ecc…).

In ambiente di vita (ospedali, scuole, uffici ecc…) basterebbe misurare soltanto 20 fibre/litro per considerare inquinato l’ambiente.

La direttiva CEE 148/2009 nel sottolineare che è un agente particolarmente pericoloso… e che non si conosce un livello al di sotto del quale non vi siano più rischi per la salute, rimanda alla IARC, la quale conferma che anche una sola fibra è pericolosa per l’uomo.

Ciò nonostante l’INPS insiste nel non voler riconoscere l’art. 13 comma 7 e rimanda la decisione o ai giudici o all’INAIL, che a sua volta ha medici poco esperti in materia, i quali spesso rifiutano il riconoscimento della malattia professionale per questioni amministrative e/o di budget, relativo alla sede INAIL interessata.

Sarebbe utile un resoconto dagli uffici legali di questi due Enti (Inps e Inail) per capire quante richieste giacciono sui tavoli della nostra Giustizia. Diversi giudici e/o magistrati (non avendo conoscenza di una materia così complessa e intricata) si affidano ai CTU, che spesso sono gli stessi medici, che furono medici aziendali dei luoghi incriminati e rischierebbero di incorrere in sanzioni penali e/o amministrative per aver chiuso gli occhi sulla salubrità del luogo di lavoro.

Quello dell’Amianto è un serpente che si mangia la coda.

 

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Limitare il riconoscimento della malattia espositiva all’INPS o all’INAIL equivale a strozzare in anticipo seri provvedimenti. La malattia andrebbe accertata da Aziende Ospedaliere qualificate dopo i previsti esami diagnostici (TAC, marker tumorali della mesotelina serica e osteopontina o di più recenti…), senza alcun bisogno di andare in Giudizio (dove le richieste giacciono per millenni).

I due istituti INPS e INAIL dovrebbero limitarsi a convalidare la patologia accertata dalle ASL e l’INAIL corrispondere immediatamente una rendita anziché far pesare la “pensione di inabilità” sulle casse dello Stato (anche in considerazione del Bilancio Inail, dove la cifra per l’assistenza ai lavoratori è ben contenuta, rispetto ad altre voci).

Un appoggio agli ex esposti o esposti potrebbe venire da una tassazione leggera dell’Irpef e dalla possibilità di raggiungere i centri ospedalieri qualificati (non tutte le Regioni li hanno), con spese mediche e di viaggio detraibili dalla dichiarazione dei redditi.

Oggi soprattutto è importante battersi per la bonifica delle scuole e degli ospedali la cui mappatura è ancora incompleta e in alto mare.”

 

Da AIEA