Cuba su latinoamerica e mondo - Novembre 2019

La destra non desiste dal colpo di Stato in Bolivia

La convocazione  del presidente della Bolivia, Evo Morales  a riprendere il dialogo per promuovere la pace nel suo paese, alla formula nell’unità delle

forze per affrontare il colpo di Stato promosso dagli Stati Uniti, è stata la premessa del discorso che ha pronunciato  parlando alla folla concentrata nella  Plaza Mayor di San Francisco, a La Paz.

«Vogliono portare ingiustizia e violenza e per questo io domando unità:

l’unità sarà sempre la sconfitta dei vendipatria, con l’unità ci saranno sempre più progetti e sviluppo dei boliviani», ha precisato il mandatario ed ha ricordato che quando la destra non ha potuto vincere le elezioni, ha inventato la frode.

Il richiamo allo sciopero promosso da settori dell’opposizione vuole, come obiettivo principale, danneggiare l’economia del paese, che ha registrato da 13 anni un aumento del 3.9% l’anno, con l’implementazione di un nuovo modello che risponde agli interessi della società, ha informato l’Agenzia Venezuelana di Notizie

Evo ha detto che i gruppi dell’opposizione tentano di prendere il potere politico e squalificare i risultati elettorali delle votazioni generali del 20 ottobre scorso nelle quali il mandatario boliviano è stato rieletto con più del 47% dei voti.

Il dirigente dell’opposizione di Santa Cruz, Luis Fernando Camacho,

 ha appena chiamato a radicalizzare lo sciopero nazionale convocato per il fine settimana attraverso le istituzioni dello Stato, con l’obiettivo di fare pressioni sul

presidente Evo Morales, per far sì che rinunci.

Il ministro dell’Economia della Bolivia, Luis Arce, ha offerto un bilancio delle perdite economiche generate nel paese dai disturbi promossi dal gruppo dell’opposizione Comitè Civico, dall’occupazione degli uffici nazionali delle imposte e dal blocco alla frontiera, impedendo d’incassare le entrate doganali.

Questo incide sulla possibilità di pagare bonus agli anziani, di mantenere i piani sociali nel programma che beneficia i bambini, chiamato Juancito Pinto, il bilancio per le università, la salute e l’educazone.

Il titolare dell’economia ha spiegato che i settori che hanno generato le perdite più alte in questi 14 giorni di proteste sono il trasporto, le comunicazioni,  il trasporto dai magazzini, i negozi e il servizio d’amministrazione pubblica

Il colpo di Stato è stato organizzato in un principio con la convocazione a una marcia degli oppositori, poi sono venuti gli scioperi e i blocchi in differenti città del paese; si commettono azioni di vandalismo, furti, saccheggi e distruzioni dei beni pubblici oltre a violenze da parte di gruppi infiltrati e totalmente incappucciati.

Con i media di comunicazione di massa  creano le falsità di una ribellione, con una campagna per togliere prestigio e false accuse, oltre alla promozione della violenza per mostrare l’ingovernabilità e l’illegittimità, senza scartare l’eliminazione fisica del  presidente.

Il ministro boliviano della Difesa, Javier Zavaleta,  ha avvertito che questa logica violenta va contro gli interessi del paese e ha chiesto l’immediata fine di questo tipo di convocazioni, perchè possono trasformarsi in una spirale di violenza.

Per questo una marcia pacifica di migliaia di persone è stata organizzata martedì 5 dai settori sociali della Bolivia sino alla sede del Governo, per appoggiare il presidente Evo Morales e in difesa della democrazia, guadagnata storicamente con la lotta degli operai.

GM per Granma Internacional, 5 novembre 2019



 

Lula libero: un trionfo dei popoli, della solidarietà e della verità

L’ex presidente brasiliano e leader del Partito dei Lavoratori (PT) del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, è uscito dal carcere dopo 580 giorni di ingiusta detenzione nella Sovraintendenza della Polizia Federale di Curitiba, nello Stato di Paranà. Uscendo di prigione, Lula ha ringraziato quanti hanno lottato per la sua libertà e, in particolare, chi è rimasto per 580 giorno davanti al carcere di  Curitiba.

La sua liberazione rappresenta una nuova vittoria dei popoli di Nuestra America e della solidarietà internazionale, un trionfo della giustizia e della verità di fronte all’offensiva della destra neoliberale nel continente.

Il Presidente cubano Miguel Díaz-Canel ha definito questo evento "Una vittoria delle idee,  la sconfitta della strategia imperialista e dei suoi lacchè" e ha idealmente abbracciato "l'instancabile combattenete che non ha mai ammainato la bandiere della dignità. La liberazione di Lula è un trionfo dei popoli, della solidarietà e della verità".

Il giudice federale Danilo Pereira ha decretato la liberazione di Lula da Silva in risposta alla richiesta della difesa dell’ex presidente di fronte alla Giustizia Federale di Curitiba, dopo l’annullamento della reclusione stabilito dal Supremo Tribunale Federale (STF).

I giudici dell'STF, con sei voti a cinque e seguendo il principio di presunzione d’innocenza, hanno deciso che una persona non può essere considerata colpevole se non c'è una sentenza finale.

Davanti a una folla di persone raggruppate fuori dalla prigione che cantavano l’Inno Nazionale del Brasile e mostravano la loro allegria per l’avvenimento, Lula da Silva ha detto: "Per tutti questi giorni siete stati l’alimento della democrazia di cui necessitavo per resistere a questa putrefazione dello Stato, a quello che hanno fatto a me e alla socità brasiliana (...). Hanno criminalizzato la sinistra, il PT e Lula (…). Tutti devono sapere che non hanno recluso un uomo, ma hanno tentato di uccidere un’idea, e le idee non si ammazzano, le idee non scompaiono. Tutti devono sapere che io esco da qui senza odio. A 74 anni il mio cuore ha spazio solo per l’amore, perchè è l’amore che vincerà in questo paese, non l’odio (…). Io esco di qui con il più forte sentimento di gratitudine che un essere umano possa sentire per il prossimo, ed è questo ciò che provo per voi (…), per dimostrare che questo paese può essere migliore, con un Governo che non dica menzogne come fa  Bolsonaro. Vi sarò eternamente grato e sarò fedele alla lotta che voi rappresentate".

Alla causa di Lula hanno unito le loro voci personalità sociali e milioni di brasiliani durante tutti i 19 mesi di prigionia, a partire dal processo giudiziario che fu denunciato per le molteplici irregolarità.

Il popolo  cubano ha partecipato alla campagna internazionale per "L’annullamento dei processi contro Lula" e, in soli 13 giorni, ha raccolto più di due milioni di firme per reclamare la sua libertà.

Lula è libero, ma la lotta per la verità continua. la fine della detenzione non annulla la condanna e non gli restituisce i diritti politici. Il leader brasiliano dovrà continuare la battaglia per la giustizia definitiva con l’appoggio dei popoli del mondo. In prima linea, fedele alla sua vocazione internazionalista e solidale, il popolo cubano continuerà a difendere la sua nobile causa.

Il 1º gennaio del 2019, il Generale d’Esercito Raúl Castro Ruz, Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba, si era rivolto ai circoli del potere di Washington che da più di un decennio mettono in atto metodi di guerra non convenzionale per impedire la continuità o frenare il ritorno dei governi progressisti nella regione:  "Avete promosso processi giudiziari manipolati politicamente, campagne di manipolazione e discredito contro dirigenti e organizzazioni progressiste attraverso il controllo dei media di massa. Siete riusciti a rinchiudere in carcere il compagno Lula da Silva provandolo del diritto a candidarsi alla presidenza per evitare la sua sicura vittoria. Approfitto  dell’occasione per chiamare tutte le forze politiche oneste del pianeta a reclamare la sua liberazione".

Nell’Incontro Antimperialista di Solidarietà per la Democrazia e contro il Neoliberalismo, Fernando González Llort, presidente dell’Istituto Cubano di Amicizia con i Popoli (ICAP) ha consegnato a Gleisi Hoffmann, presidente del Partito dei Lavoratori  del Brasile, le firme di più di due milioni di cubani per reclamare la liberazione dell’ex presidente del Brasile. Enrique Moreno Gimeranez e GM per Granma Internacional, 8 novembre 2019

 


 


 

Forum di San Paolo: pronti alla lotta per la pace regionale

Il Presidente cubano, Miguel Díaz-Canel, e il Secondo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba, José Ramón Machado Ventura, hanno partecipato alla riunione del Gruppo di Lavoro del Forum di San Paolo che si è svolta a L’Avana centrata sul rafforzamento della sinistra latinoamericana e sulla coesione delle forze progressiste.

Nel Palazzo delle Convenzioni, i rappresentanti dei partiti di sinistra e dei movimenti sociali hanno concordato sullo sviluppo di azioni comuni a favore della solidarietà, della pace nel continente e di altre cause che oggi chiamano la regione latinoamericana e caraibica alla resistenza da parte delle forze progressiste con la lotta.

Díaz-Canel ha precisato inoltre che è necessario articolare strategie che permettano di far fronte alla guerra culturale e mediatica con la quale il neoliberalismo e l’imperialismo vogliono sottomettere i popoli tentando di distruggerne le identità. La scalata aggressiva che vive oggi il continente è parte di una battaglia ideologica e culturale.

Nel caso particolare di Cuba, il Secondo Segretario del Comitato Centrale del Partito aveva affermato poco prima, parlando con i rappresentanti nella riunione, che «Più radicale è l’aggressione, maggiore sarà il nostro impegno solidale con le giuste cause. Non cambieremo nessuno dei nostri principi».

Mónica Valente, segretaria esecutiva del Forum, ha invitato ad analizzare la congiuntura internazionale che attraversano i popoli della regione, in particolare con i processi elettorali, e ha tracciato una descrizione obiettiva del contesto nel quale si sviluppano le lotte attuali.

L’attivista politica ha ringraziato il popolo cubano e tutte le organizzazioni coinvolte nell'appoggio a favore della liberazione dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, ora già liberato.

Nella giornata dedicata alla valutazione di ciò che è accaduto dall’ultimo incontro di Caracas per tracciare strategie e piani d’azione, è stata confermata l’importanza di lavorare a favore dell’unità e e di difendere l’America latina e i Caraibi come Zona di Pace.

GM per Granma Internacional, 14 novembre 2019

 

 


 


 

Il Governo di fatto della Bolivia si ritira dall’ALBA ed espelle l’80% degli ambasciatori

La Cancelliera del Governo dopo il colpo di Stato, Karen Longaric, ha informato che la Bolivia si è ritirata dall’Alleanza Bolivariana per i Popoli  di Nuestra America (ALBA) e ha espulso l’80 % degli ambasciatori designati durante il mandato di Evo Morales.

«Lo scenario dell’ALBA - ha detto  Longaric - non ci interessa per niente».

Le dichiarazioni sono state fatte dopo che il suo predecessore, Diego Pary, Cancelliere boliviano durante il mandato del presidente deposto Evo Morales, aveva comunicato che avrebbe continuato ad operare come  «ministro delle Relazioni Estere dello Stato Plurinazionale della Bolivia del Governo Costituzionale», come aveva scritto nel suo account Twitter mentre partecipava a un Vertice dell’ALBA in Nicaragua.

In un’intervista al Canale 4 della televisione nicaraguense, Pary aveva affermato che il colpo di Stato rispondeva alle lotte di classe che sono ancora presenti nel paese.

Durante il Vertice dei paesi dell’ALBA a Managua il cancelliere del Venezuela, Jorge Arreaza, ha assicurato che l’organizzazione promuoverà azioni per rovesciare il colpo di Stato in Bolivia.

I paesi dell’ALBA hanno denunciato l’ingerenza degli USA e dei loro alleati nei fatti avvenuti in Bolivia e hanno esortato a condannare il colpo di Stato.

La Longaric ha dichiarato che sono stati destituiti dai loro incarichi i rappresentanti diplomatici della Bolivia presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, Sacha Llorenti, e l’ambasciatrice di Cuba Ariana Campero, così come l’80% degli ambasciatori che erano  stati nominati dal Governo Morales.

La Cancelliera del Governo di fatto ha indicato che i funzionari diplomatici rimossi non possono fare uso delle sedi diplomatiche in Bolivia. Inoltre, ha comunicato che Cuba ritirerà i 725 cooperanti presenti nel paese sudamericano.

GM per Granma Internacional, 15 novembre 2019

 


 


 

L’ambasciata degli USA è la massima responsabile della destabilizzazione in Bolivia

L’ambasciata degli Stati Uniti a La Paz è stata la maggior responsabile e promotrice della destabilizzazione dello Stato Plurinazionale della Bolivia, ha scritto Evo Morales sul suo account Twitter lo scorso 13 novembre: «Condanniamo la decisione di Trump di riconoscere il governo di fatto autoproclamato dalla destra. Dopo l’imposizione di Guaidó, ora proclama la Añez. Il colpo di Stato che provoca la morte de miei fratelli boliviani è una cospirazione politica ed economica che viene dagli Stati Uniti».

In un altro messaggio pubblicato nel fine settimana ha salutato e ringraziato il Segretario Generale dell'ONU, António Guterres, che ha nominato il diplomatico Jean Arnault come suo inviato speciale per dialogare con tutte le parti e trovare soluzioni ai conflitti provocati con la frattura dell’ordine costituzionale in Bolivia.

Jean Arnault, inviato del Segretario Generale della ONU, ha preso contatto con le autorità del governo della Añez e con le organizzazioni sociali nel tentativo di riportare la pace nel paese.

Nella nazione sudamericana i deputati del partito Movimiento Al Socialismo (MAS) hanno annunciato che presenteranno un ricorso di incostituzionalità contro il Decreto Supremo della presidente autoproclamata Jeanine Añez che toglie alle Forze Armate la responsabilità penale per gli assassinii e le violenze alla popolazione che protesta nelle strade: «Questo decreto è una licenza d’uccidere. È anticostituzionale», ha dichiarato la deputata Sonia Brito ripresa dall’agenzia boliviana di notizie Fides.

La Brito ha invocato la polizia e l’esercito a non infrangere il Diritto, lo Stato e la Costituzione perchè sono già state uccise 25 persone.

Inoltre si chiede la libertà immediata dei detenuti illegalmente tra i quali i dirigenti e le autorità elette democraticamente, nonchè l’approvazione di una legge da parte dell’Assemblea Legislativa Plurinazionale che garantisca le elezioni nazionali in 90 giorni.

Le forze progressiste formate da indigeni, contadini, minatori e cocaleros hanno dato all’autoproclamata presidente Jeanine Añez 48 ore per dimettersi e mantengono la mobilitazione con il blocco totale delle strade tra dipartimenti e province a livello nazionale. I dirigenti cocaleros hanno respinto il Decreto Supremo che autorizza i militari a rispondere con attacchi armati e garantisce loro l’impunità giudiziaria, e hanno chiesto rispetto per la bandiera indigena, la wiphala.

Come parte della distruzione di ciò che era stato conquistato dalla Bolivia, la cancelliera del governo di fatto, Karen Longaric, ha informato della ritirata del paese dall’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America (ALBA) e la destituzione del 80% degli ambasciatori designati durante il mandato di Morales.

Tutto fa presumere la disarticolazione dell’integrazione realizzata nel continente.

Oggi la situazione in Bolivia è sempre caotica per via dei blocchi stradali in varie regioni. Mancano i prodotti alimentari nei mercati ed è in atto la speculazione dei prezzi con il combustibile che scarseggia; si nota anche un calo nel trasporto dei veicoli.

L’ex vice presidente della Bolivia, Álvaro García Linera, in un articolo di fondo pubblicato dal quotidiano messicano La Jornada, ha denunciato il maltrattamento ricevuto dai gruppi indigeni dalla partenza di Evo Morales dal paese e ha dichiarato: «L’odio razziale è il linguaggio politico di questa classe media tradizionale».

Nuria Barbosa León e GM per Granma Internacional, 20 novembre 2019