La Corte Suprema brasiliana contro la scarcerazione dell’ex presidente Lula

 

Martedì 25 giugno si è riunita nella città di Brasilia la Corte Suprema brasiliana per decidere riguardo alla scarcerazione dell’ex-presidente Lula da Silva, condannato a otto anni di reclusione per corruzione e riciclaggio di denaro nell’ormai celebre caso del “triplex” di Guarujá, vale a dire la casa al mare che secondo l’accusa sarebbe stata data all’ex presidente dalla società edilizia Oas a titolo di tangente in cambio dell’assegnazione di appalti della società petrolifera di stato Petrobras.

 

Per i sostenitori di Lula l’intera inchiesta “Lava Jato”, che ha travolto le figure di spicco del Partido dos Trabalhadores (PT) causando prima l’impeachment di Dilma Roussef e poi l’arresto di Lula, è stata frutto di una cospirazione politica perpetrata al fine di rimuovere la sinistra brasiliana dal potere. Essi, considerando dunque l’intero processo come una vera e propria guerra giudiziaria condotta nei confronti del loro leader, hanno accusato il giudice Sergio Moro di accanimento e di faziosità, accendendo seri dubbi circa l’imparzialità del suo giudizio. Per i “petisti” i dubbi sulla condotta di Moro durante il processo “Lava Jato” sono stati confermati lo scorso autunno quando il giudice ha accettato la proposta di Jair Bolsonaro di entrare a far parte del suo governo, a capo di un nuovo superministero che unisce in maniera inedita le funzioni del Ministero della Giustizia a quelle del Ministero della Sicurezza Pubblica. Ed è proprio in seguito alla nomina di Moro a ministro che gli avvocati di Lula hanno presentato la richiesta di habeas corpus per la scarcerazione del loro leader.

Nonostante in quel periodo la vittoria mediatica, giudiziaria e politica della destra brasiliana nei confronti del PT apparisse sostanzialmente fuori discussione, la questione si è riaperta in modo esplosivo il 9 giugno scorso quando il sito di giornalismo investigativo The Intercept Brasil ha pubblicato il primo di una serie di reportage basati su un immenso archivio di conversazioni private via Telegram tra l’ex giudice Sergio Moro e gli inquirenti della “Lava Jato”. Le nuove rivelazioni hanno da subito fatto emergere come il giudice non fosse imparziale ed equidistante tra accusa e difesa: era Moro in persona a dirigere le operazioni del pool degli inquirenti indicando, oltre ai tempi e alle modalità delle operazioni, la strategia mediatica da seguire e ordinando di risparmiare dall’inchiesta alcuni politici di primo piano avversari del partito di Lula, tra i quali spicca l’ex presidente Fernando Henrique Cardoso. Così, in seguito a tali rivelazioni, la tesi del complotto fin dal principio sostenuta dai “petisti” ha riacquistato improvvisamente consistenza.

Il sito The Intercept Brasil non si è limitato a pubblicare stralci dell’archivio, ma ha costruito una vera e propria strategia mediatica, che si è finora rivelata micidiale per la credibilità dei principali promotori della “Lava Jato”, primo tra tutti il nuovo idolo della destra brasiliana: l’ex giudice Moro. The Intercept, con una mossa insolita per un giornale, ha scelto di condividere la sua esclusiva con una serie di giornalisti e testate di grande credibilità e soprattutto di orientamento politico completamente diverso dal suo: prima è stata la volta di Reinaldo Azevedo, storico oppositore del PT, saggista e conduttore di Radio Band, poi della Folha di San Paolo, il maggior quotidiano del paese, a lungo nettamente schierata a favore della “Lava Jato”.

Appare quindi ora evidente che, vista la precedente posizione favorevole alla condanna di Lula di molti giornalisti ora coinvolti nelle inchieste di The Intercept Brasil, non si possa certo dire che la diffusione delle intercettazioni sia un’operazione politica promossa dal PT, come dichiarato da Moro e dai suoi sostenitori nei primi giorni, quando a garanzia della genuinità delle conversazioni divulgate c’era solo la parola e la credibilità di Glenn Greenwald, il fondatore di The Intercept.

Tornando ai fatti del 25 giugno, la Corte Suprema ha giudicato le due petizioni di habeas corpus depositate dalla difesa del Partito di Lula: il primo ricorso è stato respinto per quattro voti a uno, mentre il secondo per due voti a tre. In definitiva, tra i cinque giudici della Corte, Gilmar Mendez e Ricardo Lewandowski si sono espressi a favore della scarcerazione di Lula mentre Edison Fachin, Carmen Lucia e Celoso de Mello si sono dichiarati contrari. Questa è stata l'ultima sessione della Corte prima della pausa estiva; la prossima non avrà luogo prima del 6 agosto, quando la Corte dovrebbe decidere in merito alla presunta condotta illecita di Moro.

Al rientro dalla pausa secondo diversi osservatori il voto decisivo sulla condotta di Moro, che porterebbe all’assoluzione di Lula qualora ne fosse provata la colpevolezza, sarà quello di Celso de Mello, il membro più anziano del Tribunale Federale Supremo. Gli altri quattro membri del Tribunale hanno tutti posizioni note riguardo lo scandalo Lava Jato, mentre Mello, sebbene abbia votato contro la scarcerazione, ha dichiarato che potrebbe non esservi una diretta corrispondenza tra il suo voto di martedì e il suo giudizio in merito all’operato di Moro, lasciando quindi intendere come la questione sia tutt’altro che chiusa.

Si dovrà quindi attendere agosto per conoscere il giudizio della Corte Suprema sulla liceità della condotta dell’inchiesta Lava Jato. In ogni caso la guerra politica, giudiziaria e mediatica tra il partito di Lula e la destra brasiliana sembra lontana da una conclusione definitiva. Anzi, più passa il tempo più si ha l’impressione che la storia recente del Brasile, che dopo anni di governo “petista” aveva preso una brusca sterzata conservatrice portando al potere una destra nazionalista e reazionaria guidata dall’ultraconservatore Bolsonaro, stia venendo riscritta sotto i nostri occhi.

 

Agosto 2019, Sebastiano Coenda, CIVG