Dichiarazione dei diritti dei contadini e degli altri lavoratori rurali

20 giugno 2019

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Il 17 dicembre 2018 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nella sua formazione plenaria, ha adottato la Risoluzione A/RES/73/165, recante la “Dichiarazione dei diritti dei contadini e degli altri lavoratori rurali”. Tale documento è il frutto di decenni di lotte sociali portate avanti dalle comunità contadine di varie aree del mondo, la cui voce si è riunita in particolare intorno all’azione del movimento internazionale La Vía Campesina. La Dichiarazione rappresenta un’importantissima presa di posizione politica e culturale della comunità internazionale sul tema della tutela dei diritti di tutti coloro che lavorano nelle aree rurali e, nonostante dal punto di vista del diritto internazionale non abbia efficacia vincolante, la sua adozione implica comunque un’assunzione di responsabilità, alla quale gli Stati non potranno sottrarsi con leggerezza.

La necessità di una dichiarazione di diritti specifica per i contadini e gli altri lavoratori rurali è derivata dalla loro ormai conclamata condizione di vulnerabilità, che si manifesta specialmente nelle seguenti aspre contraddizioni: l’80% delle persone che soffrono la fame vive nelle zone rurali ed il 50% di quelle persone posseggono unità produttive agricole di piccola scala; circa 500 milioni di unità produttive agricole, nei paesi in via di sviluppo, nutrono circa 2 miliardi di persone, ossia un terzo dell’umanità; nonostante ciò, l’agricoltura familiare produce più del 70 % dell’alimentazione mondiale.

Di fronte a tale realtà, il documento adottato dalle Nazioni Unite sancisce un cambio di prospettiva rispetto alle politiche di sviluppo per il futuro, tanto a livello nazionale come a livello internazionale. Esso riconosce la necessità di considerare tutti i diritti umani come ugualmente degni e di pari gerarchia, al fine di abbandonare logiche radicalmente individualistiche - spesso di natura strettamente economica e finanziaria - e di recuperare, da un lato, un sempre più sbiadito senso della collettività, dall’altro, una sensibilità umanistica sempre più repressa da discorsi tecnico-utilitaristici. Tale spirito è ben espresso altresì dalla circostanza che, nonostante molti concetti fondamentali della medesima Dichiarazione – fra gli altri, sviluppo dell’agricoltura, sviluppo sostenibile, nutrizione, sicurezza alimentare e sovranità alimentare - siano temi rientranti esplicitamente nella competenza della Seconda Commissione Principale dell’AG delle Nazioni Unite, che si occupa di “Affari economici e finanziari”, la proposta di risoluzione recante la dichiarazione dei contadini e degli altri lavoratori rurali è stata affidata ai lavori della Terza Commissione Principale, che si occupa di “Affari sociali, umanitari e culturali”.

Purtroppo, duole constatare che, sui 121 voti espressi a favore del documento in questione, solo una minima parte è provenuta da paesi cosiddetti “occidentali” o “sviluppati”; la presenza di questi ultimi, al contrario, è massiccia nell’elenco dei voti contrari e degli astenuti; fra gli astenuti, si registra la massiccia presenza del blocco dei paesi europei, fra i quali l’Italia. In altre parole, i voti favorevoli sono stati espressi da tre aree di mondo: l’America Latina, l’Africa e l’Asia. Non mancano certo eccezioni eccellenti, in un senso e nell’altro: ad esempio, da un lato, hanno votato a favore Portogallo, Svizzera, Monaco e Repubblica di Moldova; dall’altro, Argentina, Brasile e Colombia si sono astenuti. Fra i casi menzionati, risalta soprattutto quello della Colombia, che nel 2016, dopo più di cinquant’anni di guerra civile combattuta per la riforma agraria, con il disarmo delle FARC e l’adozione dell’Accordo Finale di Pace per la riforma rurale integrale, pareva finalmente aver imboccato il cammino della pace, che oggi tuttavia sembra più che mai lontana, a causa della persistenza del conflitto armato interno e del massacro di moltissimi lider sociali contadini.

In ogni caso, occorre tener presente che la Dichiarazione dei diritti dei contadini e degli altri lavoratori rurali non può e non deve essere vista come la dichiarazione dei paesi latinoamericani, africani ed asiatici, bensì come atto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ossia di un organo rappresentativo della comunità internazionale. I problemi che essa considera sono di interesse comune, dal momento che i problemi che affliggono i lavoratori rurali nei paesi cosiddetti “del terzo mondo” e “in via di sviluppo” spesso non sono scomparsi nei cosiddetti “paesi sviluppati”, ma si presentano soltanto sotto altre vesti, in altre forme. Inoltre, l’esperienza di tali paesi deve essere tenuta in grande considerazione, dal momento che la storia non è affatto sinonimo di progresso: ad esempio, le due guerre mondiali hanno riportato hanno fatto regredire l’agricoltura italiana di decenni, mettendo i nostri lavoratori rurali nuovamente a confronto con problemi che si davano per superati. Infine, se davvero si  intende pensare lo sviluppo in un’ottica internazionale, è necessario che i paesi (economicamente) sviluppati riconoscano il proprio concorso di responsabilità nell’aver creato e nel continuare a creare, con le proprie politiche economiche, commerciali e finanziarie, quelle disparità dalle quali sono emerse molte delle istanze di giustizia rappresentate nella Dichiarazione; le medesime istanze che, tra l’altro, cominciano a permeare altresì le loro società.

Questa è la relazione alla serata organizzata dal CIVG con l’ARI, di Alessandro Zavatteri giurista ed esperto di realtà indigene.

 

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