La fine della sovranità nazionale e popolare, del pluralismo nell'informazione e il dominio ideologico della politica spettacolo nell'analisi massmediologica di uno scorcio di campagna elettorale.

 Io non so con quali armi sarà combattuta la III Guerra Mondiale, ma so che la IV Guerra Mondiale sarà combattuta con pietre e bastoni”. Non sempre Einstein aveva ragione. In questo caso aveva torto. La III Guerra Mondiale è in corso, non si combatte con le atomiche, e qualcuno la sta vincendo, per ora. E la IV non si combatterà con le pietre. La finanza internazionale combatte la sua guerra per il predominio, per lo svuotamento delle democrazie e degli Stati. E' un superorganismo che non rende conto a nessuno, che ha a sua disposizione i media, i politici-camerieri, gli stessi governi. La III Guerra Mondiale non si combatte sul campo di battaglia o con le bombe, ma nelle redazioni dei giornali, nelle televisioni, negli uffici all'ultimo piano delle banche, delle agenzie di rating, delle multinazionali. La notizia non data, la menzogna, il giornalista carismatico, il direttore imposto da poteri finanziari, il sottacere, la demonizzazione delle alternative politiche, la pietrificazione delle idee come se i cambiamenti fossero impossibili, ma soprattutto eversivi, contro un ordine costituito che, è ormai evidente, si tratta dell'ordine dei cimiteri. La III guerra mondiale è in corso, nessuno l'ha dichiarata, è una guerra silenziosa, insidiosa. L'informazione è la sua arma invincibile, per ora, la menzogna, l'attacco gratuito e vendicativo, la macchina della merda sempre pronta all'uso da parte di servi ben pagati per la loro entusiasta prostituzione, la guerra totale a chiunque si ponga fuori dal Sistema a livello, locale, regionale, mondiale. Chiunque ne metta in dubbio la santità, del resto benedetta anche da alti prelati, del Sistema è “anti, contro, fuori, no global. Il Sistema per reggersi ha bisogno dei suoi vassalli nei singoli Stati, di moderni Quisling.

Hanno nomi diversi in diversi Paesi, ma la stessa identica politica, la stessa matrice dell'informazione di stampo fascista, lo stesso spossesso di ogni volontà popolare, in nome di una globalizzazione che cancella le libertà individuali e la stessa struttura delle nazioni. La guerra è in corso, il primo modo di combatterla è riconoscerla, prendere coscienza che è in atto, che ha addormentato le nostre menti. Questo è il primo passo, credere che un'altra realtà sia possibile. Un risveglio. Un disgelo. Più il Sistema è disvelato, più diventa rabbioso. La bava alla bocca dell'informazione è un ottimo, splendido, magnifico segnale. Nelle prossime due settimane, prima delle elezioni, ne vedremo la faccia peggiore.

Beppe Grillo, 10 febbraio 2013.

 

La lunga citazione che apre questo articolo non intende in alcun modo “sponsorizzare” la causa elettorale del personaggio che l'ha pronunciata, bensì soffermarsi sull'intrinseco valore politico di tale dichiarazione.

La guerra geopolitica per l'affermazione del Nuovo Ordine Mondiale neoliberista, dominato dal primato dell'economia di libero mercato finanziarizzata (new economy) e sulla conseguente rimozione di qualsivoglia ostacolo, sia esso un attore partitico o statuale, che abbia l'ardire di frapporsi sulla strada di questo progetto, che conobbe una sua recrudescenza a partire dal «fatidico 1989», è anche e soprattutto una guerra condotta dai media mainstream, gli organi di “informazione” cartacei a larga tiratura, la tv generalista ed i siti web ad essi collegati, contro il popolo, contro la società. Una guerra condotta nel nome della «democrazia», parola il cui significato originario, quello di «governo del popolo, dal popolo e per il popolo», ha conosciuto un profondo svuotamento e la relativa trasformazione in un brand politico-commerciale, Democracy Inc., ad uso e consumo delle masse alienate, a tutela degli interessi finanziari, economici e politici, delle classi dirigenti, le quali, attraverso il reiterato appello al voto «ai grandi partiti» del “bipolarismo europeista”, intendono perpetrare il proprio potere, e quello dei loro referenti e finanziatori, sine die. Non è qui il caso di soffermarci sulla natura oggettivamente affaristica e religiosa (calvinista, protestante), lontana da ogni visione del mondo idealistica, centrata su di uno sviluppo sociale di lungo periodo, del sistema liberal-capitalistico e, più nel particolare, del bipartitismo di matrice statunitense[1]; basti, a tal proposito, ricordare che l'approdo delle classi dirigenti, non solo europee, a tale soluzione politico-istituzionale, rientra naturalmente nei piani di Washington, dettagliatamente pubblicizzati quali elementi di «modernizzazione dei sistemi politici in direzione della stabilità», dai politologi d'oltreoceano sulle colonne dei principali quotidiani del nostro Paese; piani questi, presentati mediaticamente quali vera e propria epifania di chi, inoppugnabilmente, è portatore alle “greggi” europee e mondiali, del «verbo democratico» stars and stripes, contro qualunque azzardo di ribellione, di disobbedienza, di indisciplina politica, anche solo a livello programmatico e non ideologico.

Fu in nome della «democrazia» e della «stabilità» che, nel giugno 2012, la risicata affermazione e la successiva formazione, in Grecia, di un esecutivo raccoltosi attorno agli screditati ed in parte rifiutati dall'elettorato stesso, partiti «europeisti», di destra e di sinistra, fu salutata dal quotidiano torinese La Stampa come la «vittoria del partito dell'euro»[2]; gli avversari di questo «partito», che pure nel loro programma non facevano cenno alla fuoriuscita del Paese dal sistema di compatibilità politiche dettato dalla «moneta unica», furono irrimediabilmente tacciati, dalle colonne del quotidiano di cui sopra, quali «populisti», «antieuropeisti», «comunisti», fino ad essere addirittura assimilati all'estrema destra sciovinista[3], nonostante nei loro ranghi vi fossero anziani ex-combattenti, protagonisti, nella stagione 1941-1944, della guerra di liberazione antinazista, nonché successivamente perseguitati dal regime militare, assai gradito alla Cia ed ai mercati internazionali, dei cosiddetti «colonnelli». La verità storica dunque, fu palesemente rovesciata nel nome della «necessaria» (per i poteri di cui sopra) affermazione dei soggetti politici «europeisti» e «democratici»[4]; il processo democratico venne subordinato agli interessi della finanza speculatrice[5], così come nel febbraio precedente, il governo socialista ed europeista di Atene, presieduto dal greco-americano George Papandreu, ultimo rampollo di una delle più potenti e meglio inserite, a livello di circoli di potere internazionali, famiglie elleniche, fu destituito nel momento in cui azzardò la proposta di celebrazione di un referendum popolare in merito alle misure di massacro sociale imposte dalla troika Ce, Bce ed Fmi, alla disastrata società ed economia della Grecia.   

La compressione della sovranità nazionale e popolare in nome del primato del «libero mercato» è pertanto ripresa e trasformata in «promozione e tutela della democrazia» dai “danni” ad essa potenzialmente arrecabili da attori politici definiti tout court «populisti», «comunisti», «dittatoriali»; per avere una dimostrazione di quanto detto, basta leggere le parole pronunciate da Mario Monti, nell'agosto 1994, in merito al mutato rapporto tra i cosiddetti «mercati internazionali» ed i soggetti politici italiani in via di metamorfosi ideologica in direzione liberaldemocratica e «riformista».

 

[…] tutto è spiegabile: semplicemente, prima l'opposizione non aveva grande peso nei mercati. A destra c'era l'Msi considerato fuori dal sistema. A sinistra il Pds, e prima il Pci, la cui opinione aveva grande rilievo dal punto di vista sindacale ma non emozionava più di tanto i mercati per quanto riguardava la politica economica del governo. Oggi è diverso […]. C'è una sinistra che ha fatto tali passi verso l'economia di mercato da essere ritenuta in grado di esprimere pareri dall'interno del sistema[6].

Il «sistema» citato da Monti, era, ovviamente, quello della cosiddetta «globalizzazione neoliberista», o, più segnatamente, della mondializzazione fondata sull'egemonia culturale e politica dell'american way of life.

Il ruolo dei media mainstream è dunque quello di tutelare gli interessi delle classi dirigenti ed i loro fiduciari alla testa dei vari governi, dall'ambito locale fino a quello nazionale, attraverso la sistematica demonizzazione di ogni realtà statuale, partitica o finanche mera proposta politico-programmatica “civica”, non conforme al modello socio-politico centrato attorno al primato del «libero mercato» e della «democrazia», quest'ultima intesa quale «alternanza senza alternativa» tra i partiti del big business. Tutto ciò, secondo Carlo Freccero, «lo spiega [Mario] Monti, per il quale la democrazia consisterebbe nel tagliare gli estremi per convergere tutti, appassionatamente, verso il centro. Un’immagine orribile, inquietante, il contrario esatto con il concetto di pluralismo e differenze con i quali è cresciuta la mia generazione. E invece il Pd accetta il gioco, lo teorizza, ci sta»[7], in nome del criterio della governance che, lungi dal contraddistinguere la fisiologica funzione di «governo della cosa pubblica», altro non è che l'esecuzione, in ambito politico-governativo, di “ricette” economiche elaborate altrove, nell'ambito di organismi spesso di matrice sovranazionale, pressoché sempre privi di qualsiasi legittimazione elettorale. Quali sarebbero, concretamente, le “ricette” di cui sopra? Quelle tipiche del sistema sociale fondato sull'egemonia culturale, prima ancora che politica, dell'american way of life. E' lo stesso Mario Monti a dichiararlo, allorquando, nel 1994, tesse l'elogio esplicito dell'allora presidente argentino Carlos Menem, l'esponente politico eletto su una piattaforma peronista che, successivamente al proprio insediamento alla Casa Rosada, mise in atto un programma di «riforme strutturali» basate sulla svendita dell'economia nazionale ai capitali transnazionali privati, e del suo ministro dell'Economia, Domingo Cavallo, friedmaniano, già sottosegretario all'epoca della dittatura militare di Videla e Galtieri, responsabile del processo di privatizzazione e di smantellamento del sistema-Paese argentino sino al collasso del 2001. Monti, auspicando anche per l'Italia uno scenario à la Menem, disse nell'agosto 1994:

Il governo [Berlusconi], alla sua nascita, aveva di fronte a sé due strade. Quella thatcheriana della politica aspra e dura, annunciata prima e poi seguita. E quella del consapevole “tradimento” delle promesse elettorali del presidente argentino Menem: eletto su una piattaforma peronista, ha poi capito che era nell'interesse del Paese fare una politica diversa, l'ha spiegato agli argentini, ha avuto in Cavallo un notevole ministro dell'economia e credo che oggi i suoi concittadini siano grati del “tradimento”[8].

La «gratitudine» della stragrande maggioranza degli argentini all'azione politica del tandem neoliberista Menem-Cavallo, “esplose” in tutta la sua carica “festosa” sul finire del 2001, allorquando il popolo scese nelle strade per esprimere “calorosamente” la propria “soddisfazione” per i risultati conseguiti dalla «cura Cavallo» e trovò conferma alle successive elezioni presidenziali, che videro l'affermazione su larga scala del principale esponente politico del peronismo giustizialista di sinistra[9], Nestor Kirchner, dapprima moderato, poi strenuo avversario dei Chicago Boys che avevano condotto il Paese al default. Qualche bello spirito potrebbe augurarsi che, prima del precipitare degli eventi, gli italiani riservino a Mario Monti le stesse manifestazioni di «gratitudine», elettorali e di piazza, tributate dagli argentini a Carlos Menem, oggi, tra l'altro, inseguito da due mandati di cattura internazionale...

I «sacrifici» che il prossimo probabile governo di centro-sinistra (Scelta civica, Udc, Fli e Pd) imporrà alle fasce più deboli della popolazione italiana in nome della «democrazia» e dell'«Europa» vengono sin d'ora pubblicizzati dai media mainstream come una «dolorosa necessità» per la «salvezza» dell'Italia. Durante una puntata della trasmissione quotidiana che conduce sulla rete privata La7, l'anchorwoman Lilli Gruber ha malcelatamente dichiarato, mancando al preciso dovere di neutralità che dovrebbe caratterizzare la professionalità di un qualsiasi operatore dei media, che la formazione di una coalizione di governo, dopo le elezioni del 24-25 febbraio, tra lo schieramento centrista montiano ed il Partito democratico, sarebbe stata una buona soluzione «per il bene dell'Italia».

I media televisivi, pubblici e privati, rivestono a tal proposito un'importanza determinante nella formazione dell'opinione pubblica e del consenso[10]. Lo sostiene Carlo Freccero, allorquando afferma:

Nel nostro Paese la tv è lo strumento principe della formazione del consenso. E questo la dice lunga su quanto poco in realtà valgano i “programmi” dei partiti. Conta chi sa starci dentro, e una tv generalista, con i suoi talk show e siparietti, è quanto di più lontano possa esistere dal ragionamento. Il 78 per cento degli italiani usa questa tv per orientarsi al voto. Di questa stragrande maggioranza, ben dodici milioni, usano solo e solamente quella[11].

La campagna elettorale per le le votazioni politiche del 24-25 febbraio 2013 si è pertanto da subito caratterizzata come l'ennesima «telecampagna elettorale»; la privatizzazione dei partiti[12], ha raggiunto il suo culmine in occasione dello show realizzato dall'ex-premier Silvio Berlusconi durante la sua “ospitata” nella trasmissione condotta, su La7, dal suo antico rivale-sodale mediatico Michele Santoro, il quale non trovò di meglio che rimproverare al proprio ex-censore-datore di lavoro, politiche all'insegna del dispendio inusitato di risorse statali, funzionali all'aumento del debito pubblico... Una manna scesa dal cielo per le repliche, puntuali quanto venate dalla proverbiale demagogia ad uso e consumo del pubblico del «piccolo schermo», da parte del creatore della tv commerciale, ossia il Cavaliere di Arcore.

Per ovviare al gap d'immagine nei confronti del suo predecessore, il tetro burocrate Mario Monti si è avvalso della consulenza dello spin doctor americano David Axelrod, e si è successivamente esibito in alcune performance tese, per la verità senza successo, ad alleggerirne l'icona di «tagliatore di teste» incaricato dal Bilderberg Group di portare a termine, in Italia, il programma di restaurazione autoritaria, atlantica e capitalistica (nell'accezione finanziaria) iniziata dai gruppi dirigenti, civili e militari, negli anni Settanta, in funzione anticomunista (la cosiddetta «rivoluzione liberale»).

Berlusconi […] si afferma come il prototipo massimo della commedia all’italiana e in confronto a Monti è come vedere da una parte l’Alberto Sordi [in realtà Vittorio Gassman, nda] de “Il sorpasso” e dall’altra un Max Von Sidow ne “Il Settimo Sigillo” di Bergman. Da una parte la barzelletta, la cialtroneria spaccona, l’arcitaliano appunto, e dall’altra un film svedese in bianco e nero di un regista luterano […]. Monti cerca di fare il comico, ora, ma non può riuscirci: lui, come figura politica, è nato dallo shock, dalla paura: prova a far ridere, con il copione che gli detta David Axelrod il suo consulente di immagine americano, ma non può riuscirci. Uno che ha fatto passare le pene dell’inferno a tutti, quello del terrore del crollo, del baratro, come può pensare adesso di diventare “pop”? E Berlusconi, che certo non riuscirà a far dimenticare tutto, però si avvantaggia, proprio grazie a Monti[13].

Lo stesso Beppe Grillo, la cui strategia comunicativa si è caratterizzata per il sostanziale rifiuto, sino all'ultimo, a presenziare direttamente a talk show e programmi di infotainment a scopo elettorale[14], paradossalmente si è segnalato come uno dei protagonisti della «telecampagna elettorale», in virtù dell'attenzione dedicata dalla tv alla sua assenza dal «piccolo schermo»; l'anomalia di un leader politico accreditato di numerosi consensi che, in definitiva, per lungo tempo si sottrae ai dettami ed ai canoni stabiliti dalla politica spettacolo a mezzo televisivo, è stata una delle novità della recente «telecampagna elettorale», non un elemento teso alla sua negazione od al suo ridimensionamento.

[Quello di Grillo] è un fenomeno problematico, ma sarebbe sbagliato non cogliere le caratteristiche dello spazio politico che va a ricoprire. Ad esempio Grillo punta su internet e non va ai Talk. Strategia perfetta per chi sa come funziona la finta democrazia, trappola, della tv generalista. E’ radicale, sceglie e decide una parte, non tutte. E ad esempio si rivolge a chi usa internet e cioè il 40 per cento dei cittadini ma soprattutto i giovani che dai 14 ai 29 anni lo usano moltissimo. Ricordiamoci, e le metafore sono quello che conta per chi comunica, che internet è anche lo strumento contemporaneo delle rivoluzioni. Questa scelta poi gli consente di “rimbalzare” nella Tv, perché parlano di lui proprio perché egli si sottrae e crea suspence, audience. E quindi, rifiutando la Tv e i siparietti, vi irrompe più degli altri. Ciò lo fa risultare più simpatico al “popolo”, che per il 65 per cento lo considera più efficace e coinvolgente come leader e come messaggio[15].

Secondo il ragionamento di Carlo Freccero, il «fenomeno Grillo» si pone infatti, in qualche misura, come interno al quadro di riferimento ideologico e politico neoliberista[16], egemone nell'ambito degli attori partitici rappresentanti i principali schieramenti politici italiani, nonché nel novero della linea editoriale, e nel taglio comunicativo, dei media, televisivi e cartacei, pubblici e privati.

La verità è che bisognerebbe prima o poi prendere sul serio l’idea che se identifichiamo la politica con la liberazione dell’individuo dalle limitazioni che gli impediscono di conseguire il massimo profitto individuale, non dobbiamo meravigliarci poi che chi ha raggiunto un minimo di potere lo utilizzi per i propri interessi. E’ un tema globale, legato all’ideologia neoliberista, e in Italia si è sovrapposto alla nostra “genetica” arte di arrangiarsi. Grillo non è articolato, né argomentativo. Non è un teorico, né un ideologo. Se deve sostenere una discussione approfondita, probabilmente perde. Ma e’ il nostro sismografo. Se si guardano attentamente le oscillazioni, siamo di fronte a un terremoto[17].

Nonostante questo dato di fatto, i media di cui sopra hanno perseverato, per tutta la «telecampagna elettorale», in una sistematica opera di delegittimazione e finanche di demonizzazione[18] del «fenomeno Grillo»[19], non tanto perché qualificantesi come fattore di destabilizzazione politico-sociale-elettorale in chiave anti-sistemica, bensì in quanto fattore di potenziale erosione del consenso e di successiva potenzialità creatrice e formatrice di opinione pubblica, a discapito della rendita di posizione accumulata, sin dal 2008, dai consolidati e tradizionali soggetti politici legati al big business[20], ossia la «destra» berlusconian-montiana[21] e la «sinistra» democratica.

La «telecampagna elettorale» ha infine fatto registrare una spiccata attitudine dei media alla santificazione politica del candidato-Mario Monti, ospite di varie trasmissioni (una su tutte, Le Invasioni Barbariche, su La7, il 6 febbraio 2013), in cui il premier uscente è stato oggetto di pseudo-interviste miranti ad esaltarne il lato «umano», da tempo impenetrabile, a detta dei suoi molti agiografi, sotto l'austera scorza di «salvatore della patria» (dai danni prodotti dalla «politica sprecona»); una specie di “super-eroe in loden”.

Funzionale all'operazione di pubblicizzazione della bontà politica di Mario Monti e del suo cartello elettorale neoliberista e ultra-conservatore (che però viene, all'uopo, puntualmente definito «riformista»)[22] è stata anche la sovraesposizione televisiva del candidato Oscar Giannino, un giornalista spiccatamente liberista (professionalmente anche bravo ma che in America, Paese da lui amato, sarebbe classificato tra gli esponenti della «destra» libertaria e finanche neo-conservatrice), la cui «discesa in campo» (solo a Monti è stato concesso, dai suoi servili ed interessati ammiratori tra gli opinion makers, di «salire in politica») è stata nientemeno che propizia alla sottrazione di preziosi consensi «moderati» ed «alto-borghesi» al partito berlusconiano, in funzione di malcelato appoggio allo schieramento «centrista» presieduto da Mario Monti. Non a caso, mentre alle liste e coalizioni situate «a sinistra» del Pd, veniva riservato l'epiteto, non troppo lusinghiero, di «inutili» formazioni politiche tese a favorire la «rimonta» della fazione berlusconiana (la «sinistra che fa vincere la destra» titolava la trasmissione Otto e Mezzo, su La7, il 30 gennaio 2013) a scapito del risultato finale dei «progressisti europei» (gli unici progressisti possibili ed immaginabili), il cartello elettorale di Giannino non fu mai tacciato d'esser «la destra che fa vincere Monti».

La tv è risultata pertanto essere, assai più della carta stampata «indipendente» a larga tiratura (che comunque non ha in alcun modo rinunciato al proprio ruolo di catalizzatore dell'opinione pubblica al voto per i partiti cosiddetti «moderati» o «liberaldemocratici» europeisti), l'assoluto protagonista della campagna elettorale per le votazioni politiche 2013; le peculiarità distintive della citata «telecampagna elettorale», riassumendo, sono state:

 

-      un crescendo di banalizzazione delle problematiche internazionali ed interne (di cui invece i principali attori politici di tale campagna elettorale avrebbero dovuto perlomeno farsi interpreti);

-      l'occultamento e lo svuotamento mediatico degli scandali legati al malaffare politico-affaristico emersi durante la prima decade del febbraio 2013 (con lo stesso Capo di Stato impegnato a garantire il riserbo sull'operato dei banchieri coinvolti nell'affaire Mps, in nome del diritto alla privacy...);

-      la negazione sistematica, da parte degli opinion leader «liberali» e dei maggiorenti del cosiddetto «schieramento europeista» (Pdl, ex-“Terzo Polo”, Pd), del futuro assetto socio-economico del Paese nell'ambito degli scenari facenti capo ai cosiddetti «vincoli di compatibilità» sanciti dalla Ue, al netto dell'accettazione entusiastica, da parte dei principali attori politici che prenderanno parte al prossimo governo, delle misure di austerity (pareggio di bilancio e fiscal compact) imposte all'Italia dalla tecnocrazia di Bruxelles e dal Tesoro di Washington;

-      la demonizzazione e la delegittimazione delle soggettività politiche non omologate alla vulgata ideologica e finanche programmatica dominante, a fronte della sostanziale “beatificazione”, a mezzo tv e stampa, dell'azione politica promossa dal «professor Monti»;

-      lo spregiudicato utilizzo, da parte dei principali media, in particolare televisivi, pubblici e privati, del controverso strumento del «sondaggio d'opinione», non tanto quale mezzo di informazione riguardante le reali intenzioni di voto dell'elettorato quanto arma politica volta al controllo ed all'indirizzo delle scelte politiche del pubblico-elettore;

-      la trasformazione, in definitiva, della campagna elettorale, da momento di riflessione e propositivo dibattito pubblico, in “evento” e performance televisiva tra attori politici, nella stragrande maggioranza dei casi compromessi con il restrittivo ed autoritario sistema dei vincoli di bilancio dettati dall’Unione europea, ed al contempo screditati e ridotti al rango di saltimbanchi dell’avanspettacolo di serie C nella percezione comune dell’opinione pubblica, disillusa e teledipendente, ma non completamente inconsapevole.

 

La strategia della disinformazione è stata dunque, per l'ennesima volta, la vera e propria arma mediatica utilizzata dalle classi dirigenti proprietarie dei grandi media e fiduciarie di interessi perlopiù sovranazionali e di matrice speculativo-affaristica, al fine di concentrare l'attenzione dell'opinione pubblica su falsi problemi e tematiche inventate ad hoc o dalla valenza politica prossima allo zero (la «macroregione» del Nord, la «restituzione dell'Imu», fino all'avvenenza estetica di taluni candidati rispetto alla mancanza di charme di altri ecc.), e rimuovere dal tavolo del dibattito il destino del 98 per cento della società italiana.

 

Paolo Borgognone, CIVG, 15 febbraio 2013.

 



[1]   Cfr. G. Locchi, A. de Benoist, Il male americano, LEdE, Roma, 1978.

[2]   La prima pagina del quotidiano «La Stampa» del 18 giugno 2012 titolava: Grecia, vince il partito pro euro. Sul tema, vedasi: T. Mastrobuoni, Atene sceglie di restare nell'Euro. I conservatori superano la sinistra radicale, puntano alla coalizione con il Pasok e rassicurano i mercati, in «La Stampa», 18 giugno 2012; S. Lepri, Atene, si è evitata la catastrofe, in «La Stampa», 18 giugno 2012.

[3]   Cfr. T. Mastrobuoni, Un Paese ostaggio degli estremisti. Trionfano i neonazisti di Alba dorata e la sinistra oltranzista. Con un programma comune: via dall'euro, in «La Stampa», 7 maggio 2012.

[4]   Cfr. M. Zatterin, L'incubo di Bruxelles sono gli estremisti greci. Il voto francese era atteso. Fanno più paura gli euroscettici, in «La Stampa», 7 maggio 2012.

[5]   Cfr. M. Zatterin, “Vincono gli estremisti ma i governi conserveranno la linea del rigore di spesa”, intervista a Daniel Gros, direttore del Center for European Policy Studies di Bruxelles, in «La Stampa», 7 maggio 2012.

[6]   A. Zeni, Monti: “Basta con i sorrisi adesso è l'ora dei sacrifici”, intervista a Mario Monti, in «La Stampa», 13 agosto 1994.

[7]   L. Casarini, Le elezioni e il sismografo, intervista a Carlo Freccero, in http://www2.rifondazione.it/primapagina/?p=726, 11 febbraio 2013.

[8]   A. Zeni, Monti: “Basta con i sorrisi adesso è l'ora dei sacrifici”, intervista a Mario Monti, cit.

[9]   Cfr. G. F. Benedini, Il Peronismo. La democrazia totalitaria in Argentina, Editori Riuniti University Press, Roma, 2010.

[10] Cfr. sul tema, S. Ryan, Downloading democracy: government information in a electronic age, Hampton Press, Cresskill, New Jersey, 1996; C. Freccero, Teledemocrazia e manipolazione, in «Problemi dell'informazione», n. 3, settembre 1993, p. 265-268; C. Freccero, Foucault e la telecrazia, in «MicroMega», n. 5, 1994, p. 135-142; F. Ferrara, Telecrazia e crisi di soggettività delle masse, in «Critica Marxista», n. 2/3, 1994, p. 72-76.

[11] L. Casarini, Le elezioni e il sismografo, intervista a Carlo Freccero, cit.

[12] A partire dall'avvento della cosiddetta “Seconda Repubblica” e, segnatamente nel corso dell'ultima legislatura (la XVI, 2008-2013) i partiti politici sono stati trasformati, sostanzialmente (eccezion fatta per alcune formazioni effettivamente dotate di una struttura organizzativa e di un certo qual radicamento territoriale), in comitati elettorali a termine, verticistici e candidate centered. Sul tema, in generale, vedasi: D. della Porta, I partiti politici, il Mulino, Bologna, 2009; M. Revelli, Finale di partito, Einaudi, Torino, 2013.

[13] L. Casarini, Le elezioni e il sismografo, intervista a Carlo Freccero, cit.

[14] Secondo il giornalista e blogger Eugenio Orso, «Grillo e Casaleggio, dominatori incontrastati del movimento, hanno fatto una scelta vincente con i vecchi comizi in piazza (che stranamente contraddicono, per la richiesta presenza nel mondo reale, la natura virtuale e originaria della loro creatura m5s) e la comunicazione prevalente in rete (programma, parlamentarie, eccetera)». E. Orso, La forza dl grillismo, il silenzio degli operai e il popolo di sinistra truffato, in «Pauper Class», http://pauperclass.myblog.it/archive/2013/02/14/la-forza-del-grillismo-il-silenzio-degli-operai-e-il-popolo.html, 14 febbraio 2013.

[15] L. Casarini, Le elezioni e il sismografo, intervista a Carlo Freccero, cit.

[16] A detta di Eugenio Orso, la proposta politico-elettorale del MoVimento 5 Stelle si contraddistingueva per «un programma ambiguo, centrato sul sociale – reddito di cittadinanza per tutti – ma con preoccupanti elementi di natura liberista – contrattazione individuale, senza mediazioni sindacali, fra lavoratore e datore di lavoro». E. Orso, La forza dl grillismo, il silenzio degli operai e il popolo di sinistra truffato, cit.

[17] L. Casarini, Le elezioni e il sismografo, intervista a Carlo Freccero, cit.

[18] Cfr. a titolo esemplificativo, A. Malaguti, Grillo, il casco del minatore per pescare a sinistra e a destra. “Il vero fascismo? Dire che voglio Roma bombardata da Al Qaeda”, in «La Stampa», 3 febbraio 2013.

[19] Secondo Massimo D'Alema, «Grillo al 18 per cento è un indicatore inquietante e bisognerebbe ridurlo perché spaventa gli investitori». Cit. in C. Bertini, Monti ora apre a Vendola: “Il nodo sono le riforme”, in «La Stampa», 13 febbraio 2013.

[20] Cfr. A. Mannino, Monti vs Grillo: vade retro, populista!, in «La Voce del Ribelle», 13 febbraio 2013.

[21] Cfr, sul tecno-populismo berlusconiano: R. Rodotà, Berlusconi e la tecnopolitica, in «MicroMega», n. 3, 1994, p. 85-96.

[22] Sin dal 1994 l'attenzione di Mario Monti era focalizzata, per sua stessa dichiarazione, sulla creazione sulla valorizzazione, in Italia, di «un centro politico molto ascoltato dal mercato finanziario». A. Zeni, Monti: “Basta con i sorrisi adesso è l'ora dei sacrifici”, intervista a Mario Monti, cit.