Prefazione al libro “Sionismo” vol. 2, di A. Hart

I sionisti sono terrorizzati da questo libro di Alan Hart! In Inghilterra, si erano mobilitati per impedirne la pubblicazione. L’autore trovò chiuse tutte le porte degli editori. Dovette pubblicare l’opera a proprie spese, e anche la disponibilità di un tipografo, all’inizio, non fu facile. Subito dopo la pubblicazione dell’opera, nessun giornale volle recensirla, nessuna radio, nessuna televisione. Ebbe meno difficoltà David H. Lawrence a pubblicare il suo romanzo L’amante di lady Chatterley. Persino la BBC, la rete televisiva per cui Hart aveva lavorato a lungo come corrispondente per il Medioriente, diramò l’ordine a tutti i suoi collaboratori che Alan Hart non esiste. Nessun contatto e nessuna intervista con lui.

La prova di questo potere pervasivo e totalitario degli ebrei sionisti, ovunque nel mondo, dovetti sperimentarla personalmente subito dopo la pubblicazione del I° volume della presente opera.

Nel mese di dicembre del 2015, a Roma, fu sufficiente che una sezione volenterosa dell’ANPI organizzasse un mio incontro di presentazione per determinare, immediatamente, la reazione rabbiosa dell’estrema destra sionista romana che si scagliò contro il libro, contro Hart e contro la mia persona con la solita rivoltante barzelletta dell’antisemitismo. I dirigenti romani e nazionali dell’ANPI, tradendo la lezione dei martiri della nostra Resistenza, si piegarono e mi impedirono di parlare nella sede di una loro sezione romana. L’evento fu salvato grazie alla disponibilità della Comunità Cristiana di Base di S. Paolo Fuori le Mura che mise a disposizione il proprio salone.

Il tentativo dei sionisti proseguì il giorno dopo alla Fiera del libro, che si svolgeva all’EUR dove era in programma, al mattino, un’altra mia presentazione. Il rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni, minacciò di disertare il suo intervento pomeridiano di presentazione di un libro sul ghetto di Roma, se gli organizzatori della Fiera mi avessero consentito di parlare. Ebbene, la direzione della Fiera venne, ascoltò il mio discorso ed emise un comunicato stampa nel quale si diceva che nelle mie parole non c’era nulla di antisemita e, pertanto, non c’era motivo per annullare la presentazione. Furibondo, il rabbino disertò l’incontro.

Nel mese di aprile del 2016, il mio amico Nabil Khair, coordinatore delle comunità palestinesi in Italia, aveva preparato accuratamente un viaggio in Sardegna, per consentire ad Alan Hart di presentare il primo volume. Prima di partire per Cagliari, Alan mi scrisse chiedendomi se erano state previste delle sale di riserva. Sorpreso chiesi ad Alan il motivo. “Perché in Inghilterra, tutte le volte che incontro il pubblico, mezz’ora prima mi negano la sala su pressione degli ebrei sionisti”. Lo rassicurai dicendo che in Sardegna avevamo l’amicizia dell’ARCI e della CGIL che avevano messo a disposizione le loro strutture. Non era convinto. E a ragione.

Il giorno prima di partire con un aereo per Cagliari, mi arrivò la notizia che i sionisti erano già in movimento. Un consigliere regionale del Partito Sardo d’Azione presentò un’interrogazione  al presidente della Regione Sardegna con la quale attaccava noi e gli organizzatori accusandoci di essere “antisemiti” e che la presentazione, programmata nella città di Sassari, doveva essere annullata. Pubblicai la sua dichiarazione nella mia pagina facebook e il soggetto in questione venne sommerso da decine di epiteti oltraggiosi.

Io e Alan fummo descritti così: “I due signori sono molto conosciuti negli ambienti nostrani della sinistra radicale in quanto il primo è uno dei campioni di complottismo anti-Israele, avendo persino affermato che la strage dell'11 settembre fu causata probabilmente dagli agenti del Mossad che avrebbero -udite udite - deviato la rotta degli aerei, il secondo è conosciuto come un simbolo del moderno antisemitismo di casa nostra”. Non sapevo di essere il “simbolo del moderno antisemitismo di casa nostra”!!

L’11 aprile partii per Cagliari. All’aeroporto mi attendeva Nabil. Due ore dopo arrivò da Londra Alan. Era il nostro primo incontro. Per aver tradotto il primo volume del suo libro, e per aver scritto la prefazione, con una precedente lettera, Alan mi aveva gratificato con parole generose e riconoscenti. Mentre andavamo in albergo, un nostro amico dell’ARCI ci informò che la CGIL di Sassari aveva ritirato il patrocinio dell’evento, annullato la disponibilità della sala e chiesto la rimozione del proprio logo dalle locandine. Eravamo sconcertati. Nabil era furibondo. È iscritto alla CGIL, il suo sindacato! Alan, invece, non era sorpreso. Chiediamo spiegazioni. Ci dicono che i sionisti hanno fatto pressioni a Roma e da lì è arrivata la telefonata alla CGIL di Sassari. Riservatamente ci confermano che sia stata la Direzione Nazionale. Ma non abbiamo le prove. L’ARCI della Sardegna si mosse e ottenne la disponibilità della sala di Amnesty International. La manifestazione era salva. La giornata si concluse con meste considerazioni sul ruolo del Partito Democratico di Matteo Renzi, che ormai aveva svenduto il partito ai sionisti e si era portato dietro settori dell’ANPI e della stessa CGIL. Tutti costoro, senza aver letto il libro e senza sapere chi è Alan Hart, si erano prostrati e avevano obbedito “perinde ac cadaver”.

Il giorno dopo, 12 aprile, a Sassari, nella sede di Amnesty International, l’incontro ebbe successo e il pubblico acquistò molte copie del libro.

13 aprile. Presentazione a Nuoro presso la Biblioteca “Satta”. Prima di iniziare, gli attivisti e i palestinesi presenti in città, avevano già venduto 40 copie del libro. La sala della biblioteca vi sono circa 50 persone. Nessuna traccia di sionisti né di minacce e sfracelli di antisemitismo. Come a Sassari, la presentazione segue un copione collaudato fine alla fine. Secondo successo e secondo smacco per i sionisti.

14 aprile. Ore 18,30 presentazione a Iglesias. Siamo ospiti dell’ARCI. Una bella sede e la sala piena. Prende la parola anche il vicesindaco del P.D. che pronuncia parole giuste e da tutti condivise. Molte domande dal pubblico notevolmente interessato. Terzo successo consecutivo.

15 aprile. Quarta tappa del nostro giro: Monserrato, vicino Cagliari. Ero già stato qui per presentare il mio libro sul terrorismo israeliano. E i sionisti? Su un sito compare il testo di una interrogazione di un consigliere comunale rivolta al sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, esortandolo ad impedire la presentazione del libro, in programma per il giorno seguente, presso il MEM (Mediateca del Mediterraneo). Il titolo: “Zedda patrocina le manifestazioni antisemite: è inaccettabile”. Si legge nel documento, che costui aveva pubblicato pochi minuti prima sulla sua pagina facebook: “Tale presentazione, che prevede la presenza oltreché dell’autore inglese anche dell’italiano Diego Siragusa, si caratterizza incontrovertibilmente per antisemitismo e becero pacifismo radical chic. I due signori sono infatti molto conosciuti negli ambienti nostrani della sinistra radicale, in quanto il primo è uno dei campioni di complottismo anti-Israele, avendo persino affermato che la strage dell’11 settembre fu causata probabilmente dagli agenti del Mossad che avrebbero deviato la rotta degli aerei, il secondo è conosciuto come un simbolo del moderno antisemitismo di casa nostra.”

Come si può vedere, questo solerte consigliere aveva copiato il testo della precedente interrogazione regionale e l’ha distribuita ai giornalisti. Risultato? Anche a Monserrato l’incontro si rivela soddisfacente e ci prepariamo per quello del giorno dopo, a Cagliari.

Incontro il mio amico palestinese, Fawzi Ismail, un medico molto attivo sulla scena culturale cagliaritana. Mi conferma che, il giorno dopo, 16 aprile, saremo ospiti della Mediateca del Mediterraneo (MEM), un centro modernissimo dotato di sale per conferenze, attrezzature audiovisive e didattiche di prim’ordine.

Alle 17,30 siamo al MEM. Osservo il salone ampio, luminoso e conto le sedie: sono più di cento. Quante resteranno vuote? Chi verrà a sentirci? Nabil e Fawzi mi dicono di non preoccuparmi. “La gente verrà” – mi dicono. Hanno ragione: lentamente la sala si riempie completamente e c’è gente in piedi. Nabil fa una introduzione appassionata sul futuro dell’Autorità Nazionale Palestinese e sul suo ruolo e invita Alan per un altro convegno coi responsabili europei delle varie comunità palestinesi della diaspora. A me non resta che rammentare che coloro che si sono associati ai sionisti in quest’opera di censura preventiva senza aver letto il libro, dovranno rendere conto di questa condotta liberticida e, particolare non secondario, in contraddizione con la storia delle loro organizzazioni di appartenenza.

Alan comincia mostrando la foto di Golda Meir con una dedica per lui “Ad un caro amico, Alan Hart. Golda Meir”. “Voi pensate che Golda Meir avrebbe avuto con me un’amicizia così intensa se io fossi un antisemita?” - esordisce Alan. Il pubblico lo segue nella sua analisi e nel racconto di fatti privati e pubblici che nessun giornale ha mai riferito ma che dimostrano quanto distante sia dalla realtà la ricostruzione dozzinale di giornalisti improvvisati e privi di statura morale.

Ore 19,30. Alan deve partire. Firma le copie dei libri ormai tutte vendute. Abbiamo contato circa 150 persone. E i sionisti? Continuano nella loro paranoia. Un altro attacco ci arriva dall’Associazione “Memoriale Sardo della Shoah” con una invocazione rivolta al sindaco: “Sindaco, Annulli la Concessione della MEM per la Manifestazione Antisemita di Sabato!”

Un testo delirante dove, a un tratto, si legge:

 

Inoltre, Diego Siragusa non è nuovo a posizioni Antisemite ed Antistoriche, dove si parla di Israele come di uno stato etnico e confessionale che sta praticando un Genocidio dei Palestinesi .

Siamo del parere, come Associazione Memoriale Sardo della Shoah, che parlare di un Genocidio dei Palestinesi mentre la Popolazione Palestinese in questi ultimi anni è addirittura raddoppiata, o presentare libri con titoli carichi di odio come questo di Hart fomenti solo odio Antisemita e carne al fuoco di organizzazioni Islamiste vicine al terrorismo Antisemita. Già a Sassari, la Cgil ha ritenuto opportuno ritirare il suo logo da una simile manifestazione non dando più la disponibilità degli spazi.

Le chiediamo, Sindaco Zedda, di fare Altrettanto su Cagliari, impedendo che la Mem-Mediateca del Mediterraneo, ospiti l'iniziativa prevista per Sabato Pomeriggio. Iniziativa per la quale tra l'altro, la responsabile della MEM ci ha scritto sostenendo l'assurda tesi secondo la quale a suo giudizio non si tratterebbe di una manifestazione Antisemita, con un’argomentazione secondo la quale si dovrebbero a questo punto presentare i libri di tutti, compresi quelli magari dei terroristi Islamisti.

In tutta questa congerie di idiozie non c’è una sola parola sui massacri di palestinesi, sulla loro espulsione, sulla distruzione delle loro case, sul furto continuo di terra, sulla loro disumanizzazione, sui complotti, sulle violazioni del diritto internazionale e sulle minacce che i sionisti si permettono di rivolgere a chiunque non si assoggetti ai loro voleri totalitari e fanatici. Nulla di nulla. La cecità totale, crudele, disumana, irredimibile che tanti ebrei onesti, vicini alla causa di questo popolo oppresso, hanno sempre denunciato con vigore morale.

Cinque eventi, cinque vittorie contro questa potentissima setta di stolti che da un secolo insanguina il Medioriente.

 

Finora non risulta che parti del presente libro siano state sottoposte ad una confutazione scientifica basata su documenti. Gli ebrei sionisti sanno che gran parte della letteratura prodotta contro di loro è fondata su prove che, spesso, essi stessi forniscono. Sanno che, ovunque nel mondo, l’opinione pubblica può accedere alla contro-informazione diffusa in internet e, a dispetto dei miliardi di dollari investiti nella campagna di menzogne dei media ufficiali, sempre più ampia diventa la schiera di coloro che si impegnano contro lo stato illegittimo di Israele e contro le comunità sioniste che agiscono come sezioni estere dello stato di Israele.

Una prova ulteriore che il progetto sionista è fondato sul razzismo, sul suprematismo e sul genocidio dei palestinesi, ci viene ancora da una fonte ebraica con il libro All’ombra dell’Olocausto di Yosef Grodzinsky(1), docente di Psicologia all’Università di Tel Aviv. Tramite un’ampia documentazione, Grodzinsky ci racconta come i sionisti agirono, subito dopo la sconfitta del nazismo, all’interno dei campi profughi, per convincere, con la pressione e la violenza, gli ebrei sopravvissuti a trasferirsi in Palestina e a non ritornare nei luoghi da cui furono prelevati. Persino i bambini, orfani e bisognosi di cure, furono trattenuti nei campi, dove le condizioni di vita, nonostante fossero migliorate, rimanevano precarie, pur di impedire il loro trasferimento in Inghilterra, in Francia o negli Stati Uniti dove organizzazioni umanitarie e famiglie adottive erano disposte ad accoglierli e garantire un ambiente sano e una alimentazione adeguata. I sionisti, con il ruolo diretto di Ben-Gurion, prolungarono queste sofferenze degli ebrei rimasti pur di incrementare in modo illimitato il numero di immigrati in Palestina, per scacciare i palestinesi e impossessarsi della loro terra che chiamavano già Terra di Israele. Tutta la Palestina, non solo una parte come quella che fu assegnata dalle Nazioni Unite DOPO la spartizione. Questa storia poco conosciuta della condotta criminale dei sionisti è stata riassunta dal rabbino Michael Lerner sul periodico Tikkun Magazine:

 

Prima dell’Olocausto, il sionismo non raccoglieva il consenso di tutti gli ebrei, ma persino dopo il genocidio di molti milioni di noi, godette solo di un sostegno ambiguo. Benché a gran parte della nostra gente sia stato insegnato che i sopravvissuti dell’Olocausto, raccolti nei campi profughi, non desideravano altro  che rifarsi una vita in Eretz Israel, ora, al contrario, emerge che molti di quei superstiti, pur essendo favorevoli alla creazione di uno Stato ebraico, alla fine scelsero di non andarci. Gli attivisti sionisti ritenevano di conoscere quale fosse l’interesse dei sopravvissuti meglio di loro, li manipolarono e, in alcuni casi, li costrinsero a emigrare in Palestina e prestare servizio nell’esercito.

 

Ecco svelato l’arcano! Ai sionisti non interessava il bene degli ebrei sopravvissuti allo sterminio; ad essi interessava l’incremento demografico degli ebrei di Palestina, uomini e donne, per irrobustire l’esercito in formazione al fine di espellere i palestinesi dalle loro case e combattere gli arabi in tutte le guerre che essi avevano previsto di combattere.

 

Come viene in genere presentata, la lotta per una patria nazionale ebraica nella Palestina occidentale procedeva secondo due ovvie direttive: la terra e il popolo. Guadagnare il controllo sul territorio designato portava alla guerra contro gli Stati arabi circostanti, e naturalmente contro gli arabi che reclamavano un diritto su quella terra – i palestinesi; ma per lo Stato emergente era altrettanto necessario avere più popolazione ebraica. (…) I sionisti seguivano la massima di Ben-Gurion: ‘l’essenza del sionismo è un’impresa di insediamento, popolare Eretz Israel con una moltitudine di ebrei’. Per questo serviva… ‘un buon materiale umano’, una frase che gli attivisti sionisti usavano spesso”.(2)

 

Con la spartizione della Palestina, decisa dall’ONU con la Risoluzione n. 181, Israele ricevette il 56% del territorio, pur essendo minoranza, contro il 44% dei palestinesi che erano la maggioranza. Ciò nonostante, l’estrema destra sionista impersonata da Menachem Begin, comandante del gruppo terrorista Irgun, futuro fondatore del partito Likud e futuro Primo Ministro di Israele, dichiarò che “La divisione della Palestina è illegale. Non sarà mai riconosciuta. Il Grande Israele sarà ristabilito per il popolo di Israele. Tutto. E per sempre.” Possono sussistere ancora dubbi sulla volontà dei sionisti di impossessarsi di tutta la Palestina e di cacciare i suoi legittimi abitanti?

Subito dopo la proclamazione dello stato di Israele, i sionisti iniziarono la pulizia etnica contro 405.000 palestinesi che vivevano nei villaggi del territorio loro assegnato: li sottoposero alla legge marziale, limitarono i loro movimenti e confiscarono i loro passaporti. I paesi arabi intervennero, ma, privi di un esercito, di armi e di forti motivazioni, furono sconfitti. Durante questa guerra, che consentì a Israele di ricevere armamenti moderni, soprattutto dalla Cecoslovacchia, lo stato ebraico annesse nuova terra, giustificandola come effetto della conquista militare, e costrinse almeno 700.000 arabi alla fuga negli stati limitrofi.(3)

Tuttora, i sionisti negano una delle pagine più sporche della loro storia di colonizzazione della Palestina, ma, per fortuna, ogni tanto qualche storico onesto o qualche testimone emerge e racconta la verità sui crimini orrendi nascosti, negati e censurati con la solita accusa di manifestazione di antisemitismo.

L’anno scorso, la storia della pulizia etnica della Palestina si è arricchita di una nuova rivelazione: il massacro di Al Dawayima. Il merito è del giornale di sinistra israeliano Haaretz che il 5 febbraio 2016, ha raccontato questa storia agghiacciante. Pur nell’ambito di una prefazione, questo crimine deve essere raccontato poiché NESSUNO in Occidente ha voluto parlarne. L’articolo è stato ripreso da Jonathan Ofir e pubblicato sul sito di ebrei antisionisti MONDOWEISS:(4)

 

Il Venerdì 5 febbraio, 2016, Haaretz ha pubblicato un articolo in ebraico dello storico israeliano Yair Auron, che riferisce uno dei più grandi massacri del 1948. Il massacro di Al Dawayima, ad ovest di Al-Khalil (che viene spesso definito come Hebron). In una intervista del 2004 con Haaretz, lo storico israeliano Benny Morris si riferisce a questo come un massacro di “centinaia di persone”.

Dopo il massacro, una lettera fu inviata al direttore del giornale di sinistra affiliato di Al-Hamishmar, ma mai pubblicata. Come osserva Auron, ci sono ancora molti archivi dell’epoca che sono classificati. Auron afferma inoltre che vi fu un’indagine mai conclusa ed “estinta” quando un'amnistia di massa fu concessa al personale militare nel febbraio del 1949.

Questo è un articolo molto esaustivo, ma ho trovato abbastanza utile tradurre questa lettera per intero. La lettera, che in un primo momento “scomparve”, fu fornita ad Auron dallo storico Benny Morris. Anche se questi aspetti sono stati riferiti nel passato in riassunti storici, la lettera non è mai stata pubblicata prima in forma integrale.

La lettera è stata portata alla luce da un membro del partito di sinistra Mapam, S. Kaplan, che ha ricevuto la lettera di testimonianza del soldato. È indirizzata a Eliezer Peri, direttore di Al Hamishmar, e datata 8 novembre 1948 (18 giorni dopo la strage):

 

Al compagno Eliezer Peri, buona giornata,

oggi ho letto l'editoriale di “Al Hamishmar” dove è andata in onda la questione del comportamento del nostro esercito, l'esercito che conquista tutto tranne i propri desideri.

Una testimonianza mi è stata fornita da un ufficiale che era ad [Al] Dawayima il giorno dopo la sua conquista. Il soldato è uno dei nostri, intellettuale, affidabile al 100%. Egli mi aveva confidato un bisogno di scaricare il peso della sua coscienza dall'orrore del riconoscimento del livello di barbarie che può essere raggiunto dalla nostra gente istruita e colta. Si confidò con me, perché oggi non sono molti i cuori disposti ad ascoltare.

Non ci fu alcuna battaglia e nessuna resistenza (e non c’erano egiziani). I primi occupanti uccisero da ottanta a cento arabi [compresi] donne e bambini. I bambini furono uccisi spaccando i loro crani con dei bastoni. Non c'era una casa senza morti. La seconda ondata dell'esercito [israeliano] fu un plotone al quale il soldato che dà la testimonianza appartiene.

Nel paese furono lasciati arabi maschi e femmine, che furono messi in case e poi chiusi dentro senza ricevere cibo o bevande. Più tardi gli ingegneri artificieri vennero per far saltare in aria le case. Un comandante ordinò a un ingegnere di mettere due donne anziane nella casa che doveva essere fatta saltare in aria. L’ingegnere rifiutò e disse che era disposto a ricevere ordini solo dal proprio comandante. Allora [il suo] comandante ordinò ai soldati di mettere le donne in casa e fu eseguita l’azione  criminale.

Un soldato si vantò di aver violentato una donna araba dopo di che la uccise. Una donna araba con un bambino di pochi giorni fu utilizzata per la pulizia del cortile dove i soldati mangiavano. Li servì per uno o due giorni, dopo di che spararono a lei e al bambino uccidendoli. Il soldato dice che i comandanti, colti e gentili, considerati bravi ragazzi nella società, sono diventati vili assassini, e questo non accadde nella tempesta di una battaglia e durante una reazione animata, ma piuttosto in un sistema di espulsione e di distruzione. Meno arabi rimangono e meglio è. Questo principio è il maggiore movente politico [del] le espulsioni e degli atti di orrore a cui nessuno si è opposto, né nel comando di campo né all’interno del comando militare superiore. Io stesso sono stato al fronte per due settimane e ho sentito le storie di soldati e comandanti che si vantavano di essere bravissimi a dare la caccia e a “scopare” [sic]. In ogni circostanza, scopare un’araba, proprio così, è considerata una missione suggestiva e c’è competizione per vincere questo [trofeo].

Ci troviamo davanti ad un enigma. Divulgare questa storia tramite la stampa significherà dare una mano alla Lega Araba, le cui denunce sono respinte dai nostri dirigenti. Non reagire significherebbe essere solidali con la corruzione morale. Il soldato mi ha detto che Deir Yassin [un altro massacro, eseguito dai militanti dell'Irgun nel mese di  aprile del 1948] non è considerato come la punta massima del teppismo. È possibile gridare su Deir Yassin e tacere su qualcosa di molto peggio?

È necessario sollevare lo scandalo attraverso i canali interni, insistere per ottenere un'indagine interna e punire i colpevoli. Prima di tutto è necessario creare nell’esercito un’unità speciale per contenere la condotta dei soldati. Io stesso accuso prima di tutto il governo, che non sembra avere alcun interesse a combattere questi fenomeni e, forse, li incoraggia anche indirettamente. Evitare di prendere provvedimenti contro questi atti significa incoraggiarli. Il mio comandante mi ha detto che c'è un ordine scritto di non prendere prigionieri di guerra, e l'interpretazione di “prigioniero” è data individualmente da ogni soldato e comandante. Un prigioniero può essere un uomo arabo, donna o bambino. Questo non è stato fatto solo davanti agli occhi di tutti [nelle principali città palestinesi], come Majdal e Nazareth.

Con questa lettera mi rivolgo a voi in modo che nella redazione e nel partito la verità sia conosciuta e qualcosa di efficace possa essere fatto. Almeno non siate indulgenti verso quella diplomazia fasulla che copre lo spargimento di sangue e gli omicidi e, per quanto possibile, anche la stampa non deve lasciare nel silenzio quanto è accaduto.

Kaplan

 

La storia del massacro di Al Dawayima non compare nell’opera di Hart. Compare, invece, un crimine che ebbe risonanza universale per il prestigio e il ruolo internazionale della vittima.

L’ONU dovette costatare che esisteva uno stato ebraico e non esisteva uno stato arabo di Palestina: il capovolgimento speculare della Risoluzione n. 181 e del piano di spartizione! Per dirimere la controversia, fu inviato come mediatore il conte Folke Bernadotte. Questo diplomatico svedese, aristocratico e gentile, era stato uno dei direttori della Croce Rossa, aveva salvato migliaia di ebrei e, dopo la fine della guerra, aveva avviato il trasferimento da Bergen Belsen alla Svezia di circa 6.000 ebrei malati. Tuttavia, per ironia della sorte, Bernadotte, per il suo tentativo di contenere l’espansionismo di Israele e scongiurare la permanenza del conflitto, fu assassinato, il 17 Settembre 1948, su ordine del futuro Primo Ministro Yitzhak Shamir, un terrorista dell’Irgun. L’assassino fu un ebreo sionista, fascista fanatico, Yehoshua Cohen.(5)

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite,  al colmo dell’indignazione, adottò la risoluzione 194, che riaffermava i principi della risoluzione 181 e, inoltre, proclamò il diritto inalienabile dei palestinesi a tornare alle loro case e ad essere risarciti per il danno che avevano subito.

Israele, isolato e condannato dal resto del mondo, arrestò gli assassini di Bernadotte, li processò e li condannò per attenuare l’ondata di riprovazione suscitata dal turpe assassinio di un uomo che si era speso per salvare gli ebrei. Consapevole del rischio di essere cacciato dall’ONU, Israele promise di rispettare ed eseguire le risoluzioni. Ma mentì sapendo di mentire ostentando la solita chutzpah, la faccia tosta sionista, la faccia di bronzo. Infatti, subito dopo gli assassini furono graziati e l’esecutore materiale del crimine divenne la guardia del corpo personale del Primo Ministro Ben-Gurion. Alcuni mesi prima, i sionisti avevano iniziato ad eseguire il “Piano Dalet” per ripulire definitivamente la Palestina dei suoi legittimi abitanti, col terrore, i massacri, la deportazione e il memoricidio.

Questa parte della storia è stata rimossa ufficialmente dai testi scolastici israeliani: è vietato parlarne.(6) Chiunque abbia tentato di raccontare la verità, anche in modo parziale, è stato sottoposto a censura o obbligato a ritrattare. Altri hanno scelto il metodo artistico, la finzione letteraria, per raccontare la sussistenza di aree di dissenso verso la politica razzista e coloniale dei sionisti. Mi sembra di rintracciare questi barlumi di coscienza nel romanzo Giuda di Amos Oz. C’è un personaggio, Shaltiel Abrabanel, considerato un traditore perché frequenta gli arabi, i loro villaggi e i capi delle loro organizzazioni. Di lui dice Amos Oz:

 

“Dopo molti anni di colloqui con i suoi amici arabi qui e nei paesi vicini, lui era arrivato alla conclusione che gli arabi avevano soprattutto paura di ciò che ai loro occhi si prefigurava come superiorità degli ebrei in materia di cultura, tecnologia, intuito, motivazione, una superiorità che alla fin fine li avrebbe portati a dominare e spadroneggiare in tutto l’Occidente. Avevano paura, diceva lui, non tanto del piccolo feto sionista quanto del predatore gigante in esso latente. (…) Gli arabi non credono mai alle belle parole sioniste, secondo cui un manipolo di ebrei è venuto qui per trovare un piccolo rifugio per scampare alle persecuzioni in Europa. Un capo del governo in Iraq, tal Adnan Pachachi, nel 1947 ha dichiarato che quando gli ebrei in Palestina sarebbero arrivati al milione addio Palestina, perché nessuno avrebbe più potuto far nulla. E quando sarebbero arrivati a due milioni addio Medioriente, perché nessuno avrebbe più potuto far niente. Se poi fossero arrivati a tre o quattro milioni, addio mondo musulmano. Queste paure, diceva Shaltiel Abrabanel, il terrore dei nuovi crociati, la fede magica nella forza satanica degli ebrei, il timore irrazionale di trame occulte degli ebrei per radere al suolo le moschee sul Monte del Tempio e ricostruire al loro posto il Santuario e fondare un Impero ebraico dal Nilo all’Eufrate, queste paure sono all’origine della strenua opposizione degli arabi di fronte alla realtà delle cose, e cioè quel pezzetto di terra degli ebrei, fra la piana costiera e le pendici delle montagne. Quella paura araba… siamo ancora in tempo a dissiparla se agiamo con pazienza, buona volontà, dialogando strenuamente con gli arabi, creando sindacati di lavoratori misti, aprendo gli insediamenti ebraici ai residenti arabi, aprendo le nostre scuole e Università agli studenti arabi, e soprattutto – accantonando la pretesa di fondare uno stato ebraico separato con un esercito ebraico e un governo ebraico e con istituzioni che appartengono solo agli ebrei.”

 

Il personaggio del romanzo di Oz ha disegnato un progetto politico antitetico a quello sionista, minoritario, perdente e destinato ad essere additato con lo stigma del tradimento. Perché questo sono i sionisti; non c’è margine al dissenso e alla divergenza, come dimostra tutta la vicenda della sconfitta di Moshe Sharett che, in queste pagine, Hart documenta con dovizia di particolari. Non so dire se il personaggio di Amos Oz rifletta un personaggio reale o che sia lo stesso Oz a dirci il suo pensiero dietro lo schermo della finzione letteraria.  Certamente, le parole del nostro scrittore rappresentano bene quello che è già accaduto e quello che sta accadendo.

Mentre scrivo, negli Stati Uniti muove i primi passi il Presidente Donald Trump che ha promesso, durante la campagna elettorale, il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme e il riconoscimento delle colonie ebraiche in Cisgiordania. Due intenzioni che incendieranno il Medioriente! Un incoraggiamento a Israele a continuare a violare il diritto internazionale, a impossessarsi di tutta Gerusalemme e a minacciare la pace mondiale irridendo le risoluzioni dell’ONU e del Consiglio di Sicurezza. I legami organici di Israele con gli USA e la Gran Bretagna, membri del Consiglio di Sicurezza che dispongono del diritto di veto, gli consentono di collocarsi al di fuori del diritto internazionale. Da cosa trae Israele quest’arroganza e questa sicurezza dell’impunità? Il racconto di Hart fissa costantemente la presenza della lobby sionista negli Stati Uniti come un potere-ombra che tutto vede e tutto controlla. La Casa Bianca, il Congresso, il Senato e il governo sono abitati dai sionisti. Non è vero che gli Stati Uniti siano la prima potenza al mondo: la prima potenza è Israele che controlla e ricatta gli Stati Uniti. È sbagliato pensare che esso agisca solo in Medio Oriente. “Oggi, agisce militarmente in tutto il mondo – scrive Tierry Meyssan - a copertura dell’imperialismo anglosassone. In America Latina, ci furono agenti israeliani che organizzarono la repressione durante il colpo di stato contro Hugo Chávez (2002) o il rovesciamento di Manuel Zelaya (2009). In Africa, erano ovunque presenti durante la guerra dei Grandi Laghi e hanno organizzato l’arresto di Muammar el-Gheddafi. In Asia, hanno condotto l’assalto e il massacro delle Tigri Tamil (2009), ecc. Ogni volta, Londra e Washington giurano che non c’entrano per nulla. Inoltre, Israele controlla numerose istituzioni mediatiche e finanziarie (come la Federal Reserve statunitense).”(8)

Anche questo secondo volume conduce il lettore dentro i meandri storici in cui si è consumata, e si consuma tuttora, la somma ingiustizia contro i palestinesi e gli arabi. Figure storiche ossequiate e riverite, come quella di Ben Gurion o di Moshe Dayan, si mostrano, invece, nel loro cinismo assoluto, protese al perseguimento violento del loro progetto del Grande Israele.

L’inganno e il ricatto sono gli strumenti mediante i quali i sionisti muovono le loro pedine con formidabile abilità, provocando falsi incidenti, atteggiandosi a vittime, ricattando i dirigenti politici inglesi e americani che tentano di tenere a bada i “leoni di Giuda” ormai avviati a diventare potenza militare anomala in Medioriente.

La conquista di terra sottratta agli arabi con l’inganno, la violazioni degli armistizi, gli scontri armati scatenati contro la Siria e l’Egitto di Nasser, grazie alla complicità di Francia e Inghilterra, sono lo scenario che precede l’infausta Guerra di Suez. Una guerra coloniale e di aggressione contro l’Egitto, di cui ancora poco si sa o non si vuole sapere perché, come nel gioco del domino, quando si scopre che una narrazione storica è falsa, allora anche le altre cominciano a vacillare.

In queste pagine, Hart documenta le lotte disperate che le “colombe” del sionismo avevano intrapreso nel vano tentativo di invertire il corso di guerre e violenze in cui i “falchi” di Israele trascinavano, con lucida determinazione, tutto il Medioriente.

Il volume si conclude con la vicenda dell’assassinio di Kennedy e della costruzione della bomba atomica israeliana, resa possibile con menzogne e ricatti pur di sfuggire alle insistenti richieste di ispezione sia da parte del Presidente Eisenhower che da parte del Presidente Kennedy. La lobby sionista americana, onnipresente, aveva già ricattato Kennedy con l’offerta di voti e danaro per la sua elezione. Per quanto questi avesse cercato di respingere la nomea di essere “una puttana politica”, alla fine si piegò e prese impegni precisi per schierare la sua amministrazione a fianco di Israele. Ma Kennedy non si arrese e insistette nella richiesta di ispezioni nel deserto del Negev, dove si stava costruendo la bomba atomica, ricevendo continui dinieghi e raggiri. Alan Hart non lo dice, ma nella ricostruzione dell’assassinio di Kennedy trapelano i tanti interessi che erano stati colpiti dal giovane Presidente, non ultimo il progetto egemonico di Israele in Medioriente in contrasto con gli interessi americani. I sionisti, infatti, con la morte di Kennedy trassero un respiro di sollievo e si avviarono a ricavare i vantaggi dall’entrata in scena del successore, il Vice-presidente Lindon Johnson, filoisraeliano e politico clientelare al soldo della lobby sionista dei cui interessi fu sempre un fedele esecutore.

Come il primo volume, che si conclude con la inaccettabile e assurda versione del “suicidio” di Forrestal, odiatissimo dai sionisti, anche questo volume si conclude con un crimine in cui la vittima, odiata dai sionisti e dai poteri criminali che reggono il potere occulto negli Stati Uniti, aveva commesso la colpa di fare gli interessi della sua nazione e non di Israele.

 

 

(1)Yosef Grodzinsky,  All’ombra dell’Olocausto, La lotta tra ebrei e sionisti all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, Il Ponte, Milano, 2009. L’Autore fa un’osservazione molto grave a pag. 18: “Nei momenti critici, i leader, gli attivisti e i politici sionisti risposero alle richieste di aiuto [degli ebrei profughi] concentrandosi strettamente sugli obiettivi del loro movimento, piuttosto che sui problemi delle persone – problemi che la loro impresa diceva di voler risolvere. Peggio ancora, vi furono momenti in cui i sionisti arrivarono a coartare e vessare ebrei indifesi in nome della loro causa. Sono affermazioni gravi, e qualcuno potrebbe trovarle difficili da credere. Tuttavia, i documenti su cui sono fondate – documenti la cui scoperta non mi ha certo dato gioia – sono solidi e consistenti”.

(2)Yosef Grodzinsky, op. cit., pag. 24.

(3)Fondamentale e ineludibile è il lavoro di Ilan Pappe, La pulizia etnica della Palestina, Fazi, 2008.

(4)http://mondoweiss.net/2016/02/barbarism-by-an-educated-and-cultured-people-dawayima-massacre-was-worse-than-deir-yassin/#sthash.UCpxRDdB.dpuf

(5)Per la ricostruzione dell’omicidio di Bernadotte, si veda il mio lavoro Il terrorismo impunito, pag. 104 e ss., Zambon, 2013.

(6)Si veda l’accurata ricerca di Nurit Peled-Elhanan , La Palestina nei testi scolastici di Israele. Ideologia e propaganda nell'istruzione, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2015.

(7) Amos Oz, Giuda, Feltrinelli, Milano, pagg. 241/242.

(8) http://www.voltairenet.org/article184986.html - Secondo il quotidiano israeliano Haaretz  (http://www.haaretz.com/world-news/1.577114), nella piazza di Kiev, in Ucraina, durante la sommossa per cacciare il legittimo presidente Viktor Janukovyč, c’era un gruppo di 40 combattenti, armati e mascherati, guidato da quattro ex-ufficiali dell’esercito israeliano che indossavano la kippah sotto i loro elmetti. Il lettore potrà trovare in internet le foto della loro presenza. Secondo un’altra fonte, questi ex-ufficiali, che vivono oggi in Ucraina, all’inizio degli eventi si unirono al movimento del Partito della Libertà (Svoboda), di estrema destra, anche se quest’ultimo è violentemente antisemita. Tale forza d’intervento avrebbe anche assicurato, con l’aiuto dell’ambasciata israeliana, il rimpatrio in Israele di 17 feriti gravi, che avrebbero curato. La presenza di unità israeliane era stata segnalata in eventi simili in Georgia, sia nella “Rivoluzione delle Rose” (2003), che nella guerra contro l’Ossezia del Sud (2008).

Sulla cattura di Gheddafi, Tierry Meyssan afferma con certezza la presenza di agenti del Mossad israeliano. Su questa circostanza non esistono prove. Si può affermare che vi era attiva una rete di agenti del Mossad nella Tunisia post rivoluzionaria, come apertamente aveva  comunicato il quotidiano israeliano on line Ynetnews. Questa affermazione, evidentemente, è stata ritenuta imprudente dai responsabili di questo quotidiano e, tuttora, l’accesso alla pagina è impedito (http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4189637,00.html]). In ogni caso, per le ragioni esposte da Tierry Meyssan, il ruolo del Mossad nella cattura di Gheddafi è da ritenere molto probabile.                                                                                         Marzo 2017

 

 

Diego Siragusa, membro del Comitato Scientifico del CIVG