A Casteldaccia un’altra strage operaia: a condizioni di morte non si deve lavorare

 

Strage di Casteldaccia, cosa sappiamo? L'indagine sulla Quadrifoglio Group,  gli operai sotto inquadrati e l'assenza di maschere

 

Neppure il tempo che si asciughino l’inchiostro e le lacrime di coccodrillo versate sull’ultima strage (in ordine di tempo quella di Suviana, ma nel frattempo sono morti più di 10 operai in vari “incidenti” sul lavoro) e ieri un’altra mattanza di operai, altro sangue versato e altre famiglie distrutte.

5 operai morti intrappolati e soffocati mentre ripulivano un condotto fognario:  4 di una piccola impresa a cui era stato appaltato il lavoro dall’AMAP (Azienda Municipalizzata Ambiente di Palermo) e uno dipendente della municipalizzata. Asfissiati uno dietro l’altro – perché hanno tentato di salvare chi li precedeva – dall’idrogeno solforato, gas che -è ben noto - si sprigiona nei condotti.

Solo un esempio,  tanto per ricordare. Il  25 novembre 2006  4 operai morirono in un’esplosione alla Umbria Olii di Campello sul Clitumno: stavano saldando una passerella su due cisterne, ma nessuno aveva detto loro della presenza di un gas, l’esano, altamente esplosivo.

 

Ma loro – i morti di Casteldaccia - non avevano mascherine, non avevano rilevatori di fumi .... non avevano niente, solo il loro bisogno di lavorare. E così sono morti. Per risparmiare pochi euro.

 

Da 30 anni – e a lungo inascoltati - ci battiamo contro le morti del profitto. Da 30 anni gridiamo sui posti di lavoro e nelle piazze che questi morti rappresentano la faccia più brutale, ma più vera, di un sistema – il capitalismo - che tratta gli esseri umani come merce da sfruttare e buttare via in nome del profitto. Carne da macello, nulla più.

 

Paradossalmente proprio oggi CGIL/CISL/UIL sono convocati dal governo a discutere l’ultima di una lunghissima catena di beffe: la patente “a punti” (se un’impresa nel corso dell’anno non ha morti o infortunati guadagnerà sgravi fiscali; se li ha le verranno tolti i punti che però potrà recuperare ... con un corso sulla sicurezza!).

Una lunghissima catena di beffe: legge come la Biagi, patti “sul lavoro”, Job Act, che  – siamo in periodo elettorale – il Partito Democratico (quello di Renzi che fece la legge) vuole oggi abrogare grazie al referendum annunciato dalla CGIL che, mentre queste leggi preparavano le stragi, forse dormiva.

 

Per chi accetta il capitalismo come unico mondo possibile – non solo il governo Meloni ma tutti quelli che l’hanno preceduto – i morti del profitto sono il costo “normale” da pagare. Lacrimucce sulla stampa e titoloni per qualche giorno se gli operai muoiono in gruppo, poi tutto torna come prima e guai a mettere in discussione un modo di produzione brutale e barbaro che fa profitti e prospera  sul sangue e sulla vita dei lavoratori.

 

Cosa ne pensino i padroni è presto detto: per Suviana l’ENEL si è lavata le mani affermando che aveva dato l’appalto a ditte di nota importanza (le leggi attuali scaricano di ogni responsabilità il committente, così che l’unico a pagare – se mai pagherà – sarà l’ultimo della infinita catena di subappalti). Oppure la colpa è sempre dei lavoratori – i “deficienti”  secondo l’imprenditore del marmo di Carrara Alberto Franchi (76 milioni di fatturato, che paga un prezzo ridicolo per le concessioni di estrazione del marmo) , il deficiente – lui sì e con la maiuscola– che si lascia scappare cosa pensa  “Qua i cavatori si fanno male perché sono deficienti. Gli incidenti che ci sono stati negli ultimi dieci  sono colpa dell’operaio”.

 

A questo punto possiamo solo ripetere quanto da anni diciamo: noi lavoratori non dobbiamo delegare più a nessuno la difesa dei nostri interessi perché della nostra vita non importa niente a nessuno, né ai padroni, né ai partiti politici né ai sindacati confederali,combattivi a parole e venduti nei fatti.

O ci uniamo e  ci organizziamo per difendere, prima ancora del salario, la nostra salute e la nostra vita contro i capitalisti e i loro servi di ogni colore, o la catena di morte continuerà. 

Sappiamo che non è né semplice né facile, ma è l’unica strada che possiamo percorrere.

 

Intanto la prima regola deve essere che  A CONDIZIONI DI MORTE NON SI DEVE LAVORARE.

 

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