L'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai: un modello per il nuovo assetto globale?

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Mentre a causa del Brexit il Blocco Occidentale rischia una crisi di portata epocale, durante il vertice di Tashkent del 24 Giugno India e Pakistan hanno ufficializzato il loro ingresso come membri permanenti nell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO). Come ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin, alle due Potenze nucleari, a breve, potrebbe aggiungersi anche l’Iran che, insieme a Mongolia, Afghanistan e Bielorussia, ha lo status di Paese osservatore[1]. All'interno dell'Organizzazione asiatica vanno aggiunti i partner di dialogo Armenia, Azerbaigian, Cambogia, Nepal, Sri Lanka e Turchia.

Creata nel 2001 da Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, la SCO si presenta come un dispositivo di sicurezza intergovernativo e multilaterale con lo scopo di promuovere uno spazio autonomo di cooperazione fra i paesi dell'heartland eurasiatico nei campi della sicurezza nazionale, dell'economia, della cultura e della tecnologia.

 

              

 

Il principio cardine cui l'Organizzazione si ispira è lo «Spirito di Shanghai» fondato sulla fiducia reciproca, sull'interesse comune, sulla trasparenza e sul rispetto sia della cultura che della sovranità nazionale; in tal senso sono significativi i tentativi di smilitarizzazione dei confini mossi sin dal 1996 dal «Gruppo dei cinque» e le esercitazioni comuni, quindi la condivisione dei dispositivi bellici e delle informazioni fra le diverse forze armate. Sotto il profilo operativo, il suo principale obiettivo è la neutralizzazione delle spinte centrifughe statuali legate ai «tre mali» terrorismo, separatismo ed estremismo, contro i quali viene ricercato un coordinamento politico, economico e militare congiunto[2]. All'azione organizzativa dall'alto si estende un approccio dal basso che comprende controllo doganale, trasporti, infrastrutture e, sul modello della politica cinese nello Xinjiang, investimenti nel tentativo di combattere povertà e instabilità[3]. Negli ultimi anni per aumentare la sicurezza nazionale, una delle funzioni su cui gli Stati membri hanno deciso di concentrare maggiormente i loro sforzi è stata la lotta al narcotraffico, in particolare contrastando i flussi di eroina provenienti dall'Afghanistan. Tuttavia, nel dibattito Occidentale tale nuovo organismo in grado di legare fra loro oltre 3 miliardi di persone è stato ampiamente sottovalutato oppure interpretato come un sistema Anti-Nato tout court, trascurandone il potenziale strategico.

L'ingresso formale di India e Pakistan nella SCO rappresenta l'esito di un parallelo sforzo diplomatico condotto dai rispettivi partner di riferimento - Russia e Cina - per inserire nel quadro istituzionale dell'organizzazione una prospettiva negoziale, suscettibile di comporre le tensioni latenti fra i due giganti del sub-continente indiano e attenuare nel contempo le storiche diffidenze sino-indiane. Sulla scorta di tali iniziative, la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping intendono realizzare un asse continentale fondato sulla balance of power  e sulla cooperazione internazionale a tutela della sovranità nazionale nell'ambizioso tentativo di adattare la storica dottrina Monroe che dell'«America agli americani» potrebbe declinarsi nell’«Asia agli asiatici» e, in futuro, nell'«Eurasia alle potenze eurasiatiche». La direttrice dell'indipendenza dalle potenze occidentali risulta evidente già dal 2005 quando al summit della SCO di Astana è stato ufficialmente richiesto agli Stati Uniti d'America di abbandonare la base militare di Karshi-Khanabad in Uzbekistan.

I Paesi del Centro Asia si pongono, dunque, come principali obiettivi perseguibili attraverso la SCO la stabilizzazione pacifica e la sicurezza regionale. Un'eventuale disgregazione territoriale minerebbe il progetto di ordine e di integrazione condotto da Mosca e Pechino su cui convergono le agende dei diversi attori, agende caratterizzate dall'interesse per uno sviluppo autonomo da ingerenze esterne. In tale prospettiva, la divisione dei compiti e il rafforzamento della collaborazione nei settori energetici, culturali ed economici mirano alla creazione di un'area di libero scambio entro il 2020[4].

L'azione geoeconomica del progetto eurasiatico è affidata alla leadership della Repubblica Popolare Cinese. I suoi progetti delle «Nuove Vie della seta» ne tracciano gli orizzonti e i suoi nuovi istituti di credito dimostrano l'intento di creare, con pragmatismo e realistica cautela, un nuovo asset finanziario internazionale post-americano.

All'inizio del suo mandato nel 2013 Xi Jinping ha infatti presentato all'Università Nazarbayev di Astana la strategia «One belt One road». Il Grand Design di Pechino mira ad aggregare l'Asia e ricollegare la Cina all'Europa e al Mediterraneo attraverso due reti infrastrutturali e commerciali che evocano le storiche vie della Seta: una che si snoda via terra da Xi'an a Venezia e di qui all'Europa centro-occidentale; la seconda, la cosiddetta Collana di Perle, trova sempre in Venezia un suo hub ma attraverso l'Oceano Indiano, il canale di Suez e il mar Mediterraneo. A questo progetto si sommano altri di dimensioni inferiori, come il corridoio economico Cina-Pakistan e quello Bangladesh-Cina-India-Myanmar.

La «Cintura economica della Via della Seta» dal maggio 2014 ha altresì trovato nell’Unione Economica Eurasiatica promossa da Putin un possibile anello di congiunzione con il lembo occidentale dell’Eurasia. La scelta di connettere fra loro i due progetti potrebbe tentare la Germania, la quale rimane incerta se prestare ascolto alle sirene cinesi per la formazione di un asse commerciale e industriale fra Est-Ovest, che trova un suo prodromo nella Trans-Eurasia Express[5], collegamento ad alta velocità fra Chongqing e Duisburg, oppure se consolidare il legame atlantico mediante il TTIP[6]. L'allineamento fra Pechino-Mosca-Berlino è l'obiettivo tattico attorno al quale si orienta la pianificazione elaborata dalla Cina di Xi, come dichiarato alla stampa da Jin Liqun, presidente dell'Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB)[7].

 

 

In parallelo, nel Sud-Est asiatico il progetto cinese di creare uno spazio economico comune incontra la resistenza delle principali Potenze rivierasche: Australia, Brunei, Giappone, Malesia, Nuova Zelanda, Singapore, Vietnam, le quali, insieme a Stati Uniti, Perù, Cile Messico e Canada, hanno siglato il TPP. Il trattato commerciale sottoscritto lo scorso febbraio si configura come un elemento complementare al «Pivot To Asia», la strategia di contenimento della Repubblica Popolare Cinese resa operativa dal 2012 dall'amministrazione di Barack Obama[8].

Nonostante gli ostacoli, l'impegno strategico e macroeconomico assunto dalla dirigenza di Pechino si è concretizzato sia nella stipula di accordi bilaterali fondati sulla cooperazione economica del win-win sia nel lancio della Nuova Banca Mondiale per lo Sviluppo dei BRICS che potrebbe diventare una naturale concorrente alla funzione della Banca Mondiale. Con un capitale iniziale di circa 100mld di dollari, tale progetto finanziario, formalmente legato solo ai cosiddetti paesi in via di sviluppo, prevede l’emissione di prestiti a tassi agevolati con la previsione di raggiungere entro i prossimi cinque anni una capacità di finanziamento pari a 350mld di dollari. Attraverso l'AIIB, invece, cui hanno aderito paesi del calibro di Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Brasile e Corea del Sud, Pechino desidera imporsi come leader globale nei progetti infrastrutturali. Ne è prova la messa in cantiere di molteplici progetti: dalla linea ferroviaria Belgrado Budapest finanziata con capitale cinese all'autostrada tra Shorkot e Khanewal in Pakistan insieme all'Asian Development Bank, sino al collegamento di 656 km su binari dalla capitale etiope Addis Adeba al porto di Gibuti sul Mar Rosso, Stato in cui si sta costruendo la prima base all’estero dell’Esercito Popolare di Liberazione.

Se l'ascesa globale di Pechino necessita di aree sempre più stabilizzate, il modello di integrazione dello spazio regionale che trova protezione nella SCO potrebbe rappresentare il modello per un'architettura di sicurezza e cooperazione dalla vocazione transcontinentale. Usando la leva economica, commerciale e finanziaria la Cina intende infatti creare le basi per la costruzione di un «mondo armonioso» incardinato su cooperazione mutuo-vantaggiosa e fiducia reciproca, realizzando le previsioni di quelli studiosi secondo i quali sarebbe in atto un netto spostamento dei centri del potere economico, politico e militare dall'Atlantico al Pacifico.

La speranza di prevenire catastrofici di natura bellica come conseguenza della modifica dei rapporti di forza globali risulta strettamente connessa alla costruzione di un assetto internazionale multipolare, garante di uno sviluppo sostenibile ancorato alla sovranità e all’indipendenza dei popoli. Una speranza alimentata dal grande disegno di integrazione eurasiatica concepito attraverso le «Nuove Vie della Seta» e che interroga il futuro indipendente o meno dei popoli europei.

 

I presidenti degli Stati membri della SCO durante il vertice di Tashkent

 

 



[1]  India to sign Memorandum of Obligation to join SCO, in «The Financial Express», 24/06/2016.

[2]  Davide Ragnolini, L'Organizzazione di Shanghai: strumento per un mondo "armonioso", in «Eurasia», La muraglia che non crolla, n. 2, 2015.

[3]  Lorenzo Capisani, Antiterrorismo dalle caretteristi che cinesi? Possibilità e limiti della SCO, in http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/antiterrorismo-dalle-caratteristiche-cinesi-possibilita-e-limiti-della-sco-12734.

[4]  Si veda Orizzonte Cina. "Una cintura, una via": la connettività eurasiatica secondo Pechino, a cura dello IAI, Istituto Affari Internazionali, Vol. 6, n. 4, luglio-agosto 2015.

[5]  Cfr. http://www.trans-eurasia-logistics.com/.

[6]  Lucio Caracciolo, Obama e la camionetta di Mao, in «Limes», Cina Russia Germania unite da Obama, n. 8, Agosto 2014, pp. 7-12.

[7]  Gianluca Di Donfrancesco, L'AIIB muove i suoi primi passi in Pakistan, in «Il Sole 24 Ore», 6/05/2016.

[8]  Cfr. Giorgio Cuscito, Tutti vogliono un posto nell'AIIB (tranne gli Usa), in «Limes», versione online, 14/04/2015 e Dario Fabbri, Il valore strategico del TTIP e il futuro dell'Europa, in «Limes», versione online, 13/05/2016.