Per il riconoscimento e la repressione dei reati sociali e ambientali

 

PER IL RICONOSCIMENTO E LA REPRESSIONE DEI REATI SOCIALI E AMBIENTALI.

 

 Il Professor DELMAS – MARTY[1] evoca giustamente la doppia funzione, quasi antropologica, del diritto penale: da un lato chiarire quali sono i comportamenti vietati, dall'altro reprimere le violazioni.

Forgiati per la maggior parte all'inizio del 19° secolo, modificati nella seconda parte del 20° secolo per tener conto dei crimini di massa commessi durante la 2° guerra mondiale e successivamente integrati per far fronte ai problemi sociali più recenti, i differenti sistemi penali nazionali oggi si rivelano sostanzialmente incapaci di prendere in considerazione in modo adeguato i delitti di massa collegati all'attività industriale e allo sviluppo della tecnologia.

Conseguentemente, le catastrofi industriali e tecnologiche che hanno macchiato gli ultimi decenni (Minamata, Bhopal, Tchernobyl, Fukushima, la questione del sangue contaminato o quella dell'amianto) sono “filtrate” attraverso qualificazioni giuridiche inadatte che non tengono in alcun conto delle volontà collettive e “organizzate” che connotano questi crimini, nonché consenso dei loro autori (in genere grandi gruppi industriali) all'accumulo progressivo di rischi mortali per le vittime.

Le cifre non sono un dato di conoscenza molto diffuso, ma secondo le ultime stime dell'organizzazione internazione del lavoro, per l'anno 2008, le condizioni di lavoro avrebbero provocato più di un milione di morti nei soli paesi asiatici.

La “semplice” utilizzazione industriale dell'amianto provoca 100.000 morti all'anno su scala mondiale.

 

 

Una nuova definizione dell'elemento intenzionale 

Questi disastri ricorrenti non sono quindi la conseguenza di una fatalità: non solo queste catastrofi sono prevedibili, ma ormai, sono valutate e quantificate con parametri per le scelte di comportamento di coloro che decidono le politiche industriali.

La debolezza dei testi normativi destinati a reprimere tali comportamenti, dispersi in vari articoli dei codici permette, quasi sempre, ai responsabili di supporre di non commettere alcun grave reato.

Questo “permesso di uccidere” è tanto più socialmente tollerato in quanto la potenza dell'industria e l'apparente impersonalità delle scelte consente a chi assume le decisioni di presentarsi come totalmente privo di intenzione lesiva nei confronti di soggetti specifici.

L'elemento intenzionale nella sua forma classica scompare sostituito dal semplice consenso a fare o non fare certe cose.

La semplice noncuranza per gli altri oggi ha sostituito l'odio come principale fonte del male che gli stessi uomini possono infliggere ai loro contemporanei.

 

Articolare un divieto più efficace

Sostanzialmente ignorato dalle leggi penali questo “consenso omicida” deve oggi essere individuato come un crimine.

Questo è il motivo, tanto sul piano internazionale che nazionale, per il quale devono essere enunciate nuove norme per proibire e reprimere queste forme moderne della criminalità.

Che funzione avrebbe ad esempio una Corte Penale Internazionale o una Corte Europea dell'Ambiente che non disponesse di strumenti giuridici specifici e fosse portata ad utilizzare testi parziali e dispersi in varie leggi che in generale prevedono sanzioni minime?

Nell'”affaire” dell'amianto il caso, eccezionale, di condanna a 16 anni di reclusione pronunciata il 13/02/2012 dal Tribunale di Torino a cui la Procura ha prospettato un'interpretazione al passo con i tempi di un testo concepito principalmente per regolare le conseguenze di crolli di edifici e altri disastri per enucleare la definizone di “disastro ambientale”, ci indica la via.

La considerazione degli effetti differiti dei moderni rischi industriali impone di puntare l'attenzione sulle situazioni di “messa in pericolo” identificando le conseguenze patologiche mortali di una situazione generale di pericolo come conseguenza del delitto principale (la messa in pericolo) che costituiscono una circostanza aggravante.

 

Ipotizzando un intervento sul codice penale francese, la norma fondamentale potrebbe essere così formulata:

Articolo 1°

Ogni attività organizzata, qualsiasi sia l'oggetto, le conseguenze della quale, previste e consentite dagli autori, provocano la messa in pericolo della vita o della salute di alcuno con violazione di un'obbligazione di sicurezza prevista da leggi o da regolamenti, è punita con una pena di tre anni di reclusione.

Quanto il fatto ha provocato un'incapacità temporanea totale superiore ai 3 mesi o un'incapacità permanente parziale per 1 o più persone, la pena è di cinque anni di reclusione.

Quando dal fatto deriva il decesso di una o più persone la pena è di quindici anni di reclusione.

 

Articolo 2°

Ogni attività organizzata, qualsiasi sia l'oggetto, le conseguenze della quale previste e consentite dagli autori, provocano la messa in pericolo dell'esistenza anche locale, di specie animali o vegetali protette con violazione di un'obbligazione di sicurezza prevista da leggi o da regolamenti, è punita con una pena di un anno di reclusione.

Quando dal fatto deriva la distruzione totale o parziale di specie animali o vegetali protette la pena è di tre anni di reclusione.

 

Nel Codice Penale Francese, la riforma consisterebbe nel redigere un nuovo libro V° che invece di intitolarsi “altri crimini e delitti” diventerebbe “crimini e delitti relativi all'etica biomedica, la sanità pubblica e l'ambiente”.

In questo nuovo libro V° il Titolo I° relativo all'etica biomedica resterebbe inalterato.

Il nuovo Titolo II° si intitolerebbe “crimini e delitti contro la sanità pubblica e l'ambiente”.

Il vecchio Titolo II° relativo a “sevizie sugli animali” diventerebbe il Titolo III°.

 



[1]     La Professoressa Mirelli Delmas-Marty, professore onorario al Collège de France, è stata membro della Commissione di Riforma del Codice Penale (nel 1981) prima di essere nominata Presidente della Commissione Giustizia Penale Diritti dell'Uomo (1990).

        Ha fatto parte del Comitato consultivo per la Revisione della Costituzione e del Comitato di ricerca per la Giurisdizione Penale Internazionale e del Comitato di esperti dell'Unione Europea incaricato di redigere un progetto di diritto penale europeo.