Niente di nuovo tranne il progresso

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A PROPOSITO DI DISINFORMAZIONE, GUERRA...
NIENTE DI NUOVO TRANNE IL PROGRESSO

 

Nell’undicesimo secolo cominciarono le crociate. Gli anni bui erano alla fine.
Le crociate venivano proclamate dalla Chiesa, finanziate dai mercanti. Potremmo paragonare la funzione della Chiesa in quell’epoca a quella di un governo centrale nella nostra epoca; quanto ai mercanti, sono sempre gli stessi, solo che adesso sono multinazionali, benché anche allora gli interessi dei più potenti tra di loro si ramificassero in vari campi e varie nazioni. Niente di nuovo sotto il sole, dunque? Qualcosa di nuovo c’è, invece. Allora nessuno ci credeva all’obiettivo ideale e religioso delle crociate, tanto che la prima crociata fu indetta dal papa Urbano II con un discorso che di ambiguo o idealistico aveva ben poco: “… Intraprendete il viaggio fino al santo sepolcro, strappate quella terra al popolo infedele e sottomettetela…

Colui che qui è afflitto e povero, colà sarà ricco.” Non parlò di diritti umani, di difesa della democrazia, di minoranze perseguitate. Colui che è povero, diventerà ricco. Conquistando e sottomettendo. Quei poveri che dovevano diventare ricchi erano i nobili, che passavano il tempo a combattere l’uno contro l’altro, mentre i mercanti se la ridevano e acquistavano potere di giorno in giorno. E infatti furono i nobili a fare le crociate, i cavalieri. Quei guerrieri specializzati che ormai non sapevano fare altro che la guerra, impoveriti da quei mercanti che dettavano il prezzo delle derrate alimentari prodotte dai feudi dei cavalieri, e che essi mercanti acquistavano, e il prezzo delle merci che i cavalieri dovevano comprare, e che gli stessi mercanti avevano prodotto o importato: ma i mercanti si accordavano tra loro per non farsi concorrenza, mentre i guerrieri specializzati non sapevano più occuparsi delle loro terre e neanche usare il cervello, per cui le crociate sembrarono loro una buona idea.
I guerrieri specializzati conquistarono Gerusalemme e tutte le sue ricchezze, per farlo dovettero massacrare una gran parte della popolazione. I crociati erano ventimila, nel solo tempio di Salomone pare abbiano trucidato almeno diecimila persone, in gran parte donne e bambini e vecchi, che rifugiandosi nel tempio credevano probabilmente di essere sotto la protezione del sacro: “In quel tempio furono sgozzate quasi diecimila persone. E se voi foste stati colà, le vostre gambe si sarebbero imporporate fino alle anche del sangue degli uccisi. Che dire? Nessuno si salvò, né donne, né bambini…” Questo ce lo racconta Fulcherio di Chartres e diremmo che non c’è motivo per non credergli, dato che lui non aveva motivo di inventare menzogne che mettessero in cattiva luce i crociati europei. Ma, evidentemente, non aveva neanche motivo di inventare menzogne che li mettessero in buona luce, e questo perché non si sognava neanche che qualcuno potesse credere alla bubbola della “liberazione del Santo Sepolcro”. Alla quale hanno creduto solo i posteri.
Le crociate furono guerre coloniali ante litteram, e i cavalieri dalle potenti spade e armature e dai deboli cervelli si insediarono nella terra santa come suoi nuovi padroni, trovando così uno sfogo economico che li rendeva meno pericolosi in patria e diventando i cani da guardia dei mercanti e delle città europee: l’Europa aveva conquistato mercati, vie di comunicazione, materia prime.
Ma nessun europeo pensava che con le crociate qualcuno avesse conquistato il Paradiso.
Le rivolte contadine nell’undicesimo secolo erano già cominciate, in Europa, e tutte le rivolte contadine erano anche rivolte contro la Chiesa: il popolo sapeva bene cosa fosse allora quella struttura di potere centrale, a cosa servisse, quanto fosse preziosa per il potere economico in tutti i suoi aspetti e come fosse la vera istituzione di controllo del territorio e di repressione di ogni opposizione al regime di dominio che si era instaurato. Quelle rivolte continuarono per secoli, e per secoli furono anche rivolte contro la Chiesa. Però sulle rivolte dei contadini le cronache non furono così schiette come lo fu quella di Fulcherio di Chartres sulla presa di Gerusalemme, e il papa non disse “accoppate i contadini ribelli se volete mantenere le vostre rendite e il vostro potere”. I cronisti ufficiali dell’epoca parlarono di atrocità terribili dei ribelli che, oltre a sgozzare i neonati in culla, costringevano i nobili a uccidere i loro stessi familiari. Per poi venire a loro volta uccisi, naturalmente. Voi e io non lo faremmo neanche per salvarci la vita, ma anche tra quelli peggiori di noi sarebbe difficile trovare qualcuno che lo faccia senza alcuno scopo: non per paura, quale paura è peggiore di quella che i nostri cari possano perire? Non per convenienza, dato che gli toccava la stessa sorte. E, quanto ai contadini ribelli, evidentemente se la prendevano con calma: incalzati dai nemici armati molto meglio di loro e addestrati alla guerra come unica occupazione, incalzati dalla paura, dalla fame e dal pericolo, si prendevano il tempo di godersi lo spettacolo.
Così ci dicono le cronache scritte in latino, che nessun contadino leggeva, ma che servivano a terrorizzare i nobili e quei cavalieri dal corto cervello, ad aizzarli contro i ribelli.

Quando gli USA e l’Europa decisero che era venuto il momento di far fuori anche la Jugoslavia, presero due misure preventive, che cioè venivano prima della guerra vera e propria con bombardamenti, cecchini, squadroni della morte, milizie paramilitari mercenarie ecc.
Queste due misure furono il boicottaggio economico e una massiccia, martellante e spudorata campagna di (dis)informazione.
Le potenze occidentali, prima di allora, non si erano mai date troppo la pena di diffamare e infamare la Jugoslavia, come invece avevano fatto con l’Unione Sovietica fin dalla sua nascita e con gli altri paesi del Patto di Varsavia fin dalla sua nascita. La Jugoslavia, benché fosse un paese socialista, era un paese non-allineato e che aveva rapporti economici con gli USA e l’Europa occidentale. Quindi, finché c’era il cosiddetto “blocco sovietico”, ci si poteva limitare a parlarne male (era pur sempre un paese socialista), ma non troppo male: poteva anche far comodo in chiave anti-sovietica.
Dunque la campagna contro la Jugoslavia partiva quasi dal nulla, ma era necessario che producesse in breve tempo gli stessi risultati di demonizzazione ottenuti con quasi un secolo di propaganda contro l’URSS e i suoi alleati; anzi, bisognava che superasse in breve quei risultati, permettendo di soffocare sul nascere qualsiasi opposizione dei popoli occidentali all’incipiente smembramento e distruzione violenta della Jugoslavia.
Ci volevano i giornalisti al completo che caricassero al galoppo ma i giornalisti da soli non bastavano.
Ma questo non era un problema. Il progresso ha fornito i paesi più progrediti di tutti i tipi di professionalità, organizzazione, industria. Per fare guerra alla Jugoslavia gli USA assoldarono la società di pubbliche relazioni Ruder Finn Global Public Affairs, così come avevano assoldato la società di pubbliche relazioni Hill and Knowlton per la prima guerra all’Irak.
Si tratta di multinazionali che, in quanto tali, hanno un duplice interesse a diffamare i paesi che si vogliono sottrarre al loro Impero. E si avvalgono di professionisti esperti: dei veri scienziati della menzogna.
Non siamo più ai cronisti romani o ai chierici medievali, al rozzo trasformare in suicidio collettivo quella che era una strage indiscriminata, o a far passare comunità di eretici fondate sull’amore e l’uguaglianza per gruppi di pazzi libidinosi e sanguinari. Siamo alla scienza dell’inganno, che ci fa credere le stesse cose alle quali settecento o duemila anni fa i popoli arretrati non credevano, al massimo ci credevano gli intellettuali e gli stessi ceti dominanti, mentre noi invece ci crediamo eccome. Oggi c’è bisogno di una scienza, e le menzogne e le campagne denigratorie che preparano la distruzione di un paese o di una parte sociale che si oppone all’Impero, vengono condotte in modo scientificamente avanzato: in modo, cioè, che qui nel cuore dell’Impero nessuno possa smentirle.
In modo che il coro delle menzogne si gonfi di giorno in giorno, coinvolgendo personalità e organizzazioni che hanno la fiducia dei “diffidenti”, e diventi così assordante che le flebili voci di chi conosce e vuole dire la verità siano cancellate, o suonino come afoni gracchiamenti di gente fuori di testa.
Perché, partite dalle società di pubbliche relazioni, le notizie passeranno alle agenzie di stampa multinazionali occidentali, ai giornali e alle televisioni e alle radio appartenenti ai potentati industrial-finanziari occidentali, ai governanti e politici che servono tali potentati. E viaggiando il coro s’ingrosserà. Se lo dicono tutti! Poi toccherà al giornale di “sinistra”. Dentro il quale c’è ancora qualcuno (non tutti) che crede ancora che fare il giornalista sia cercare la verità e non occupare posizioni di potere e privilegio. Ma anche il giornale di sinistra e indipendente si serve delle stesse agenzie di stampa multinazionali.
Se poi decide di dare informazioni che contraddicono la versione ufficiale, lo farà prudentemente, senza dedicargli mai la prima pagina e neanche la seconda, senza titoli a caratteri cubitali: un angolino in quinta o sesta, che solo chi già non crede alla versione ufficiale o almeno ne dubita sarà capace di scovare e leggere con attenzione. E così la coscienza è a posto e ci si fa bella figura con tutti.

Negli anni settanta uscì un libro che s’intitolava “Agente della CIA”. Era scritto da un pentito: Philip Agee. Che in realtà non era un agente della CIA, ma un funzionario. Molto di più di un agente: un funzionario addetto ad operazioni segrete, un organizzatore e un dirigente di agenti, un dipendente diretto del governo americano. Dopo dodici anni di lavoro per i servizi segreti americani, il signor Philip Agee era abbastanza disgustato da decidere di spifferare tutto sui metodi di “lavoro” della sua ditta, per questo se la filò a Londra e prese le sue precauzioni. “Se tutto andrà bene sarò in grado di aiutare altri funzionari o ex funzionari della Cia, che vogliono raccontare le loro esperienze e gettare altra luce su questo genere di attività.” L’inguaribile ottimismo americano.
Non ci fu nessun’altra rivelazione e anche le sue non andarono molto lontano. Un libro, e non certo pubblicato da grandi e potenti case editrici. Diceva cose che allora, negli anni settanta, qualsiasi simpatizzante o militante di sinistra non faticava ad immaginare, e non fu quasi letto da altri.
Oggi sarebbe un libro molto istruttivo anche per la gente di sinistra, per questo non è in circolazione.
Quel libro parlava, tra l’altro, di giornalisti e pubblicisti al soldo dei servizi segreti americani, di intere catene di giornali e riviste pagate dagli stessi; raccontava di vere campagne di diffamazione di personaggi politici e capi di stato invisi agli USA, campagne che andavano da articoli sugli onnipresenti giornali fino a voci diffamatorie messe in giro da agenti, donne e uomini, e da organizzazioni della più varia natura (le “Madri Latine” in Brasile, per esempio), organizzazioni a volte nate su impulso politico ed economico dei servizi segreti americani stessi, a volte già presenti e da loro utilizzate.
Questa è “l’epoca dell’informazione”. Un grande progresso nei mezzi che i potenti hanno a disposizione per convincere le masse che le proprie ragioni sono quelle giuste. Anche le masse dei diseredati che essi hanno spogliato. Non è un progresso nei metodi, che alla fin fine sono sempre gli stessi, ma un progresso quantitativo: i potenti hanno sempre più soldi, dato che progrediscono, e mezzi tecnici anche più sofisticati, dato che progrediamo; i subordinati, dato che progrediscono, sono sempre più influenzabili e ignoranti.
Anche ai giornalisti che vollero dire qualche verità sulla Jugoslavia non restò che scrivere libri: perché il libro oggi, nell’epoca dell’informazione “in tempo reale”, della televisione e di internet, è ormai un mezzo arretrato.

 

Sonia Savioli