Notiziario Patria Grande - Marzo 2023

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NOTIZIARIO MARZO 2023

 

 

PRESSENZA / ANALISI / NATO

La crescente presenza militare NATO in America Latina e nei Caraibi (II parte)

 

RAZONES DE CUBA / ESTERI / PERU’

Contro ogni aspettativa: senza tregua le proteste in Perù

 

RESUMEN LATINOAMERICANO (CUBA) / ESTERI / PERU’

Perù, il bimbo di Jicamarca

 

Noticias SER.PE. (PERU’) / INTERNI / ANALISI SULLA SITUAZIONE IN PERU’

Dopo la tragedia, la farsa

 

CUBA/ GRANMA /MONDO

Il capitalismo non sarà mai la soluzione ai nostri problemi

 

GRANMA (CUBA) / ANALISI / TERRORISMO

Il terrorismo e i paradossi del neolinguaggio dell’impero

 

GRANMA (CUBA) / INTERNI / ELEZIONI

Un voto per la nostra identità e sovranità

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / COLOMBIA

Cuba ospiterà il terzo ciclo di conversazioni tra il Governo della Colombia e l’Esercito di Liberazione Nazionale

 

GRANMA (CUBA) / STORIA / IL SEQUESTRO DI FANGIO

Più che un sequestro, una detenzione patriottica

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / GIANNI MINA’

Il presidente cubano piange la morte di Gianni Minà

 

 


 

PRESENZA / ANALISI / NATO

La crescente presenza militare NATO in America Latina e nei Caraibi (II parte)

 

Foto di Politika

 

 

Colombia

In quanto “partner globale” della NATO, la Colombia gode di un’attenzione privilegiata da parte dell’alleanza guerrafondaia. Come sua espressione, in tempi recenti, gli Stati Uniti stanno compiendo grandi sforzi per insediare una base navale nell’isola Gorgona nell’Oceano Pacifico colombiano e non si fermano nonostante la grande opposizione degli scienziati e delle organizzazioni civili della regione, che hanno l’obiettivo di salvaguardare un insieme di diritti altrimenti violati.

Secondo queste organizzazioni i finanziatori dei lavori della base (Ufficio internazionale per i servizi antidroga e Procura della giustizia degli Stati Uniti) genererebbero una perdita di sovranità, poiché l’isola sarebbe sotto il potere di un altro Stato.

In accordo con il Dipartimento di Stato, l’amministrazione Biden contempla inoltre l’acquisto di motori navali per un ammontare di 2,6 milioni di dollari allo scopo di migliorare la capacità operativa della Guardia Costiera nell’isola.

Piedad Córdoba, senatrice del partito di coalizione “Pacto Histórico”, si è pronunciata all’inizio di dicembre contro qualunque ingerenza degli Stati Uniti in Colombia, tramite l’insediamento di basi militari o lo spiegamento delle sue forze armate e ha sollecitato il presidente Petro a cancellare il progetto. Secondo Córdoba, la grande attenzione degli Stati Uniti per un’opera come questa sarebbe strana, se non si considerasse l’importanza strategica per gli Stati Uniti della regione del bacino del Pacifico, cosa che si «esprime attraverso lo spiegamento della Quarta Flotta e del Comando Sud con l’insediamento di basi militari, fra le altre, nell’isola Gorgona»,

Contemporaneamente, secondo la senatrice l’insediamento alla Gorgona della nona base militare degli Stati Uniti in Colombia potrebbe provocare danni simili a quelli avvenuti nelle Filippine, a Panama e Porto Rico, dove Washington è riuscita a stabilire basi militari.

Inoltre, all’inizio del mese di dicembre, il presidente colombiano ha invitato le forze armate degli Stati Uniti e della NATO in Amazzonia a cooperare nella salvaguardia del territorio e nella lotta al narcotraffico. I macchinari, le attrezzature e il personale da introdurre per realizzare i lavori potrebbero essere riutilizzati come “polizia per proteggere” l’ambiente cambiando la logica tradizionale di lotta alle droghe. Così ha proposto l’utilizzo dell’elicottero statunitense Black Hawk per spegnere gli incendi, argomentando che tale azione sarebbe il simbolo di un «cambiamento completo di ciò che è sempre stato l’aiuto militare degli Stati Uniti».

Già durante il governo di Gustavo Petro alla fine di agosto dell’anno scorso, le forze armate degli Stati Uniti e della Colombia avevano compiuto esercitazioni congiunte nell’ambito della NATO. In tale contesto, Petro aveva ricevuto la generale Richardson, la quale aveva visitato il Paese per cinque giorni. Richardson si è profusa in lodi, dicendo addirittura: «E’ il nostro partner numero uno in tema di sicurezza nella regione», descrivendo la Colombia come «il fulcro di tutto l’emisfero sud», che secondo lei era «libero e sicuro grazie agli sforzi di stabilizzazione della Colombia».

A tal riguardo Petro ha affermato (non si sa se con ingenuità o finta ignoranza) di aver «ottenuto alcune cose: il dialogo con la NATO – di cui siamo membri, non so, è uno status rarissimo, però comunque è così, credo siamo l’unico Paese latinoamericano – per portare quest’alleanza verso la cura della foresta amazzonica, offrendo una collaborazione tecnologica».

 

La lotta per la difesa dell’Amazzonia come motivazione di un intervento militare

L’idea di utilizzare la lotta per l’ambiente come strumento di intervento militare è abbastanza vecchia. Già nel 1989 Al Gore aveva sentenziato: «L’Amazzonia non è di vostra proprietà. Appartiene a tutti».

Nel 2019 nel bel mezzo degli incendi in Amazzonia, il presidente francese Emmanuel Macron aveva sollecitato l’intervento dei Paesi del G7: «È una crisi internazionale». Queste parole echeggiarono fino al Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, richiamando alla memoria la sua epoca di leader di un Paese membro della NATO. La piattaforma forum di domande e risposte “Quora” chiese retoricamente «Perché la NATO non invade il Brasile per salvare l’Amazzonia?»

Però il presidente Petro non è tanto ingenuo da supporre che gli Stati Uniti e la NATO abbiano buone intenzioni in Amazzonia. Ha criticato pubblicamente la politica di guerra contro le droghe degli Stati Uniti, indicando i loro obblighi in quanto maggiore consumatore al mondo. Petro ha affermato: «Cerco di portare il dialogo con gli Stati Uniti in una direzione differente, ovvero la questione della crisi climatica e da lì, all’importanza della foresta amazzonica. Con gli Stati Uniti siamo già riusciti a creare la prima unità militare con elicotteri Black Hawk».

La visita di Richardson in Colombia ha fatto parte di un tour per vari Paesi della regione, con il fine esplicito di fronteggiare l’influenza della Cina e della Russia e di promuovere l’isolamento di Nicaragua, Cuba e Venezuela.

In novembre, Petro ha annunciato che il presidente francese Emmanuel Macron gli aveva offerto “aiuti” per conservare l’Amazzonia. Va ricordato che la Francia possiede un dipartimento d’oltremare confinante con il Brasile (la Guyana Francese), a meno di 500 chilometri dalla foce del Rio delle Amazzoni. In questo territorio è ubicata la base di lancio delle navi spaziali usata da Francia ed Europa. Senza conoscere il contenuto dell’offerta né le prestazioni che la Colombia avrebbe dovuto concedere in cambio, l’accordo tra i due Paesi pone la Francia in una posizione d’influenza su entrambi gli estremi dello strategico bacino.

 

Ecuador

Lo scorso dicembre gli Stati Uniti hanno approvato una legge orientata a rafforzare la cooperazione con l’Ecuador in materia di difesa. Tale strumento, denominato Legge di Associazione Ecuador-Stati Uniti 2022, fa parte della Legge di autorizzazione delle Spese per la difesa nazionale degli Stati Uniti e arriva dopo l’accordo approvato recentemente riguardo ai cieli aperti, con l’obiettivo di ridurre tariffe, aumentare viaggi e commerci e stimolare la creazione di impieghi collegati ai ponti aerei tra i due Paesi.

Tutto questo vuole essere inteso come una strategia di stimolo commerciale, ma le risorse promesse dagli Stati Uniti (858 miliardi di dollari) saranno sotto la giurisdizione del Dipartimento della Difesa, quindi si capisce chiaramente qual è il vero orientamento.

Nel settembre dello scorso anno, la generale Richardson aveva visitato anche l’Ecuador, dove si era riunita con il presidente Lasso e per due giorni aveva diretto la Conferenza Sudamericana di Difesa Southdec 2022, al fine di coordinare «meccanismi per la lotta contro il crimine organizzato e il narcotraffico».

 

Uruguay

Lo scorso 3 febbraio il rinomato analista politico uruguaiano Julián González Guyer ha pubblicato nella rivista Brecha de Montevideo un articolo in cui parlava della nave US Coast Guard Cutter (USCGC) Stone, la più moderna della Guardia Costiera statunitense, che sarebbe entrata nel porto di Montevideo per 10 giorni. Secondo l’articolista, la nave sarebbe rimasta dieci giorni nelle acque uruguaiane con la scusa di «portare a termine esercitazioni di addestramento in operazioni di ricerca e soccorso in mare e di controllo delle acque territoriali con la Marina Militare». In realtà, gli obiettivi della USCGC Stone sono altri, ossia «ottenere informazioni sull’Atlantico meridionale e in particolare sull’attività dei pescherecci cinesi nella zona».

Questo è il secondo viaggio nella nave in Uruguay; il primo era avvenuto due anni fa per attività di «pattugliamento e sostegno alle attività d’interdizione della pesca illegale nelle acque della Guyana, del Brasile e dell’Uruguay», sebbene la visita programmata per l’Argentina fosse stata cancellata.

In questa occasione, come in quella precedente, la spiegazione pubblica riguardo gli obiettivi della visita è stata circondata da contraddizioni tra le informazioni diffuse dal governo nazionale e dall’ambasciata degli Stati Uniti a Montevideo.

González Guyer conclude segnalando che, mentre le conoscenze ottenute la Marina uruguayana sarebbero insignificanti, la nave statunitense avrebbe raccolto «un volume significativo di informazioni sulle nostre coste, acque territoriali e zone adiacenti e anche sulla nostra Marina e i suoi ufficiali».

Per vari decenni la Marina Militare uruguayana è stata addestrata dagli Stati Uniti per agire come forza dedicata alla protezione dello sbocco del Rio della Plata, dando uno spazio privilegiato all’esercito statunitense in questo aspetto. A questa logica si possono ascrivere le due visite della Stone in Uruguay in un periodo così breve.

Oltre a ciò, la Stone ha sviluppato missioni di pattugliamento dell’Atlantico meridionale assieme ad altre tre navi, esercitando in pratica un maggiore controllo su un triangolo strategico nella regione e nello stretto di Magellano tra Montevideo, le Malvine e la terza zona navale dell’esercito del Cile con sede a Punta Arenas.

 

Sergio Rodríguez Gelfenstein

 

Traduzione dallo spagnolo di Mariasole Cailotto.

Revisione di Anna Polo

 

Articolo originale: https://www.pressenza.com/it/2023/03/la-crescente-presenza-militare-nato-in-america-latina-e-nei-caraibi-ii/

 

 


 

 

RAZONES DE CUBA / ESTERI / PERU’

Contro ogni aspettativa: senza tregua le proteste in Perù

 

 

Mentre alcuni dei maggiori mezzi d’informazione della destra conservatrice peruviana concordavano nell’affermare che le cattive condizioni metereologiche avrebbero impedito o quanto meno ostacolato le manifestazioni contro la presidentessa, Dina Boluarte, a 100 giorni dall’assunzione del suo fasullo mandato queste sono proseguite in numerose regioni del Paese, e perfino l'etnia indigena aymara si è dichiarata in sciopero a tempo indefinito. 

Le dimostrazioni che chiedono la rinuncia di Boluarte, elezioni anticipate e una nuova Costituzione che impedisca l'elezione di un parlamento come quello attuale, sono state combattute a ferro e fuoco dalle cosiddette forze dell'ordine, con abbondante impiego di armi letali e gas lacrimogeni, al punto tale che alcuni elementi conservatori hanno valutato che ciò renderà ancor più combattivo un movimento senza capi visibili, ma determinato. 

La reclamizzata decisione della Procura d’invitare la Boluarte e il premier, Alejandro Otárola, a rispondere sulle morti dei manifestanti, tale è rimasta, pubblicità, giacché viene ostacolata un'inchiesta approfondita, col palese intento di mantenere l’impunità per i capi visibili e colpevoli della violazione dei diritti umani. Né lei, né Otárola saranno processati dall’attuale sistema di Giustizia del Paese. 

 

Ceffone

Non è questione semplice, ma si tratta di un ceffone in pieno viso, quando in poco più di tre mesi al potere, la politica della presidentessa ha causato 66 morti, tra cui dei neonati, dei minorenni, e dei soldati che ricevettero l'ordine dai superiori di attraversare un fiume in piena, così come uomini e donne che non partecipavano alle proteste, oltre che attentati a giornalisti che stavano documentando i cortei.  

In soli 100 giorni ha ricevuto messaggi allarmanti da numerosi organismi dei diritti umani, in una situazione che nessuno sa come andrà a finire, giacché non v’è traccia di elezioni programmate anticipate. 

Inaccettabile è anche la posizione di organi della destra che cercano di conferire validità alla decisione giudiziaria di mantenere in carcere l'ex-presidente Pedro Castillo per tre anni, oltre alla divulgazione delle dichiarazioni di un prestanome chiamato Carlos Barba, secondo cui il presidente gli diede ordine di realizzare attività di spionaggio. 

Certo è che Dina Boluarte - appoggiata pubblicamente dall'Ambasciata degli Stati Uniti e dall'Organizzazione degli Stati Americani - è stata conflittuale fin dall'inizio del suo mandato. Quando assunse la presidenza, assicurò che sarebbe rimasta fino al 2026. Questa sicurezza accrebbe lo sconforto nella maggior parte delle regioni del Perù, che hanno chiesto la sua rinuncia fin dal primo giorno del suo insediamento.  

A ciò si aggiunge il fatto che il Congresso, con un sostegno che è maggioritario e col resto dei deputati che non si fanno sentire, ha respinto ben cinque volte la richiesta di elezioni anticipate, per non perdere privilegi e per essere rappresentanti di partiti insignificanti che sparirebbero con nuove elezioni, oltre a diventare complici di una presidentessa che reprime chi manifesta contro il suo governo. 

Ribadisco: le responsabilità per gli assassinii sono state aggirate a tal punto che nelle indagini che la coinvolgono, non le hanno ancora nemmeno chiesto di deporre, ed il governo insiste nel mentire, sotto gli occhi indifferenti e passivi di tutta la cittadinanza.

 

“Democrazia” scomparsa

Ciò che si conosce come democrazia rappresentativa (non la partecipativa) non compare da nessuna parte con l'attuale regime interino peruviano, che si mantiene ancora al potere, perché senza dubbio vi sono forti interessi che così vogliono, realizzando una politica di logoramento contro le proteste ed evitando di assumere un mandato popolare pericoloso per i propri interessi. 

Per Carmen Erizaber, insegnante del Dipartimento di Scienze Sociali della Pontificia Università Cattolica del Perù, la differenza tra le proteste sociali sorte dal dicembre 2022 e quelle che si svolsero nel 2020, è che ora i manifestanti sono contadini di comunità rurali, non di settori liberali, di Lima, a chiedere il recupero della democrazia. 

Erizaber non crede alla dichiarazione ufficiale sulla diminuzione delle proteste, preferisce riferirsi ad un rapporto dell’Ufficio del Difensore Civico che analizza i tre mesi di governo di Dina Boluarte:  

"In questo periodo abbiamo avuto 1327 proteste. Equivale più o meno a quanto avviene in Perù in un anno intero. Di esse, 153 con atti di violenza, poco più del 10 %… Le proteste si sono man mano estese, non avvengono solo nel Sud andino. Ci sono manifestazioni civiche, simboliche… Con Boluarte il Perù si sta incamminando su una strada molto pericolosa".

 

La verità

Nel suo sforzo per evitare l’emergere della verità sulla morte di sei giovani soldati annegati nel fiume Llave, il Ministero della Difesa ha assicurato che un contingente militare aveva tentato di scappare dall'attacco di una moltitudine d’indigeni aymara, che gli stavano scagliando contro delle pietre. 

Le vittime sono Franz Canoza Cahuana, Álex Quispe Serrano, Elvis Parì Quiso, Elías Lupicia Inquilla, Perry Alex Castillo Pongo e Carlos Quispe Monta lico. Avevano tra i 18 e i 20 anni, e tutti erano aymara. 

Tuttavia il giornalista Liubomir Fernández, del quotidiano conservatore “La Republica”, che si trovava sul posto in quel momento, ha smentito immediatamente le autorità dichiarando che non vi fu alcun attacco né persecuzione, oltre a presentare la versione di uno dei soldati: 

"Il capitano disse: 'Cani, attraversiamo il fiume, o farete le vittime?'. Molti dissero di non saper nuotare (…). Eppure così, dovevamo attraversare. Stavamo col nostro zaino, così, col peso e tutto. Credo che anche per me fu difficile raggiungere la sponda. Il peso dello zaino, l'armamento…", disse precisando le condizioni in cui li forzarono ad attraversare il fiume. 

“Stavamo attraversando afferrati uno all’altro, ma poi ci siamo staccati completamente perché ognuno voleva nuotare. Ognuno cercava di uscirne da solo. Non avrebbe potuto aiutare altri, ormai. Lì abbiamo cominciato a disperare. Eravamo disperati e tutti ci siamo staccati", aggiunse. 

Fernández, oltre a denunciare che è stato montato un falso video per alterare la verità, ha ribadito che fu "una decisione unilaterale quella che li portò ad entrare nel fiume. Nient’altro li spinse. Non avevano di fronte nessuno che li attaccasse in maniera diretta.  Questo è ciò che vedemmo, qualcosa di completamente diverso dal comunicato del Ministero della Difesa". 

La gente delle comunità scese di corsa dalle colline solo quando vide che vari soldati stavano lottando per uscire dalle acque. In quel momento tutti si dedicarono a prestare soccorso. 

I salvati s’identificarono come aymara e, dopo aver riferito la comunità di appartenenza, ricevettero tutto l’aiuto necessario. 

Dopo essersi ripresi, raccontarono ai compaesani che il loro superiore ordinò di attraversare il fiume col proposito di accorciare il percorso per arrivare più in fretta alla caserma di Pachacútec.  

Raccontarono che l'ordine era stato coordinato col comando della caserma e col comando operativo di Puno. Se fossero riusciti ad attraversare il fiume, li avrebbero recuperati con un veicolo per trasporto truppe. Conclusero il racconto affermando che l'uniforme che indossavano non permetteva loro di nuotare. 

La situazione divenne drammatica quando il primo gruppo che riuscì ad attraversare il fiume trascinò a riva il corpo senza vita di Franz Juan Canoza Cahuana (20 anni), figlio di un tenente governatore di Julic. 

Quando si rese conto che i soldati soccorsi ed il primo morto erano figli di aymara, la gente delle comunità scoppiò a piangere. Sembrava loro ingiusto che figli e genitori si scontrassero. 

"Com’è possibile che gli ufficiali ci facciano combattere contro i nostri stessi compaesani? Non può essere!", reclamava una donna mentre prestava ausilio agli scampati. 

Tutte le vittime sono di Puno, pertanto la tragedia ha avuto un forte impatto nella regione dell’altipiano. 

Appreso il fatto, persino l’irascibile giornalista César Hildebrant, che in gioventù era stato di sinistra, ha dichiarato: "Prima sostenevo che Boluarte doveva rinunciare, ora che deve sparire”. 

Redacción Razones de Cuba, 20 marzo 2023

 

Traduzione di Adelina B., Gruppo Patria Grande CIVG

 

Articolo originale: Contra viento y marea sin cesar protestas en Perù

http://razonesdecuba.cu/contra-viento-y-marea-sin-cesar-protestas-en-peru/

 

 


 

 

RESUMEN LATINOAMERICANO (CUBA) / ESTERI / PERU’

Perù, il bimbo di Jicamarca

 

 

Elmir Castillo Cabana, il bimbo di quasi 3 anni provvidenzialmente tratto in salvo dalle acque a Jicamarca lo scorso 15 marzo (1), e "la donna di fango" - Evangelina Chamorro - salvatasi nella stessa zona ed in un frangente simile nel 2017, simboleggiano in qualche modo l'orribile dramma derivante dal sistema di dominazione capitalistica che opprime i peruviani nella sua variante più perversa: il "modello" neoliberista. 

A tale sistema e modello, e ai governi che li hanno amministrati, dobbiamo l'insieme di iniquità che istigano oggi milioni di peruviani, aprendo il corso ad un cambiamento nel Paese. "Quando il fiume risuona, è perché porta pietre" (2) dice il proverbio, con una drammatica analogia con quanto sta avvenendo oggi, ma anche - sul piano dell'interpretazione metaforica - con quanto descrisse in modo premonitore Luis E. Valcárcel (3) in "Tempesta nelle Ande".  

Dobbiamo a tali governi, ad esempio, una struttura di dominazione che ha impoverito milioni di persone, accumulando ricchezze immense in mano a pochi.  Sappiamo che il 3 % dei peruviani situati in cima alla piramide sociale, guadagna quanto tutti gli altri insieme, il 67 % dei quali sono poverissimi; che il 78 % della PEA (popolazione economicamente attiva) ha un lavoro precario o è del tutto disoccupata, per cui è costretta ad inventarsi un "mestiere" come venditore ambulante o taxista, al fine di sopravvivere in condizioni francamente miserevoli; che il 40 % della PEA ha ridotto il proprio tenore di vita nell'ultimo decennio. 

Sappiamo anche che nelle regioni "più ricche" del Paese per la loro immensa attività mineraria, si arriva fino ad un 67 % di peruviani che vivono sotto il livello di povertà; che tra i bambini in Cajamarca, Puno, Huancavelica, Andahuaylas o Cerro de Pasco, l’87 % soffre di denutrizione cronica e ha i polmoni invasi dal piombo. 

Sappiamo che la salute non è un diritto, bensì una merce e che se un cittadino non ha mezzi per pagare i servizi di una clinica privata, patirà il più totale abbandono. Se è "assicurato", dovrà mendicare per vari mesi un appuntamento "per essere visitato"; e se non lo è, il Sistema Sanitario Nazionale lo terrà ugualmente in attesa, ma gli prescriverà - nel frattempo - delle TAC che dovrà pagare all’"ufficio postale all'angolo, perché il Tomografo qui è fuori uso". 

E che neanche l'educazione è un diritto. Che l'analfabetismo esiste; e oltretutto ci sono milioni di persone che sanno leggere, ma non capiscono quel che leggono; ed altri che hanno imparato a leggere, ma sono analfabeti di ritorno, perché non hanno avuto possibilità alcuna di applicare tale abilità, né risorse per continuare gli studi o comprare libri. 

E che il sistema, oltre a mercificare l'educazione, ha denigrato la carriera docente e svilito l’insegnamento stabilendo "Istituti Pedagogici Privati", impegnati a ripartire titoli come fossero volantini; mentre lo Stato sovvenziona le Università Private mediante il sistema delle borse di studio, le riconosce come "accademicamente idonee" e le sgrava tutte dal pagare tasse, affinché si possano intascare il totale degli introiti ottenuti dal loro "servizio educativo", il più lucroso tra gli affari dei nostri tempi. 

Che, in aggiunta, ha moltiplicato la burocrazia a tutti i livelli. Ha creato Ministeri ed enti pubblici a vanvera. Ricordiamo, ad esempio, che quando nel 2017 si scatenarono le piogge, distrussero strade e demolirono abitazioni, la voce di milioni di peruviani si sollevò chiedendo aiuto per ricostruire la vita. L’allora Presidente assunse le richieste e per "andare anche oltre", assicurò che si doveva dare impulso ad una "ricostruzione, ma con dei cambiamenti".  

Questa frase, da prendersi a stento come compiaciuta esternazione per promuovere le opere, diventò un mostro burocratico con migliaia di funzionari e milioni di soles (4) di stanziamento. Oggi, mentre si sta ripetendo la tragedia, sappiamo che non ci furono né ricostruzione, né cambiamenti.    

Nel contempo, è stato moltiplicato di 4 volte il personale amministrativo del Congresso della Repubblica, sicché oggi vi sono circa 4.000 impiegati su un totale di 130 parlamentari, il che equivale a 26 lavoratori per ogni parlamentare. D’altronde parlamentari, ministri ed altri alti funzionari dispongono di privilegi e benefit eccessivi mai visti prima: benefici addizionali, entrate complementari, assicurazioni private, tecnologia di punta e molti altri vantaggi, che hanno creato una "casta governante" parassitaria, superba ed oltretutto inutile. 

Mentre tutto accadeva, i danneggiati dalle attuali inondazioni, hanno saputo che “non ci sono risorse" per comprare motopompe, stanziare fondi, fornire aiuti, perché oggi le risorse si destinano ad altro: ad acquistare tappeti, finanziare buffet, abbellire uffici; o a comprare gas lacrimogeni ed armi antisommossa, quando non a finanziare operativi militari e di polizia come quelli recenti, che hanno già causato una sequela di oltre 70 morti. Ayacucho, Andahuaylas e Puno lo sanno bene e ne hanno fatto il pieno. 

In qualche modo si può dire che i popoli si alimentano anche di simboli. Per questo l'immagine della donna che si alzava dal fango grazie al proprio sforzo, o quella del bimbo restituito alla vita da un temerario e modesto soccorritore devono rimanere negli occhi di tutti.  

Sono l'immagine di una società infranta, distrutta da un regime sociale oppressore che nel mondo, oggi, è in decadenza. Quando crollerà l’infame baracca che lo sostiene contro la volontà di milioni di persone, allora si farà giustizia.

Gustavo Espinoza M.18 marzo 2023

 

Articolo originale: Perù, el niño de Jicamarca

https://www.resumenlatinoamericano.org/2023/03/18/peru-el-nino-de-jicamarca/

 

Traduzione di Adelina B., Gruppo Patria Grande CIVG

 

N.d.t.

 

(1)  Il Perù è stato recentemente colpito dal ciclone Yaku, con piogge torrenziali, inondazioni, frane che hanno causato molte decine di morti, centinaia di feriti, decine di migliaia di persone danneggiate senza più case ed altre infrastrutture essenziali.

(2)  Il senso di questo detto popolare è: “Quando si sentono dei commenti su qualcosa o qualcuno, è perché potrebbero avere qualche fondamento”.

(3)  Luis Eduardo Valcárcel Vizcarra è uno storico ed antropologo peruviano, paladino della valorizzazione della civiltà incaica e rivendicazione della cultura andina. “Tempesta nelle Ande” è una delle sue innumerevoli opere.

(4)  Il sol è la moneta nazionale peruviana.

 

 


 

 

Noticias SER.PE. / INTERNI / ANALISI

Dopo la tragedia, la farsa

 

 

I politici al potere hanno fatto un patto per rimanere il più a lungo possibile, anche se la stragrande maggioranza vuole che se ne vadano. I sondaggi sono molto chiari, e anche il tono dei cittadini nelle loro interazioni con il governo e il Congresso.
Di fronte al rifiuto popolare, i politici al potere hanno deciso di blindarsi a vicenda. I membri del Congresso, salvo alcune onorevoli eccezioni, hanno sempre meno pudore. Sanno che se lasciano il Congresso non avranno più entrate economiche, non mangeranno più prelibatezze e non avranno più influenza politica, né i privilegi che hanno adesso. Per molti, un inserimento interessante nel mondo del lavoro è molto improbabile.

I politici al potere non hanno l’appoggio dei cittadini, ma potrebbero consolidare il sostegno istituzionale. Perché continuare con il confronto tra poteri? Meglio la stabilità. Niente più lotte tra il Congresso e l'Esecutivo. E per evitare sorprese, è meglio includere nell'alleanza l'ultima istanza giudiziaria in materia costituzionale, l'ente deputato alle indagini e alla denuncia dei reati, l'istituzione preposta alla tutela dell'esercizio dei diritti del cittadino e, perché no, anche gli organismi elettorali. Ancora di più: la stabilità sarebbe maggiore se il controllo istituzionale garantisse interessi privati e fosse svolto in collaborazione con i principali media.

Il problema è che questo modello, chiamiamolo “establishment politico contro interesse pubblico” non ha alcuna possibilità di sostenersi. In un'apparizione pubblica in occasione delle inondazioni del nord, Dina Boluarte si è fatta fare una foto molto calcolata a Piura. Come ha scritto Eliana Carlín su Twitter: “Circondata solo dai suoi accoliti, su passerelle dove poteva camminare senza bagnarsi, blocchi che la chiudevano intorno in modo che potesse avanzare senza essere insultata… tutta una farsa. Una pantomima di governo”. Nella foto vediamo Boluarte nel gesto di dare istruzioni a un gruppo di funzionari e autorità, tra cui il sindaco di Piura.

I politici al potere hanno deciso di restare. Per la tribuna tenevano aperta la possibilità di elezioni anticipate, per ogni evenienza. Ma in pratica le trattative sull'anticipo elettorale sono state inevitabilmente rinviate e poi nuovamente annullate. La speranza è che la gente si abitui a questa nuova normalità, con le bugie e gli abusi quotidiani. Così ogni giorno sentiamo notizie che in tempi relativamente normali sarebbero state scandalose: la Corte Costituzionale dà poteri straordinari al Congresso, il Congresso decide che non è necessario interrogare il Presidente del Consiglio sui quasi sessanta morti in tre mesi, il Ministro dell'Interno dichiara ufficialmente al Congresso che non c'è stata repressione a San Marcos, il Procuratore Nazionale non perseguita più il potere e si mostra offeso quando indagano su di lui, ecc.

In questo contesto, i media hanno abbandonato la loro campagna di impeachment e sono molto cauti nelle loro critiche alla presidente e al regime politico. Le dichiarazioni di Shimabukuru, per esempio, sulle donazioni che Boluarte avrebbe ricevuto dopo la campagna, quasi non sono in discussione.
Aggrapparsi a pretesti che sarebbero improponibili in condizioni normali è un comportamento comprensibile. Criticabile, ma almeno coerente con la logica dell'interesse personale a breve termine. Ciò che sorprende è che le élite repubblicane sostengano una situazione così illegittima e così incerta. La nostra disfunzione politica è notizia (e zimbello) mondiale. Economicamente, l'immagine della precarietà attrae capitali più rischiosi e rende più costoso il credito, oltre al fatto che è evidente che il regime non ha la capacità di risolvere i problemi interni di fondo. Perché allora scommettere su una farsa?

Si possono prospettare delle ipotesi: il terrore del "comunismo" è permeato così profondamente che gran parte dell'élite è ancora in condizioni di stress post-traumatico; l'idea che un nuovo ordine  costituzionale proietterebbe un'immagine di ulteriore instabilità; il calcolo che forse il governo alla fine si stabilizzerà e si concretizzeranno importanti opportunità di business.
Forse la risposta alla domanda è più semplice: non abbiamo un'élite repubblicana e ci sono solo interessi predatori in una disputa anarchica.

Juan Luis Dammert B., 14 marzo 2023

 

Articolo originale: Después de la tragedia, la farsa.

https://www.noticiasser.pe/despues-de-la-tragedia-la-farsa

 

Traduzione di Luigi M., Gruppo Patria Grande, CIVG

 


 

 

CUBA/GRANMA/MONDO

Il capitalismo non sarà mai la soluzione ai nostri problemi

 

L'egoismo e l'eccessivo desiderio di profitto riducono il modello all'assurdo

Non sono pochi i dilettanti che, dai social network, preannunciano il meglio di tutti i mondi con il ritorno del capitalismo a Cuba.

La logica è semplice: la liberalizzazione dell'economia che, indipendentemente dal suo costo politico e sociale, prima o poi porterà Cuba al livello del mondo sviluppato.

Un'analisi più seria punta sui grandi paradossi del mondo, ormai globalizzato e "soggetto a regole" che mostrano la loro contraddizione, tra le più significative delle quali si possono segnalare le seguenti:

 

  • L'enorme crescita della ricchezza accompagnata dall'emarginazione di strati crescenti della popolazione all'interno dei Paesi;
  • Paesi e regioni che sono diventati contribuenti di quelli più “sviluppati”;
  • Favolose quantità di denaro circolante, anche se sempre più concentrate in meno Paesi e in meno mani;
  • Movimenti di capitali senza patria, senza bandiera e anche senza proprietari identificati che, alla ricerca di profitti speculativi, sono capaci di far vacillare l'economia di qualunque Paese del mondo;
  • Processo di concentrazione del capitale sempre più accelerato, questa volta su scala planetaria, con la comparsa di mega-fusioni e acquisizioni tra le più grandi aziende del mondo, al punto da renderle più potenti di molti Stati nazionali e anche di intere regioni e continenti;
  • Preferenza per gli investimenti di capitali speculativi rispetto a quelli produttivi;
  • Spreco per alcuni e carenza per i più;
  • Inquinamento e distruzione accelerata dell'ambiente, scomparsa di migliaia di specie a seguito della distruzione dell’habitat e del disastro ecologico in atto, paragonabile solo a quello che fece scomparire dal pianeta i dinosauri, forse come preludio alla nostra estinzione come specie.

 

Questi sono solo alcuni esempi, i più evidenti, perché l’elenco delle contraddizioni tipiche di questo processo senza ritorno è lungo. Secondo quanto ci disse Eduardo Galeano con la sua caratteristica acutezza, “In altri tempi si chiamava capitalismo e ora porta il nome d'arte di economia di mercato”, inquadrando la questione nella lotta tra un ordine vecchio, esclusivo e autodistruttivo, e uno nuovo che non è ancora nato.

Esclusivo perché tutte le informazioni disponibili (comprese quelle degli Stati Uniti, paradigma del sistema, e perfino della UE e del suo “welfare state”) indicano che, negli ormai celebri “Paesi emergenti”, la redistribuzione del reddito esclude sempre più i lavoratori.

Esclusivo anche perché i lavoratori esclusi entrano a far parte del cosiddetto settore sommerso dell'economia che, ad esempio in America Latina, rappresenta più del 50% del totale e che, di norma, non ha tra l’altro l'accesso ai moderni sistemi produttivi né a all'istruzione, alla sanità e alla sicurezza sociale, un fatto che li condanna a una vita ai margini e senza possibilità di ascesa sociale.

Per quanto riguarda i salariati, a parte le  poche eccezioni, la situazione non è molto migliore.

Basta ricordare il dilemma che sistematicamente devono affrontare: l'occupazione con sempre meno garanzie o l'orrore della definitiva perdita di qualsiasi occupazione.

È superfluo menzionare gli effetti che questo dilemma ha sulle condizioni e sulla qualità del lavoro, sebbene sia opportuno rimandare i lettori alle teorie di Marx riguardo alle funzioni di quello che chiamava l'esercito di riserva industriale. il suo effetto deprimente sui salari.

Ma il sistema, oltre ad essere esclusivo, è emarginante, perché il trasferimento complessivo di ricchezza dai Paesi della cosiddetta Periferia a quelli del Centro è più che quintuplicato negli ultimi decenni, così come il debito che ha reso il tanto atteso sviluppo nei Paesi periferici una chimera.

Allo stesso tempo, il sistema riduce questi Paesi alla condizione di consumatori di ciò che si produce nel Centro, e quindi incide sulla rigenerazione del tessuto sociale nel suo complesso.

Ma i consumatori si riducono, in termini assoluti e/o relativi, perché diminuiscono nei diversi Paesi a causa della manodopera a costi sempre più bassi e della diminuzione del numero dei lavoratori, e quindi si riducono le possibilità di crescita economica nei paesi del sistema contribuente.

A ciò si aggiungono i progressi della scienza e della tecnologia: la cosiddetta “quarta rivoluzione industriale” che riduce straordinariamente l'orario di lavoro e, quindi, dovrebbe giovare all'uomo, riducendone l'attività lavorativa, ma al contrario non fa altro che esacerbare le condizioni di sfruttamento tipiche del capitalismo. In pratica, aumenta l’orario di lavoro e dà anche origine a nuove malattie, come il "superlavoro", il famoso Karoshi giapponese, o il diffusissimo multi-lavoro, che quasi sempre porta al frequente stress.

Il dato è eloquente e si esprime nell'aumento delle “ore straordinarie” e, parallelamente, anche nella diminuzione dei consumi per effetto della riduzione del tempo libero. L'egoismo e l'eccessivo desiderio di profitto riducono il modello a livelli assurdi. L'esasperazione della ineguale distribuzione del reddito, in altri tempi era chiamato sfruttamento: diminuzione della capacità di consumo da parte delle grandi masse della popolazione e, con essa, riduzione della stessa capacità produttiva del sistema. Anche la capacità di produrre profitti con il consumo di beni di lusso e superflui, tipico dei settori a più alto reddito, non può sostituire quello di beni di largo consumo.

La riduzione dei costi, anche a scapito della tutela dell'ambiente, mette in pericolo anche il nostro stesso habitat senza che le Nazioni Unite o nessuna delle sue agenzie specializzate possano porvi rimedio e fermare la depredazione dell'ecosistema perché prive dei mezzi per imporlo.

Ci sono stati momenti in cui almeno nei loro trattati, alcuni dei teorici del capitalismo si sono preoccupati non solo di garantire i profitti dei capitalisti, ma anche la validità e la conservazione del capitalismo. Oggi, invece, l’orizzonte sembra arrivi solo a domani, e la storia del capitalismo assomiglia sempre di più alla favola della rana e dello scorpione che ci raccontò Orson Welles nel suo film Mister Arkadin: lo scorpione non poteva pungere la rana mentre attraversava il fiume, perché la rana sarebbe morta e lui sarebbe annegato, ma l'istinto era più forte della logica ed entrambi se ne resero conto quando la rana morì per la puntura e l'assassino morì, accanto a lei, annegato mentre attraversava il fiume.

Jorge Casals Llano e GM per Granma Internacional, 6 marzo 2023

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ANALISI / TERRORISMO

Il terrorismo e i paradossi del neolinguaggio dell’impero

 

 


È curioso che quando attaccano Cuba, gli aggressori

sono considerati «combattenti per la libertà». Foto: Prensa Latina

 

Le autorità della città di Atlanta, negli Stati Uniti, hanno accusato di terrorismo 23 manifestanti che hanno lanciato pietre e bombe Molotov contro le forze dell’ordine della città. Come risulta dalle cronache, durante i disordini sono state arrestate in totale 35 persone, e 23 sono state accusate d’aver commesso azioni di terrorismo, un’imputazione che secondo il capo della polizia locale, Darin Schierbaum, riflette la natura «molto violenta» della loro azione.

In una successiva conferenza stampa, il funzionario ha accusato gli arrestati d’essere “destabilizzatori”, aggiungendo che “quando si tirano bombe Molotov, pietre, mattoni e oggetti pericolosi agli agenti, non si può che essere chiamati così”.

I 23 protestavano con determinazione contro la costruzione di un centro di addestramento della polizia in una zona verde. Le autorità sostengono che gli “agitatori”» si sono avvicinati agli agenti presenti nella zona e hanno sferrato un attacco coordinato”, riporta Russia Today.

È curioso che, al di là delle ragioni che potrebbero avere o meno i manifestanti statunitensi, quando fatti come questi accadono lì, si trovano tutti gli argomenti del mondo per condannare l’uso della violenza, e i responsabili dei disordini sono etichettati come terroristi. A Cuba, invece, quando gruppi violenti organizzati, fagocitati e pagati dagli Stati Uniti distruggono infrastrutture e saccheggiano negozi, lanciano Molotov e pietre, appiccano incendi, picchiano e minacciano di morte, per Washington sono “manifestanti pacifici”.

La Casa Bianca ha definito “combattenti per la libertà” i terroristi di Alpha66, Omega7, Coru, Comandos 1, etc., colpevoli di molteplici crimini contro il popolo cubano, così come oggi sono definiti quelli che aizzano alla guerra e finanziano le azioni violente contro l’Isola.

È lunga la lista delle organizzazioni e degli individui finanziati dal Governo statunitense responsabili di seminare la morte nell’Isola grande delle Antille, mentre Cuba, che contrasta il flagello del terrorismo con una condotta esemplare, è collocata nella lista nera perché considerata Paese patrocinatore.

Forse quello che caratterizza il reato è il luogo dove viene attuato? Stabilire se si sia vittime o carnefici è un criterio che spetta esclusivamente a Washington?

È il paradosso dei tempi che viviamo: il neo linguaggio dell’impero definisce a suo arbitrio chi sono i buoni  chi i cattivi, chi sono i pacifici manifestanti e chi i terroristi violenti.

Raúl Antonio e GM per Granma Internacional, 7 marzo 2023

 


 

GRANMA (CUBA) / INTERNI / ELEZIONI

Un voto per la nostra identità e sovranità

 

 

Per una nazione come quella cubana, segnata dalla sua storia e dalla difesa della sua sovranità di fronte alle più avverse tempeste, le elezioni dei rappresentanti del popolo nell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare è un impegno con il quale si difende anche l’identità di tutto un Paese.

Non può essere diversamente in una Rivoluzione che ha come bandiera l’unità e la partecipazione popolare, chiave strategica per perfezionare l‘operato del governo con l’obiettivo di formare una società più prospera e sostenibile.

Per questo, quando a Cuba si parla della preparazione delle elezioni politiche, nessuno pensa a campagne politiche o promesse vane per il popolo. Si pensa, invece, a come i deputati – con la enorme responsabilità di portavoce degli elettori – svolgeranno nel Parlamento il loro compito di affrontare i problemi, le necessità e le aspirazioni dei cubani.

Si sa, come ha detto il Presidente Miguel Díaz-Canel, che la X Legislatura non sarà un’Assemblea Nazionale nella quale i deputati riusciranno a risolvere tutti i problemi: “Questi si risolveranno con l’impegno dei deputati per il popolo, perché il popolo è il principale protagonista. Noi andremo in questa Assemblea a rappresentare il popolo”.

È proprio qui che radica la fiducia di coloro che, nella Maggiore delle Antille, sanno che, per difendere questo processo civico e democratico, le elezioni sono il miglior modo per proteggere le garanzie che la Rivoluzione ha costruito nei suoi sei decenni d’esistenza: l’assistenza medica in tutti gli angoli del paese, anche i più inaccessibili; le scuole e l’università aperte senza discriminazioni a tutti i bambini e ai giovani; l’accesso allo sport, alla scienza, alla cultura e a qualsiasi altro campo della conoscenza; la creatività non esclusiva per ristrette cupole privilegiate.

Questi fondamenti proteggono il nostro processo elettorale, il quale ha un carattere unico che rende possibile ciò che in molti Paesi continua ad essere utopia: candidati non nominati da un partito, ma uomini e donne del popolo, cioè contadini, scienziati, studenti, dirigenti di base; oppure leaders comunitari il cui impegno più importante è la dedizione e l’integrità.

Con questa certezza, il popolo che elegge i suoi rappresentanti continua a costruire il Paese al quale aspira: il 26 marzo andrà alle urne e queste, alla fine, esprimeranno un voto che rafforzerà la nostra identità e la nostra sovranità.

Mailenys Oliva Ferrales e GM per Granma Internacional, 7 marzo 2023

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / COLOMBIA

Cuba ospiterà il terzo ciclo di conversazioni tra il Governo della Colombia e l’Esercito di Liberazione Nazionale

 

  

Il Governo di Cuba ha accettato la richiesta ufficiale del Governo della Repubblica della Colombia e dell’Esercito di Liberazione Nazionale di celebrare all’Avana il Terzo Ciclo del Tavolo dei Dialoghi di Pace tra le due parti.

«Il nostro Governo si onora d’accettare la richiesta ufficiale del Governo della Repubblica della Colombia e dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) e contribuire così a realizzare la tanto desiderata pace per la fraterna nazione». Lo ha scritto il Presidente della Repubblica Miguel Díaz-Canel su Twitter, riaffermando così la disponibilità dell’Isola a continuare come garante e sede alternativa del Tavolo dei Dialoghi di Pace, accordato in una riunione con il ministro delle Relazioni  Estere e la Pace della Colombia, Álvaro Leyva Durán, l’alto commissario per la Pace della Colombia, Iván Danilo Rueda Rodríguez, e il Comandante Pablo Beltrán per l’ELN.

In  un comunicato, le delegazioni di pace del Governo colombiano e dell’ELN, hanno ringraziato profondamente il Governo cubano e il suo popolo per «la disponibilità senza condizioni e l’appoggio fondamentale che, da quattro decenni, hanno offerto agli sforzi per la costruzione della pace». Il documento prosegue: «l’impegno  permanente e neutrale con la riconciliazione dei colombiani  dimostra, contro qualsiasi notizia che mira a metterlo in dubbio, che Cuba è un faro di speranza e di pace per il resto del continente. Il suo popolo e il suo Governo hanno pagato un alto costo per questo impegno, ed è stato ingiustamente inserito nella lista dei paesi patrocinatori del terrorismo per  aver rispettato gli accordi del processo di pace che oggi ci chiama. La Colombia riconosce e apprezza questo sacrificio».

Redazione Granma e GM per Granma Internacional, 8 marzo 2023

 

 


 

 

GRANMA (CUBA) / STORIA / IL SEQUESTRO DI FANGIO

Più che un sequestro, una detenzione patriottica

 


Juan Manuel Fangio mostrò ammirazione per la causa del movimento rivoluzionario cubano nel decennio degli anni ’50 del secolo scorso. Foto: Archivio Granma

 

Sono passati 65 anni da quella notte del 23 febbraio del 1958 nella quale i membri del Movimento 26 Luglio sequestrarono Juan Manuel Fangio. Il  pilota argentino aveva appena vinto per la quinta volta il titolo mondiale di Formula 1 ed era nel punto più alto della sua carriera.

Il Chueco, come lo si conosceva, era arrivato all’Avana invitato alla seconda edizione del Gran Premio di Cuba senza sapere che il M-26-7 lo avrebbe preso in ostaggio.

Negli anni ‘50, il dittatore cubano Fulgencio Batista aveva visto la Formula 1 come un affare e aveva deciso di creare il Gran Premio di Cuba a fini squisitamente propagandistici, per dare lustro alla sua dittatura.

Il  25 febbraio del 1957 si celebrò la prima edizione del Gran Premio di Cuba e fu un grande successo. Strategicamente, Batista invitò Juan Manuel Fangio, all’epoca non solo una celebrità della F1, ma anche riferimento latino americano. Com’era previsto, l’argentino vinse la gara sulle strade dell’Avana con la  sua Maserati. Il giorno dopo, in tutte le prime pagine dei giornali si vedeva l’immagine di Batista che consegnava la coppa al pilota.

L’anno successivo, l’impopolarità di Fulgencio Batista cresceva ed era necessario dar vita al Secondo Gran Premio di Cuba per migliorare la sua immagine. Per quella edizione, Batista invitò i più famosi  piloti: Stirling Moss, Masten Gregory, Harry Schell e, ovviamente  Juan Manuel Fangio. 

Senza dubbio, Batista non prevedeva che il Movimento 26 Luglio gli avrebbe rubato non solo la propaganda, ma anche il fiammante campione.

In quegli anni il giovane Fidel Castro Ruz era il leader del M-26-7 che aveva come principale obiettivo la lotta contro il regime di Batista. Il Gran Premio di Cuba era un’opportunità perfetta per denunciare e rendere visibile agli occhi del mondo la realtà cubana. Il  proposito era dimostrare che il dittatore era incapace di garantire la sicurezza in un evento importante come un Gran Premio di Formula 1.

«Il sequestro di Fangio era mirato a far saltare la gara e sabotare il tentativo propagandistico di Batista», affermò Arnol Rodríguez, artefice fondamentale di quei fatti, nel suo articolo “¿Cómo y por qué secuestramos a Fangio?”, pubblicato il 21 febbraio 1982, sul quotidiano Juventud Rebelde.

Rodríguez racconta che quando mancavano cinque minuti alle nove di sera, Manuel Uziel apparve nel lobby dell’hotel Lincoln, puntó un’arma contro il pilota e gli chiese con calma di seguirlo. Senza pensarci due volte, Fangio lo seguì.

Fuori dall’hotel, salirono in una macchina e El Chueco gli disse che se era per una buona causa, era disposto a fare quello che chiedevano. Gli dissero più volte che il sequestro non era un fatto personale, né si intendeva provocargli danni: tutto quello che si voleva era offuscare l’immagine di Batista. Non furono usate violenze né coercizioni.

Dopo alcuni giri per le strade della capitale, giunsero al Vedado, nel centro della città. In una casa gli avevano preparato la cena e un comodo letto dove trascorrere la sua unica notte da ostaggio. Fangio non si oppose mai al suo sequestro, e l’unica condizione che gli imposero fu di non farsi vedere fino alla fine della gara.

In una dichiarazione rilasciata alla stampa cubana, Fangio disse che non provava rancore contro i suoi sequestratori. Durante le 26 ore nelle quali restò sotto la custodia del M-26-7, ricevette un trattamento molto cortese e cordiale, come confermò lo stesso Fangio in un messaggio manoscritto ai suoi sequestratori.

Nel 1981, 23 anni dopo il suo sequestro, accettò l’invito di Faustino Pérez e dello stesso Arnol Rodríguez di visitare l’Isola. In quell’occasione conobbe Fidel, che lo ricevette con onori e ancora una volta gli chiese scusa per i fatti avvenuti nel 1958.

In  definitiva, il Grand Prix di Cuba, edizione 1958, fu un fallimento totale per Batista. Come se il sequestro di Fangio non fosse stato sufficiente, un incidente durante la gara provocò la morte di alcuni spettatori e un totale di 40 feriti. Il piano di Fidel riuscì alla perfezione e non la gara non fu solo oscurata, ma contribuì a dare risonanza mondiale alle cause del movimento rivoluzionario.

Ancora oggi, la stanza 810 dell’hotel Lincoln è dedicata al pilota argentino.

Miguel Manuel Lazo e GM per Granma Internacional, 22 marzo 2023

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / GIANNI MINA’

Il presidente cubano piange la morte di Gianni Minà

 

 

Il presidente cubano Miguel Díaz-Canel ha espresso lunedì 27 le sue condoglianze per la morte del noto giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano Gianni Minà.

Sul suo account Twitter, il presidente ha affermato che il suo Paese ha ricevuto con profonda tristezza la notizia della morte di Minà, a 84 anni, e lo ha definito come un grande intellettuale e un indimenticabile amico: “Le sue preziose interviste a Fidel Castro e la sua lotta per la giustizia gli avevano fatto  conquistare l’ammirazione e l’affetto dei cubani. Le nostre condoglianze vadano a tutta la famiglia e agli amici”, ha aggiunto Miguel Diaz-Canel.

Gianni Minà aveva cominciato la sua carriera come giornalista sportivo nel 1959 a Tuttosport, che poi diresse dal 1996 al 1998, e nel 1960 debuttò alla RAI collaborando alla creazione di reportage sportivi sui Giochi Olimpici di Roma.

Dal 1965 lavorò a documentari e inchieste per numerosi programmi e nel 1981 vinse il Premio San Vincent come miglior giornalista televisivo dell’anno. Ha realizzato 60 documentari con i quali ha vinto vari premi, e nel 1987 divenne famoso a livello mondiale per una memorabile intervista di 16 ore al leader storico della Rivoluzione cubana Fidel Castro, che poi ispirò un libro che pubblicò in varie lingue in tutto il mondo.

Parlando dell’Isola grande delle Antille, in un’occasione disse: «Cuba è un esempio per il mondo, per me rappresenta la realizzazione dell’utopia, ancora sottoposta a un blocco che dura da più di 50 anni».

Spiccano nella sua ampia opera come scrittore, giornalista e documentarista, il saggio Continente desaparecido, libri come Un incontro con Fidel, Il Papa e Fidel, Un mondo migliore è possibile, Il continente scomparso è riapparso, Politicamente scorretto, Un giornalista fuori dal coro.

Inoltre, il documentario Maradona: non sarò mai un uomo comune (2001), e altri dedicati a figure come Michel Platini, Ronaldo, Edwin Moses, Pietro Mennea e Cassius Clay-Muhammad Ali. Dedicò anche un documentario a Rigoberta Menchú.

 

Prensa Latina e GM per Granma Internacional, 30 marzo 2023