Notiziario Patria Grande - Gennaio 2023

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NOTIZIARIO GENNAIO 2023

 

 

 

COMITATO BERTA VIVE

Comunicato sulla crisi nella Valle del Aguán

 

ALAI INFO / LATINOAMERICA / LA NUOVA ONDATA DI GOLPE

Golpe reale e caricatura di golpe: una intervista a Hector Bejar

 

CIVG - Patria Grande / LATINOAMERICA / CELAC

La doppia CELAC latinoamericana

 

RESUMEN LATINOAMERICANO (CUBA) / ESTERI / CELAC

Gigantesco corteo delle organizzazioni della CELAC Sociale

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / BRASILE

Lula eredita un Brasile in difficoltà

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / BRASILE

Jair Bolsonaro e il remake del colpo fallito

 

CIVG / PERU’ / PROTESTE POPOLARI

Perù, manifestazioni contro il governo fantoccio di Dina Boluarte

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / CUBA PRESIEDE IL G77

Cuba Presidente del G77 + Cina dal 12 gennaio

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / ANA BELEN

Ana Belén Montes libera dalla detenzione nelle carceri degli Stati Uniti

 

GRANMA (CUBA) / ANALISI / SINISTRA LATINOAMERICANA

Riflessione, allerta e speranza

 


 

COMITATO BERTA VIVE

Comunicato sulla crisi nella Valle del Aguán

 

 

Il Comitato Berta Vive condanna l’uccisione del lider contadino Omar Cruz Tomé avvenuta il 19 gennaio nella Valle del Aguan, Honduras, condivide le preoccupazioni espresse dal Copinh nel suo comunicato del 20 gennaio ed esprime la propria solidarietà alle cooperative ed organizzazioni contadine riunite nella Piattaforma Agraria dell’Aguan.

I passi avanti compiuti dal governo di Xiomara Castro in molti campi sono innegabili, ma non sono riusciti ancora a dare una risposta soddisfacente alla difficile situazione del Bajo Aguan dove nelle ultime settimane, oltre a Cruz Tomè, sono stati uccisi altri due difensori della terra e dell'ambiente nella zona di Guapinol, Aly Domínguez e Jairo Bonilla, a causa del perdurare della connivenza tra poteri economici, espansione della monocoltura estensiva di palma africana, Forze armate e polizia.

Riteniamo fondamentale che il Governo rispetti gli accordi firmati lo scorso anno con le cooperative contadine, assicuri alla giustizia i responsabili materiali e intellettuali di questi crimini, acceleri l’attuazione di una Riforma agraria integrale, facilitando così l’accesso alla terra e ai mezzi di produzione a migliaia di famiglie contadine, garantendo così giustizia sociale in una delle zone del paese che più hanno sofferto negli anni bui successivi al colpo di stato civico-militare del 2009.

A fianco della lotta contadina

 

Comitato Berta Vive Milano, 24 gennaio 2023

 


 

 

ALAI INFO / LATINOAMERICA / LA NUOVA ONDATA DI GOLPE

Golpe reale e caricatura di golpe: una intervista a Hector Bejar

di Lautaro Rivara, 3 gennaio 2023


Con i suoi 60 anni di esperienza da protagonista nella politica peruviana, Hector Béjar analizza in questa intervista esclusiva il contesto ed i motivi del golpe, e fornisce una visione panoramica di un paese intrappolato tra realtà e finzione.

 

 

Dina Boluarte dopo il giuramento. Foto: Presidenza del Perú

 

 

Il lento balzo del presidente a cavallo
Il cavallo imbizzarrito che seppe montare a Tacabamba “il profe” Pedro Castillo, per questo quindi candidato alla presidenza, finì per non essere più metafora né di velocità né di bravura. Con il lento balzo ed il passo incerto, il suo governo decise, dal primo momento, la strategia del rinculo. Un passo indietro e l’altro pure. Moderare per contenere. Offrire un programma per la governabilità ad una opposizione sediziosa e insaziabile. Il più inaspettato dei governi della cosiddetta “seconda ondata progressista” è dunque durato appena 15 mesi.
Tuttavia, bisogna riconoscere che le condizioni per l’esercizio del suo governo non potevano essere più ostili, a partire dal suo magro successo su Keiko Fujimori per appena 44000 voti al ballottaggio. Lo stesso presidente restò quasi subito senza partito, per essersene allontanato volontariamente o per essere stato abbandonato da alcuni dei suoi, mentre il fuoco amico tra “settari” e “radical chic” terminò con la frattura dei due blocchi parlamentari. Inoltre, una elevata rotazione dei funzionari e svariati scandali e denunce trasformarono molti ministri in parafulmine, interrompendo l’azione politica dell’esecutivo. Si possono aggiungere inoltre le condizioni economiche avverse generali causate dalla guerra in Ucraina, ed anche le proteste nella regione da parte degli appartenenti al settore dei trasporti e degli altri soggetti che costituivano a priori la sua naturale base sociale.

A ciò bisogna aggiungere le manovre occulte del Parlamento: a partire dal catenaccio parlamentare alle proposte di riforma sulla salute e la educazione, fino alle mozioni di impeachment ed alle denunce per presunto tradimento alla patria intraprese contro Castillo. In sostanza, il suo governo suscitò molte speranze, diverse difficoltà, nel ricordo ancora vivo della disillusione causata dalla presidenza di Ollanta Humala, che fece intravvedere ma non arrivò a diventare una specie di Hugo Chávez creolo.
Parliamo con Héctor Béjar Rivera a proposito della sua analisi sul governo di cui fece parte per un brevissimo periodo, nella funzione di Ministro degli Esteri. Ma la esperienza politica di Béjar è stata tutt’altro che breve. Nel corso di 60 anni ebbe un ruolo da protagonista nella politica peruviana, a partire da quella politico-militare che percorse nel Movimento di Sinistra Rivoluzionaria (MIR – Movimiento de Izquierda Revolucionaria) e nel peruviano Esercito di Liberazione Nazionale, fino alla sua partecipazione istituzionale nel governo di Velasco Alvarado e nella sua politica di riforma agraria, così come nella Assemblea Costituente dell’anno 1978. Altrettanto nutrita è stata la sua vita intellettuale, a partire dalla creazione del Centro di Sviluppo e Partecipazione (CEDEP – Centro de Desarrollo y Partecipación), fino alla pubblicazione di numerosi articoli, lavori e libri, alcuni di essi, autentici classici della storia e della sociologia peruviane. In questa conversazione facciamo quindi appello alla sua vasta esperienza.

- Alai info: Tutto sembrava indicare che la riforma costituente veniva richiesta con un ampio appoggio popolare. Perché quella bandiera venne ammainata non appena Castillo arrivò al potere?

- Hector Bejar:La questione della riforma costituente è stata posta, e le mobilitazioni continuano a chiederla. Ho sempre sostenuto che si doveva parlare di una assemblea costituente ma di un processo costituente, perché nelle condizioni attuali, una assemblea risponderebbe al parlamento. Correremo inoltre il rischio che un’assemblea formata in maniera affrettata in questa situazione di precarietà politica che attraversa il Perù potrebbe persino essere peggiore dell’attuale Congresso, dando origine ad una Costituzione addirittura più arretrata di quella del 1993, creata dalla dittatura di Alberto Fujimori.
Ciò che si deve fare quindi è un processo costituente, un’opera di educazione e diffusione nelle comunità rurali e urbane, a partire dalla base. E, partendo dalle intense lotte popolari in corso in Perù – che si stanno attualmente intensificando -, contribuisca a dare alla luce una costituzione che non sia frutto dell’azione di persone dubbie e neppure strumento delle mafie.

 


Héctor Béjar Rivera durante su asunción como Ministro de Relaciones Exteriores del Perú.

 

 

- A.I.: E che ne fu della riforma che il presidente annunciò in pompa magna?

- H.B.: La riforma non ebbe luogo. Non fu altro che uno strumento pubblicitario. Ci fù persino chi volle paragonarla a quella realizzata da Velasco Alvarado, ma ciò è ridicolo.

- A.I.: Perché alcune sue vecchie dichiarazioni generarono un tale livello di virulenza nella opposizione? Cosa portò a quelle sue dimissioni, così affrettate, da Ministro?

- H.B.: In Perù non c’è la destra: c’è la mafia. Al momento della mia nomina a Primo Ministro le mafie unite ad alcuni partiti politici reagirono con rabbiosamente e ciò li portò a cercare qualsiasi pretesto per ottenere le mie dimissioni. Utilizzarono la scusa di due mie vecchie dichiarazioni nelle quali affermavo due cose: che i primi atti terroristici in Perù furono opera della Marina nel 1974 e che l’esercito ebbe a che fare con alcuni atti da parte di [la guerriglia di] Sendero [Luminoso]. Secondo essi questo è stato un insulto alle forze armate. Minacciarono dii porre in atto un colpo di stato e quindi il governo, che allora era in carica da appena 19 giorni, vacillò.
Però è la Marina stessa che ammette quei fatti, nel pubblicare un libro in omaggio a coloro che, all’interno delle istituzioni, furono protagonisti di questi atti di terrorismo contro il Generale Velasco. Questi fatti possono essere verificati semplicemente leggendo i giornali di quel periodo. Ciò accadeva nel 1974, molto prima della nascita di Sendero, che operò dal 1980 e fino al 1992. Durante questi 12 anni, i servizi segreti dell’Esercito non sono forse riusciti ad infiltrarsi nella organizzazione? Erano tanto inefficienti? E’ ovvio che per infiltrarsi in una organizzazione terrorista sia necessario praticare il terrorismo, queste sono le loro regole. Questo può capirlo chiunque, non è necessario essere uno studioso e neppure uno specialista.
Come risultato della pressione da parte delle forze armate, non mi fu quindi possibile accedere al Congresso. Probabilmente Castillo ed i suoi collaboratori più stretti avranno pensato che ciò avrebbe aggravato la situazione. Se la mia presenza avrebbe messo in pericolo il governo risultava quindi preferibile che mi togliessi di mezzo. E questo fu ciò che feci con le mie dimissioni.

Le cloache profonde

Gli ultimi anni della politica peruviana sembrano aver messo in chiaro qualcos’altro: la struttura politica è marcia. Sei presidenti in sette anni, il drammatico suicido di un ex presidente, un potere giudiziale che come il cane dell’ortolano.: non governa e non lascia governare [N.d.t.: “essere come il cane dell’ortolano, che non mangia e non lo permette agli altri” ; il cane non è un animale vegetariano che non mangia le verdure dell’orto del suo padrone e non le lascia mangiare agli altri animali]. Un nome onnipresente, che è transitato dalla democrazia al governo di fatto, riciclandosi quindi nuovamente sotto un precario stato di diritto: il fujimorismo, un mostro con molte teste e partiti che ha caratterizzato gli ultimi 30 anni della politica creola. Una Costituzione, di natura indecente, che tutela e blinda ciò che veramente conta: il modello economico neoliberale che a quanto pare è intoccabile. Queste sono alcune delle cloache profonde che attraversano lo Stato peruviano.
- A.I.: Da settimane circolano notizie contrastanti a proposito del sistema politico nel paese. La destra afferma che il Perù dimostra il fallimento del presidenzialismo in America Latina, mentre in altri ambiti si sostiene il Perù evidenzia i problemi cronici di un parlamento con poteri e prerogative inconcepibili in altri paesi formalmente presidenzialisti. Qual è la sua analisi della tensione esistente nel rapporto tra il potere esecutivo e quello legislativo, e che tipo di riforma politica lei immagina potrebbe risolvere questo problema di fondo?
- H.B.: Sta di fatto che la Costituzione del 1993 è il cattivo frutto di un Colpo di Stato funesto, e della aggrovigliata negoziazione del signor Fujimori – presidente di fatto a quei tempi – con la OEA (Organización de los Estados Americanos – OAS Organizzation of American States) e la comunità internazionale, che produsse un testo legale carico di toppe, con elementi del presidenzialismo di fatto di Fujimori, che voleva – ed alla fine riuscì nel suo intento – perpetuare il suo potere.

D’altro canto la pressione internazionale introdusse alcuni elementi interessanti, come per esempio il difensore civico, l’habeas data, il tribunale delle garanzie costituzionali – ora Tribunale Costituzionale – etc. Però a questo punto è chiaro che quella Costituzione non serve a niente. Quella può contare anche su un famoso capitolo economico che protegge e rende invulnerabile gli investimenti stranieri, esonerati dalle tasse, in Perù. Questa costituzione è un meccanismo che non funziona più. La discussione a proposito dei diritti umani, per esempio, ha fatto passi da gigante dal 1993 ad oggi: alcuni diritti umani che sono stati introdotti in altre legislazioni in America Latina e nel mondo, semplicemente in Perù non esistono.

Tutto ciò è quanto è necessario spiegare, dobbiamo lavorare con le basi popolari del paese. Il fatto è che questa Costituzione, già rattoppata nel 1993, continua ad essere rattoppata. Ed è stato questo Congresso, che presumibilmente non vuole che venga toccata la Carta Magna, quello che ha operato più di 30 modifiche di cui i peruviani non sono a conoscenza. Alcune di queste modifiche hanno revocato diritti prima esistenti, come per esempio il diritto al referendum.

- A.I.: Che succede in merito alla giudiziarizzazione della politica? Solo nelle ultime elezioni, 10 delle 18 candidature presidenziali avevano un processo giudiziario in corso. Ciò che osserviamo in Perù è una peculiarità locale o può essere considerato un capitolo nazionale di una strategia regionale di applicazione del lawfare?
-H.B.: Sono presenti entrambe le situazioni. Dopo il governo di Velasco le forze armate peruviane furono denazionalizzate e persero in qualità: la loro formazione non è più quella di una volta, non solo dal punto di vista strettamente militare, ma anche per quanto riguarda la loro cultura nazionale e generale. La corruzione è penetrata nell’Esercito ma anche nella polizia. Tuttavia, sanno che non possono dar luogo direttamente ad un colpo di Stato: non c’è una situazione propizia né in America Latina e neppure nel mondo che lo possa consentire. Però come tutti sanno, le modalità di un golpe sono via via cambiate. Oggi abbiamo in Perù un “PM”, un partito dei media, molto attivo oltre che monopolistico e concentrato. Un “PF” il partito della procura (partido de la fiscalía). Ed un “PJ” partito del potere giudiziale (partido del poder judicial). Questi tre partiti, assieme al Congresso, sono i quattro grandi attori che governano il Perù, con alle spalle i grandi capitali locali e stranieri.
Quella trama di poteri ha fatto si che Castillo sia molestato, stigmatizzato, perseguito, accusato di cinquemila cose, da prima che diventasse presidente, che non significa che Castillo sia un leader popolare pulito, puro, né niente di simile. Castillo, secondo me, è un personaggio che necessiterebbe una analisi molto più approfondita. Ma allo stesso tempo dico anche che ciò che si sta facendo contro di lui è un abuso ed è assolutamente illegale. Il fatto è che la procura ed il potere della nazione si potranno concedere il lusso di imprigionarlo sotto “detenzione preventiva” per tre anni. Siamo arrivati ad un livello di politicizzazione della giustizia tale che anche lei può essere imprigionato ed il giudice può impiegare tre anni per accertare se Lei è colpevole o no di qualche delitto.

 

Tutti i golpe un golpe solo?

Come già successe nella drammatica situazione che culminò con il colpo di Stato in Bolivia del 2019, gli ultimi avvenimenti peruviani suscitarono molteplici ipotesi e teorie da parte degli analisti, operatori e opinionisti che si trovano in queste generose terre sudamericane. Grosso modo, queste interpretazioni contrastanti (più che mere teorie, strumenti decisivi per l’azione - o l’inerzia – politica) si suddividono in tre grandi gruppi. La prima prospettiva è quella di coloro che definiscono ciò che accadde come un autogolpe perpetrato dallo stesso Pedro Castillo, seguito dalla restaurazione della normalità democratica con la assunzione nella linea di successione costituzionale di colei che ha appena prestato giuramento come presidente, Dina Boluarte. Non sono mancati neppure coloro che hanno osato paragonare Castillo con Fujimori.

Un secondo punto di vista rileva l’esistenza di “due colpi di stato”, interpretando come interruzione democratiche tanto il discorso di Pedro Castillo del 7 dicembre ed altrettanto la sua destituzione per via parlamentare e la successiva assegnazione della carica a Boluarte, qui considerata una presidente di fatto o illegittima. Questa teoria è parente stretta con quella che parlava di “due conservatorismi” e invitava a non partecipare al decisivo ballottaggio tra Keiko Fujimori – figlia dell’ex dittatore – e lo stesso candidato per Perù Libero dell’8 giugno 2021. Diversi media “progressisti” diedero eco ad entrambe le ipotesi sia in Perù che nel resto del mondo.

La terza interpretazione sottolinea l’esistenza di un solo Colpo di stato, consumato per via parlamentare con il successo della mozione di impeachment, dopo i due precedenti tentativi infruttuosi, di dichiarare a carico dell’allora presidente la permanente incapacità morale. Tale Golpe, da questo punto di vista, segue un chiaro modello regionale visti i precedenti come il golpe parlamentare a Fernando Lugo in Paraguay e a Dilma Rousseff in Brasile.

- A.I.: Riassumiamo i fatti: C’è stato un golpe? O sono stati due? Ad opera di chi?

- H.B.: Io credo esista un golpe vero ed una caricatura di golpe. La caricatura di golpe è da far risalire allo stesso Signor Castillo. Fino ad ora egli non ha raccontato ciò che accadde, e nessuno può quindi esserne certo. Di sicuro abbiamo assistito ai seguenti fatti: il presidente, senza alcun precedente annuncio e di fronte alle telecamere di una rete nazionale, legge un piccolo documento con mano tremante, ed ordina alle forze armate di chiudere il Congresso per formare un governo di emergenza e riorganizzare quindi i poteri dello Stato.

In primo luogo è necessario dire che lo scioglimento del Congresso è una richiesta che viene da tutta la nazione: tranne gli stessi membri del Congresso, viene chiesto da tutta l’opinione pubblica. La dichiarazione in questo senso, dava voce ad una esigenza diffusa. Lo stesso vale per il potere giudiziario, che è profondamente corrotto: è mia opinione che non sia solo necessario riorganizzarlo, ma smantellarlo completamente. Ma la forma così ingenua ed infantile che usò per annunciare queste misura appare misteriosa. Quindi uno deve chiedersi che cosa accadde, come maturò la decisione, e perché, e con la partecipazione o l’influenza di chi.

Ma tutto questo non è molto di più che un aneddoto che ci disorienta e ci distrae dal fatto fondamentale. Questo non è un colpo di Stato. Il colpo di Stato è venuto dopo, quando violando tutte le norme il Congresso lo destituì in pochi minuti. Dopo poche ore Castillo era in carcere e la signora Dina Boluarte, evidentemente pronta per l’occasione, assumeva la presidenza della Repubblica. In poco tempo la Boluarte dichiarò l’emergenza nazionale, rifiutò il dialogo, e iniziò a governare il paese in maniera praticamente dittatoriale, perché nel paese vennero revocate le garanzie costituzionali. In questo momento un qualsiasi poliziotto può fracassare la porta di casa mia ed entrarvi senza altre spiegazioni: tutti i peruviani e le peruviane sono attualmente nella stessa situazione.
- A.I.: Qual’è la sua opinione in merito alla presunta partecipazione di due attori principali: le forze armate peruviane e la OEA (Organización de los Estados Americanos -OAS Organizzation of American States), che nella persona del segretario generale Luis Almagro fece una quanto mai tempestiva visita al paese poche settimane prima del golpe?

- H.B.: Oggi tutto è possibile. Tutto è immaginabile. Tuttavia io non arrischierei nessuna ipotesi. Il giornale “La Republica” ha pubblicato un articolo dove si afferma che Castillo, assieme all’ultimo Ministro della Difesa designato, il generale [Emilio] Bobbio, il giorno antecedente al golpe, chiesero al Comandante Generale dell’Esercito le sue dimissioni. Sempre secondo lo stesso giornale, dopo una riunione di tutti i comandanti del Comando Congiunto, che comprende anche l’Esercito, la Marina e l’aeronautica, i vertici militari stabilirono di rifiutare la richiesta del presidente, decidendo quindi la sua destituzione. Nonostante non lo affermi espressamente il giornale suggerisce che si sarebbe in presenza di un golpe posto in essere in ambito militare.
Ora, che ha a che vedere la OEA con questi fatti? E’ interessante osservare che, perlomeno pubblicamente e per ciò che sappiamo, la OEA ha difeso Castillo, dal momento che egli non ha danneggiato in alcun modo gli interessi degli USA. Durante il vertice OEA Castillo parlò di una “America per gli americani”, ripetendo la famosa frase di James Monroe. Si trattava di un chiaro messaggio. E quando la delegazione della OEA è stata in Perù si è dedicata più alle opposizioni che allo stesso Castillo. Con le informazioni in nostro possesso mi fare difficile immaginare che la OEA sia stata la promotrice del golpe. Continuo a pensare – e ovviamente posso sbagliare – , che si tratti principalmente di un fatto locale, con protagonisti locali, che agirono per interessi locali molto ben definiti.

E’ peraltro ovvio che la nostra destra più rozzae certi gruppi militari odiano Castillo perché non accettano il suo popolo. Qualcuno, nei vertici militari, ha lasciato trapelare informazioni secondo cui, la sinistra non avrebbe mai governato il paese fino a che in Perù sarebbero presenti le forze armate. Il problema non è quindi solo il comunismo, come appunto dicevamo poc’anzi: ora è tutta la sinistra ad essere rifiutata da queste persone.

- A.I.: La nomina di Boluarte è stata fortemente contrastata, tanto dai cittadini del Perù profondo come dai diversi presidenti e leader della regione. Si osservano oggi impulsi di mobilitazione con picchi di partecipazione e radicalismo. Inoltre si contano a decine le vittime fatali della repressione. Fin dove può evolversi questa situazione nelle prossime settimane? Queste proteste arriveranno a creare i presupposti per la destituzione? Quale via d’uscita a breve o lungo termine immagina per la crisi?

H.B.: Osserviamo una messinscena, una brutta messinscena, nella quale la stampa, compresa quella cosiddetta “progressista”, è piena di attacchi furibondi contro Messico, Honduras, Bolivia o Argentina. Persino contro la OEA, sostenendo che oggi tutti sono contro il Perù. In ambito internazionale riguardo alle denunce al governo Boluarte.
Riguardo alla risposta popolare, è necessario distinguere le cose: non si tratta del popolo in generale, anche se certamente ci sono ambiti molto attivi e significativi. Le classi popolari, in generale, come al solito, stanno guardando con maggiore o minore indifferenza ciò che sta accadendo. Sono come avulse dal mondo politico e da tutti questi avvenimenti. Peraltro è evidente che i settori mobilitati non tengono conto di questo stato di emergenza e proseguono quindi con le proteste. Stento a credere che la signora Boluarte non sappia che la prosecuzione di queste misure porterà altro spargimento di sangue ed altri morti e faccio fatica a immaginare come abbia potuto nominare un governo così spostato a destra, legato alla oligarchia finanziaria di [Pedro Pablo] Kuczynski, privo di qualsiasi capacità politica e volontà di dialogo.

Se la Boluarte non lascia il potere trascinerà il paese in una tragedia. Ciò che lei con i suoi accoliti sperano è che la gente si stanchi e smobiliti, che dimentichi i suoi problemi, in modo da poter continuare così per almeno altri due anni di governo. Non c’è però alcun precedente nella storia del Perù che avvalli questa strategia.

 

Gli errori della sinistra

Sono rari i casi in cui un testo scritto 60 anni fa possa ancora illuminare il presente di un paese. E’ il caso del libro “Perù 1965: appunti di una esperienza di guerriglia”, scritto nel carcere dell’isola El Frontón” tra gli anni 1966 e 1969 dallo stesso Béjar, mentre faceva parte dell’ELN. Diceva così:

“ […] a causa della carenza o assenza di continuità del lavoro teorico, la sinistra peruviana nel suo insieme non può esporre una interpretazione della realtà peruviana basata su studi seri […]
Parte di questo fardello è ciò che abbiamo ereditato e che ancora ci impedisce di vedere con piena chiarezza i mutamenti sociali”.

Che ne è stato della sinistra peruviana negli ultimi decenni? Perché non è riuscita a leggere con piena chiarezza gli ultimi mutamenti sociali, a partire dalle insperate possibilità elettorali di Pedro Castillo e fino a questa insurrezione popolare a porte chiuse? Béjar ci assicura che la struttura sociale del paese si è trasformata radicalmente negli ultimi tempi. Ma forse i molti “Perù che ci sono in Perù” continuano a determinare le molte sinistre – rurali e urbane, della capitale o della provincia – che esistono in ambito popolare. A questi problemi insolubili bisogna poi aggiungere, anche, la presenza di una destra isterica che accusa di terrorismo o comunismo tutti coloro che esprimano una qualsiasi rivendicazione o anche il più lieve disaccordo.

- A.I.: Qual’é la situazione attuale del movimento sociale peruviano, indipendentemente da ciò che accade a livello governativo? Come si esce da questo momento difficile, di breve interregno del governo di Castillo?

- H.B.: Il movimento sociale è cresciuto tantissimo. In Perù esiste una sinistra politica, situata nell’apparato politico, nel sistema politico, ed esiste anche quella che potremmo definire una “sinistra sociale”, non si tratta di sinistra in termini di rigorosa coscienza politica, ma ha al suo interno migliaia di attivisti sociali che si sentono di sinistra, hanno idee politiche estremamente articolate e sono soprattutto persone assai oneste. In questo senso il movimento sociale è cresciuto tantissimo. Non possiamo però santificare questi processi. La corruzione in questo paese penetra tutto compresi alcuni settori del movimento sociale.

Di sicuro però il movimento sociale è molto più forte ed attivo rispetto a qualche decina d’anni fa: lo osserviamo oggi nella sua capacità di mobilitazione e di influenza sull’azione di governo. Questo movimento non aspetta le direttive dei partiti politici: è capace di reagire spontaneamente e bene.

- A.I.: In una recente intervista Lei ha detto che in Perù esiste una sinistra positivista, che pensa in termini di civilizzazione e barbarie. Allo stesso tempo si è discusso molto a proposito della apparente inesistenza di un movimento indigeno, almeno paragonabile con i suoi omologhi di paesi come Bolivia, Equador o Guatemala. A che punto è il dibattito a proposito della plurinazionalità in Perù? La ritiene una prospettiva possibile e sulla quale sia possibile ragionare per riorganizzare lo Stato? Qual’è la situazione del movimento indigeno e campesino-indigeno?

- H.B.: Ci sono rivendicazioni e parole d’ordine in merito alla plurinazionalità, ma ancora non c’è stata una seria discussione in merito. Nel panorama sociale del Perù, che è piuttosto complesso e variegato, possiamo individuare diverse posizioni e sfumature indigeniste. I movimenti più forti e consapevoli del proprio indigenismo – o indianismo, secondo la prospettiva – sono i popoli nativi dell’Amazzonia peruviana, che si riconoscono come comunità con una identità propria. E’ il caso per esempio dei Asháninkas e degli Aguarunas. Questi ed altri popoli parlano circa 200 lingue ed alcuni di essi abitano una importante estensione del territorio nazionale, dall’Amazzonia centrale fino al sud del Perù.
L’altra realtà importante, sia per numero che per la forte identità, sono gli Aymara, nell’altipiano vicino alla Bolivia, nei pressi di una frontiera che è solo politica e dove esiste uno spiccato scambio culturale. Con i Quechuas la situazione è diversa. Il Perù è stato al centro del colonialismo spagnolo in Sud America . I Quechuas vennero sottomessi ma stabilirono forme di identificazione con il regime coloniale ed ebbero i propri capi e curacas [Il curaca era il capo politico e amministrativo del aillu (in Bolivia e Perú)1​ o aíllo (in Chile) — dal quechua: ayllu— che è una forma tradizionale di comunità sociale originaria della regione andina, specialmente tra Quechuas ed Aymaras] per 300 anni. L’eccezione più nota è stata quella di Tupac Amaru e della sua rivoluzione. Ma non fu così con il resto delle aristocrazie, delle élites Quechuas, che furono largamente strumentalizzate dai colonizzatori.

Poi sono presenti altre etnie, scomparse o poco visibili. Il vortice della ribellione odierna è nel territorio dei Charcas, nella zona di Apurímac, nelle province del centro-sud del Perù. Sono persone che sono sempre state molto agguerrite ed hanno le loro tradizioni anche se non si riconoscano come popolo ma come abitanti della città di Abancay o della provincia di Apurímac e comunque come peruviani. Infine abbiamo il popoli del nord, della Cajamarca, la zona di Castillo: persone più acculturate e maggiormente influenzate dalla dominazione spagnola.

La situazione insomma è piuttosto variegata e rende ipotizzabile la concreta possibilità di costruire uno Stato plurinazionale. Ancora non sappiamo però come potrebbe funzionare, e neppure quali etnie verrebbero eventualmente riconosciute. Però esiste una richiesta, che è stata anche accettata da alcune élites culturali, per una nuova Costituzione che possa concepire un panorama plurinazionale e multiculturale, sebbene esista anche la forte opposizione dei settori della destra più rozza.

- A.I.: Sembrerebbe dunque che la questione indigena e quella campesina siano strettamente vincolate alla questione regionale, e soprattutto alla centralizzazione politica e amministrativa a Lima, eccessiva anche in un continente dove la centralizzazione attorno alle città-porto è un fenomeno molto esasperato.

- H.B.: Si, il problema di Lima è assolutamente predominante. Però Lima è anche provinciale. A Lima ci sono persone che vengono da tutto il Perù.

- A.I.: Per chiudere, come vede il paese nel suo contesto regionale?

- H.B.: Sono sempre stato convinto che la miglior forma di lotta sia quella a livello continentale. Intensificare i legami regionali ora è molto più semplice; la tecnologia ci facilita molto in questo. E’ un vero peccato che non abbiamo testate latinoamericane che invece esistevano diversi anni fa. Abbiamo media come Telesur, un esempio importantissimo, però speriamo di poter avere qualcosa di più in termini di comunicazione. Alcune forze politiche del continente hanno ottenuto successi politici molto importanti che però noi non siamo stati in grado di acquisire, mentre altre, tra cui quella peruviana, brillano per inefficienza. E’ necessario fare tutto il possibile per fare in modo che il dibattito si evolva ed emerga dalla contingenza politica giornaliera. Dobbiamo generare un dibattito politico più profondo, di lunga durata e più continentale oltre che più globale.

Lautaro Rivara: Sociólogo argentino, dotorando in Storia (CONICET) e docente universitario. Giornalista e analista spacializzando in temi latino-caraibici. Corrispondente di Globetrotter (Istituto Media Indipendente) e redattore generale di ALAI. Coordinatore dei libri “El nuevo Plan Cóndor” e “Internacionalistas”.

 

Fonte: Alai al día (alai.info), 3 gennaio 2023
Articolo originale: Golpe real y caricatura de golpe: una entrevista con Héctor Béjar

https://www.alai.info/golpe-real-y-caricatura-de-golpe-una-entrevista-con-hector-bejar/

Traduzione a cura di Patrizia B., Patria Grande, CIVG

 


 

CIVG – PATRIA GRANDE / LATINOAMERICA / CELAC

La doppia CELAC latinoamericana

 

Il 23 e 24 gennaio 2023 ha avuto luogo a Buenos Aires il VII summit della CELAC (Comunità di Stati Latinoamericani e Caraibici), creata col proposito di favorire il dialogo, l’integrazione regionale, i rapporti con altre realtà internazionali, il perseguimento di interessi comuni degli oltre 600 milioni di abitanti del continente, ed operativa dal dicembre 2011.

L’Argentina, titolare della presidenza pro tempore per l’anno 2022, ha ospitato l’evento. In realtà quest’anno gli eventi sono stati due, svoltisi in contemporanea nella capitale: la CELAC “ufficiale”, quella dei capi di Stato e autorità di governo, e la CELAC “sociale”, quella dei movimenti popolari nelle loro più diverse articolazioni (organizzazioni indigene, contadine, giovanili, femministe, associazioni per la difesa dei diritti umani, dell’ambiente, sindacati, ecc.)

 

CELAC UFFICIALE

Alla CELAC ufficiale (presso l’Hotel Sheraton) hanno partecipato 13 presidenti o delegati di 33 Paesi, affrontando tematiche quali: economia post-pandemica, sicurezza alimentare ed energetica, strategie sanitarie, droga, cooperazione su tematiche ambientali, gestione del rischio dei disastri, scienza e tecnologia finalizzate all’inclusione sociale, trasformazione digitale, infrastrutture per l’integrazione, situazione delle donne, ragazze e bambine, gioventù, afrodiscendenti, lingue indigene, migrazione, disabilità, educazione, cultura, cooperazione tra accademie diplomatiche, cooperazione in ambito spaziale e nucleare, prevenzione e lotta alla corruzione, interventi nei fori multilaterali e coordinamento con organismi regionali (dai quali resta clamorosamente esclusa la OEA, ormai ampiamente riconosciuta come mezzo d’ingerenza USA negli affari interni dei vari Stati e di destabilizzazione regionale), dialogo con soci extraregionali. Vi sono state infine dichiarazioni in sostegno di alcuni Paesi, che stanno attraversando particolari difficoltà, quali: Haiti, Cuba, Venezuela, Porto Rico, le isole Malvine, ma purtroppo non è stata fatta alcuna menzione del Perù, mentre è stata salutata con estremo favore la reincorporazione del Brasile nella CELAC, col nuovo presidente Lula Da Silva. Il governo attuale del Perù, presieduto da Dina Boluarte, è stato riconosciuto, oltre che dagli omologhi di destra, dai governi ”né-né”, come quelli di Boric in Cile e Fernandez in Argentina, mentre un intervento di chiara denuncia del golpe in atto da parte della presidente dell’Honduras Xiomara Castro, ha avuto come conseguenza il ritiro dell’ambasciatore peruviano da quel Paese centroamericano. D’altra parte era prevedibile che la situazione in Perù, dove si è installata una dittatura a seguito del colpo di Stato contro il legittimo presidente Castillo, generasse forti divergenze sull’accettare o no nell’assemblea l’attuale governo di fatto.

 

CELAC SOCIALE

Quest’anno è stata convocata da vari leader dei movimenti sociali latinoamericani, non solo argentini, la “CELAC Sociale”, definita “un’istanza istituzionale fondamentale, strategica per l’unità dei popoli latinoamericani e caraibici”. Riunitasi nel Museo Malvinas di Buenos Aires, in un salone strabordante di rappresentanti di organizzazioni dei movimenti sociali e delegati di governi progressisti (presente anche l’avvocato di Pedro Castillo), ha presentato una dichiarazione congiunta da inoltrare ai capi di Stato partecipanti al summit ufficiale.

Presiedeva, tra gli altri, l'ex presidente boliviano e leader del MAS (Movimento al Socialismo) Evo Morales: "Con Fidel, con Chávez, con Kirchner, con Lula, con Correa, costituiamo una CELAC come una liberazione dall'OEA, che è lo strumento dell'impero nordamericano"; ha invitato a sostenere la democrazia "ma soprattutto difendere i nostri compagni presidenti, alcuni dei quali sono progressisti, altri umanisti, ma fondamentalmente difendere i presidenti antimperialisti". Essi “hanno il dovere di proteggere le risorse naturali strategiche, distribuire la ricchezza per affrontare le crescenti disparità, progredire in un progetto di moneta comune per l’America Latina ed i Caraibi”.

Così Mónica Valente, segretaria esecutiva del Foro di San Pablo: "Abbiamo sogni d’integrazione, di solidarietà, di sviluppo e possiamo sostenerli soltanto con una forte organizzazione popolare. Stiamo assistendo ultimamente all'ostinazione dell'estrema destra ad imbonire le folle attraverso il lawfare, le fake news, proprio per questo è fondamentale lo sviluppo della CELAC Sociale, per poter realizzare i progressi di cui abbiamo bisogno. Abbiamo tre sfide: la lotta per la democrazia e contro il golpismo, la lotta contro la disparità sociale e la protezione della Madre Terra".

“Ricordiamo a Laura Richardson, capo del Comando Sud degli Stati Uniti, che l'America Latina non è il loro cortile di casa, né il loro possedimento in cui sfruttare risorse naturali. Di fronte alla nuova minaccia interventista yankee, ribadiamo che i Paesi liberi della Patria Grande difenderanno la propria sovranità”.

Concetti ribaditi da Yván Gil Pinto, Cancelliere del Venezuela: "La CELAC Sociale svolge un ruolo essenziale per i tempi a venire, per bloccare il fascismo e coloro che vogliono stabilire meccanismi di controllo sui nostri Paesi".

Così la parlamentare venezuelana Blanca Eekhout: "Noi siamo coloro che possono costruire un mondo diverso perché abbiamo vissuto la barbarie del capitalismo, della modernità, del suo schema civilizzatore, perché abbiamo un popolo originario conscio che la terra è la madre e a lei siamo debitori. Oggi, la cosmovisione dei nostri popoli originari è la speranza per l'umanità".

"Abbiamo l'obbligo di costruire un mondo diverso. Il blocco, l'aggressione, la demonizzazione ed il tentativo di dividerci, hanno proprio lo scopo di affossare quella speranza, che non percorra l'umanità, ma ciò è impossibile, perché l'America è una sola, siamo destinati a rifondarla, a costruire una nazione di repubbliche libere, sovrane e indipendenti".

La grave situazione del Perù, oggi sotto la dittatura di Dina Boluarte e di un Congresso golpista e corrotto, è stata esposta con enfasi da vari oratori, tutti concordi nel condannare la repressione ed i crimini della tirannia conservatrice e fujimorista.

Ecco alcuni passi della Dichiarazione finale della CELAC Sociale.

"Respingiamo ogni forma di colonialismo o neocolonialismo in America Latina e nei Caraibi. Denunciamo che la base NATO, detenuta dalla Gran Bretagna nel territorio usurpato alla Repubblica Argentina, rappresenta un pericolo per tutta la regione e fa parte di un dispositivo di dominio anglosassone più ampio ed ambizioso. Esortiamo i governi della CELAC a prendere le misure necessarie per mettere pacificamente fine a questa situazione, secondo il diritto internazionale. Riaffermiamo i legittimi diritti sovrani della Repubblica l'Argentina sulle Isole Malvine, Georgia del Sud, Sandwich del Sud, sugli spazi marittimi circostanti ed il Settore Antartico Argentino, secondo quanto già stabilito dalla CELAC nella Dichiarazione Speciale del settembre 2021”.

“Ripudiamo ogni embargo esercitato contro qualunque paese della regione, e chiediamo non soltanto la fine dei blocchi attualmente vigenti, bensì la definizione di meccanismi di riparazione verso i Paesi che li subiscono. In merito ai 62 anni di blocco contro Cuba, esigiamo che gli Stati Uniti applichino la risoluzione di toglierlo, votata all’ONU in ben trenta occasioni".

"Condanniamo i colpi di Stato che hanno avuto luogo nella regione. Ultimamente, quello perpetrato in Perù e quello tentato in Brasile. Ugualmente, condanniamo i recenti tentativi di assassinio dell'ex presidentessa ed attuale vicepresidente dell'Argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, e dell'attuale vicepresidente della Colombia, Francia Marquez”.

“Vogliamo un'integrazione regionale che consolidi l'indipendenza economica dell'America Latina e dei Caraibi, diminuendo i condizionamenti economici esterni a partire da un’inclusione internazionale e accordi regionali che creino e rafforzino capacità produttive e tecnologiche proprie, perseguendo la riduzione delle disparità di sviluppo coi Paesi più avanzati. Chiediamo che si receda dagli accordi di libero commercio e trattati bilaterali d’investimento che sono stati dannosi per i nostri Paesi".

"Esigiamo misure urgenti per sradicare le violenze di genere. Chiediamo la protezione delle persone migranti e delle loro famiglie, secondo gli strumenti del diritto internazionale vigente. Chiediamo la promozione, da parte dei governi della CELAC, di processi di democratizzazione dei poteri giudiziari in America Latina e Caraibi, attualmente cooptati da interessi internazionali e locali che non corrispondono a quelli dei nostri popoli, per porre così fine al disciplinamento sociale, alla criminalizzazione della povertà, dei giovani e della protesta, alla persecuzione politico-giudiziaria o guerra giuridica contro le ed i leader popolari. Chiediamo la scarcerazione di tutte le prigioniere e prigionieri politici nella regione, senza la cui liberazione non vi è democrazia reale. Richiediamo la liberazione della dirigente argentina Milagro Sala".

Una delle risoluzioni finali della CELAC Sociale ha riguardato il Fronte Polisario, il cui rappresentante in Argentina, Mohamed Alí Alí Salem, è stato partecipe delle diverse attività. “Così come lottiamo insieme per porre fine al colonialismo e conquistare l'indipendenza della Patria Grande, esprimiamo la nostra solidarietà con la giusta lotta anticolonialista e indipendentista capeggiata dal Fronte Polisario per recuperare la sovranità completa sul proprio territorio: il Sahara Occidentale".

A cura di Adelina B., CIVG/ Patria Grande, 31 gennaio 2023

 

Fonti:

https://www.cancilleria.gob.ar/es/actualidad/noticias/argentina-sera-sede-de-la-vii-cumbre-de-presidentes-de-la-celac

https://www.cancilleria.gob.ar/es/actualidad/noticias/cumbre-celac-declaracion-de-buenos-aires

https://www.resumenlatinoamericano.org/2023/01/23/nuestramerica-delibero-la-celac-social-con-la-presencia-de-dirigentes-de-los-33-paises-que-integran-la-alianza-entregaran-documento-en-la-cumbre-oficial/

https://www.resumenlatinoamericano.org/2023/01/26/sahara-occidental-la-celac-social-se-solidariza-con-el-frente-polisario-y-la-republica-saharaui/

 


 

RESUMEN LATINOAMERICANO (CUBA) / ESTERI / CELAC

Gigantesco corteo delle organizzazioni della CELAC Sociale

Peruviani, Haitiani e Paraguaiani ripudiano la presenza dei rappresentanti dittatoriali dei loro Paesi

 

 

 

Migliaia di manifestanti hanno marciato, questo martedì, dal centro della città di Buenos Aires fino alle porte, rigorosamente blindate, dell’Hotel Sheraton, dove stavano deliberando i presidenti e delegati della CELAC.

Agli striscioni e bandiere delle organizzazioni sociali e politiche argentine, si sono aggiunte questa volta quelle dei Paesi latinoamericani, risaltando tra esse quelle del Venezuela bolivariano, di Cuba socialista e dello Stato Plurinazionale della Bolivia. Ma sventolavano anche, orgogliosamente, quelle del Perù, Paraguay e Haiti, Paesi che stanno patendo brutali e dolorose dittature. La comunità paraguaiana ha ricordato ai presidenti che deliberavano a porte chiuse nello Sheraton, che la rappresentanza del loro Paese era lì in nome di un governo assassino ed infanticida. E hanno puntualizzato attraverso la voce dell’attivista Miriam Villalba, il crimine di lesa umanità commesso dall'esercito sotto la responsabilità del presidente Mario Abdó Benitez contro due bambine paraguaiano-argentine, Lilian Marian e María Cármen Villalba, ed anche il successivo sequestro e sparizione della bimba Lichita Villalba, cugina delle precedenti e figlia della detenuta politica Cármen Villalba.

Nel caso del Perù, i cittadini di quel Paese non hanno smesso un attimo di condannare nel corso di tutto il corteo la feroce e sanguinaria dittatura di Dina Boluarte, la cui ministra degli Esteri sedeva accanto agli altri rappresentanti della CELAC ufficiale. È vergognoso che sia potuto accadere, commentavano i militanti peruviani, tra i quali l'avvocato del presidente legittimo Pedro Castillo, Wilfredo Robles, poiché nessuno può far finta di niente di fronte a quanto sta accadendo in Perù. Se non bastassero i 62 morti ammazzati in meno di 30 giorni, lì c’è Castillo in prigione, le persecuzioni, gli arresti e centinaia di feriti negli scontri con la polizia. Tuttavia, salvo tiepide menzioni, il tema del Perù è passato in punta di piedi nelle deliberazioni della CELAC ufficiale.

Infine, e non meno grave, la presenza del dittatore haitiano Ariel Henry. I militanti del Comitato Democratico Haitiano lo hanno ricordato in strada di fronte allo Sheraton, con slogan di ripudio e canti che parlano di resistenza e lotta. Henry non ha alcuna difesa possibile dalle imputazioni di corruzione dei suoi parenti, di frode per essersi arrampicato al potere a partire dall'assassinio del presidente precedente e di quotidiana repressione contro il suo popolo. Il colmo dei suoi deliri per abbarbicarsi al potere, è stato chiedere l’intervento yankee-canadese nel suo Paese, entrando così nella lista storica dei sepoy (*) latinoamericano-caraibici che operarono allo stesso modo nel corso delle varie epoche.

Dato che la strada è solita avere opinioni divergenti rispetto alle questioni del palazzo, è stato davvero salutare ascoltare le rivendicazioni degli Argentini e degli altri NostrAmericani - convocati dalla CELAC Sociale - alle porte della CELAC ufficiale.

Nota a parte: un gruppuscolo di non più di 150 vermi cubani, squallidi venezuelani e grasse signore che votano per Macri, Larreta e, perché no, per Massa (ricordiamo quanto "lavorò" il superministro di Fernández per fare lobby contro il Venezuela), gridarono, scalciarono ed insultarono i "dittatori" Maduro, Díaz-Canel, Arce e Ortega. Circondati dalla polizia che li sorvegliava, si dileguarono velocemente poco prima dell'arrivo degli “amici dei dittatori", cioè la gente comune.

Redazione Resumen Latinoamericano, 24 gennaio 2023

 

Note:

(*) Il termine sepoy entrò nell'uso comune all'interno delle forze armate della Compagnia britannica delle Indie nel XVIII secolo, indicando i soldati di fanteria reclutati fra i locali, passando in seguito a designare tutti i soldati nativi alle dipendenze di potenze europee in India. I sepoy svolsero un ruolo fondamentale sotto il comando dell'Impero britannico per controllare e occupare il territorio. In pratica erano dei venduti locali al servizio di un esercito di occupazione del proprio Paese.

 

Fonte:

https://www.resumenlatinoamericano.org/2023/01/24/nuestramerica-gigantesca-marcha-de-las-organizaciones-de-la-celac-social-peruanos-haitianos-y-paraguayos-repudiaron-la-presencia-de-los-representantes-dictatoriales-de-sus-paises/

 

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / BRASILE

Lula eredita un Brasile in difficoltà

 

Lula ha promesso ai brasiliani l’unione, l’integrità e l’indipendenza del paese. Photo: AP

 

Il primo giorno dell’anno ha segnato l’arrivo alla presidenza del Brasile di Luiz Inácio Lula da Silva, il leader operaio, combattente per i più poveri, che scommette sull’integrazione latinoamericana, al quale in due opportunità precedenti il suo popolo ha dato il voto per esercitare come mandatario.

Lula si pone alla guida del paese in circostanze molto complicate, soprattutto per l’eredità degli ultimi quattro anni di governo di Jair Bolsonaro che ha abolito i programmi sociali, eliminato i servizi medici offerti da Cuba che operavano anche nei punti più impervi, ignorato i danni provocati dalla pandemia che ha causato più di 36 milioni di casi confermati e quasi 700 mila morti. Inoltre, Bolsonaro ha alimentato il fondamentalismo nel solco del suo emulo statunitense Donald Trump.

Lula assume questo mandato in un Paese, ha detto, «in situazione di grave carenza» attribuita alla «tempesta di fascismo» scatenata dal governo di Bolsonaro che ha fatto compiere «enormi passi indietro» e causato «seri problemi di bilancio» nell’educazione e nella cultura, bloccando inoltre la costruzione di case e un totale di 14 mila progetti.

Ha poi condannato la politica ambientale, uno dei punti più critici e trascurati da Bolsonaro, citando ad esempio la deforestazione amazzonica portata sopra il 59% nei quattro anni del suo governo reazionario.

Uno dei più gravi problemi che Lula dovrà affrontare sarà la sicurezza alimentare: nel Paese più di 33 milioni di persone soffrono la fame, come ha sottolineato nel suo discorso di insediamento: «Non possiamo accettare come normale che milioni di uomini, donne e bambini in questo Paese non abbiano cibo o che consumino meno calorie e proteine di quelle necessarie».

Il popolo brasiliano vede nel ritorno di Lula la speranza di tornare a vivere in un Paese che non merita i problemi creati dal governo di Bolsonaro. Si sa che Jair Bolsonaro è andato negli Stati Uniti per evitare di partecipare alla cerimonia di insediamento del presidente Luiz Inácio Lula da Silva: non ha avuto neanche il coraggio di consegnare la fascia presidenziale nella cerimonia della passaggio del potere.

Il Diario Oficial ha informato che Bolsonaro è partito per Miami per poi trasferirsi e abitare a Orlando, in Florida, dove gran parte dell’estrema destra brasiliana opera e lavora.

Elson Concepción Pérez E gm PER Granma Internacional, 4 gennaio 2023

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / BRASILE

Jair Bolsonaro e il remake del colpo fallito

 

L’impero statunitense, i suoi alleati e i suoi complici e servitori hanno bisogno di liberarsi ad ogni costo di un leader come Lula. Foto: AP

 

Opera dell’azzardo e della miglior scelta, nonché della perfetta pianificazione dell’oligarchia e dei servizi speciali statunitensi, Jair Bolsonaro, il «Messia» dei ricchi e dei potenti, servitore degli interessi yanquee, non poteva somigliare di più all'ex mandatario statunitense Donald Trump.
Molte cose li uniscono: Trump e Bolsonaro sono sostenitori della tortura e difendono la vendita indiscriminata delle armi da fuoco. Sono profondamente xenofobi, misogini, intolleranti e omofobi. Nessuno dei due vuol sentir parlare del cambio climatico, sono grandi navigatori delle reti sociali e costruttori di fake news. Sono stati protagonisti di campagne elettorali con discorsi estremisti.
La lista di Jair Bolsonaro delle imitazioni del suo padrino è lunga.
Nel giugno del 2019 comunicò, con grande entusiasmo, che il Brasile era stato accettato dagli Stati Uniti come alleato extra-NATO, uno status speciale che gli avrebbe permesso la consegna di armi di difesa in eccesso e l’organizzazione di manovre congiunte. Il massimo della subordinazione del gigante sudamericano a quello statunitense è stata la firma dell’Accordo delle Salvaguardie Tecnologiche, associato alla partecipazione degli USA al lancio spaziale dalla base di Alcántara, con la garanzia di poter gestire la tecnologia «sensibile» degli USA.
Washington ha avuto nel Brasile un vero Cavallo di Troia: gli innegabili passi avanti in molti settori, soprattutto in quello economico e sociale prodotti dai governi del Partito del Lavoratori, sono stati disarticolati «esemplarmente» dall’imitatore sudamericano.
Fedele alla carriera da “Donald Trump da taschino”, non ha fatto niente per proteggere il suo popolo dalla pandemia e ha superato abbondantemente la fanatica stupidità del suo idolo, che è costata la vita a centinaia di migliaia di brasiliani.
Per terminare al meglio la sua opera, le forze oscure e fanatiche che lo seguono hanno invaso l’edificio del Congresso Nazionale, il Palazzo di Planalto e il Supremo Tribunale Federale. Certo non è casuale che sia avvenuto nei primi giorni di gennaio,
Non è per caso che Bolsonaro studia ogni azione e ogni gesto del suo mentore: l’ex presidente ha fatto di tutto per salvare la pelle in caso di fallimento del colpo.
Il tentativo è stato un’azione premeditata, non senza una forte dose di disperazione da parte della destra più reazionaria, locale e continentale, di fronte al pericolo rappresentato per i loro interessi dal governo di Luiz Inácio Lula da Silva.
La trama che ha portato alle azioni di vandalismo contro la democrazia del 8 gennaio è cominciata molto tempo prima.
Ne ricordiamo solo alcuni passaggi, i più eclatanti.
Giovedì 5 aprile 2018. Il giudice Sergio Moro scrive l’ordine di detenzione dell’allora ex mandatario Lula da Silva. Lula fu condannato sulla base di notizie senza prove dopo un processo giudiziario anomalo, politico, carico di omissioni e ingerenze. La sentenza giudiziaria e l’ordine di detenzione contro Lula furono una chiara proscrizione politica di un candidato popolare. Come se non bastasse, il Capo dell’Esercito minacciò i giudici del Tribunale con un colpo di Stato classico nel caso in cui Lula fosse rimasto libero.
La detenzione di Lula costituì il secondo passo del colpo cominciato con l’impeachment alla ex presidente Dilma Rousseff, nel 2016.
L’impero statunitense e i suoi alleati complici e servitori, hanno bisogno di liberarsi ad ogni costo di un leader come Lula per allontanare il Brasile dai Brics e impedire l’integrazione latinoamericana; per privatizzare banche e servizi ed evitare l’applicazione delle politiche pubbliche di cui hanno beneficiato milioni di brasiliani durante il governo del Partito dei Lavoratori; per aumentare il controllo delle immense ricchezze del Ppaese.
Azioni come quelle di domenica 8 gennaio mostrano il pericoloso panorama della regione e la necessità dell’unità continentale di fronte al «gigante delle sette leghe», come José Martí definì gli Stati Uniti.
La destra latinoamericana non ha niente di nuovo da offrire. La sua agenda è sempre la stessa, le sue politiche sono chiare, la sua subordinazione all’impero è maggiore, è più subalterna rispetto a 40 o 50 anni fa, ma continua ad essere intollerante, criminale e abietta.
Raúl Antonio Capote e GM per Granma Internacional, 9 gennaio 2023

 


 

CIVG / PERU’ / PROTESTE POPOLARI

Perù, manifestazioni contro il governo fantoccio di Dina Boluarte

 

 

 

Le razze aymara e soprattutto quechua che popolano la Bolivia e il Perù in una percentuale del 70%, hanno dimostrato - prima di ora in Bolivia, nel 2019, durante il colpo di stato – la loro coraggiosa presenza rifiutando la politica corrotta e omicida dell'estrema destra boliviana sostenuta dalle Forze Armate, dalla polizia, dagli Stati Uniti e da alcuni paesi europei, tutti benedetti dalla cupola della Chiesa cattolica boliviana che ha sempre appoggiato i colpi di stato in cambio di tanti dollari. Non appoggiano mai gratis.

Oggi, la stessa razza, per lo più quechua del Perù, sta scendendo nelle strade di tutto il Paese - compresa Lima, culla della destra più rancida e fascista dei grandi affaristi - per chiedere le dimissioni della trasformista presidente ad interim Dina Boluarte, prima vice presidente di Castillo, autoproclamatasi socialista. Quando Castillo, presidente costituzionale, fu arrestato per rovesciare il suo governo e messo in carcere per 8 mesi, la socialista Boluarte accettò la carica di presidente che le offrì il Congresso dominato dalla destra più corrotta, mostrando così il suo vero volto, proprio come accadde in Ecuador con Correa e il vicepresidente suo successore, Lenin Moreno.

Oggi si contano più di 60 morti per mano di esercito e polizia che Boluarte ha autorizzato decretando il coprifuoco, sospendendo le garanzie costituzionali del popolo. Nella loro impazienza di sviare gli omicidi che questo governo golpista sta commettendo, ha avuto la “grande” idea di incolpare Evo Morales di essere la causa della rivolta degli abitanti della provincia peruviana di Puno, a sud sul confine con la Bolivia, nella provincia dove Evo è molto amato.

I manifestanti, per lo più contadini e poveri, hanno raggiunto la capitale del Perù in una massiccia concentrazione che non si era mai vista per chiedere le dimissioni di Dina Boluarte, la chiusura del Congresso, le elezioni presidenziali nel 2023 e una nuova Costituzione per sostituire quella fatta durante il governo del corrotto Fujimori.

Pablo Prada, CIVG/Patria Grande, 25 gennaio 2023

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / CUBA PRESIEDE IL G77

Cuba Presidente del G77 + Cina dal 12 gennaio

 

 


Il ministro delle Relazioni Estere Bruno Rodríguez ha ringraziato a nome del popolo e del Governo cubani per la decisione adottata. Foto: Prensa Latina

 

Giovedì 12 gennaio, Cuba ha assunto la Presidenza pro tempore del G77 + Cina, il gruppo organizzato più grande e diversificato, in senso di multilaterale, con 134 Stati membri che rappresentano i due terzi del sistema delle Nazioni Unite e l’80% della popolazione mondiale.

È la prima volta che l’Isola presiede questo gruppo negoziatore. Tra i suoi propositi c’è dare impulso con azioni concrete agli obiettivi dell’Agenda 2030 e favorire la solidarietà e la cooperazione internazionale in appoggio al recupero post pandemia delle nazioni in via di sviluppo, oltre alla conversione della cooperazione sud-sud in uno strumento più efficace, come ha spiegato il membro del Burò Politico del Partito Comunista e ministro delle Relazioni Estere della Repubblica di Cuba Bruno Rodríguez Parrilla nel suo intervento alla 46º Riunione Ministeriale del Gruppo dei 77 + Cina.

La rappresentanza cubana solleciterà il rispetto delle responsabilità da parte dei paesi industrializzati della cooperazione nord-sud; incentiverà la crescita delle posizioni comuni tra i membri, preserverà e consoliderà l’unità del gruppo e farà sentire la sua voce nei molti e rilevanti processi multilaterali che si svilupperanno nel 2023.

Cuba, inoltre, appoggerà il sistema del commercio multilaterale basato su norme trasparenti, non discriminatorie, aperte e inclusive, e difenderà l’accesso universale all’educazione e alla salute.

Redazione Granma e GM per Granma Internacional, 11 gennaio 2023

 

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / ANA BELEN

Ana Belén Montes libera dalla detenzione nelle carceri degli Stati Uniti

 

 

Sabato 7 gennaio le agenzie hanno battuto la notizia che il Burò Federale delle Prigioni degli Stati Uniti aveva confermato che Ana Belén Montes, ex analista dell’Agenzia d’Intelligenza della Difesa USA, aveva lasciato il carcere penale di Carswell a Forth Worth, Texas, e ha iniziato un regime di libertà condizionale di cinque anni.

Ana Belén, cittadina statunitense nata a Portorico, era detenuta dal 2001: accusata di cospirazione per aver commesso spionaggio a favore di Cuba, era stata condannata a 25 anni di reclusione.

Durante il processo giudiziario aveva detto: «Considero crudele e ingiusta la politica del nostro governo verso Cuba, profondamente nemica. Mi sono sentita moralmente obbligata ad aiutare l’Isola a difendersi dai nostri sforzi d’imporle i nostri valori e il nostro sistema politico. Verso Cuba, noi abbiamo esibito solo intolleranza e disprezzo. Noi non abbiamo mai rispettato il diritto di Cuba di decidere il suo proprio destino, i suoi propri ideali d’uguaglianza e giustizia. Ho fatto quello che consideravo più adeguato per contrastare una grande ingiustizia».

La notizia della sua liberazione ha provocato manifestazioni di allegria e solidarietà in molte parti del mondo che riconoscono il suo nobile e generoso atteggiamento.

Yisell Rodríguez Milán e GM per Granma Internacional, 7 gennaio 2023

 


 

GRANMA (CUBA) / ANALISI / SINISTRA LATINOAMERICANA

Riflessione, allerta e speranza

 


Foto da Jacobin Italia

 

Ogni aggressione della destra oligarchica contro i governi popolari e di sinistra che con il voto del popolo sono riusciti a guidare i destini di vari paesi nel contesto latinoamericano deve insegnarci qualcosa.

Non sono pochi i progetti per il benessere sociale che sono stati mutilati da golpe mediatici o parlamentari nei quali la cosiddetta «giustizia» ha costruito formule per farli cadere partendo da menzogne.

Un vero leader popolare come Luiz Inácio Lula da Silva, in Brasile, è stato vittima di derive giudiziarie che lo hanno costretto in prigione per 19 mesi, senza alcuna prova, con l’obiettivo di allontanarlo dalla vita politica brasiliana.

L’ecuadoriano Rafael Correa ha dovuto scegliere l’esilio prima di essere arrestato e processato nel suo Paese dove aveva guidato un’impresa sociale gigantesca, non ancora terminata perché sottoposta a tagli neoliberali dopo la caduta provocata da chi aveva promesso continuità e poi ha tradito appena giunto al potere.

Jorge Glas, vice presidente ecuadoriano, durante il secondo mandato di Rafael Correa, ha subito l’azione di alcune frange del sistema giudiziario che hanno attaccato la sinistra e il progressismo, e ha dovuto vivere gli ultimi anni in continue privazioni di libertà per una «giustizia» applicata secondo le convenienze del governo di turno.

In Bolivia, con il fondamentale patrocinio dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), la sinistra guidata da Evo Morales è stata spogliata di una netta vittoria elettorale attraverso la costruzione di menzogne che propiziarono un colpo di Stato e poi l’imposizione di un governo di fatto, illegale e corrotto. Jeanine Áñez non fu solo responsabile della repressione della popolazione boliviana, ma anche della uccisione e del ferimento di decine di civili, e portò il paese a un disastro economico e sociale applaudito solo dal Governo degli Stati Uniti e dalla OSA.

La regione latinoamericana conta su leader progressisti, alcuni già al potere e uno che ha appena assunto il mandato il 1º gennaio, tutti impegnati a portare avanti grandi processi di benessere sociale, sempre sotto la minaccia permanente dei settori della destra, fomentati dal denaro, dal potere mediatico e da alcuni rappresentanti del potere giudiziario.

Sarebbe ingenuo pensare che Lula, investito presidente del Brasile il 1º gennaio, potrà governare senza gli ostacoli di un Congresso con forze avverse e altri esponenti della scena politica che ha portato milioni di voti all’uscente Jair Bolsonaro, autore di un’incredibile lista di fatti vergognosi contro i suo popolo.

Nel caso dell’Argentina, guidata da Alberto Fernández, le opere dell’amministrazione Macri, le restrizioni dei prestiti dell’FMI, le bassezze dei grandi consorzi mediatici, di alcuni esponenti della «giustizia» e dei settori più reazionari della destra, si stanno già unendo contro la sua vicepresidente

Cristina Fernández de Kirchner: prima hanno cercato d’ammazzarla in un attentato e poi, una volta fallito, con la protezione del monopolio mediatico e l’azione dei giudici che rispondono all’oligarchia, i settori più reazionari della destra hanno realizzato un piano attraverso la menzogna per arrestarla, condannarla a sei anni di carcere e spogliarla a vita del suo diritto a svolgere incarichi pubblici nel paese..

Quasi in coincidenza con questo piano macabro organizzato in Argentina, in un’altra nazione del Sudamerica, il Perù, Pedro Castillo, maestro e leader sindacale di sinistra, giunto alla presidenza della Repubblica con il voto popolare, è stato spogliato del suo incarico per la decisione di tre giudici che lo hanno accusato di corruzione senza la minima prova. Sono già decine i morti e i feriti tra i manifestanti repressi dalla polizia che chiedono la liberazione di Castillo e nuove elezioni.

Questo rapido riassunto serve ai movimenti popolari e di sinistra e ai loro leader per ricordare che non si può restare sulla difensiva di fronte alla spinta di una destra oligarchica che si è proposta di far cadere il potere ogni volta che viene conquistato con il voto popolare.

Non ci si può illudere che la OSA possa rappresentare i nostri popoli e che il suo segretario generale, Luis Almagro, possa essere un interlocutore credibile alla ricerca di consenso sulla stabilità e lo sviluppo dei paesi latinoamericani.

Non si può dimenticare che le destre regionali e internazionali contano su molte risorse per comprare giudici o politici.

Queste lezioni ci devono insegnare la necessità di un’azione unitaria, coraggiosa e decisa a beneficio dei popoli che hanno sofferto i disastri provocati da una destra corrotta e da un sistema neoliberale che non ha soluzioni per i problemi del mondo.

Elson Concepción Pérez e GM per Granma Internacional, 5 gennaio 2023