Come lavorare in sicurezza?

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Su gentile concessione della redazione della rivista Lavoro e Salute  pubblichiamo questo documento, con proposte concrete per un dibattito nazionale sull'argomento. Invitiamo il lettore a seguire le pubblicazioni e le iniziative di una realtà che da decenni porta avanti un enorme lavoro sul tema della salute e della sicurezza del lavoro, con una competenza e una continuità nel tempo che hanno pochi eguali nel nostro Paese.

CIVG

 

 

"Ogni 15 secondi un lavoratore muore sul lavoro a causa di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale. Ogni 15 secondi, 153 lavoratori hanno un infortunio sul lavoro. Si stima che ogni giorno, 6.300 persone muoiono a causa di incidenti sul lavoro o malattie professionali — causando più di 2,3 milioni di morti all’anno”.

Dati ILO (International Labour Organization), sul nodo italiano del suo sito.

Le morti quotidiane sul lavoro sono considerate un'italica fatalità endemica come la mafia, la corruzione e l'evasione fiscale dei ricchi. L'assuefazione agli infortuni sul lavoro è una vera e propria malattia sociale dei nostri giorni che aggredisce come un virus il nostro Paese che ha il suo fondamento nella Costituzione Repubblicana, l'art. 32 della Costituzione che recita "La Repubblica Italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e della collettività", arrivando a dichiarare che la stessa iniziativa privata - pur essendo libera - "non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana" (art. 41 II comma).

In Italia si è stabilizzato, dal punto di vista politico, un dogma: la morte prematura degli ultimi come eventi normali, sia quando si assiste alle stragi dei migranti sia di fronte alla media di tre morti al giorno sul lavoro. Un dogma fondato sul verbo dettato all’inizio di questo secolo dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) “I poveri devono morire prima”. E ne muoiono tantissimi se solo si considerasse la strage silenziosa delle malattie da lavoro, chiamate “professionali” che mostrano una ben più elevata mortalità annuale rispetto agli infortuni, difficili da quantificare perché il loro riconoscimento segue un iter lungo e tortuoso, poi ci sono tanti casi che sfuggono all’attenzione mediatica ma continuano, dopo decenni e per tanti altri lustri ancora, a mietere vittime. Se ne parla quando si istruiscono grandi processi con decine di imputati, decine o centinaia di morti, ma trattandosi di eventi passati, non vengono più considerati attuali, come se, oggi, contaminazioni da sostanze tossiche e cancerogene, da organizzazione del lavoro stressante e debilitante, non esistessero più.

Invece esiste la realtà dello stato di cose presenti a dimostrare la contraddizione fra capitale e lavoro che si manifesta in tutta la sua brutalità nello sfruttamento,  nell’aumento continuo dei morti sul lavoro e grazie alla complicità delle istituzioni governative che hanno contribuito attivamente legiferando senza sosta.

Si dovrebbe lavorare per vivere e non per morire ma gli infortuni mortali sul lavoro sono aumentati nonostante sia diminuito il lavoro. Lo conferma il numero di morti dal 2009, oltre 19 mila. Sono dati allucinanti, inconcepibili. Non stiamo parlando di soldati in guerra, bensì di uomini e donne che semplicemente lavorano per tirare a campare in un Paese, dove vivere dignitosamente e arrivare alla fine del mese è cosa assai ardua. Il lavoro è un diritto inalienabile, così come lo è tornarvi a casa, sani e salvi. Fabbriche, cantieri, magazzini, ovunque si dovrebbe mettere chi produce nelle migliori condizioni, tutelandoli da possibili incidenti, ma finanche preservandoli dal contatto e la respirazione dai vari gas e sostanze tossiche, nocive ecc.; ma solo quando si verificano le tragedie assistiamo a retoriche manifestazioni di indignazione di chi dovrebbe far rispettare le leggi, per costringere gli imprenditori a non badare solo al proprio tornaconto ma garantire la sicurezza dei loro dipendenti, compresi gli esterni (cioè quei lavoratori non assunti direttamente) e inchiodarli alle loro responsabilità. I lavoratori hanno il diritto di ricevere tutte le dotazioni necessarie per lavorare in piena sicurezza: mascherine, scarpe ed elmetti antinfortunistici, guanti, estintori non scaduti, vie di fuga costantemente libere ecc.., ma su questi obblighi è venuto meno il controllo degli organi preposti anche perché ci sono sempre meno Ispettori della Sicurezza che si occupano dei controlli e delle opportune verifiche circa la correttezza e l'effettivo rispetto delle norme e delle misure di prevenzione. Anche questo dato ci parla della non volontà dello Stato e delle Regioni di imporre agli imprenditori la tutela delle condizioni di lavoro e della stessa vita dei lavoratori. Occorre sicuramente aumentare di molto il numero degli ispettori e occorre ancor di più riconquistare col conflitto il controllo dei lavoratori sull’organizzazione del lavoro. Sta ai sindacati non limitarsi all’indignazione ma stare vicini ai lavoratori con azioni di sostegno, perché senza questo sostegno anche gli Ispettori sono isolati nella loro azione e subiscono pressioni e boicottaggi, da imprenditori e istituzioni.

 

Ricostruiamo i passaggi istituzionali più significativi:

 

Nel 1997 vennero istituiti gli uffici di collocamento e successivamente si trasferì le funzioni di collocamento dal pubblico al privato. Il lavoratore divenne ostaggio delle imprese e privato di qualunque possibilità di difesa.

 

Con il pacchetto Treu del primo Governo Prodi, si intervenne pesantemente per la prima volta a destrutturare il mercato del lavoro con l’introduzione della “flessibilità”,  della “precarietà”, e con nuove forme di contratti precari: interinale, co.co.co., contratto a progetto.

 

Nel 2003, il Governo Berlusconi continuò l’attacco ancor più pesantemente con nuove forme di contratti precari: i contratti di somministrazione lavoro, lavoro accessorio, lavoro occasionale, ecc. ecc.

 

Nel 2012 il Governo Monti e il ministro del lavoro e delle politiche sociali, Fornero diedero il primo colpo all’art. 18 della legge 300, lo Statuto dei Lavoratori, provocando il dramma degli esodati e l’aumento dell’età pensionabile.

 

Nel 2015, il governo Renzi completò l’opera con il contratto a tutela crescente o “Jobs Act”, che abrogava completamente l’art. 18, che garantiva il reintegro del lavoratore in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo.

 

Il governo gialloverde di Lega e 5stelle  ha confermato la cancellazione dell’art. 18 dimostrando che anche questo governo è suddito dell’imprenditoria che si abbuffa di ricchezza con lo schiavismo e le morti sul lavoro, con il contorno dell’evasione fiscale.

 

Novità rilevanti della Legge 215/21

Con il Decreto-legge 21/10/2021 n. 146, convertito in Legge 215/2021, il governo, attraverso l’introduzione di rilevanti modifiche al D. Legislativo 81 del 2008 (Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro), opera di fatto unilateralmente uno strappo netto nell’attuale ordinamento giuridico, ponendo di fatto una critica all’attuale equilibrio di competenze istituzionali tra Stato e Regioni in materia di Vigilanza con un implicito giudizio negativo sull’inerzia della Vigilanza Sanitaria Regionale, sull’onda della campagna di sdegno e risentimento sul costo della ripresa economica in termini di infortuni e vite umane perdute. Premesso che la prevista assunzione di 1024 nuovi ispettori “tuttologi” NON copre il disavanzo e la carenza di personale ispettivo determinato dal precedente ed attuale e prossimo giro di pensionamenti, le novità della modifica del testo del D.lgs. 81/08, da parte del Decreto-Legge sono:

- La modifica dell’art. 13 comma 1 del Decreto 81/2008, colpisce una consolidata divisione di competenze, sovvertendo uno dei principali principi fondativi della riforma sanitaria del 78, che assegna al SSN i compiti di prevenzione, vigilanza e controllo; attribuisce compiti di vigilanza in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, generando un affiancamento/commissariamento ai limiti della diarchia di gestione, che obbliga al coordinamento sul territorio provinciale e regionale nell’attuazione dei Piani di Vigilanza Nazionali.

 

- Il provvedimento di sospensione obbligatoria dell’attività imprenditoriale da parte dell'Ispettorato nazionale del lavoro, in caso di lavoro irregolare scatta a partire dal 10% dei lavoratori non in regola.

La modifica dell’art. 14 si sostanzia in una svolta significativamente più repressiva rispetto alla versione precedente, nella quale l’Ispettore “poteva adottare” la sospensione con una percentuale del 20%; questo ruolo, tipicamente degli Ispettori del Lavoro, sono ora allargati ai servizi di Vigilanza delle ASL.

 

- All’allegato I del D.lgs. 81/08 prevede la sospensione dell’attività imprenditoriale (a prescindere dal numero di lavoratori in regola) per 12 gravi violazioni: assenza DVR, assenza piano di emergenza, mancata formazione o addestramento dei lavoratori, assenza nomina RSPP, assenza adozione Piano Operativo Sicurezza, mancanza DPI cadute dall’alto, assenza protezione verso il vuoto, rischio seppellimento nei lavori di scavo, rischio elettrico e elettrocuzione (n.3 ipotesi), omessa vigilanza in ordine alla rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo.

 

- La sospensione dell’attività non necessita di reiterazione (come era prima), ma scatta dal primo accertamento.

 

- Unitamente al provvedimento di sospensione, l'Ispettorato nazionale del lavoro può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante l’attività.

 

- L'Ispettorato nazionale del lavoro adotta i provvedimenti di cui sopra tramite il proprio personale ispettivo non solo nell'immediatezza degli accertamenti effettuati, ma anche su segnalazione di altre amministrazioni, entro sette giorni dal ricevimento del relativo verbale.

 

- Il rafforzamento della figura del Preposto in chiave di “vigilante della sicurezza” ed esecutore delle direttive di sicurezza del padrone, tendenzialmente sempre più deresponsabilizzato nella catena di comando della sicurezza sul posto di lavoro.

 

L'avvio della riforma con la L.215/2021, il riordino di competenze (la nuova Vigilanza, nuovi Accordi Stato - Regioni sulla nuova Formazione di Datori di lavoro/preposti/dirigenti, attuazione art. 52, ruolo Enti paritetici)  e le attese attuazioni in materia di Servizio Informativo Nazionale Prevenzione (la conferma della centralità dell'Inail quale Piattaforma digitale per la tenuta/gestione delle banche dati e gli  scambi tra Enti preposti  e gli adempimenti istituzionali), tendono a recuperare efficienza e credibilità presso la pubblica opinione, mostra un innegabile passo avanti  rispetto a 13 anni di immobilismo, ma non parla di Salute sul posto di lavoro e dell'apprestamento delle Tutele necessarie. Ne è parzialmente consapevole il Ministro del Lavoro, che nella informativa alle Camera dei Deputati del 21/12/2021  ha tracciato, subito dopo la L. 215/2021, una “road map” di successivi provvedimenti (buone intenzioni):

- attuazione di 26 decreti tecnici  previsti   nel TU Sicurezza;

- attuazione art 27, comma 1-bis; qualificazione delle imprese edili e lavoratori autonomi ai fini della verifica dei requisiti di idoneità

- estensione obbligo Inail a tre milioni di lavoratori “autonomi, professionisti, piccoli imprenditori, militari, comuni lavoratori subordinati”

 

Principali criticità della situazione attuale.

 

1. La vigilanza nei luoghi di lavoro: organici Asl sottodimensionati (per non dire degli ispettori del lavoro per i cantieri); formazione degli Ufficiali di Polizia Giudiziaria non sistematica; mancanza di linee guide da regione per regione in grado di rendere omogenea e adeguata l'attività di vigilanza; mancata attivazione del SINP Sistema Informativo Nazionale di Prevenzione che consentirebbe una azione di vigilanza mirata sulle aziende a più alto indice infortunistico;

 

2. Mancata emanazione di decreti attuativi, tra cui quello importantissimo dell'articolo 27, e quello dell'articolo 26 del D.Lgs. n. 81/2008 sulla definizione dei requisiti della idoneità tecnico professionale di imprese e lavoratori autonomi ai fini della sicurezza sul lavoro, mancata emanazione del nuovo decreto sulla sicurezza antincendio, e di altri decreti attuativi previsti dal d.lgs. 81/2008.

 

3. Carenza di linee guida aggiornate, autorevoli e istituzionali che indirizzino le imprese a fare in modo corretto la valutazione di tutti i rischi lavorativi, la  formazione-informazione-addestramento dei lavoratori, la gestione degli appalti, la vigilanza, gli audit e la gestione di mese miss e incidenti mancati.

 

4. Mancanza di linee guida direttive delle procure per gli organi di vigilanza nei luoghi di lavoro in quasi tutte le regioni e procure, con poche lodevoli eccezioni.

 

5. Sottovalutazione delle malattie professionali, i cui procedimenti penali finiscono nella maggior parte dei casi archiviati.

 

6. Sicurezza sul lavoro e istruzione pubblica: edifici spesso pericolosi oltre alla frequente mancata istruzione sul piano di evacuazione.

 

7. Mancata imposizione dell'obbligo del modello 231 a tutte le aziende che abbiano avuto almeno un infortunio sul lavoro la cui responsabilità sia attribuita al datore di lavoro o ad un suo collaboratore o una malattia professionale riconosciuta dall'Inail.

 

8. Rafforzamento degli incentivi per le aziende che attuano le misure di sicurezza al di là degli obblighi di legge e che ottengono effettivamente una riduzione di incidenti e infortuni.

 

9. Definizione urgente di nuovi accordi interconfederali su ruolo e funzioni degli RLS, dato che quelli esistenti risalgono a venti anni fa!

 

Con quale strategia migliorare i livelli di sicurezza

Considerando che il tema della sicurezza sul lavoro non prescinde dall'attuale quadro sociale, politico e sindacale, e dei rapporti di forza che lo determina, sono molteplici gli obiettivi da porsi:

1. Ripristino dell'Art. 18

2. Abolizione del Jobs Act

3. Revisione del Decreto Dignità sui contratti a termine.

4. Ripristino dei fondi per la sicurezza sul lavoro a iniziare da quelli tagliati dal precedente governo.

5. Indagine ministeriale sullo stato di applicazione della normativa sulla sicurezza con il D.Lgs. 81/08, funzionale a un suo sviluppo e applicazione senza proroghe e ritardi nei decreti attuativi.

6. Assunzione di nuovi tecnici della prevenzione in rapporto alle realtà produttive dei territori per stabilirne il fabbisogno.

7. Revisione delle modalità di formazione dei responsabili del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) esterni o interni.

8. Titolarità dei RLS come figura istituzionale, indipendente dalle aziende e sgravato da altri incarichi elettivi (RSU, etc); rafforzamento della figura e compiti del RLS prevedendo l'obbligo di intervento della Vigilanza ASL/INL entro 7 giorni dal ricevimento di segnalazioni di violazioni di norme antinfortunistiche. Estendere la visione del DVR a tutti i lavoratori e non solo al RLS, almeno nei casi di avvio di richieste di riconoscimento di infortuni e malattie professionali.

9. Autonomia collaborativa degli organismi di prevenzione (Spresal, etc) dalle Giunte regionali.

10. Richiesta di Parte Civile dei ministeri della salute del lavoro in tutti i processi per morti sul lavoro.

11. Sorveglianza Sanitaria (estensione dell’obbligo) e rivisitazione giuridica del Medico Competente (non solo o non più consulente aziendale, ma trattare come figura del Servizio Pubblico nelle forme dell’assegnazione di medico specialista ambulatoriale, su graduatoria del comitato di zona ASL, nelle forme oggi previste per i medici in Rapporto Libero Professionale, a richiesta delle Aziende)

12. potenziamento regionale dei servizi territoriali di salute e sicurezza a partire dalla verifica degli attuali Livelli Essenziali di Assistenza previsti in ogni Regione (confronto)

13. campagna per l’emersione e riconoscimento delle malattie professionali

14. Rivisitazione del sistema di incentivi alle imprese, critica dei bandi Inail e soluzioni su più fronti

15. Inserimento nei contratti dell'inclusione della sicurezza e salute sul lavoro come principio fondamentale e diritto al lavoro, come richiesto dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO)

16. Riforma del periodo di comporto art.2110 c.c., escludendo le giornate di infortunio/MP dal computo del periodo massimo di assenza, come nel caso per malattia (esempio CCNL metalmeccanici)

Senza questa strategia rimane il silenzio che uccide in questo criminale sistema produttivo.

Quel silenzio imposto che porta a punire gli infermieri che hanno raccontano la realtà nel lavoro durante i mesi del picco pandemico.

 

Come rendere il D.Lgs. 81/08 applicabile dal punto di vista sindacale e giuridico.

1. Lotta a ogni forma di precariato sul lavoro e garanzia dell'auto organizzazione in fabbrica da parte della Rappresentanza dei lavoratori quali condizioni preliminare per l’affermazione del diritto alla salute nei luoghi di lavoro (attuazione concreta  dell’art.  9  dello Statuto dei lavoratori   e   delle lavoratrici).

2.  Piena  competenza dei  compiti di vigilanza nei luoghi di lavoro (in tutti i luoghi di lavoro) da parte dei servizi di prevenzione  delle  USL/ASL  con relativo piano di assunzione di un numero di tecnici idoneo per estenderei controlli in tutte le aziende.

3.  Responsabilità e autonomia decisionale dei tecnici della prevenzione della ASL/USL nella attuazione dei controlli programmati, in  emergenza e su richiesta dei lavoratori e delle loro rappresentanze. Predominanza di interventi mirati e di qualità rispetto a criteri basati esclusivamente sul numero dei controlli.

4. Inasprimento delle sanzioni penali a carico del datore di lavoro e dei dirigenti dalla normativa  cogente per il mancato adempimento degli obblighi relativi a diritto del lavoro e a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

5. Ripristino del testo originale  del D.Lgs. 81/08, eliminando le modifiche peggiorative per la salute e la sicurezza dei lavoratori introdotte dalle successive modifiche (D.Lgs.106/09,  Decreto del fare, Decreto semplificazioni, Decreti attuativi del Jobs Act). Contrasto ad ogni ulteriore  modifica peggiorativa del D.Lgs. 81/08, come quella prospettata dal Disegn di Legge Sacconi già presentato in Senato che comporterebbe una drastica deresponsabilizzazione del datore di lavoro e la trasformazione della valutazione dei rischi e la definizione conseguente delle misure di prevenzione e protezione  in  una  semplice “certificazione” da parte di un professionista pagato dall’azienda.

6. Sostenere la ripresa della conoscenza e coscienza  dei  lavoratori con la promozione di sportelli  salute e sicurezza autorganizzati e gestiti dalle realtà locali, in una rete di associazioni, anche a sostegno dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, che spesso operano senza validi   sostegni formativi.

7. Creazione, da parte del sindacato, di una rete di assistenza tecnico/legale per i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza quando, a seguito della loro attività, subiscono discriminazioni da parte delle aziende.

8. Previsione di pool di magistrati che si occupano di salute e sicurezza sul lavoro  in  ogni  Procura,  con  relativa formazione specifica, creazione di una Procura nazionale per la sicurezza sul lavoro.

9. Ripresa e sviluppo del rapporto tra lavoratori e tecnici sia per quanto riguarda  i  rischi  lavorativi  che  quelli ambientali, anche al fine della programmazione degli interventi per filiera produttiva o rischio e della formazione e sensibilizzazione dei  lavoratori  sulla conoscenza  dei  loro  diritti  rispetto  a salute e sicurezza sul lavoro.

10. Introduzione nel codice penale dei reati di omicidio sul lavoro (revisione dell’apparato  sanzionatorio  del  Dlgs 81/2008) e di vessazioni sul lavoro (mobbing, discriminazione sul lavoro, violenza e stalking sul lavoro) anche creando osservatori  su  tali  temi e sostenendo quelli già esistenti.

11. Introduzione in maniera esplicita nel  Dlgs 81/2008  dell’obbligo  di effettuare la valutazione dei rischi e di definire le relative misure di prevenzione e protezione, anche tenendo conto dei dati epidemiologici della coorte di riferimento responsabilizzando i Medici competenti.

12. Passaggio delle competenze sul riconoscimento delle malattie professionali dall’INAIL alle USL/ASL (non attuabile perché riguarda la competenza esclusiva dello Stato ai sensi art. 38, IV comma Costituzione, mentre é ipotizzabile una legislazione (prestazioni economiche) in più data dalla competenza nuovo art 117 Costituzione/2001 che assegna alle Regioni potestá in termini di “tutela e sicurezza del lavoro” tutta da scoprire) revisione delle tabelle  sulle malattie professionali (introducendo le neoplasie mancanti, patologie come MCS e sindrome da elettrosensibilità, patologie psichiche e psicosomatiche lavoro correlate) e della tabella sulla quantificazione del danno biologico. Contrasto  con l’atteggiamento di chiusura di enti (INAIL in primis) che non riconoscono o rendono impervio il riconoscimento di malattie professionali.

13. Promozione della ricerca attiva dei tumori professionali da parte dei servizi di prevenzione delle USL/ASL (utilizzo delle  indagini epidemiologiche per ricerche sui comparti a rischio) sull’esempio del modello OCCAM.

14. Piena attuazione ed estensione del regolamento europeo REACH per le sostanze  di  maggiore  pericolosità (cancerogeni, mutageni e teratogeni) per arrivare al divieto di produzione e di introduzione nei paesi aderenti alla Unione Europea.

15. Esplicitazione, nella Legge sulla fedeltà aziendale (art. 2105 codice civile), dell’esclusione dalla stessa di ogni denuncia, anche in forma pubblica, riguardo le condizioni di sfruttamento, abuso e rischio per la salute e la sicurezza sul lavoro.

 

Una considerazione finale.

NON BASTA LA VIGILANZA SE NON C’E’ FORMAZIONE E CONFLITTO

NON CI SONO INTERVENTI SALVIFICI NE’ SCORCIATOIE SE NON RIPENSIAMO AI RAPPORTI DI FORZA NELLA MEDIAZIONE TRA LAVORATORI E DATORI DI LAVORO.

Credo che nel trattare con le pinze questa quotidiana strage da sempre vissuta come normalità, tragica ma sempre normale nell’opinione comune, a prescindere dall’indignazione del momento, bisogna partire da uno stato delle cose, nel diritto del lavoro, debilitato da decenni di assenza del concetto di prevenzione sia dal punti di vista legislativo che nella pratica sindacale che pecca di radicata cogestione sindacale dei processi di involuzione subiti dai diritti nel mondo lavoro, a partire dai RLS si sono visti depredati della loro titolarità e sono mantenuti come comparse, ovviamente considerando le poche eccezioni ancor attive in tanti posti di lavoro.

Non possiamo fermarci a sperare che il problema degli infortuni sul lavoro si risolva potenziando le attività di vigilanza degli organi preposti. Questi, in realtà, possono operare, principalmente o forse meglio dire solamente, sul terreno della riduzione del danno, cosa importante, ma il problema è sistemico e strutturale, la mancata tutela della salute nei luoghi di lavoro va oltre la vigilanza strettamente sanitaria. Con questo non voglio certamente affermare che la battaglia contro le le morti sul lavoro, gli infortuni e le malattie professionali, oggi sempre più disconosciute, è persa in partenza o che il lavoro degli organi preposti sia di poco peso o irrilevante, solo che ci fa bene restare ancorati alla realtà di oggi.

C'E' COMUNQUE UN PROBLEMA GIGANTESCO CHE SPESSO INFICIA IL LAVORO DEGLI ORGANI DI VIGILANZA

Chi controlla il controllore? Svolgono attività di informazione, assistenza, consulenza, formazione, promozione in materia di sicurezza e salute,  promozione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Questo è un problema conosciuto agli addetti ai lavori tanto che anche i procuratori della Repubblica che si occupano delle indagini sulla materia lo espongono pubblicamente.

E allora quali altre strade in parallelo bisogna percorrere?

Primo.

Un sistema di formazione, sindacale concreto, costantemente aggiornato e verificato nella sua efficacia, che parta dai dirigenti, dai quadri intermedi, dai vari preposti per estendersi poi a tutti i lavoratori, tenendo conto delle esigenze e peculiarità dei lavoratori (tra questi il problema  del coinvolgimento dei lavoratori migranti) e tenendo conto delle tipologie di lavoro, lavoro a tempo indeterminato, lavoro a tempo determinato, lavoro stagionale, lavoro a chiamata, lavoro saltuario, e così via).

Secondo.

Un sistema capillarmente diffuso ed efficace di vigilanza e controllo da parte delle strutture pubbliche preposte, però assistito da una visione conflittuale con le parti datoriali, che sia in grado di garantire una effettiva possibilità che le imprese siano controllate a fondo e verificate per una coerente e rapida risposta alle richieste dei lavoratori e dei loro rappresentanti, e funzionale a una tempestiva capacità di intervenire in caso di infortuni e/o malattie professionali.

Percorrendo questa strada dobbiamo tener presente anche una nuova e poco considerata situazione che potrebbe verificarsi nel prossimo futuro.

Consideriamo cosa sarà la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro con l’autonomia differenziata: standard e indirizzi per il controllo di salute e sicurezza dei lavoratori saranno diversi in ciascuna regione. Lo stesso sarà per la formazione dei tecnici di vigilanza.

Nell’ultimo decennio leggi regionali non hanno imposto alle aziende l’adozione di impianti e tecnologie sicure, quindi è inimmaginabile che  usino la loro autonomia legislativa per ricostituire dei reali servizi di tutela del lavoro dopo averli ridotti quando non smantellati; servizi che sicuramente saranno esternalizzati ai privati.

Di conseguenza l’autonomia differenziata inficierà la possibilità di conoscenza, debiliterà la lotta di denuncia e proposta che sarà ancora più difficile di quanto non lo sia adesso.

 

Fonte: rivista Lavoro e Salute