Mondo del lavoro e salute: il quadro attuale e le prospettive future

  • Stampa

 

 

A cura del Gruppo Lavoro del CIVG

 

Salute: una definizione

 

La definizione di "salute" data nel 1948 dall'OMS era "uno stato di completo benessere fisico, mentale, psicologico, emotivo e sociale". La nuova definizione del 2011 la definisce invece come "la capacità di adattamento e di autogestione di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive". Questo slittamento semantico sembra piuttosto significativo, e merita un approfondimento.

L’aspettativa di vita delle persone è aumentata rispetto a quando è stata fornita la definizione di “salute” da parte dell’OMS nel 1948. Con l’invecchiamento della popolazione vi è stato il conseguente incremento delle malattie croniche, spesso invalidanti, pertanto non si può più parlare semplicemente di “completo benessere fisico”. D’altronde, quest’ultimo è un’utopia in considerazione della vita che un normale essere umano deve affrontare, al contrario di coloro che detengono il potere economico.

Ma perché la definizione aggiornata di salute fornita OMS nel 2011 parla nello specifico di “ capacità di adattamento e di autogestione di fronte alla sfide sociali, fisiche ed emotive”? Per il motivo su esposto? Probabilmente, ma non solo…

La nuova definizione considera qualsiasi essere umano capace di fronteggiare in modo autonomo le sfide fisiche e sociali di una vita in continuo cambiamento e di funzionare (alla stregua di una macchina!) in modo soddisfacente, con la percezione di stare bene pur in presenza di una malattia cronica o di una disabilità.

In sostanza l’OMS mette unicamente in primo piano la sola capacità dei singoli di convivere ed accettare il loro stato di salute, anche nelle condizioni di irreversibile perdita della stessa, qualunque sia il contesto economico-sociale in cui stanno vivendo (o per meglio dire, che stanno subendo).

È indiscutibile che le condizioni di salute siano sempre più legate alle condizioni di benessere economico. Ciò è ancor più vero alla luce dell’attuale crisi pandemica, e sta portandoci da tempo verso una sempre più pericolosa deriva di abbandono sociale dell’individuo non in possesso delle risorse economiche sufficienti a mantenersi in vita. Ma d’altronde, si tratta esattamente di ciò che già ab illo tempore succede sotto i nostri occhi nei paesi del terzo mondo.

In Occidente, con la medicina di base messa in un angolo, il singolo cittadino preoccupato per il suo stato di salute riceve, da parte del sistema sanitario nazionale, un supporto che consiste in interminabili liste d‘attesa, a meno che non si disponga di adeguate risorse economiche per provvedere privatamente. Questo è il fallimento del sistema sanitario pubblico!

La crisi pandemica ha fatto emergere l’importanza di avere sistemi sanitari solidi ed efficienti, e il G20 a presidenza italiana lo ha riconosciuto nel corso dei lavori svoltisi il 5-6 settembre 2021, affermando che si dovranno recuperare decenni di investimenti inadeguati.

Ritornando al confronto fra le due definizioni di “salute” del 1948 e del 2011 da parte dell’OMS, è significativo che il testo unico sulla sicurezza negli ambienti di lavoro (Dlgs 81/08) mantenga il riferimento alla frase del 1948, inserendola all’art. 2, comma 1, lett. o) “(...) salute: stato di benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o di infermità”.

Da questo punto di vista la nuova definizione del 2011 fornita dall’OMS cozza palesemente contro l’intero impianto costituzionale, contro le attuali norme legislative redatte a tutela dei lavoratori, comprese quelle legiferate in ambito europeo.

In un certo senso quindi i lavoratori, fin quando sono tali, risulterebbero maggiormente tutelati rispetto agli altri cittadini. Ma con la frammentazione dei comparti produttivi unita alla molteplicità dei contratti di lavoro voluti dal governo renziano, ormai anche la maggior parte dei lavoratori naviga in cattive acque.

In Italia sussistono i seguenti tipi di contratti di lavoro: a tempo indeterminato; a tempo determinato; part-time; stage; a chiamata; apprendistato; collaborazione coordinata e continuativa; prestazione occasionale; appalto per lavori privati. Per fare un esempio, un contratto a tempo determinato prevede che il periodo di assunzione vada da un minimo di 12 giorni sino ad un massimo di 24 mesi. Alla faccia del benessere psicofisico! Quanto può essere destabilizzante psicologicamente la vita quotidiana di un lavoratore precario?

 

Leggi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro

 

A partire dal 1991 si registra un primo seppur parziale avanzamento a tutela dei lavoratori, responsabilizzando maggiormente i datori di lavoro con l’attuazione di determinate direttive CEE, attraversp il Dlgs 277/91.

A seguire, nel 1994, si ha l’entrata in vigore della Legge 626, con la quale si recepirono le normative europee sulla salute e la sicurezza dei lavoratori in tutti gli ambienti di lavoro. Con la 626 vennero introdotti il Servizio di Prevenzione e Protezione e la relativa figura del suo responsabile; si istituì anche il rappresentante dei lavoratori, un tramite fra datore di lavoro e dipendenti.

Il datore di lavoro diventa responsabile del miglioramento della sicurezza e salute negli ambienti di lavoro, e viene obbligato a redigere un documento di valutazione dei rischi per l'individuazione dei fattori e delle sorgenti di rischio, la riduzione al minimo del rischio (rischio residuo), il controllo delle misure preventive messe in atto. Viene imposta l’elaborazione di una strategia aziendale che consideri tutti i fattori di rischio (es. tecnologici e organizzativi).

È con il D.lgs. 81/08 che si estende la tutela a tutti i settori ed ai lavoratori autonomi, unificando in un unico testo la normativa in materia di sicurezza e salute in ambito lavorativo.

Negli ultimi anni sono state apportate altre modifiche al testo unico, in particolare per la formazione dei lavoratori.

La modifica più recente è inserita nel Decreto Legge (Fiscale) n. 146 del 21 ottobre u.s.

Il capo III di tale decreto (Rafforzamento della disciplina in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) pone l’obiettivo di ridurre infortuni e malattie professionali andando a rafforzare gli organismi paritetici, istituendo il loro Repertorio (entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto), per ottenere da essi, annualmente, tutte le informazioni utili a definire i criteri di priorità nella programmazione della vigilanza.

Perchè il Repertorio? Sicuramente al fine di individuare ed escludere gli organismi non titolati, non rappresentativi, operanti in modo non conforme alla normativa.

Il capo III del DL fiscale contiene altre modifiche al Dlgs. 81/08, atte a rendere più efficiente il sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), istituito dal 2008 e mai reso operativo.

Tale compito viene affidato all’INAIL, che dovrà rendere disponibili i dati raccolti dalle pubbliche istituzioni operanti nel campo specifico (Dipartimenti di Prevenzione delle ASL e Ispettorato Nazionale del Lavoro). Anche qui però occorrerà attendere un ulteriore decreto atto ad individuare i criteri e le varie regole per la realizzazione ed il funzionamento del SINP. Occorrerà anche attendere 60 giorni per ridefinire la composizione del Tavolo tecnico per lo sviluppo e il coordinamento del SISP. È da rilevare il fatto che verranno inseriti nel SINP i dati riguardanti le sanzioni emesse nell’ambito della vigilanza: ciò dovrebbe verosimilmente restituire una reale visione d’insieme circa l’applicazione della norma da parte delle aziende. Anche le parti sociali potranno partecipare al SINP attraverso consultazione periodica. È significativo che il decreto preveda anche la sospensione delle attività che non rispetteranno le norme sulla sicurezza fino al ripristino delle condizioni di legalità. Sinora era una mera facoltà spettante all’organo di vigilanza (SpreSAL) Staremo a vedere se queste modifiche apportate alla norma saranno tali da migliorare nel contempo sia l’attività di prevenzione che di vigilanza.

Ma che dire dei lavoratori in nero, per nulla tutelati sotto tutti i punti di vista!

Ecco che interviene pure in questo campo il decreto fiscale, che prevede il provvedimento di stop all’attività imprenditoriale in presenza di una percentuale superiore al 10% di lavoratori irregolari, percentuale abbassata rispetto al 20% previsto finora. Per di più le aziende sospese dovranno, nel periodo di sospensione dell’attività produttiva, continuare a pagare lo stipendio ai lavoratori.

Riepilogando: le norme sono quasi perfette, nel senso che se un’impresa di una certa rilevanza (un grande marchio per intenderci) può essere in grado di operare nel rispetto della normativa, così non è per ditte individuali con un minor numero di dipendenti, perché i costi per la prevenzione sono alti. In effetti, la stessa norma interviene in proposito autorizzando il datore di lavoro ad auto certificare di aver valutato tutti i rischi. Va da sé che ben difficilmente il suo dipendente sarà messo in grado di riconoscere specifici rischi per agire di conseguenza in sicurezza, a meno che non abbia seguito un percorso scolastico in cui è inserita la materia inerente la sicurezza negli ambienti di lavoro... e qui sta il punctum dolens!

Con un’adeguata e specifica istruzione scolastica tutti i dipendenti, ma anche i preposti e i datori di lavoro sarebbero sempre diligenti ed esperti, e se tutti lo fossero non sarebbe neanche necessario informarli, formarli ed addestrarli... Ma la realtà è ben diversa, ed ecco perché la norma tenta di rendere obbligatoria per tutti i lavoratori, ma anche per dirigenti e preposti, una formazione adeguata, nel tentativo di evitare l’imprevidibilità derivante dal fattore umano. Fattore umano che purtroppo riveste un ruolo significativo proprio nelle piccole imprese a conduzione familiare senza dipendenti, in quanto esse non hanno l’obbligo di designare il RSPP, i lavoratori incaricati di dare attuazione alle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione, di primo soccorso e gestione dell’emergenza, e di provvedere alla valutazione dei rischi riguardanti la propria attività…

Diventa quindi di notevole importanza la qualifica delle imprese. La modalità di qualifica è stata fatta, ma riguarda esclusivamente le imprese che operano in luoghi confinati (DPR 177/2011), e ciò grazie a quanto recita l’art.27 del Dlgs 81/08, che resta peraltro disatteso in quanto il legislatore non ha stabilito analoghi decreti per gli altri comparti. È servita però a ben poco la norma attinente gli ambienti confinati per i due lavoratori morti per asfissia all’Humanitas di Pieve Emanuele. Secondo i primi accertamenti uno dei due era neoassunto, e lavorava in subappalto per un’impresa incaricata della fornitura di gas…

Che dire poi del settore agricolo, in cui si registrano molti infortuni mortali, spesso durante l’impiego di mezzi agricoli vetusti e non a norma? E pensare che per questo caso le norme specifiche sarebbero già pronte per essere presentate in sede legiferante! Ecco trovato un altro ostacolo alla piena attuazione delle norme in materia di salute nei luoghi di lavoro: il parlamento e le relative commissioni, che a quanto pare dormono!

Per molte categorie di lavoratori, pare che il tempo si sia fermato agli anni ’50…

 

Il lavoratore: soggetto attivo?

 

Con il Testo unico sulla sicurezza, al lavoratore vengono garantiti i seguenti diritti:

- di astenersi - salvo casi eccezionali e su motivata richiesta - dal riprendere l'attività lavorativa nelle situazioni in cui persista un pericolo grave ed immediato;

- di allontanarsi - in caso di pericolo grave ed immediato e che non possa essere evitato - dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, senza subire pregiudizi o conseguenze per il loro comportamento;

- di prendere, in caso di pericolo grave ed immediato e nella impossibilità di contattare un superiore gerarchico o un idoneo referente aziendale - misure atte a scongiurare le conseguenze di una situazione di pericolo, senza subire pregiudizi per tale comportamento, salvo che questo sia viziato da gravi negligenze,

- di essere sottoposto a visite mediche personali “qualora la relativa richiesta sia giustificata da una connessione, documentabile, con rischi professionali”.

D’altronde la norma responsabilizza lo stesso lavoratore, che è tenuto a:

- prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro - Art. 20, comma 1;

- contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro - Art. 20, comma 2, let. a);

- osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale - Art. 20, comma 2, let. b);

- utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto, nonché i dispositivi di sicurezza - Art. 20, comma 2, let. c);

- utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione - Art. 20, comma 2, let. d);

- segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell'ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l'obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza - Art. 20, comma 2, let. e);

- non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo -Art. 20, comma 2, let. f);

- non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori - Art. 20, comma 2, let. g);

- partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro -Art. 20, comma 2, let. h);

- sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal medico competente - Art. 20, comma 2, let. i);

- i lavoratori di aziende che svolgono attività in regime di appalto o subappalto, devono esporre apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro. Tale obbligo grava anche in capo ai lavoratori autonomi che esercitano direttamente la propria attività nel medesimo luogo di lavoro, i quali sono tenuti a provvedervi per proprio conto - Art. 20, comma 3;

- Art. 21 Disposizioni relative ai componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del Codice civile e ai lavoratori autonomi:

- utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al titolo III del D.Lgs 81/08-art.21 comma 1, let. a)

- munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al titolo III - Art. 21, comma 1, let. b);

- munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto - Art. 21, comma 1, let. c).

 

Ma allora, a maggior ragione, la tutela della salute nei luoghi di lavoro deve essere necessariamente considerata nei programmi di scolastici! La tutela dei lavoratori deve restare un obbligo per i datori di lavoro, veri responsabili nel caso di infortuni o di insorgenza di malattie lavorative, perché il lavoratore è un soggetto sociale debole, ricattabile dai datori di lavoro, ancor più nella situazione economico-sociale attuale… Ma non si può attendere che tutti i padroni sviluppino questa particolare sensibilità e pertanto i lavoratori per primi devono tornare ad essere un soggetto attivo nelle lotte per la tutela della salute, sviluppando un rapporto stretto con i tecnici della sanità pubblica. Per farlo, alla luce della sindacalizzazione ormai a macchia di leopardo dei luoghi di lavoro, è necessario sviluppare nuove forme d’azione.

 

Infortuni: perchè accadono? E quali sono gli enti preposti al controllo?

 

Come si spiegano i continui infortuni sul lavoro, che peraltro si ripetono praticamente con le medesime modalità dagli anni ’50, o l’accertamento di nuove malattie professionali?

Se da un lato la normativa per la sicurezza e la tutela della salute negli ambienti di lavoro è migliorata di molto, seppure grazie alle direttive imposte dalla comunità europea, sul fronte dell’effettiva applicazione delle norme, c’è ancora molta strada da fare.

Innanzitutto, come ho già argomentato, vi è la mancata o certamente scarsa trattazione scolastica del tema della salute sui luoghi di lavoro.

In secondo luogo, il conseguente comportamento pressapochista durante l’attività lavorativa, principalmente da parte del datore di lavoro e in particolare nelle ditte individuali con dipendenti, o nelle imprese familiari.

Inoltre, la carenza di personale di vigilanza nel settore preposto (ASL – SpreSAL). A questo proposito il governo, con il decreto fiscale, ha modificato il Testo unico del 2008 prevedendo che la vigilanza venga svolta anche dalle Direzioni Provinciali del Lavoro (Ispettorato del Lavoro) potenziandone l’organico ed incrementando il contingente di personale dell’Arma dei Carabinieri preposto in materia di sicurezza sul lavoro.

Non è previsto però l’aumento del personale delle ASL preposte alla vigilanza negli ambienti di lavoro. Questo personale ha seguito specifico corso di laurea in Tecniche della Prevenzione, quindi è realmente formato per condurre attività di prevenzione ed indagine degli accadimenti infortunistici.

In proposito le Regioni giocano un ruolo importante al fine di avere la giusta proporzione di personale di vigilanza, ma nel complesso fanno ben poco per aumentare o almeno evitare lo svuotamento dell’organico dovuto ai collocamenti in quiescenza.

Altro motivo ancora: la mancanza di un completo raccordo fra le istituzioni destinate ai controlli, per creare una efficiente divulgazione degli eventi negativi e le soluzioni per evitarli. Ciò si dovrebbe risolvere grazie all’apporto del SINP citato precedentemente.

Anche le regioni hanno da tempo sviluppato delle competenze, e il nuovo decreto fiscale obbliga ogni comitato regionale (istituito nel 2008) a riunirsi almeno due volte l’anno, anche su convocazione dell’ufficio territoriale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Le funzioni proprie dei comitati regionali sono attualmente:

- sviluppare, tenendo conto delle peculiarità territoriali, i piani di attività e i progetti operativi definiti a livello nazionale;

- svolgere funzioni di orientamento e pianificazione delle attività di vigilanza e di prevenzione e promuovere, in maniera coordinata, attività di formazione, informazione, comunicazione, assistenza;

- raccogliere ed analizzare le informazioni relative agli eventi lesivi e ai rischi, fornendo suggerimenti operativi e tecnici che siano volti alla riduzione del fenomeno infortunistico e delle malattie professionali;

- valorizzare gli accordi aziendali e territoriali che promuovano l’adozione, da parte di datori di lavoro, lavoratori e tutti i soggetti interessati, di comportamenti volti a migliorare i livelli di tutela della salute e della sicurezza.

Staremo a vedere se, con la nuova modifica inserita nella norma sulla tutela della salute, si riuscirà a dare una svegliata al sonnecchiante sistema istituzionale voluto dal DLgs. 81/08 al Capo II…

 

Il ruolo della medicina del lavoro

 

“(…) perché il malato è il lavoro ed è questo che deve essere curato affinché siano prevenute le malattie dei lavoratori …”: è l’affermazione fatta agli esordi del ‘900 dal medico Luigi Devoto, fondatore del primo periodico di Medicina del Lavoro.

Tre sono gli obiettivi principali della Medicina del Lavoro:

- il mantenimento e la promozione della salute e della capacità lavorativa;

- il miglioramento dell’ambiente di lavoro e del lavoro stesso per renderli compatibili ad esigenze di sicurezza e di salute;

- lo sviluppo di una organizzazione e di una cultura del lavoro che vada nella direzione della salute e della sicurezza.

Il Dlgs 81/08 definisce chi può essere medico competente… può essere un libero professionista, un dipendente o collaboratore di una struttura esterna pubblica o privata, e, ahinoi!, dipendente dello stesso datore di lavoro. Il medico competente deve collaborare alla valutazione dei rischi con il datore di lavoro i rappresentanti dei lavoratori; inoltre si occupa di spiegare ai lavoratori il significato della sorveglianza sanitaria a cui sono sottoposti e li informa sui risultati; infine, visita gli ambienti di lavoro (almeno una volta all’anno, sic).

Bisogna ringraziare principalmente Medicina Democratica se sono stati fatti passi importanti nel campo legislativo per la tutela della salute dei lavoratori in Italia. MD nasce nel 1978, ma i suoi fondatori provengono da un’esperienza decennale guidata dal Prof. Maccacaro, uno dei fondatori dell’epidemiologia in Italia. Grazie anche a Medicina Democratica l’approccio alle situazioni di rischio aveva visto, negli anni che vanno dall’autunno caldo del 1969 sino al 1980, il coinvolgimento dei lavoratori oltre che dei tecnici della sanità.

Come è emerso dal convegno del 2015 di MD, è necessario riprendere a tessere e sperimentare interconnessioni, piattaforme programmatiche tra Associazioni, OO.SS., Consigli dei delegati, RSU e RLS su singoli obbiettivi per invertire la tendenza sugli infortuni nei luoghi di lavoro; è necessario inoltre non perdere di vista la necessità della nascita di un movimento di tutela della salute die lavoratori a livello europeo.

Il nostro legislatore dovrebbe intervenire in proposito con maggior enfasi, ben oltre quanto recita il testo unico (art. 6 comma 6), obbligando la creazione dei comitati speciali permanenti in cui possono trovare allocazione le associazioni come MD.

 

Rischi psicosociali e suicidi

 

Vi sono condizioni di lavoro che possono comportare conseguenze di natura psicologica come stress, esaurimento, depressione, per cui possono anche originarsi danni fisici (malattie cardiovascolari, disturbi muscoloscheletrici, ecc.).

Questi rischi psicosociali traggono origine da inadeguata progettazione del sistema di lavoro e della sua organizzazione, ivi compreso l’ambiente di lavoro socialmente insoddisfacente.

Le ragioni principali sono attribuibili a:

- carichi di lavoro eccessivi;

- richieste contrastanti e mancanza di chiarezza sui ruoli;

- scarso coinvolgimento nei processi decisionali e mancanza di influenza sulla modalità in cui il lavoro viene svolto;

- gestione inadeguata dei cambiamenti organizzativi, precarietà del lavoro;

- comunicazione inefficace, mancanza di sostegno da parte dei colleghi o dei superiori;

- molestie psicologiche e sessuali, violenza da parte di terzi

La medicina del lavoro è da decenni impegnata nella valutazione di questi rischi.

L’evoluzione tecnologica e i cambiamenti economici, demografici e sociali portano conseguenti modifiche nei sistemi di produzione e somministrazione del lavoro, finalizzate a mantenere le aziende competitive sul mercato.

L’art. 28 del Dlgs 81/08 pone l’obbligo della valutazione del rischio da stress lavoro-correlato e, di conseguenza, quello relativo alla gestione dello stesso da parte del datore di lavoro. Per rispettare la norma occorre un’approfondita ricerca sulle diverse condizioni di vulnerabilità connesse “alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro”.

Nel 2003 l’Inail ha prodotto una circolare interna (n°1 del 17/12/2003) concernente le modalità di trattazione delle pratiche di riconoscimento di Malattia Professionale in caso di disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro, che rappresenta una svolta importante nel percorso dell’inquadramento come malattia professionale dei disturbi psichici.

L’Inail ha anche realizzato una piattaforma online per la valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato ai sensi del D.lgs.81/08. La piattaforma è stata recentemente aggiornata (gennaio 2021); è stato inoltre realizzato un primo documento che riporta gli aspetti metodologici della procedura per il supporto psicosociale degli operatori sanitari in relazione alla pandemia da Covid-19, che li sottopone a stress e insorgenza di disturbi post traumatici.

Per quanto riguarda i suicidi, la crisi economica mondiale, la notevole riduzione dei posti di lavoro a tempo indeterminato e la conseguente espansione delle forme contrattuali a tempo determinato, in combinazione con la crisi sanitaria globale, sembrano aver aumentato i tentativi di suicidio e i suicidi.

Si sa per certo che i più esposti a tale rischio sono i melanconici e coloro che soffrono di depressione.

Secondo i dati ISTAT, nel 2019 si sono suicidate 3.780 persone: di questi gli uomini sono quasi l’80%.

Nel Nord Italia l’incidenza è più elevata, in particolare nel Nord-Est per gli uomini.

Va ammesso che, per poter implementare efficaci politiche di prevenzione, occorrerebbe poter disporre del dato sui tentativi di suicidio oltre che di quello sui suicidi realizzati. L’aver effettuato un precedente tentativo di suicidio è infatti uno dei più importanti predittori della mortalità per suicidio.

Purtroppo in Italia questo dato non viene raccolto di routine…

Per colmare questo vuoto informativo l’Istituto Superiore di Sanità insieme ad altri Enti sta implementando un Osservatorio Epidemiologico sui Suicidi e Tentativi di Suicidio (OESTeS) che si propone di fornire stime aggiornate ed esaustive sui tentativi di suicidio nel nostro Paese mediante l’integrazione e l’analisi di diversi flussi informativi esistenti (accessi al pronto soccorso, schede di dimissione ospedaliera e dati di mortalità). La raccolta di questo genere di dati ha l’obiettivo di fornire ai decisori politici informazioni di qualità per l’implementazione di politiche di prevenzione.

La Fondazione BRF – Istituto per la Ricerca in Psichiatria e Neuroscienze, proprio per via della mancanza assoluta di dati aggiornati, ha istituito nel 2020, durante la prima ondata della pandemia, un Osservatorio Suicidi Covid-19, monitorando gli atti suicidari in base alle notizie di cronaca. I dati raccolti nello studio pilota ci parlano di 62 suicidi correlati, direttamente o indirettamente, al coronarivus in circa tre mesi (lo studio è stato avviato a metà marzo e concluso a metà giugno).

Dal primo gennaio 2021 ha deciso di aprire un Osservatorio Suicidi che monitori, sempre in base ad un’attenta analisi delle notizie di cronaca (locali e nazionali), gli atti suicidari, tentati e tragicamente conclusi.