Notiziario Patria Grande - Novembre 2020

 

NOTIZIARIO

 

Novembre 2020

 

SOMMARIO

 

PAGINA 12 (ARGENTINA) / LATINOAMERICA/ FEMMINICIDI POLITICI

DALLE SORELLE MIRABAL A BERTA CACERES

 

TELESUR (VENEZUELA) / POLITICA / CRISI ISTITUZIONALE IN PERU

L'insolita saga dei presidenti peruviani

 

RT EN ESPANOL / LATINOAMERICA / GUATEMALA

Sei domande e risposte per capire cosa succede in Guatemala

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / COLOMBIA

La Colombia segnata dalla violenza e dalle sparizioni forzate

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / BOLIVIA

Quello che l'indio della Bolivia insegna al sionista latinoamericano

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / BOLIVIA

La Bolivia ritorna nell’ALBA, nella CELAC e nella UNASUR

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / AMERICA LATINA

L’America Latina tra pandemia ed elezioni

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / CINA

La Cina alla guida del maggior trattato di libero scambio del mondo

 

GRANMA (CUBA) / ECONOMIA / DOPPIA VALUTA

Il peso del peso cubano

 

GRANMA (CUBA) / INTERNI / INGERENZA E DESTABILIZZAZIONE

San Isidro, reality show imperiale

 

 


 

Página12 (Argentina) / Latinoamerica / Femminicidi politici

DALLE SORELLE MIRABAL A BERTA CACERES

Femminicidi politici

 

Il nome di Berta Cáceres, difensora della terra e l'acqua, referente del popolo Lenca in Honduras, dove si oppose alla costruzione di una diga che avrebbe strangolato il Rio Blanco, sacro per la sua gente, risuona adesso mentre ancora riecheggiano le giornate di mobilitazione e lotta del 25 novembre, "Giorno Internazionale per l'Eliminazione della Violenza contro le Donne". Assassinata nel 2016 da sicari già condannati, legati alla stessa impresa responsabile della diga, Berta fu vittima di un femminicidio politico, analogamente alle sorelle Mirabal, che in questa data vengono ricordate. La seconda tappa del processo contro gli autori intellettuali continua ad essere rinviata, senza altro senso che garantir loro l’impunità. 

Claudia Korol  -  27 novembre 2020

 

 

In tutto il mondo si realizzano in questi giorni giornate di mobilitazione e lotta per il 25 novembre, "Giorno Internazionale per l'Eliminazione della Violenza contro le Donne", data che ricorda l’uccisione delle sorelle Patria, Minerva e María Teresa Mirabal, le "Farfalle" che affrontarono la dittatura di Trujillo nella Repubblica Dominicana - responsabile di oltre 50.000 assassinii tra i popoli dominicano e haitiano - fino all’assassinio loro nel 1960, un triplice femminicidio politico. 

In tutti i femminicidi politici perpetrati negli ultimi decenni, tra cui quelli di Beti Cariño (2010 / Oaxaca, Messico), Nilce de Souza Magalhães (2016 / Rondonia, Brasile), Macarena Valdes (2016 / Wallmapu, Cile), Berta Cáceres (2016 / Honduras), Marielle Franco (2018 / Brasile), Cristina Bautista (2019 / Cauca, Colombia), possiamo riscontrare azioni preliminari e susseguenti volte a screditare le leader popolari, che ricoprono un ruolo fondamentale nella difesa di corpi e territori. Nella maggior parte dei casi gli autori dei crimini restano impuniti, giacché vi sono coinvolte grandi imprese - molte di esse multinazionali -, interessi politici corporativi molto potenti, consulenze internazionali, governi locali, forze di sicurezza. Qualcosa accomuna i processi di criminalizzazione delle donne che difendono territori, comunità e corpi dell'Abya Yala. 

Berta Cáceres: un crimine emblematico 

Questa settimana doveva riprendere in Honduras il processo contro David Castillo, rinviato per due anni ed otto mesi a causa delle manovre dilatorie della difesa, accolte dal tribunale. Ancora una volta l'udienza è stata sospesa per la presentazione di un ricorso in appello da parte della difesa. È vergognosa la complicità del Tribunale coi padroni del potere. Bertha Zúniga Cáceres, figlia di Berta e coordinatrice generale del COPINH (Consiglio Civico di Organizzazioni Popolari ed Indigene dell’Honduras), in un'intervista precedente all'udienza ci disse che le prove esistenti contro David Castillo sono contundenti ed inconfutabili. Per questo motivo la difesa cerca di condurre il processo ad un vicolo cieco. 

COPINH ha denunciato che David Castillo, insieme ai membri della famiglia Atala - Jacobo, José Eduardo e Pedro Atala Zablah - e Daniel Atala Midence, sono i responsabili intellettuali dell'assassinio di Berta. Nonostante le numerose prove che li incriminano, gli impresari Atala - padroni di DESA - non sono stati mai processati, neppure citati come testimoni. Bertha Zúniga Cáceres ha rimarcato: "In questo processo vogliamo ottenere la condanna del Presidente dell'impresa DESA, il Sig. David Castillo, che ebbe un ruolo determinante nell’assassinio della compagna Berta Cáceres e negli attacchi sistematici al COPINH. Per noi è importante, perché egli rappresenta gli interessi di un gruppo economico che tenta di imporsi nei confronti dei popoli, delle resistenze. È una persona con addestramento militare che risponde agli interessi della famiglia Atala, dei gruppi che hanno tratto profitto dal modello economico basato sull’estrattivismo per continuare ad incrementare i loro guadagni. Lo consideriamo un tassello fondamentale per vincolare gli autori materiali già condannati agli autori intellettuali che permangono impuniti, mancando la volontà dello Stato honduregno di processarli e condannarli. Questa condanna ribadirebbe il fatto che Berta Cáceres fu assassinata a causa della sua lotta, che si opponeva ad interessi economici nel Paese, che continuano ad usare violenza contro le popolazioni. Questo processo ha anche un significato simbolico molto importante, relativo alle aggravanti nel crimine contro di lei, leader donna di un'organizzazione di popoli indigeni, che non ebbe paura di indicare chi sono gli aggressori delle popolazioni." 

Chi è David Castillo? 

Tra la notte del 2 e l’alba del 3 marzo 2016 venne ammazzata Berta Cáceres, cofondatrice e dirigente del COPINH, famosa e apprezzata dirigente della resistenza al colpo di stato, difensora dei territori - specie di quelli in cui abita il popolo Lenca - e negli ultimi anni profondamente coinvolta nell'opposizione della comunità Lenca di Rio Blanco alla costruzione della diga Agua Zarca, sul Rio Gualcarque, considerato un fiume sacro dalla sua gente. L’assassinio di Berta sollevò una mobilitazione nazionale ed internazionale per chiedere giustizia. 

Il 30 novembre 2018 il Tribunale Penale Nazionale dell’Honduras condannò sette sicari come autori materiali dell'assassinio. Tra questi uomini, assoldati dai dirigenti di DESA, vi sono l'ex capo di sicurezza di DESA ed ex tenente dell'esercito addestrato dagli Stati Uniti, Douglas Geovanny Bustillo, l'ex sergente delle forze speciali Henry Hernández, l'ufficiale delle forze speciali formato negli Stati Uniti Mariano Díaz Chávez, ed Edilson Atilio Duarte Mesa, membro delle forze armate in servizio al momento del crimine. Non si tratta di sicari scelti a caso. È una task force altamente qualificata, con personale addestrato negli Stati Uniti, coordinata da David Castillo, uno degli autori intellettuali processato in questi giorni, che operò il collegamento coi proprietari dell'impresa. 

Presidente di DESA, collaboratore degli Atala, David Castillo è un ex ufficiale dei servizi segreti militari, che fu membro delle Forze Armate dell’Honduras col grado di Sottotenente dei Servizi Segreti Militari. Appare nella lista dei laureati nell'anno 2004 all'accademia militare statunitense di West Point. È accusato di aver organizzato il delitto, raccolto informazioni all’interno del COPINH e assoldato gli assassini. Fu arrestato nell'aeroporto di San Pedro Sula il 2 marzo 2018, mentre cercava di lasciare il Paese. Dalla sua udienza iniziale il 9 marzo 2018, permane in custodia cautelare nel Centro Penitenziario Nazionale di Támara. 

David Castillo fu il responsabile e realizzatore del lavoro di intelligence nell’avvicinamento a Berta Cáceres, stabilendo un contatto attraverso il quale ricavava informazioni per i piani dell'impresa. Questa connessione viene utilizzata ora per intaccare l'immagine di Berta, acuendo le logiche patriarcali di attacco alle donne dirigenti, alla loro vita privata, cercando di giustificare così la presunta innocenza di David Castillo. 

Perché un femminicidio politico? 

Ancor prima dell’assassinio, Berta aveva ricevuto numerose minacce. Era stata anche perseguitata e detenuta mediante una montatura giudiziaria organizzata dall'Esercito e dall'impresa DESA. Subì pure molestie sessuali da parte di agenti dell'intelligence militare - tra essi Douglas Bustillo e David Castillo - e fu vittima di una campagna di discredito, che (ora si sa) venne organizzata dal gruppo coordinato da Castillo, il quale ingaggiò giornalisti a tale scopo e alla fine l'ammazzò. 

La criminalizzazione e stigmatizzazione di Berta Cáceres fu il prologo per l'assassinio. In uno dei colloqui avuti con lei, ci disse col suo umore inconfondibile: “Ci hanno accusate non solo di traffico illegale di armi, di essere violente, di lotta armata, ma anche di essere streghe. Mi hanno incolpata di essere strega! È l’unica cosa che accetto. Qualcosa delle streghe dobbiamo pur avere per sopportare ciò che stiamo vivendo e per continuare ad inventare nuove lotte. Questo sì, è vero, affermo. Ma il resto no. Viviamo una smisurata criminalizzazione, specialmente per il fatto di essere donne. Riceviamo minacce alla nostra vita, alla nostra integrità fisica, emozionale, sessuale, minacce alle nostre figlie, figli, ai nostri familiari più vicini, alle nostre compagne e compagni del COPINH, a coloro che ci accompagnano, compresi gli internazionalisti. Ci sono campagne di discredito, accuse. Che siamo prostitute, streghe, pazze, che abbiamo famiglie disfunzionali. Campagne nazionali sui media dell'oligarchia, con una grande carica di disprezzo, razzismo, patriarcato. (Dal libro “Le Rivoluzioni di Berta”). 

In un’intervista col giornalista Dick Emanuelsson, nel dicembre 2013, Berta denunciava: "La concessione per Rio Blanco ce l'ha DESA. Fino ad ora non ha potuto ingaggiare nessuna impresa per eseguire la costruzione, proprio per il livello di lotta, di solidarietà e di denuncia. Per questo motivo hanno aumentato la repressione, la persecuzione, le minacce, i sequestri. Questi sicari minacciano le donne di far loro qualsiasi cosa, di oltraggiarle. Chi sono? Il capo della sicurezza di DESA, ex militare, colui che si presenta come il padrone di DESA, laureato alla West Point, specialista in intelligence militare e consulente dei servizi segreti dello Stato Maggiore. In tutti i megaprogetti, idroelettrici o minerari, c'è un legame coi militari. Io sono stata sottoposta a pressioni da parte loro per sedermi a negoziare con l'impresa. Risposi loro: “Non lo faccio, né lo farò mai”, nonostante il padrone stesso dell'impresa mi offrisse una mazzetta. Non avendo funzionato questa via, allora piovono poi tutte le accuse che conosciamo e le minacce di morte. Sul mio telefono ho messaggi del capo della sicurezza dell'impresa, dove riscontri perfino molestie sessuali". “Questo, oltre all'uso delle dichiarazioni di coloro che furono i nostri compagni: che siamo trafficanti di armi, che ci finanziano gli europei, i gringo, che facciamo degenerare la lotta del COPINH, combinato con tutto il meccanismo per rovinare la reputazione delle organizzazioni e farle a pezzi, è una mossa molto astuta. È la strategia gringa di controinsurrezione." 

Immediatamente dopo il delitto, lo si volle far passare per "crimine passionale". Perfino la CNN ripeté quel tormentone, elaborato dall'intelligence militare, avvalorato dalla campagna preparatoria di discredito, realizzata da tutte le centrali del potere patriarcale. 

Ora nuovamente pretendono di occultare i moventi del crimine, presentando David Castillo e le sue operazioni di intelligence militare (che comportarono l'avvicinamento a Berta Cáceres, lo scambio di messaggi, il camuffamento da "alleato", mentre inviava informazioni ai capi dell'impresa), in modo da nascondere dietro una cortina di fumo l'operazione politico-militare dei padroni del potere. 

In una conferenza stampa realizzata dal COPINH e la famiglia di Berta Cáceres, così rispondeva Laura Zúniga Cáceres a una domanda insidiosa di un corrispondente della stampa: "David Castillo è uno degli assassini di Berta Cáceres. Fu un molestatore, persecutore della mia mamma, che in reiterate occasioni la minacciò e cercò d’intimidirla. Sappiamo che Berta Cáceres era una donna forte che non si lasciava spaventare, ma quella fu la sua funzione. Egli cercava d’impaurirla, le scriveva sempre messaggi. Fu la comunicazione di un persecutore, un uomo addestrato in intelligence militare, verso una persona che era la sua vittima”. Quando il reporter le chiese se c'era un rapporto amoroso tra i due, Laura lo smentì ed aggiunse: "Guardi, cercare di collegare il crimine a legami sentimentali è schifoso, perché ricordiamo che la maggior parte dei delitti contro le donne vengono compiuti da persone a loro vicine, ma ciò non giustifica per nulla l'assassinio. Stiamo parlando di un assassino, di un ex militare, utilizzato dalla famiglia Atala per attentare contro una donna ed un popolo che sta difendendo il suo territorio, la sua vita ed il suo fiume. Stiamo parlando di un delitto, di un assassino. Questo è un Paese dove c'è impunità, ma dobbiamo puntare a che vengano processati gli assassini di uomini e donne che difendono la terra e l'ambiente; sappiamo che questo Paese è uno dei più pericolosi per loro." 

Contro l'impunità, per la vita 

I femminicidi politici - come tutti i crimini che nella necropolítica si collegano - hanno per obiettivo disciplinare e addomesticare pesantemente le soggettività. Il patriarcato, come sistema strutturale di oppressione delle donne e delle dissidenze sessuali, fu fondato sulla violenza ed ogni volta si ripresenta su questa base. Nel nostro continente s’intreccia col colonialismo e l'imposizione del capitalismo predatore, distruttore della natura, delle comunità, dei popoli. Gli Stati Nazione sono sorti a partire dai genocidi che si sono succeduti, resi invisibili dalle versioni della Storia costruite dai vincitori. Scoprire queste violenze, smascherarle, ottenere la punizione dei responsabili, è un fatto politico risanatore, che contribuisce alla creazione di una soggettività capace di praticare disobbedienze e resistenze. Per questo continuare le azioni internazionali per la Giustizia per Berta e il castigo per David Castillo e gli Atala, sostenere il COPINH e la famiglia di Berta Cáceres, fa parte delle azioni che i femminismi popolari realizzano quotidianamente, in cui ogni colpo dato al potere, ogni “ya basta!” espresso collettivamente, arricchisce la capacità di credere e creare un mondo dove le Berta, le Macarena, le Marielle, trovino il loro posto nella nostra memoria e nel nostro grido di Giustizia.  

 

Fonte: Desde las hermanas Mirabal hasta Berta Cáceres | Fe... | Página12 (pagina12.com.ar)

 


 

TELESUR (VENEZUELA) / POLITICA / CRISI ISTITUZIONALE IN PERU

L'insolita saga dei presidenti peruviani
Con un nuovo sintomo della putrefazione cronica subita di cui soffrono le istituzioni peruviane, il Congresso ha licenziato il presidente Martín Vizcarra con una manovra di gioco di ruolo molto sciolta che acutizza la crisi a 360 gradi che il paese sta vivendo, e accentua l'altissimo discredito nei confronti della classe politica. La fragilità democratica stupisce guardando al decadimento degli ultimi eventi che hanno visto sei presidenti finiti tutti licenziati e/o arrestati, tranne Alan García che non è arrivato in carcere perché si è suicidato pochi minuti prima di essere arrestato.

Mancando solo cinque mesi alle elezioni presidenziali, in un secondo tentativo è stata formalizzata la mozione che ha suggellato la caduta di Vizcarra, che si era insediato nel marzo 2018 dopo le dimissioni per corruzione di Pedro Pablo Kuczynski, di cui era il vice. L'accusa di una generica "incapacità morale" era basata su presunte tangenti nella gara d’appalto di due lavori pubblici quando Vizcarra era governatore di Moquegua (2011-2014), la cui indagine è solo in fase preliminare. L’operazione fu avviata dal commerciante di bestiame Manuel Merino, capo del Congresso e ora nuovo presidente, e fu approvata da un parlamento che ha 68 deputati su 130 accusati di corruzione e assetati di immunità. La torbida e veloce manovra ha fomentato il sospetto di un colpo di stato in atto nello stile di quelli subiti da Dilma Roussef in Brasile e Fernando Lugo in Paraguay, causando massicce proteste nelle strade e una situazione di forte instabilità.

L'episodio ha solo accelerato la spirale autodistruttiva di un sistema politico sempre più deteriorato, segnato da una corruzione endemica e da un costante scontro tra poteri. Una profonda crisi politica, morale, economica e sanitaria: il Perù è il secondo Paese al mondo con il più alto tasso di mortalità per coronavirus. Una situazione complessa che ha il suo apice nella rapida successione dei suoi presidenti negli ultimi 20 anni:
Alberto Fujimori (1990-2000): simbolo di un'epoca, diventato dittatore con l'auto-colpo di stato del 1992. Nel novembre del 2000 è fuggito in Giappone da dove ha rassegnato le dimissioni via fax un giorno prima che il Congresso approvasse il suo esonero. Nel 2009 è stato condannato a 25 anni per crimini contro l'umanità.

Alejandro Toledo (2001-2006): imputato nel caso Odebrecht per aver ricevuto 30 milioni di dollari a favore della società di costruzioni brasiliana. È fuggito dalla giustizia rifugiandosi per tre anni in California, dove è stato arrestato nel luglio del 2019 ed è tuttora agli arresti domiciliari in attesa di estradizione.
Alan García (1985-1990 / 2006-2011): ha affrontato diverse accuse di corruzione durante il suo ultimo mandato. Processato nel caso Odebrecht per presunta corruzione nella costruzione di un treno, si è sparato nell'aprile 2019 quando la polizia stava per arrestarlo.

Ollanta Humala (2011-2016): nel luglio del 2017 è stato condannato a 18 mesi di arresto precauzionale per riciclaggio di denaro e cospirazione finalizzata ad azioni criminali. Accusato di aver ricevuto tre milioni di dollari da Odebrecht per la sua campagna, nonostante sia in libertà vigilata in attesa del processo, ha recentemente annunciato la sua candidatura alla presidenza per il 2021.
Pedro Pablo Kuczynski (2016-2018): si è dimesso un giorno prima che il Congresso votasse il suo impeachment ed è diventato il primo presidente latinoamericano a perdere il posto a causa del caso Odebrecht. È agli arresti domiciliari per presunto riciclaggio di denaro e per aver ricevuto 782.000 dollari dalla società brasiliana.

 

Vincitori e vinti
Il capitolo di Vizcarra, il sesto presidente consecutivo che cade in disgrazia, è diverso dagli altri e la sua partenza puzza più di colpo di stato parlamentare. Sebbene la sua breve amministrazione non si sia discostata dalla continuità neoliberista e la sua politica estera sia rimasta allineata con Washington, ha cercato di promuovere alcune riforme anti-corruzione e, nel 2019, ha sciolto contestato Congresso chiedendo nuove elezioni. Senza un partito o deputati propri, Vizcarra è stato preso di mira da una maggioranza parlamentare (eletta nel gennaio di quest'anno) che ha finito per chiedergli il conto, facendo appello alla possibilità di dichiarare la “destituzione per incapacità morale", un meccanismo di esonero che non ha bisogno di discussione parlamentare né di solidi argomentativa o prove.

Si chiudono due decenni in cui il Perù ha fatto notizia per i ricorrenti scandali che hanno scosso i vertici delle sue istituzioni, spasmi della crisi organica di un regime plasmato dalla Costituzione Fujimori del 1993. A breve si aprirà una sfida - le elezioni di aprile – in cui il malcontento popolare potrebbe finalmente essere capitalizzato da qualche forza progressista, come il Nuovo Perù guidato da Verónika Mendoza. L’obiettivo a lungo termine è la realizzazione del sogno popolare peruviano di abbattere, similmente a quanto accaduto nel vicino Cile, la pesante eredità di Fujimori e iniziare a scrivere una nuova storia.

 

Gerardo Szalkowicz, Telesur

 

 



RT EN ESPANOL / LATINOAMERICA / GUATEMALA

Sei domande e risposte per capire cosa succede in Guatemala

La grande manifestazione pacifica del 21 novembre scorso si è conclusa con l'incendio del Congresso da parte di uomini incappucciati.

Città del Guatemala, 21 novembre 2020. La manifestazione per chiedere le dimissioni del presidente Alejandro Giammattei / Luis Echeverria / Reuters

Il Guatemala è immerso da mesi in una crisi politica e istituzionale. Il primo ministro ha perso metà della sua popolarità in soli due mesi e il potere legislativo e giudiziario si trovano in un duro confronto. In questo contesto, l'approvazione dei bilanci è stata la miccia che ha metaforicamente incendiato il dibattito nella società, ma che ha avuto un effetto reale nell'incendio del Congresso il 21 novembre scorso.

Perché i budget sono indignanti?

Il disegno di legge di Bilancio 2021 approvato è il più costoso della storia del Paese ad eccezione di questi del 2020, aumentati smisuratamente per fronteggiare alla pandemia di coronavirus.

Per far fronte alle spese, vengono utilizzati prestiti che portano il debito pubblico del Paese a cifre storiche: ogni cittadino guatemalteco dovrà d'ora in avanti 1.690 dollari, in un Paese il cui reddito pro capite supera di poco i 1.500 dollari.

La contropartita è, inoltre, la riduzione di alcune voci di spesa, alcune di grandissima importanza sociale. Così, si è ridotta ad esempio la spesa per l'ufficio del Procuratore per i Diritti Umani, per la sezione giudiziaria, per l'Università di San Carlos, per i malati oncologici, per i neonati o per le puerpere.

Perché si denuncia la procedura d’urgenza?

Però non sono solo i conti pubblici recentemente approvati ad avere indignato i cittadini, ma anche la modalità dell’approvazione. L'opposizione denuncia l'opacità della procedura e la Camera legislativa ha ricevuto critiche legate alla procedura d'urgenza seguita.

Anche se non è la prima volta che l'approvazione della Legge di Bilancio viene trattata come un'emergenza nazionale – era già avvenuto nel 2006, 2009, 2013 e 2015 - questa volta il documento finale è stato inviato ai deputati poche ore prima della votazione, senza tempo per analizzarlo e con modifiche sostanziali rispetto al testo che era stato dibattuto. Si denuncia un accordo dei blocchi legislativi legati all'ufficialità - eredi di passati governi afflitti dalla corruzione - che avrebbero escluso i gruppi di opposizione.

Cosa è successo durante le proteste?

Le proteste più importanti si sono svolte sabato 21 novembre, quando migliaia di persone hanno manifestato pacificamente per le strade di Città del Guatemala. La polizia ha represso duramente le proteste lanciando gas contro i manifestanti e arrestandone dozzine. Si stima che durante quella giornata vi siano stati almeno 37 arresti e 22 feriti.

Ma durante le proteste ci sono state anche esplosioni di violenza. Alcuni manifestanti hanno dato fuoco cartelloni e a un piccolo monumento, e in seguito alcuni uomini incappucciati si sono diretti sul Parlamento. Lì sono riusciti a entrare nella sede legislativa e ad appiccare il fuoco a una parte di esso. Ora ci sono appelli per nuove manifestazioni e per iniziare uno sciopero generale in tutto il paese.

Cosa succede nel governo?

Il governo non è estraneo ai problemi che il paese sta vivendo. Lo scorso venerdì 20, il vicepresidente del Guatemala, Guillermo Castillo, ha rilasciato dure dichiarazioni pubbliche in cui ha chiesto al presidente Alejandro Giammattei che entrambi si dimettessero insieme dalle loro posizioni alla testa del governo perché la situazione stava sfuggendo di mano. Giammattei è l'altro bersaglio delle proteste. In soli dieci mesi di incarico - è stato proclamato nel gennaio 2020 - la sua popolarità è precipitata. I suoi detrattori si sono moltiplicati dopo aver sostenuto la polemica contro questi conti pubblici approvati dal governo e dai suoi alleati. Giammattei non ha ottemperato alla richiesta generale di porre il veto a questi bilanci, richiesta che gli è arrivata anche dal suo vicepresidente.

Come sono i rapporti tra potere legislativo e magistratura?

I cittadini sono in subbuglio anche per i rapporti di forza che si sono venuti a creare tra il potere legislativo e la magistratura, una crisi istituzionale che va avanti dall’estate, quando la Corte costituzionale ordinò al Congresso di scegliere i magistrati. Il Congresso disobbedì e finì per scatenare denunce incrociate tra deputati e magistrati.

Entrambi i gruppi godono dell'immunità, quindi è la Corte Suprema di Giustizia (CSJ) che deve decidere se aprire il processo per valutare se revocare tale protezione. Il CSJ non ha processato le cause contro i parlamentari, ma lo ha fatto contro quattro membri della Corte Costituzionale, magistrati che a loro volta potrebbero dover decidere sui bilanci controversi approvati dal Congresso.

Qual è stata l'ultima mossa del Congresso?

L'ultima mossa del Congresso è stata guidata dal suo presidente, Allan Rodríguez, che nella mattina del 23 novembre, accompagnato da 16 deputati dei blocchi di governo, ha riferito che i Bilanci 2021 sono sospesi a fronte delle critiche dell'opposizione. Così, ad esempio, la deputata della Seed Bank, Lucrecia Hernández Mack, ha avvertito che legalmente "né il Consiglio di amministrazione [del Congresso] né i suoi blocchi alleati hanno il potere di presentare una legge approvata dalla Plenaria del Congresso".

Nel suo discorso, Rodríguez ha sottolineato che la sospensione è attuata per mantenere la governabilità del paese e la pace sociale, mentre ha cercato di confutare alcune delle accuse riguardanti il ​​trattamento dei conti pubblici.

RT en español, 23 novembre 2020

https://actualidad.rt.com/actualidad/374440-guatemala-claves-entender-polemicos-presupuestos-protestas

 

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / COLOMBIA

La Colombia segnata dalla violenza e dalle sparizioni  forzate

 

La società colombiana è scossa dalle informazioni riportate da molti media sui nuovi episodi di violenza che hanno portato a 258 il numero delle persone assassinate in 72 massacri dal 1º gennaio al 10  novembre di quest'anno. Tra le vittime, 251 erano leader e difensori dei diritti umani, come riportato dall’Istituto degli Studi per lo Sviluppo e la Pace.

Il quotidiano El Espectador ha scritto che la Procura Generale della Nazione sta investigando la morte di nove reclusi in un incendio nel commissariato di Polizia di San Mateo en Soacha.

In un comunicato, l’organismo di controllo ha sostenuto che indagherà sui fatti avvenuti il 4 settembre scorso, dato che la denuncia sostiene che il numero delle vittime dell’incendio è stato così alto per la mancanza dei soccorsi da parte dei poliziotti della caserma.

La madre di uno dei reclusi deceduti assicura che i poliziotti sono rimasti a guardare e hanno lasciato che l’incendio divampasse, come pubblicato da El Espectador citando anche le dichiarazioni del sindaco di Bogotá, Diego Cancino.

A questo sgomento, si è aggiunta la notizia che la Giurisdizione Speciale per la Pace (JEP) ha identificato due minorenni e due agricoltori usciti dalle loro case nel 1997 e nel 2004 nella zona rurale di Dabeiba (Antioquia) senza mai farvi ritorno.

Dal dicembre del 2019, cioè da quando si è svolta la prima visita della JEP a Dabeiba e sino ad oggi, sono stati esumati 63 corpi non identificati che potrebbero appartenere a vittime di sparizioni forzate. A queste cifre si sommano 24 corpi recuperati dall’Unità di Ricerca delle Persone Scomparse nella regione Magdalena Caldense, nel dipartimento di Caldas nella parte orientale della nazione del caffè.

L’emittente W Radio ha segnalato che l’Unità ha ricevuto 27 nuove richieste di ricerca da parte di famiglie che indagano sulle sparizioni dei congiunti in seguito ai conflitti e sono anche state presentate 180 prove di ADN a Samaná e nei territori  di San Diego y Florencia.

Granma e GM per Granma Internacional, 11 novembre 2020

 



 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / BOLIVIA

Quello che l’indio della Bolivia insegna al sionista latinoamericano

           

            Questi figli di Nuestra America che deve salvarsi con i suoi indiani e va da meno a più.

            Questi disertori che chiedono fucili negli eserciti dell’America del Nord,

            che affoga nel sangue i suoi indiani e va da più a meno!

            José Martí

 

La storia dei colpi di Stato in America Latina è lunga ed emblematica. Dopo aver fatto cadere un processo di cambiamento che stava danneggiando i suoi interessi nella regione, non era mai successo che le elezioni immediatamente successive restituissero il governo alle forze che gli stessi Stati Uniti avevano spodestato.Fino al 18 ottobre del 2020, quando la candidatura del Movimento al Socialismo (MAS) di Luis Arce e David Choquehuanca ha ottenuto il  55,1% dei voti, superando dell’8% i risultati di un prima, quando avvennne il colpo di Stato con un vantaggio del 26% sulla seconda candidatura più votata.

Il popolo boliviano ha dimostrato con il suo voto e con molta forza, la falsità delle accuse di frode lanciate dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) sui risultati delle elezioni del novembre 2019, che provocarono l’emergenza di un potere di fatto sostenuto da repressione, spargimento di sangue indigeno e un notevole passo indietro economico e sociale che, coincidendo con la pandemia, ha messo la Bolivia in una situazione drammatica.

In precedenza, il processo di cambiamento boliviano aveva dovuto sconfiggere la storica alleanza dell’oligarchia nazionale bianca e razzista con Washington. In un colpo anti costituente (2006-2007), un colpo civico-prefetturale (2008), un colpo separatista (2009), un altro contro le organizzazioni sociali (Tipnis 2011 e 2012) e un’operazione mediatica conosciuta come Caso Zapata appena tre settimane prima del referendum sulla rielezione presidenziale del 21 febbraio del 2016, grazie alla testimonianza di una donna pilotata dall’ambasciata statunitense che assicurava di aver avuto un figlio con il presidente Evo Morales, la cui falsità fu presto successivamente provata. Il messaggio per i votanti del referendum era chiaro: «Se Evo non può seguire un figlio, come potrà seguire una paese?».

Lo schieramento sostenuto dagli Stati Uniti riuscì ad ottenere una risicata vittoria (51,3% del No contro il 48,7% del Sì), che fu poi annullata dal Tribunale Costituzionale della Bolivia con una decisione che Washington non contrastò, quando si applico lo stesso Articolo 23 della Convenzione Americana dei Diritti Umani per permettere la rielezione di Óscar Arias in Costa Rica e Juan Orlando Hernández in Honduras.

La Bolivia è un paese particolare, plurinazionale e multiculturale, con circa il 40% della popolazione la cui lingua nativa non è lo spagnolo, e una strutturazione dei  movimenti sociali e regionali con lunga tradizione di resistenze e lotte, un’organizzazione sociale ancestrale che ha resistito a cinque secoli di violenza e discriminazione, fino a quando uno dei suoi rappresentanti ha assunto la massima carica del paese.

Se le elezioni di questo 18 ottobre provano qualcosa, è che questo tessuto sociale «ha detto basta e ha cominciato ad andare, e non si fermerà mai più» dopo mezzo millennio di brutale esclusione.

Per la stampa di destra, i votanti del MAS sono «gente che non sa cosa sia un cellulare, non sa cosa sia internet e non ha idee», ma quello che il loro voto dimostra è che sono meglio informati e hanno più senso della storia degli elettori europei e nordamericani indotti da fake news e intelligenza artificiale a votare contro i loro stessi interessi.

Ancora una volta, Calibano ha dato una lezione a Próspero che è rimasto sconcertato fino al silenzio. L’ammiratore della Roma americana, con il suo disprezzo per il prossimo, è in realtà un intruso che non ha mai tentato di capire. Ora, quella che superficialmente credeva fosse la sua vittoria è la sua sconfitta non solo ideologica, ma culturale, incapace di riconoscere che la democrazia yanquee che ha inalberato in America Latina non funziona più nemmeno nel suo stesso impero. Nuestra América non si adatterà a quello che Obama chiamava ripetutamente nelle sue allusioni a Cuba «valori universali», che non sono altro che sistemi di dominio che gli Stati Uniti impongono al mondo.

I nostri intellettuali più lucidi, da Carpentier a Wifredo Lam, da García Márquez a Galeano, e anche Vargas Llosa prima di diventare il portavoce del neoliberalismo più fondamentalista, lo avevano intuito chiaramente.

Ma  il colonizzato che vuole servire il colonizzatore non impara mai. Tutti i razzismi sono parenti. I golpisti boliviani sono andati da Israele perchè li aiutasse nella repressione: «Li abbiamo invitati ad aiutarci. Sono abituati a trattare con i terroristi. Sanno come gestirli» ha detto un ministro del governo di fatto alla Reuters, mentre sulla stampa finanziata dagli Stati Uniti caratterizzata dalla visione eurocentrica si manipola la realtà per adattarla ai suoi schemi con argomenti “politicamente corretti” ben visto dai centri del potere sionista, con dogmi precostituiti che dividono l’America Latina tra “una destra autoritaria” e “una sinistra totalitaria”, accusando Evo di essere un «caudillo» della seconda.

Il «caudillo» totalitario ha detto allora una verità che il «democratico» sionista non può pronunciare: «Esistono nel governo di fatto della Bolivia pratiche che sono in analogia con il regime d’Israele, parlando di ciò che fa in Palestina, come la repressione, gli assassinii, la censura e l’espulsione dei giornalisti che tentano di informare su quello che sta succedendo».

Non sorprende allora che il sionismo tropicale insultasse Evo chiamandolo “totalitario”, seguendo la rotta di chi prima lo chiamava terrorista.

Come scrissi allora: «Evo Morales non è un politico convenzionale, e neanche un militare, si è forgiato come leader nei sindacati e nei movimenti sociali che dovettero affrontare per molto tempo repressioni e dittature nel paese che forse ha sofferto più colpi di Stato in tutto il pianeta. Chiunque sa come funzionano i sindacati e le giunte vicinali in Bolivia, sa della sua democrazia interna, di come si sottopongono in assemblea tutti i temi nella sua lunga storia di mobilitazioni, resistenze e scioperi in cui non pochi membri hanno perso la vita».

Nessuna differenza con lo sguardo fascista del sionismo verso il popolo arabo, di quelli che con disprezzo accusano l’indio di non conoscere la democrazia come la concepisce il suo sguardo coloniale. Si tratta della stessa ideologia imperialista adattata alle differenti geografie.

Martí chiamò con molta ragione “sietemesinos” (uomini incompleti) coloro che in Nuestra America non hanno fede nella loro terra e «vogliono guidare i popoli originali di composizione singolare e violenta, con leggi ereditate da quattro secoli di pratica libera degli Stati Uniti e di diciannove secoli di monarchia in Francia».

Il MAS ha ottenuto una vittoria storica, anche se chi parla solo di quel che è successo in America Latina per definire totalitari i rivoluzionari cubani e i loro compagni nella regione, non hanno detto ai loro lettori che la realtà è che gli indios boliviani per la prima volta hanno reso possibile dopo un colpo di Stato il ritorno al Governo degli sconfitti, una cosa che non ottennero le «transizioni democratiche» di marchio statunitense in America Latina, né nel sud dell’ Europa.

Si dovranno trarre lezioni perché Washington e le forze oligarchiche locali non tornino a contare sull’esercito e sulla polizia e comprendano che non basta l’economia perché il processo di cambiamento sia irreversibile, ma non sarà il dogma coloniale dell’ultimo arrivato dal Nord che, come i convertiti, cerca di rinnegare i suoi. Non sarà questa la chiave per una corretta analisi di una realtà che non esiste nella mente di chi, come disse Martí, vive «nelle terre putride con il verme a cravatta, maledicendo il seno che lo portò, passeggiando con la parola traditore sul retro della casacca di carta», terre alle quali si dirige Jeanine Añez dopo aver chiesto agli USA 350 visti per i suoi ministri e le loro famiglie.

Forse la migliore descrizione di questi fatti, sconcertanti per qualcuno, l’ha fatta un nordamericano di nome Hemingway, che rischiò la vita per le buone cause della sua epoca e che scelse di vivere con noi e apprendere dai nostri umili pescatori che «l’uomo non è fatto per la sconfitta; un uomo si può distruggere, ma non si può sconfiggere».

Iroel Sánchez e GM per Granma Internacional

 


 


GRANMA (CUBA) / ESTERI / BOLIVIA

La Bolivia ritorna nell’ALBA, la CELAC e la UNASUR

 

 La Cancelleria boliviana ha informato con un comunicato la decisione governativa di rientrare nell’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America (ALBA), nella Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC) e nell’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), organismi ai quali il governo golpista aveva rinunciato l’anno scorso.

Il testo spiega: «La decisione assunta dal governo di transizione di sospendere la partecipazione della Bolivia dagli spazi d’integrazione citati, rispondeva a interessi meramente politici, che hanno poco a che vedere con la vocazione all'integrazione del popolo boliviano. Gi strumenti che costituiscono questi processi d’integrazione regionale e sub regionale sono stati approvati con rango di legge, come stabilisce la costituzione politica dello Statao. Per questo i diritti e gli obblighi della Bolivia derivati da questi strumenti si sono mantenuti inalterabili negli ultimi anni».

Il documento cita l’Articolo 265 della Costituzione del paese, per sottolineare l’impegno con l'integrazione latinoamericana come unica via per far fronte alla crisi sanitaria, economica e ambientale che la nostra regione attraversa attualmente.

La Bolivia è una delle principali nazioni dell’ALBA, con il Nicaragua e altre isole dei Caraibi, l’alleanza fondata nel 2004, ma non aveva assunto la presidenza pro tempore della CELAC per via del colpo di Stato.

Nuria Barbosa León e GM per Granma Internacional, 20 novembre 2020

 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / PANDEMIA IN AMERICA LATINA

L’America Latina tra pandemia ed elezioni


Luis Arce, ricevendo la fascia presidenziale, ha affermato che diversi progetti sociali

saranno messi in marcia nei prossimi mesi. Foto: Prensa Latina

 

Regione povera e disuguale, marcata nel 2020 da diverse convulsioni sociali, cifre impressionanti di contagi e di morti per la  COVID-19, l’America Latina registra, nell’ultimo trimestre dell’anno, vari processi elettorali che potrebbero riconfigurare il quadro politico.

In Bolivia, dopo un anno di dominio di un governo di fatto, il Movimento al Socialismo (MAS) ha ottenuto lo scorso 18 ottobre un grande trionfo. La coppia che ha vinto le elezioni, Luis Arce e David Choquehuanca, conta sull’appoggio della maggioranza dei boliviani, ma ha di fronte a sé grandi problemi, a partire da come far uscire il paese dalla complessa crisi economica, sanitaria e sociale, così come il confronto contro le classi che hanno sostenuto il colpo di Stato del 2019 che destituì Evo Morales, e poi dovrà prestare speciale attenzione ai settori delle Forze Armate e dei Corpi di Sicurezza, alleati dello sconfitto governo di fatto.

In una votazione storica, lo scorso 25 ottobre i cileni hanno detto Sì, con schiacciante maggioranza, alla cancellazione della Costituzione dell’epoca di Augusto Pinochet. In accordo con il Servizio Elettorale (Servel), con il 78% dei voti a favore del Sì, il Cile ha avviato un nuovo e lungo cammino verso una nuova Costituzione che, per la prima volta dal colpo di Stato di Pinochet, sarà redatta da un’assemblea eletta dal voto popolare. Ora la sfida è sviluppare questo processo in forma tranquilla e pacifica, anche se la stesura di una carta costituzionale non basta da sola a cambiare la distribuzione del potere, soprattutto in un Cile tanto disuguale, dove solo l'1% della popolazione accumula il 25% della ricchezza del paese, come scritto nella relazione del 2017 del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (PNUD).

Il 5 novembre si sono svolte le elezioni a San Vicente y Granadinas, dove Ralph Gonsalves, del Partito Laburista Unificato (ULP), è stato eletto da una grande maggioranza Primo Ministro di questa nazione. Il dato rilevante è che per la prima volta un partito politico vince cinque elezioni generali consecutive, e questo dimostra l’efficienza delle gestioni del Governo, ha scritto Telesur. In quest’isola caraibica si continueranno ad applicare politiche pubbliche a favore della popolazione e si amplieranno le già fruttifere relazioni di San Vicente y Granadinas con Cuba, Venezuela e Nicaragua.

Il Brasile è andato alle  urne il 15 novembre per eleggere nuovi sindaci e assessori nei  5569 municipi, secondo quanto spiegato dal Tribunale Superiore Elettorale del Brasile. Lo scenario imposto dalla pandemia della COVID-19 ha obbligato a spostare da ottobre a novembre queste elezioni che per la prima volta hanno una forte presenza nel mondo virtuale. È interessante il confronto attualmente in atto tra le autorità municipali e il presidente reazionario Jair Bolsonaro rispetto alle misure d’isolamento sociale e la gestione del coronavirus.

Il prossimo 6 dicembre si terranno anche le elezioni parlamentari in Venezuela. Con tutte le norme di bio sicurezza e dopo un lungo periodo di pressioni esterne, si rinnoveranno tutte le nomine dell’Assemblea Nazionale. I venezuelani potranno eleggere i membri di un Parlamento che li rappresenti davvero, non come l’Assemblea Nazionale che ha tentato di togliere legittimità e boicottare la gestione del Governo di Nicolás Maduro. Il consiglio elettorale ha segnalato che potranno partecipare alle elezioni 107 partiti politici convalidati e che hanno diritto di voto quasi 21 milioni di cittadini. Di fronte a questa posizione democratica della Rivoluzione Bolivariana non sorprende l’inviato speciale degli USA per il Venezuela, Elliott Abrams, che ha segnalato che continueranno ad appoggiare l’oppositore Juan Guaidó anche dopo gennaio del 2021, e che non riconosceranno i risultati delle elezioni parlamentari del 6 dicembre.

Milagros Pichardo e GM per Granma Internacional, 11 novembre 2020

 


GRANMA (CUBA) / ESTERI / CINA

La Cina guida il maggior trattato di libero scambio del mondo

 

La  Cina è la principale firmataria dell’Associazione Economica Integrale Regionale (RCEP), il maggior trattato di libero commercio del mondo  firmato in  teleconferenza domenica 15 novembre dai paesi della regione Asia-Pacifico dopo otto anni di negoziati.

Hanno firmato il patto 10 membri dell’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico  (la comunità Asea è formata da Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Filippine, Singapore, Tailandia e Vietnam) e Australia, Cina, Giappone, Corea del Sud e Nuova Zelanda.

Tutti insieme, questi stati rappresentano circa il 30% del PIL Globale e più o meno la stessa proporzione della popolazione mondiale.

La sua portata poteva poteva essere maggiore ma, come invece  si sperava, l’India non ha firmato al termine del XXXVII Vertice della Asean, domenica 15.

Nuova Delhi sostiene che RCEP non garantisce una bilancia commerciale equilibrata ed esige un maggior accesso al mercato dei beni e dei servizi e la protezione delle sue compagnie contro pratiche sleali.

I Paesi firmatari, tuttavia, ritengono che l'accordo liberalizzerà il commercio mondiale e sarà un meccanismo in grado di aggirare le politiche protezionistiche a cui normalmente si ricorre o le situazioni congiunturali, ma a rischio di ripetizione come il conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina.

Di fatto, i grandi assenti nel colossale trattato di libero commercio sono gli Stati Uniti, ritirati dai negoziati in seguito alla nomina di Donald Trump.

Poco dopo la cerimonia del RCEP, vari capi di Stato e di Governo dei paesi associati firmatari hanno espresso la loro soddisfazione affermando che si potrà dare un forte contributo al recupero economico dei loro Paesi e del gruppo non appena terminerà la situazione di emergenza legata alla pandemia.

Dopo le firme, realizzate in maniera virtuale, il primo ministro del Vietnam, Nguyen Xuan Phuc, ha assicurato che l’accordo contribuirà ad accelerare la costruzione della comunità Asean e alla prosperità dei suoi soci. Il RCEP, ha detto, costruirà le basi per un nuovo periodo di cooperazione integrata e a beneficio di tutti i firmatari a lungo tempo. Si spera che il trattato sia attivato il prossimo anno o agli inizi del successivo.

EFE, Prensa Latina e GM per Granma Internacional, 15 novembre 2020

 


 

GRANMA (CUBA) / ECONOMIA / CUBA E LA DOPPIA VALUTA

Il peso del peso cubano

 

Nella modernità, di fronte alle sfide imposte dalla digitalizzazione che surrettiziamente conferisce i dati di ognuno di noi ai privati, dalla ciber-vigilanza e dalla proliferazione di fake news, sosteniamo la necessità di una sovranità tecnologica a partire dall’uso e dallo sviluppo del software libero per arrivare all’attivismo contro l’egemonia della produzione industriale e alla gestione coordinata dello Stato.

Nel percorso del nostro sviluppo, abbiamo sempre difeso anche la sovranità monetaria. Con il processo di unificazione, Cuba manterrà come principale moneta di circolazione il peso cubano (CUP), così come aveva già informato il 20 dicembre del 2013 Marino Murillo Jorge, membro del Burò Politico del Partito e capo della Commissione Permanente per l’Implementazione e lo Sviluppo, durante una sessione plenaria dell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare.

Del peso cubano convertibile (CUC), nato nel 1994 per causa dell’avverso contesto causato dalla scomparsa del campo socialista e dell’inasprimento del blocco, alla fine del processo non resterà nulla.

 

Concetti imprescindibili

«Difendere la moneta nazionale garantisce la sovranità monetaria», ha spiegato a Granma la specialista della Direzione degli Studi Economici del Banco Centrale di Cuba, Karina Cruz Simón. «Senza dubbio - ha precisato - non serve a niente avere una moneta nazionale e poi danneggiare le sue funzioni come denaro, con spese eccesive o una sua maggior quantità in circolazione, più di quella che realmente serve all’economia, che potrebbe provocare distorsioni. Essere capaci di gestire una moneta nazionale è l’ideale, specialmente per poter contare su strumenti monetari utili in momenti di crisi come questo della pandemia».

 

Le forze del CUP

L’8 novembre del 2004, quando demmo inizio alla circolazione del CUC nei centri commerciali e nei servizi nazionali, fu considerato un giorno storico perché si riuscimmo ad ottenere la sovranità monetaria, che permise, inoltre, al Banco Central de Cuba di mantenere uno stretto controllo sull’emissione monetaria e sull’ammontare delle monte cubane in circolazione nel paese. Più di 30 anni di doppia valuta hanno però accumulato molti problemi.

Tra gli effetti  negativi provocati dal tipo di cambio attestato a 1 CUC x 1 CUP nel settore statale, c’è stato quello di rendere meno redditizi in CUP i prodotti e i servizi esportati. Inoltre, fece calare lo stimolo alla sostituzione delle importazioni, riducendo il valore dei beni e dei servizi importati e presentando come più costosi, in confronto, i prodotti nazionali destinati alle produzioni e ai consumi interni. Si generarono distorsioni nelle analisi finanziarie che dovevano servire come strumento di direzione, ed errori di approssimazione nelle valutazioni degli studi di fattibilità e nella valutazione economica degli investimenti, inducendo in definitiva una debolezza nella visione economico-finanziaria necessaria per prendere decisioni adeguate a tutti i livelli.

Di fronte a questo panorama, il Dottor Joaquín Infante Ugarte, Premio Nazionale dell’Economia, in vari articoli specializzati considera una «decisione fondamentale» l’unificazione monetaria e la svalutazione del CUP.

Con la svalutazione, ha detto, si elimineranno tutte le contraddizione secondo cui l’incremento delle esportazioni e la sostituzione delle importazioni (che sono buone per il paese, perchè incrementano le entrate di valuta), sono allo stesso tempo negative per le imprese, che incrementevano le loro perdite in CUP. Questo farà sì che l’incremento delle esportazioni e la sostituzione delle  importazioni «si trasformi in un obbligo del Piano e un impegno politico».

Si prevede che il provvedimento potrà anche incrementare le entrate totali in divisa del paese grazie allo stimolo delle imprese e dei loro lavoratori ad aumentare le esportazioni. Alla stessa stegua, si prevede lo stesso impatto con i prezzi in pesos cubani dei prodotti in vendita, che nello stesso tempo non avranno l’eccessivo peso che hanno oggi le importazioni di beni e servizi, rivalutando il costo di strumenti e merci importate in pesos cubani.

Sarà anche possibile determinare con maggior precisione la competitività  internazionale dei fondi esportabili e dei prodotti e servizi che sostituiscono le importazioni, si misureranno più obiettivamente gli indici macroeconomici come il Prodotto Interno Lordo e le Entrate Nazionali, gli indici della Bilancia degli Incassi e dei pagamenti, il Piano dell’Economia e il Bilancio dello Stato.

Ma soprattutto, si disporrà di una sola moneta, il peso cubano, con una forza liberatoria illimitata nel paese. Una moneta ufficiale unica, con un solo tipo di cambio per tutti i settori e per la popolazione.

 

Dati d’interesse sul peso cubano (CUP)

La doppia moneta a Cuba inizia il 7 novembre del 1914, quando la Gazzetta Ufficiale notifica la creazione del peso cubano e la continuità della circolazione del dollaro come moneta di corso legale e con forza liberatoria illimitata. La moneta cubana dapprima si coniava negli Stati Uniti, poi nei paesi dell’antico campo socialista e dal 1955 in territorio nazionale.

La circolazione del CUP e del dollaro s’interrompe con l’approvazione, il 22  dicembre del 1948, di una legge del BNC che stabilisce il peso cubano come unica  moneta in circolazione nel territorio nazionale. Nel 1994, il BCC autorizzò la circolazione del peso convertibile (CUC), equivalente al dollaro. A metà del 2003 si elimina la circolazione del dollaro nel settore statale e si autorizza solamente la circolazione di due monete nazionali: il peso cubano e il peso cubano convertibile.

Nel  2004, il BCC estende questa misura al commercio al minuto.

 

In particolare

Cuba non “dollarizzerà” la sua economia.

«La Strategia Economica e Sociale di Cuba non concepisce che in futuro s’incrementino le offerte in Moneda Liberamente Convertibile (MLC)», ha spiegato il primo ministro dell’Economia, Alejandro Gil Fernández, in occasione della trasmissione televisiva Mesa Redonda di mercoledì 14 ottobre, alla quale ha partecipato con il capo della Commissione Permanente per l’Implementazione e  lo Sviluppo, Marino Murillo Jorge, per rispondere alle inquietudini della popolazione sull’ordinamento economico della nazione.

Gil Fernández, di fronte alla domanda sui quali siano i motivi per cui, se si vuole lasciare una sola moneta, si aprono in continuazione mercati in MLC, ha spiegato che la ragione è il complesso contesto finanziario e di rifornimenti che vive Cuba, soprattutto a partire dal 2019: «La situazione della carenza di rifornimenti del mercato al minuto si deve, dall’anno scorso, soprattutto all’inasprimento del blocco, alla mancanza di combustibili e ai danni alle entrate del turismo senza voli e senza navi da crociera», ha spiegato il ministro, che ha poi definito questa misura «necessaria ma non desiderabile».

Ha quindi aggiunto che “I mercati senza prodotti non sono fonti d’entrate. L’industria nazionale cubana con capacità produttive che non produce per mancanza di finanziamenti, non partecipa all’economia informale o parallela e corre il rischio di non svilupparsi. Stiamo affrontando uno scenario che non è abituale: più blocco, frontiere chiuse da marzo, scontri sulle entrate generate per le esportazioni”, e ha sottolineato la necessità che la popolazione del paese comprenda la situazione.

«Il concetto dell’ordinamento monetario è che il paese lavori con una sola moneta: il peso cubano”, ha detto, “e per questo motivo la misura d’apertura dei mercati in MLC è transitoria, aggiustata al momento che il paese sta vivendo”.

“Con la misura”, ha precisato, “abbiamo risultati che permettono all’industria nazionale di partecipare, che si riforniscano i mercati con le nostre risorse e si incassi in valuta. La strategia non è “dollarizzare” l’economia", ha sottolineato. "Pretendiamo, in futuro, di restare con una sola moneta: il CUP, che è la moneta con cui si pagano i salari e si vendono i prodotti al minuto e all’ingrosso. Quello che non si può”, ha insistito, “è prevedere quando ci saranno questi mercati, perchè ci troviamo in un momento eccezionale, transitorio».

Yisell Rodríguez Milán e GM per Granma Internacional

 

 



GRANMA (CUBA) / INTERNI / INGERENZA E DESTABILIZZAZIONE

San Isidro, reality show imperiale

 

Quei trumpiani nati a Cuba sono "disertori che chiedono un fucile negli eserciti del Nord America, che affoga i suoi indiani [e i suoi neri] nel sangue", come diceva José Martí. Dopo più di un secolo e mezzo di lotte, qualcuno ha ancora dubbi che all'imperialismo statunitense interessi Cuba e non la sua libertà e il suo benessere?

Esiste un riferimento storico controverso: Malinche. Una schiava nahualt che fu amante e traduttrice di Hernán Cortés, che contribuì con i suoi consigli alla conquista del territorio messicano. Secondo il Dizionario della Real Academia de la Lengua, oggi malinche è “ogni persona, movimento, istituzione, ecc., che commette tradimento”, non importa se è un uomo o una donna. Il cosiddetto Movimento San Isidro è un atto del reality show in cui Donald Trump ha trasformato la sua presidenza. Coloro che sono lì riuniti sono chiamati "colleghi" in un tweet dell'Incaricato degli Affari dell'Ambasciata degli Stati Uniti a Cuba.

Non evito i fatti concreti. Un poliziotto, in uniforme, porta una citazione al cittadino Denis Solís. Il ricevente, lo insulta con parole che non posso scrivere, e lo minaccia. Il poliziotto non lo ammanetta, non lo picchia, non gli mette il ginocchio sul collo. A testimoniarlo c'è un video girato dalla presunta vittima. Denis è fermato per oltraggio. In precedenza aveva ricevuto diverse sanzioni amministrative per aver disturbato l'ordine pubblico e due notifiche ufficiali per molestie a turisti. Il reato di oltraggio è previsto dall'articolo 144.1 del Codice Penale. Denis accetta le accuse e non fa appello. Ma prima grida che Trump è il suo presidente e diventa un "dissidente". Gli "scioperanti" di San Isidro chiedono il suo rilascio. Fanno uno sciopero della fame e della sete, ma il settimo giorno Alcántara, il leader della provocazione – lo stesso che ha infangato la bandiera in altri atti di questa strana commedia – appare in un video girato dai suoi colleghi – per usare lo stesso termine della diplomazia imperiale – impetuoso, mentre impedisce il lavoro delle autorità sanitarie, e non svenendo nel suo letto, come la logica farebbe supporre.

Ci sono sempre i creduloni e quelli sinceramente preoccupati per la salute degli "scioperanti". E anche quelli che suggeriscono che non ci conviene che muoiano, come se la Rivoluzione non combattesse ogni giorno e ogni ora per la vita di tutti i suoi cittadini, siano o no dalla sua parte, di fronte ai tentativi dell’impero di affamarli e ammalarli. Se Denis è in prigione, non ricoverato o deceduto, è perché a Cuba non esistono desaparecidos e, come deve essere, la polizia fa rispettare l'ordine senza assassinare né torturare.

La rivendicazione è così poco seria – lo dico per i cubani - che abbondano i "né, né": non sono d'accordo con quelli di San Isidro, ma nemmeno con le azioni del governo, dicono. Se vogliamo fare un’analisi seria, dovremmo lasciare perdere Denis (il pretesto) e cercare le ragioni vere.

Tralascio qui ogni ipotesi mercenaria – anche se Denis abbia confessato di aver ricevuto denaro da una persona legata agli attentati compiuti a Cuba – e preferisco discutere di idee. E non conosco i motivi dello strano viaggio dello scrittore-giornalista che, per arrivare a Cuba dal Messico, ha dovuto prima passare dagli Stati Uniti. Ma i funamboli ci danno degli indizi: non si tratta di un Decreto o di una decisione che qualcuno ha ritenuto sbagliata - le dichiarazioni sono sempre confuse e se domani il Governo decide qualcos'altro, sarà aggiunto nel sacco – e non si tratta libertà di espressione (men che meno di quella artistica), ma della costruzione di un'opposizione politica chiaramente sponsorizzata dall'imperialismo, il ripristino della democrazia borghese e la morte di ogni accenno di democrazia popolare. Sebbene molti dei questionanti possano non saperlo, il vero scopo è il restauro della Cuba neocoloniale. Perché non ci siano dubbi, gli alti funzionari dell'amministrazione Trump sono immediatamente usciti a difendere i loro attorucoli. Sanno che lo spettacolo sta per finire e hanno bisogno di piantare gli ultimi coltelli.

Ecco perché è così oltraggioso leggere certi opportunisti mercenari che paragonano gli eroici combattenti nella clandestinità durante la dittatura di Batista con questi disertori che chiedono fucili all'esercito invasore, parafrasando Martí. Sì, già si stanno unendo le voci di una certa stampa internazionale, attentissima all'ultimo sussulto trumpiano. Dicono che viviamo nell'era della post-verità, una "situazione in cui i fatti oggettivi influiscono meno delle emozioni o delle convinzioni quando si tratta di guidare l'opinione pubblica", secondo la definizone di un dizionario. Ma la rivoluzione cubana di solito non mente né nasconde le verità. Ce lo ha insegnato Fidel, l'uomo che vive in ogni rivoluzionario cubano.

 

Enrique Ubieta Gómez, 28 novembre 2020