Notiziario Patria Grande - Aprile 2020

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NOTIZIARIO

 

 Aprile 2020

 

 

Appello di alcuni parlamentari europei per la liberazione dei difensori di Guapinol

 

Parlamento Europeo 

Bruxelles, 3 aprile 2020

 

Al Presidente, Sua Eccellenza, Juan Orlando Hernández 

Alla Segreteria di Stato nell'ufficio dei Diritti Umani, Karla Cueva 

Al Presidente della Corte Suprema di Giustizia, Rolando Argueta 

Al Delegato Nazionale dei Diritti Umani, Dr. Roberto Herrera Cáceres 

 

Oggetto: Appello per liberare i difensori dei diritti umani di 

Guapinol nel pieno della crisi da COVID 

 

Sue eccellenze, 

Noi, membri del Parlamento Europeo firmatari della presente, vi scriviamo per esprimere la nostra profonda preoccupazione per la prolungata carcerazione preventiva dei difensori dei diritti umani in Honduras, ed in particolare dei membri del Comitato Municipale di Difesa dei Beni Comuni e Pubblici di Tocoa - 

specificamente, Porfirio Sorto Cedillo, José Abelino Cedillo, Orbin Nahún Hernández, Kelvin Alejandro Romero, Arnold Javier Aleman, Ewer Alexander Cedillo, Daniel Marquez e Jeremías Martínez Díaz. 

 

Siamo stati informati che i difensori hanno trascorso sette mesi (dal 1° settembre 2019) in prigione preventiva senza una giustificazione legale solida. A quanto risulta, 

i difensori affrontano accuse a motivo del loro lavoro nella difesa dei fiumi San 

Pedro e Guapinol. Da agosto ad ottobre del 2018, i difensori avevano occupato 

pacificamente i bordi di una strada di accesso pubblico che conduce ad un 

progetto minerario attuato da Los Pinares. L'ampliamento della sede stradale per uso minerario effettuato dall'impresa nel marzo del 2018, comportò che sedimenti pesanti 

inquinassero l'acqua dei fiumi Guapinol e San Pedro, rendendola inutilizzabile da parte delle comunità che da essa dipendono. Si sono presentate almeno dieci azioni giuridiche ed amministrative contro il processo di concessione della licenza e 

di esecuzione del progetto, finora rimaste senza risposta. 

 

Siamo in particolar modo preoccupati per la prolungata detenzione e la persecuzione giudiziaria dei difensori in assenza di chiare prove incriminatorie a loro carico. Inoltre, sappiamo che questo genere di accuse non richiede legalmente l'applicazione di misure cautelari come la detenzione preventiva. Ci hanno inoltre segnalato alcune irregolarità nel processo per il quale un tribunale di Giurisdizione Nazionale presiede il caso, mentre le accuse presentate non corrispondono a suddetta giurisdizione. 

 

Ci preoccupa profondamente che alla delegazione dell'Unione Europea in Honduras, 

insieme agli Stati membri, sia stato impedito (senza fornire motivazione alcuna) di presenziare come osservatori all'udienza del 6 novembre 2019, nella quale la giudice (Lisseth Vallecillo) ha respinto la richiesta di sostituzione del provedimento ai difensori, ratificando invece la custodia preventiva. 

Siamo oltremodo sorpresi per la catalogazione di "organizzazione illecita e 

criminale" che la giudice ha affibiato al Comitato Municipale, durante l'udienza di revisione delle misure, svoltasi a porte chiuse, quando si tratta di un'organizzazione dei diritti umani, riconosciuta come tale dallo Stato dell’Honduras e che non sta violando alcuna legge. 

 

L’11 marzo 2020 è stata inoltre presentata una nuova istanza di udienza, affinché 

la corte rivedesse il provvedimento di detenzione. Il 19 marzo 2020, nel contesto dell’aumentato numero di casi di COVID-19 confermato in Honduras, è stata presentata una richiesta scritta di hábeas corpus al Presidente del Supremo Tribunale di Giustizia. Fino ad oggi a queste azioni legali non sembra tuttavia esservi risposta, nonostante per la suddetta siano scaduti i termini legali.

 

Ci preoccupa particolarmente che i difensori siano tenuti arbitrariamente in 

prigione, senza giustificazione legale, come rappresaglia per il loro lavoro pacifico nell’ambito dei diritti umani in difesa del diritto all'acqua. Data l'attuale crisi sanitaria dovuta al COVID-19, i difensori sono maggiormente a rischio all’interno dei centri penitenziari di Olanchito e La Ceiba. Come l’Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, ha dichiarato il 25 marzo 2020: 

"Ora più che mai, i governi devono liberare ogni persona incarcerata senza una

sufficiente base legale, inclusi prigionieri politici ed altri detenuti per aver semplicemente espresso opinioni critiche o dissidenti." 

 

In questa situazione, e rispettando pienamente la divisione dei poteri e pertanto la

sovranità della giustizia, esigiamo urgentemente che le autorità garantiscano e 

rispettino le norme sancite in materia di detenzione preventiva. 

Noi firmatari, membri del Parlamento Europeo, vogliamo porre l’accento sul rischio in cui incorrono i difensori nel contesto della pandemia da Coronavirus, viste le precarie condizioni delle prigioni honduregne, e reiterare l'urgente necessità di adempiere all’appello di Michelle Bachelet per liberare i prigionieri politici e coloro che sono stati incarcerati per aver espresso opinioni critiche o dissidenti. 

Speriamo che l'onorevole Corte Suprema di Giustizia adotti i provvedimenti necessari 

immediati e si pronunci in accordo con gli standard internazionali. 

Questo implica ritirare le accuse contro i difensori dell'acqua - Porfirio Sorto Cedillo, 

José Abelino Cedillo, Orbin Nahún Hernández, Kelvin Alejandro Romero, Arnold 

Javier Aleman, Ewer Alexander Cedillo, Daniel Márquez e Jeremías Martínez Díaz. 

In ultima istanza, chiediamo alle autorità di assicurarsi che abbia termine ogni persecuzione contro i difensori. 

 

Seguendo le direttive dell'UE sui difensori dei diritti umani e le direttive dei diritti umani dell'UE su acqua potabile e depurazione, chiederemo alla delegazione dell'UE in Honduras che dia seguito alle questioni esposte in questa lettera. 

 

Cordialmente,

Tilly Metz, José Gusmão, Marisa Matias, Miguel Urban Crespo, Manuel Bompard, Grace O’Sullivan, Anna Cavazzini, Nikolaj Villumsen, Clare Daly, Mick Wallace, Leila Chaibi, María Eugenia Rodríguez Palop, Diana Riba i Giner, Deirdre Clune, Isabel Santos, Sean Kelly, Mairead McGuinness, Deirdre Clune, Frances Fitzgerald, Maria Walsh, Ernest Urtasun

 

Traduzione di Adelina Bottero



Rebelion.org / Latinoamerica / Nicaragua

Nicaragua, obiettivo dell'imperialismo

Ramón Pedregal Casanova*, 08 febbario 2020

 

Quanto accadde contro il Nicaragua sandinista negli anni ’80, fu un'operazione simile a quella orchestrata in Guatemala per rovesciare il presidente Arbenz nel 1954; per mettere fine alla rivoluzione cubana nel 1961; per fomentare l’escalation militare in Vietnam e per facilitare l'ascesa di Pinochet in Cile, tanto per citare alcuni esempi fra gli altri. Se il Vietnam fu il liceo della squadra d’urto della CIA, il Nicaragua ne fu l'università. 

Dal capitolo “La squadra d’urto arriva in Nicaragua”, parte del libro “La squadra d’urto della CIA. Cuba, Vietnam, Angola, Cile, Nicaragua…” Autore: Hernando Calvo Ospina. Casa Editrice: El Viejo Topo.

 

Ciò che rende la dominazione di classe o l'imperialismo specificamente capitalistici è il predominio della coercizione economica, diversa da quella "extraeconomica" diretta: politica, militare, giudiziaria. Tuttavia, senza dubbio, ciò non significa che l'imperialismo capitalistico possa prescindere dalla forza extraeconomica. In primo luogo, perché certamente il capitalismo non scarta le forme più tradizionali della colonizzazione coercitiva. Al contrario la storia del capitalismo è, non c'è bisogno di ricordarlo, una storia molto lunga, molto sanguinosa di conquista e di oppressione coloniale. In ogni caso, lo sviluppo di imperativi economici sufficientemente potenti da rimpiazzare le forme più antiche di dominio diretto, ha richiesto un tempo molto prolungato, raggiungendo la maturità soltanto nel XX secolo. Ma perfino nella sua forma più matura ed in modo più peculiare, l'imperialismo capitalistico richiede appoggio extraeconomico. La forza extraeconomica è evidentemente essenziale per il mantenimento della coercizione economica stessa. 

Da “L'impero del capitale”. Autore: Ellen Meiksins Wood. Casa Editrice: El Viejo Topo. 

 

Quando in tempi recenti gli USA appoggiavano la violenza per le strade del Nicaragua, stavano tentando un colpo di Stato sullo stile di Gene Sharp: golpe soft, occulto, che non utilizza le forme tradizionali, non frontali. Il risultato fu che il popolo insorse, ma a favore del proprio governo rivoluzionario. La violenza ebbe inizio con una rivolta nell’aprile del 2018 e, alla fine, le bande sostenute dai gringos avevano causato centinaia di morti e feriti, distruzione di beni pubblici e privati e la demolizione del settore turistico, che era una delle maggiori fonti d’introito della nazione. I fascisti avevano cercato, con la mano degli USA, di sfasciare le gambe al progresso sociale del Nicaragua. Ad oggi il recupero economico, sociale e politico è evidente. I nemici della pace erano stati sconfitti; dalla loro frustrazione e rancore scaturì la dichiarazione dal rappresentante del Dipartimento di Stato yankee, Todd Robinson: “Noi perseguiremo l'idea e l’auspicio che per le prossime elezioni si trovino nuovi leader, leader che non includano Ortega e la Vicepresidente Murillo. … Non credo che Ortega o Murillo abbiano alcun dubbio su quale sia la posizione degli Stati Uniti per quanto riguarda il raggiungimento di una sorta di accordo politico”. 

Come si vede l'impero non molla la pressione, conserva il suo odio verso il Nicaragua libero e lo dirige mediante manovre, ingerenze e minacce velate: “speriamo di trovare nuovi leader, leader che non includano Ortega e la Vicepresidente Murillo. … Non credo che Ortega o Murillo abbiano alcun dubbio su quale sia la posizione degli Stati Uniti per quanto riguarda il raggiungimento di una sorta di accordo politico”. Non vi sono dubbi sulle loro intenzioni, sono sempre le peggiori; è evidente che l'intromissione negli affari di qualunque Paese è il loro stile, all'imperialismo non interessa la democrazia. 

Da dove è scaturito il tentativo di golpe? Nel novembre del 2017 il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN) ottiene una maggioranza schiacciante alle elezioni comunali, e gli USA comprendono che la democrazia non li favorisce. Il FSLN ottiene 135 dei 153 municipi. È il fallimento elettorale dell'ultradestra, capeggiata dalla chiesa cattolica e pubblicamente sostenuta da un senatore di nome Marco Rubio, conosciuto tra i suoi collaboratori come Narco e come Golpista in capo. Costui, appoggiando la rivolta terroristica, facendosi fotografie coi suoi dirigenti, dichiarava che era partecipe delle sanzioni economiche, del blocco e l'usurpazione di beni del Nicaragua negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, della sospensione dei prestiti da parte degli organismi internazionali e la chiusura di conti per i pagamenti, che puntava sul blocco, la fame e la distruzione, ovvero la base della dittatura che essi definiscono democrazia-farsa. Narco Rubio, col suo curriculum di relazioni tali da cambiargli il nome, come patrocinatore della vendita di armi e promotore del terrore e dei colpi di Stato in tutto il Centro America e i Caraibi, è stata la figura statunitense di supporto per coloro che seminarono dolore in quel piccolo Paese, nel quale, quando gli USA appoggiavano il dittatore Somoza, furono vinti proprio dal Fronte Sandinista. 

Quel passato lontano e quello più recente mostrano il fallimento di coloro che vorrebbero un Nicaragua nelle mani degli Stati Uniti, e possiamo ben dimostrare che la loro ansia di tornare ai tempi in cui la nazione di Rubén Darío e Sandino era di pochi, li induce a ricercare un nuovo innesco di conflitti e lotta psicologica che aprano la strada ad altri più intensi. Per ora stanno già usando i loro mezzi di divulgazione attraverso discorsi che usano termini accusatori riguardo a persecuzioni personali, repressione dissimulata, mancanza di libertà informativa, situazione intimidatoria, il Sandinismo che punta alla sottomissione mediante la paura… insomma, coloro che han tentato la destabilizzazione per far tornare il Paese ai tempi della colonia, cercano d’attribuirsi un’apparenza di vittime. Dall'altro lato, gli stessi che si vogliono presentare come vittime, stanno intrecciando alleanze per le prossime elezioni del novembre 2021 e hanno dato un nome alla loro coalizione elettorale: si fanno chiamare Coalizione Nazionale Oppositrice del Nicaragua. Tra i preparativi che ordiscono spuntano nuovamente gli interessi degli USA nella regione. Per questo il 20 gennaio il Sottosegretario imperiale, Mike Pompeo, si è riunito in Costa Rica con Carlos Alvarado, il suo presidente, ed il programma che gli ha portato contiene la preparazione di posizioni ed azioni contro… il Venezuela, e… il Nicaragua: torniamo da capo ai preparativi golpisti, tra i cui documenti, quelli che si leggono fra di loro, si trova la dichiarazione di quell'altro segretario di Stato criminale Henry Kissinger: “Controlla gli alimenti e controllerai la gente, controlla il petrolio e controllerai le nazioni, controlla il denaro e controllerai il mondo”. I dipendenti o addetti che ha Pompeo in Nicaragua hanno incominciato a pronunciarsi contro la spesa pubblica, le necessità fondamentali della maggioranza lavoratrice, dicendo che la spesa pubblica (questa!) porta alla crisi economica, e da lì balzano ad un livello più alto con cui occultare il loro cinismo e perseguire il proprio beneficio, affermando che si devono ridurre le tasse per propiziare gli investimenti: l'ha dichiarato il banchiere ed impresario Róger Arteaga. Curioso che a simile individuo non interessi la spesa pubblica, ma bensì la riduzione delle imposte. 

Di fronte a tali mosse estremiste il Presidente dell'Assemblea Nazionale, il Sig. Gustavo Porras, ha dichiarato che l'impiego del denaro dello Stato in beni pubblici rappresenta la protezione collettiva e lo sviluppo della produzione agricola, è coesione nei bilanci, sono progetti lavorativi, adeguamento degli investimenti stranieri e progressi relativi a casa, salute ed educazione. 

C’è qualche dubbio su con chi stiano, l’uno e l’altro? 

Rivediamo alcuni risultati in ambito sociale da quando conseguì il governo il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale: 

- Sono diminuite la povertà e la disuguaglianza. 

- È palese il progresso delle donne; se prima il Nicaragua occupava il 90° posto al mondo per il trattamento nei confronti della donna, attualmente (2018-19) gli organismi internazionali gli riconoscono il 5° posto, accanto ai Paesi del Nord Europa. L’ha ottenuto con programmi specifici in difesa delle donne, attraverso i microcrediti, un programma produttivo ed alimentare denominato Fame Zero, con assegnazione di animali da allevamento e prodotti. Esse stesse hanno creato centinaia di cooperative. 

- Si è elaborato un programma definito Donne nella politica, mediante il quale le donne sono arrivate ad occupare incarichi di responsabilità nella Difesa, Governo, Ambiante, Lavoro, Famiglia, Sicurezza, … 

- Sono stati demarcati territori e attribuiti titoli di proprietà agli indigeni, con creazione di governi territoriali, rendendoli padroni dei beni naturali, ponendo questi sotto la loro direzione. 

- L'accesso alla luce elettrica è stato garantito, la meta prefissata per il periodo 2020-21 è già stata raggiunta al 99,9 %. 

- C'è stato un cambio fondamentale nella rete energetica, col 62% derivante da energia rinnovabile solare. 

- Gli investimenti in infrastrutture stradali hanno fatto sì che il Nicaragua abbia le strade migliori di tutto il Centro America. 

- Si sono incoraggiati l'investimento straniero e l'innovazione tecnologica. 

- Il Nicaragua dispone della migliore sicurezza dei cittadini della regione, con l'indice più basso di delitti, che secondo le dichiarazioni del dirigente della compagnia assicurativa MAPFRE, è il più basso dell'emisfero occidentale. 

- Dispone di stabilità politica col 72% dei consensi nelle elezioni del governo di Daniel Ortega. 

Se prendiamo come riferimento le parole di Ellen Meiksins Wood: “Ciò che rende la dominazione di classe o l'imperialismo specificamente capitalistici è il predominio della coercizione economica, diversa da quella "extraeconomica" diretta: politica, militare, giudiziaria. Tuttavia, senza dubbio, ciò non significa che l'imperialismo capitalistico possa prescindere dalla forza extraeconomica”, se teniamo a mente le parole scritte da Hernando Calvo Ospina: “Se il Vietnam fu il liceo della squadra d’urto della CIA, il Nicaragua ne fu l'università” e se teniamo conto della storia del Nicaragua qui riassunta, con la dichiarazione del rappresentante del Dipartimento di Stato yankee, Todd Robinson: “Noi perseguiremo l'idea e l’auspicio che per le prossime elezioni si trovino nuovi leader, leader che non includano Ortega e la Vicepresidente Murillo. … Non credo che Ortega o Murillo abbiano alcun dubbio su quale sia la posizione degli Stati Uniti per quanto riguarda il raggiungimento di una sorta di accordo politico”, c’è da aspettarsi che le prossime azioni dell'impero per il tempo che intercorre da qui al novembre 2021, cercheranno il conflitto, l'alterazione, la minaccia, la violenza economica e politica, la guerra informativa, la pressione psicologica, e… il popolo nicaraguense manterrà la propria indipendenza di fronte all'impero se sosterrà alti il morale, l'organizzazione sociale, la coscienza politica e, se sarà il caso, tornerà ad insorgere in favore del proprio governo rivoluzionario, fino a che la reazione ed il suo supporto provino la sconfitta. 

 

* Ramón Pedregal Casanova è autore dei libri: Gaza 51 días; Palestina. Crónicas de vida y Resistencia; Dietario de Crisis; Belver Yin en la perspectiva de género y Jesús Ferrero; Siete Novelas de la Memoria Histórica. Posfacios. È presidente dell'Associazione Europea di Cooperazione Internazionale e Studi Sociali AMANE; membro della Commissione Europea di Appoggio ai Prigionieri Palestinesi; membro del Fronte Antimperialista Internazionalista. 

 

Fonte: https://rebelion.org/nicaragua-objetivo-del-imperialismo/ 

 

Traduzione di Adelina Bottero



Conexihon (Honduras) / Diritti umani / Popoli originari

Popoli originari ed ancestrali senza accesso al provvedimento "Honduras Solidale"

 

 

Conexihon - Tegucigalpa, Honduras - 31 Marzo 2020

 

L'attuale crisi sanitaria da COVID-19 o coronavirus, unita alle deficitarie politiche "solidali” del presidente Juan Orlando Hernández (JOH), ha complicato ulteriormente l'accesso alla salute e all’alimentazione per il popolo lenca. 

“Stiamo ancora aspettando il sacco solidale, ma abbiamo deciso collettivamente che le chiese evangeliche riceveranno i viveri e li ripartiranno senza alcuna distinzione di razza, colore politico o religione; non sappiamo ancora quando verranno a portarceli, hanno tardato e non è corretto il modo in cui hanno operato", ha affermato l'indigeno lenca Carlos Colinas del municipio di San José de Colinas, dipartimento di Santa Barbara. 

Ha anche spiegato che a fronte della grave precarietà dei centri di salute si è deciso insieme ad altre organizzazioni come Vida Mejor, i sindaci e i Comuni, la Polizia Nazionale, la Croce Rossa Honduregna e i residenti della comunità di San José de Colinas, di chiudere il ponte Jicatuyo, per controllare che non entri il virus nelle comunità. 

Allo stesso modo anche gli abitanti di Reitoca, municipio di Francisco Morazán, hanno deciso di chiudere l'accesso come misura di prevenzione, ma sono stati repressi con bombe lacrimogene e proiettili dalle forze di sicurezza dello Stato, la notte di domenica 22 marzo. 

 

Non esistono misure di prevenzione 

Il leader lenca Martín Gómez, Coordinatore del Movimento Indigeno Lenca Indipendente di La Paz (MILPAH), ha segnalato che non esiste alcuna misura per la prevenzione e il trattamento del coronavirus. 

"Continuare altri otto giorni in questa situazione, sarà un disastro, poiché le famiglie lenca vivono in estrema povertà, le persone saranno più vulnerabili ai virus per la mancanza di alimenti adeguati, oltre al fatto che durante questo coprifuoco nessuno può far conto su un impiego che produca un ingresso economico e permetta di comprare cibo; il governo non ha una politica di assistenza e prevenzione", ha segnalato il leader indigeno.  

Da parte sua, "Don Andrés", della comunità di San Juan de Las Mesitas, San Marcos de la Sierra, ubicato nel dipartimento di Intibucá e considerato uno dei municipi più poveri dell’America Latina, ha rilasciato un'intervista ad "Eco de Opalaca" una rassegna radiofonica del Consiglio Civico di Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras (COPINH). 

"Nel centro di salute non c'è nemmeno una pastiglia né per l'influenza, la tosse, la febbre; gli annunci dell'informazione su “Honduras Solidale”, qui non è arrivato niente, ma dicono che daranno il sacchetto, ma è una bugia perché qui non è arrivato niente” ha dichiarato il membro del COPINH. 

Ha inoltre denunciato che se qualcuno ha dei viveri del governo è per "colore politico azzurro, mentre alla gente di un altro partito non li danno, perché questo è successo, hanno un elenco e sono le persone dello stesso partito che li ricevono. Noi stiamo pensando ad alimentarci con ciò che produciamo come il sorgo e i fagioli, perché le botteghe sono già sfornite e arrivano carri a lasciare delle cose, ma le stanno vendendo più care." 

 

Per le imprese non c'è il "Coronavirus" 

La coordinatrice generale delle donne di MILPAH, María Felicita, della comunità di Santa Elena nel dipartimento di La Paz, ha denunciato che la crisi "è molto dura", e che il coprifuoco è una strategia dei politici e impresari per paralizzare il popolo, "ma per le imprese non c'è il coronavirus, giacché loro continueranno a lavorare", ha deplorato. 

La segreteria di “Mio Ambiente” ha reso nota la creazione di un portale digitale per non interrompere il conferimento di licenze a progetti estrattivi. Va sottolineato che il popolo lenca affronta lotte sociali per la difesa dell'ambiente e dei suoi fiumi ancestrali, che hanno avuto come strascichi violenza statale e divisione nelle comunità. 

Alcuni dei progetti cui si oppone il popolo lenca sono ubicati in differenti dipartimenti come La Paz, con le idroelettriche proprietà di Gladis Aurora, idem a Reitoca, contro la concessione a Progelsa sul fiume Petacón e sul fiume di San Juan de Las Mesitas, minacciato da almeno cinque dighe. 

 

 

 

Il Rio Petacón, sacro per le donne e gli uomini lenca di Reitoca.

 

 

"Al governo non interessa la salute" 

La leader lenca Felicita López è presidente della Rete Municipale e anch’essa ha partecipato ad una riunione con la Corporazione Municipale, in cui nessuno indossava mascherine per evitare il contagio del virus. 

"Al governo non interessa la salute del popolo, era solo una riunione già programmata nel calendario municipale, ci hanno imposto il coprifuoco senza considerare che ci sono famiglie senza salario, che non abbiamo un conto bancario, nemmeno alimentazione sufficiente, e ci tocca rimanere rinchiusi, perché se andiamo per strada ci porta via la polizia; per noi questo è piuttosto preoccupante, perché ci sono molte famiglie che vivono alla giornata" ha affermato.  

"Cosa sta facendo Il governo con la quantità di milioni, ovvero: che nessuno esca ma resti in casa, che gli alimenti arriveranno, il sindaco sta dando un sacchetto del valore di 150 lempiras e vogliono che ci sopravviviamo per un mese! Questo è un insulto, perché oltretutto i sacchetti arrivano firmati da JOH come si trattasse di una campagna politica, quando tutto questo lo paga il popolo con le tasse", ha sostenuto la leader indigena. 

María Felicita assicura che i centri di salute nella sua comunità non sono provvisti di medicine, mascherine e gel antibatterici per evitare il virus altamente contagioso. 

Pertanto se qualcuno arriverà a presentare sintomi della malattia, utilizzeranno la medicina ancestrale, che consiste in erbe e rimedi provenienti della natura, oltre a contare su una rete di guaritori ancestrali per i membri di MILPAH, come alternativa alla precarietà del sistema di salute. 

 

Traduzione di Adelina Bottero

http://www.conexihon.hn/index.php/dh/57-pueblos-indigenas/1491-pueblos-originarios-y-ancestrales-sin-acceso-a-la-honduras-solidaria



Movimiento Ampli (Honduras) / Diritti umani / Lotta per il territorio

Il saccheggio estrattivo potrà continuare in Honduras in tempi di quarantena

 

 

 

 

30 marzo 2020 -  MADJ (Movimento Ampio per la Dignità e la Giustizia)

 

In tempi di quarantena, il saccheggio e consegna del territorio honduregno non si fermerà, perché il Governo di Juan Orlando Hernández sta garantendo che l'emissione dei permessi non venga sospesa. Anzi, ha messo a disposizione degli "sviluppatori di progetti" una piattaforma virtuale per avviare l’iter delle concessioni ambientali e relative operazioni, onde evitare che questo business si arresti.  

Nel comunicato emesso dal Governo della Repubblica dell’Honduras attraverso la Segretaria delle Risorse Naturali, “Il Mio Ambiente”, in collaborazione con gli sforzi realizzati dal Governo Digitale dell’Honduras si espone che, "allo scopo di promuovere l'investimento nel Paese e continuare col processo di regolarizzazione ambientale, gli sviluppatori di progetti potranno presentare le loro richieste di licenze ambientali on-line, allegando la documentazione tecnica legale corrispondente attraverso la pagina web: miambiente.prohonduras.hn. 

Inoltre il Governo, per facilitare la consegna del territorio, comunica agli sviluppatori di progetti che dopo la data di dichiarazione ufficiale di fine della quarantena, avranno 60 giorni per presentare la documentazione in formato cartaceo o altro, usufruendo già dell’avanzato procedimento on-line. 

Per conformarsi all’asservimento verso gli impresari estrattivi, il governo honduregno permetterà loro di continuare ad operare con la licenza ambientale scaduta, potendone sollecitare il rinnovo durante i 60 giorni successivi alla dichiarazione ufficiale di fine della quarantena.  

Nel comunicato si afferma anche che "i Titolari di Progetti, Opere o Attività che attualmente dispongano di una Licenza Ambientale Operativa e in corso di ottenimento di quella definitiva: potranno con la suddetta licenza proseguire nell’attuazione dei progetti mentre è in corso lo Stato di Emergenza Nazionale."  

Il governo dell’Honduras attraverso la Segreteria delle Risorse Naturali ed Ambienti afferma che i Titolari di Progetti, Opere o Attività che siano obbligati durante lo Stato di Emergenza Nazionale a presentare Relazioni di Attuazione di Misure di Controllo Ambientale (ICMA´S), pagamenti per le concessioni, multe ed ispezioni, potranno realizzare tutto quanto nel periodo dei 60 giorni successivi alla data di dichiarazione ufficiale di fine dell'attuale Emergenza.  

Con queste misure il governo di Juan Orlando Hernández assicura il mantenimento della sua politica di concessione del territorio honduregno, mentre oltre il 65% della popolazione vive in povertà e cerca il modo per affrontare il virus COVID19 e, contemporaneamente, il peggior virus che ha attaccato l’Honduras: la narcodittatura.

Traduzione di Adelina Bottero

https://madj.org/index.php/2020/03/30/el-saqueo-extractivo-podra-continuar-en-tiempos-de-cuarentena-en-honduras/


RADIO PROGRESO (HONDURAS) / POLITICA / CORONAVIRUS

In pieno coronavirus, fame e povertà mietono vittime in Honduras

 

Condividiamo un intervento della giornalista honduregna Claudia Mendoza di Radio Progreso della catena televisiva Univision. Così vive la gente povera la quarantena in Honduras.

 

Tegucigalpa, 29 marzo 2020  

Migliaia di honduregni si trovano di fronte a un dilemma: lottare contro il contagio del coronavirus o contro la fame. Attualmente ammontano già a 110 i casi di covid-19, più 3 morti, e sono state prese misure che confinano la popolazione a casa propria. Ciononostante, centinaia di persone sono scese per le strade a protestare, affinché il governo fornisca alimenti alle famiglie, perché non hanno da mangiare.

 

 

Abitanti di Tegucigalpa protestano per il cibo in mezzo alla crisi del coronavirus

 

Come nel resto dei Paesi latinoamericani, il governo dell’Honduras ha deciso di adottare una serie di misure drastiche per fronteggiare il dilagare del contagio da coronavirus, che vanno dal fermare i lavori nel settore pubblico e privato e obbligare la popolazione a rimanere in casa; chiudere il transito alle persone attraverso le frontiere terrestri, aeree e marittime; sospendere alcune garanzie individuali scritte nella Costituzione della Repubblica, fino a dichiarare il coprifuoco nel Paese. 

È quest’ultimo provvedimento che ha fatto sì che centinaia di honduregni si rifiutassero di rimanere nelle loro case. Solo a Tegucigalpa, nell'ultima settimana, si sono verificate decine di proteste da parte degli abitanti dei quartieri e insediamenti poveri della città. "Non abbiamo acqua, non abbiamo un lavoro, i nostri figli hanno fame. Dovrebbero venirci a portare almeno un sacchetto di aiuti solidali", dichiarava ad un mezzo d’informazione locale una donna partecipante ad una protesta ubicata all'uscita stradale che da Tegucigalpa conduce al dipartimento di Olancho.

"Ho già dato in pegno il mio frigorifero" gridavano altre persone “non moriremo per la malattia, ma di fame".

Nel frattempo, durante la settimana, in prossimità delle installazioni del Comitato Permanente per le Contingenze (COPECO), l'istituzione incaricata di dar seguito alle azioni decise dal governo honduregno nell’ambito della crisi causata dal coronavirus, decine di persone hanno fatto lunghe file per chiedere alimenti. 

Nel nord del Paese, precisamente a San Pedro Sula, un gruppo di abitanti è stato sgomberato con bombe lacrimogene dall’occupazione di un tratto stradale, in cui impediva il flusso veicolare. Chiedevano la stessa cosa di altre centinaia di persone: alimenti per mitigare la fame.

 

  

 Incappucciati per il coronavirus, bruciano pneumatici e spazzatura in protesta contro il governo nel quartiere Villa Vieja, Tegucigalpa

 

L'economia informale, quella più colpita

Durante l'ultima decade, l’Honduras ha mantenuto una media di popolazione che vive in povertà del 60% e in povertà estrema del 40%. Gli esperti in materia, come l'economista Hugo Noé Pino, dicono che tali percentuali sono il "risultato di un'insufficiente dinamica economica honduregna volta ad aumentare posti di lavoro e ad elevare una buona parte della popolazione ad un lavoro decente, remunerato e accompagnato da benefici." 

La forza lavorativa di questo Paese centroamericano continua ad avere il 70% della popolazione attiva nel settore informale; ne consegue che la crisi provocata dal covid-19 colpisca maggiormente coloro che nel gergo popolare sono definiti "quelli che mangiano e vivono di ciò che fanno quel giorno". 

Obeida Suyapa Orellana è una donna di 49 anni, che per oltre un ventennio si è guadagnata da vivere vendendo per le strade di Tegucigalpa semi di zucca secchi, arachidi e dolci. Il coprifuoco le ha impedito di procurarsi la materia prima per il suo commercio, ma dice: "Grazie a Dio ho potuto rifornirmi di mascherine da vendere per strada e con ciò aiuto la gente a proteggersi". 

 

 

  

"Sì, mi rendo conto del coronavirus, ma non ho chi mi fornisca il cibo o mi paghi la stanza ", dice Obeida Suyapa Orellana, una donna di 49 anni che vende mascherine per sopravvivere.

 

La sua stanza in affitto è situata ad alcuni metri da un cimitero abbandonato nel quartiere Sipile di Comayaguela. Paga 45 dollari al mese, che deve mettere insieme con le sue vendite giornaliere. "Sì, mi rendo conto del coronavirus, ma non ho chi mi fornisca il cibo o mi paghi la stanza. C'è una paura latente tanto in me, come negli altri venditori, ma siamo di quelli che vivono alla giornata. Come possiamo rispettare l'ordine del governo, come possiamo rimanere in casa?” obietta. 

Altre centinaia di persone come Obeida, sono uscite per strada ignorando l'ordinanza del governo, alla ricerca della loro sopravvivenza quotidiana. Molti sono stati arrestati con l’accusa di circolare per le strade senza motivo alcuno, portati in spazi aperti e ivi trattenuti per 24 ore, come punizione. Nel frattempo decine di poliziotti vigilano i mercati popolari della capitale, per evitare l'ingresso dei venditori e il conseguente assembramento di acquirenti. 

 

Misure preventive 

Per porre rimedio alle richieste della popolazione che vive in povertà, a partire dal 25 marzo il governo honduregno, attraverso brigate composte da elementi delle Forze Armate, COPECO e dirigenti comunali, ha cominciato a distribuire alimenti in quartieri e insediamenti di Tegucigalpa. 

Si prevede di assegnare alimenti essenziali per 30 giorni a 800.000 famiglie, sperando di beneficiare 3.2 milioni di honduregni. 

Operazione Honduras Solidale, la chiama il governo. “Si recapiteranno le forniture alimentari casa per casa, porta a porta. Pertanto non è necessario che le famiglie escano di casa, gli alimenti si consegneranno nelle loro mani, nelle loro case, evitando in tal modo assembramenti di persone", ha affermato a reti unificate il presidente Juan Orlando Hernández. 

 

Sostenibile? 

Il coronavirus rende pubblici, come poche volte nella storia politica, economica e sociale del Paese, i volti di migliaia di honduregni, resi più visibili in numeri e percentuali. È la prima volta che ci si occupa di questo settore della popolazione con un provvedimento che, secondo gli intervistati, mette alla prova la debole economia del Paese e che lascia incerta la questione: sarà sostenibile tale provvedimento per tutta la durata della crisi da coronavirus, in uno dei Paesi più corrotti e poveri del continente americano? 

È una misura assolutamente necessaria e disgraziatamente tardiva, che avrebbe dovuto essere adottata molto prima di arrivare al coprifuoco, afferma l'economista Francisco Saravia che, consultato da Univision, ha sollevato la questione di come siano state le proteste incessanti dei cittadini, che si sono esposti nelle strade in un momento critico di espansione del virus, ad innescare il provvedimento da parte del governo. 

Pino concorda con Saravia ed aggiunge che la radice del problema sta nelle politiche economiche degli ultimi anni, che “hanno favorito le elite con esenzioni fiscali, con uno stanziamento di bilancio non solo inadeguato, ma influenzato anche dalla corruzione, appalti sopravvalutati, tutt’un sistema di canoni fiscali che fanno dell’Honduras uno dei Paesi più diseguali nell'emisfero e a livello internazionale." 

 

Traduzione di Adelina Bottero 

 

Articolo originale: https://www.univision.com/noticias/america-latina/en-medio-del-coronavuris-el-hambre-y-la-pobreza-cobraron-rostro-en-honduras

 

 


 

 


TELESUR / AMERICA LATINA / COLOMBIA

Il numero di lider assassinati in Colombia supera quello delle vittime di Coronavirus

Il Censat chiede al Governo Colombiano di garantire la vita di tutte le persone che abitano all’interno del territorio nazionale e che porti avanti le inchieste per chiarire i fatti.

Questo lunedì, l’Associazione Centro Nazionale Salute, Ambiente e Lavoro (Censat Acqua Viva) ha denunciato che, nonostante l’avanzata del nuovo coronavirus, in Colombia, nell’anno in corso, si sono registrati più assassini di lider sociali che vittime della pandemia.

«Il conflitto armato in Colombia si è intensificato nelle regioni più remote. Lo confermano gli ultimi fatti verificatisi il 3 e 4 aprile 2020, i quali hanno visto l’omicidio di nove persone nei dipartimenti del Putumayo, del Nariño e del Cauca, oltre alla scomparsa di altre due persone», afferma il testo.

Secondo Censat Acqua Viva questi deprecabili accadimenti si aggiungono agli oltre settantun omicidi di lider sociali, uomini e donne, dall’inizio del 2020 fino ad oggi.

Aggiungono che, con ancora maggior vigore, il Governo e i media minimizzano e nascondono la recrudescenza del conflitto armato e l’aumento del controllo territoriale da parte dei suoi attori armati.

«Stanno assassinando sistematicamente persone e lider, uomini e donne, impegnati nella costruzione della pace e nella cura del territorio; stanno massacrando famiglie intere nelle loro stesse case» assicura.

Ugualmente, manifestano il loro ripudio contro la violenza regolarmente perpetrata a danno dei lider sociali. Inoltre, esprimono la loro solidarietà e fratellanza nei confronti delle famiglie e delle organizzazioni a cui appartenevano le persone fatalmente coinvolte nei fatti riportati.

«Rivolgiamo un appello urgente all’opinione pubblica nazionale e internazionale affinché (noi Colombiani) possiamo esprimere senza compromessi indignazione e profonda preoccupazione per l’incremento della guerra in Colombia. Si rende urgente che alziamo la voce per fermare questo massacro» conclude.

 

 




GRANMA (CUBA) / ESTERI / VENEZUELA

Venezuela: USA e Colombia mentono, sono loro i narcotrafficanti

Leader indiscussi nel macabro primato mondiali degli omicidi dei dirigenti sociali; sette basi militari a disposizione dei piani di guerra del Pentagono e del suo Comando Sud contro il Venezuela e gli altri vicini scomodi per la Casa Bianca in America Latina; terra fertile per il reclutamento di ufficiali, agenti e mercenari di ogni tipo; filiale della sovversione continentale. La Colombia continua a mietere record costituendosi epicentro mondiale della produzione e del traffico di cocaina.

Washington e Bogotá, che da decenni impugnano la dottrina «dell’intervento preventivo» con il pretesto della guerra contro il narcotraffico che hanno appoggiato con le guerre “antiterroriste” contro i ribelli, ora vogliono convincerci che le “minacce transnazionali stanno subendo il contrasto alla produzione e al traffico” dei quali in realtà sono i principali responsabili.

Un rapporto dell’Ufficio di Política Nazionale per il Controllo delle Droghe della Casa Bianca, pubblicato il 5 marzo, segnala che la coltivazione della foglia di coca nel paese sudamericano è aumentata di 4000 ettari per raggiungere i 212.000, mentre la produzione di cocaina è cresciuta del 8%  passando da 879 tonnellate a 951, cifre che sono record storici. Si deduce che la produzione di coca in Colombia equivale a 5.130 milioni di dollari, il doppio del caffè.

Lo stesso documento informa che il consumo di cocaina negli USA è in continuo aumento dopo anni di diminuzione e che la fonte principale per il mercato nordamericano di questa droga è la Colombia. Un anno fa il rapporto annuale del 2019 dell’ONU su droga e crimine avvisava sulla pericolosa tendenza e aveva riconosciuto che le piantagioni in luoghi remoti e le nuove bande avevano portato la Colombia al primato di principale produttore mondiale di cocaina, con circa il 70%, uno dei  fattori fondamentali del nuovo record dell’offerta.  Il documento registrava un incremento del 50% in questo Paese dal 2008 al 2017. Secondo l’Indagine Nazionale sul Consumo di Droghe e Salute, quasi due milioni di persone negli USA hanno fatto uso di cocaina nel 2018, con un incremento del 42% rispetto al 2011. Inoltre il numero dei morti per super dosi di cocaína è triplicato tra il 2012 e il 2018. Esperti colombiani sostengono che non si può fermare la produzione se Washington e l’Europa non frenano la domanda.

Nel  febbraio di quest’anno, una relazione della Giunta Internazionale di Fiscalizzazione degli Stupefacenti (JIFE) ha segnalato come principale preoccupazione la crescita delle piantagioni di coca illegale, perché è anche incrementata la produzione potenziale di cocaina fino a un record storico di quasi 2000 tonnellate, stando alle valutazioni.

La  JIFE ha aggiunto che la gran maggioranza di queste 2000 tonnellate va dal mercato colombiano agli Stati Uniti.  Si sostiene che anche se il presidente Donald Trump si mostra indulgente con il suo omologo colombiano Iván Duque, stretto alleato dei piani di guerra  anti venezuelani, gli ha detto pubblicante davanti alla stampa che «La Colombia è arretrata nel campo delle droghe» e di recente gli ha intimato di riprendere la fumigazione aerea sulle piantagioni di coca con l’erbicida glifosato che è scartato internazionalmente per i suoi effetti negativi sulla salute umana e l’ambiente; ragione per cui erano state sospese nel 2015 dall’esecutivo precedente di fronte a un avviso dell’Organizzazione Mondiale della Salute e per le quali il governo ha 231 domande giudiziarie pendenti.

Anche se si denuncia l’esistenza di sette basi militari con la presenza di ufficiali e persone a contratto al servizio del Comando Sud col pretesto della lotta al narcotraffico, uno studio della rivista colombiana Semana segnala che già nel 2012 le Forze Aeree USA avevano 51 edifici in Colombia, mentre l’Esercito aveva altre 24 proprietà affittate.

Inoltre sono stati scandalosi gli incidenti generati dai militari e dai contrattisti statunitensi, difficili da controllare per la loro indisciplinatezza, il consumo di droga e anche il traffico d’eroina dalla Colombia a una base militare della Florida.

Il quotidiano londinese The Guardian ha definito la Colombia «la nazione più insanguinata» del sangue dei difensori dei diritti umani. Il prestigioso quotidiano ha informato su un rapporto del Front Line Defenders, che indica che ogni tre attivisti assassinati nel 2019 in tutto il mondo, uno era colombiano.

L’ondata di violenza attira l’attenzione internazionale. L’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani si è dichiarato «profondamente preoccupato», ed ha indicato la cifra ufficiale di 107 leader assassinati nel 2019, ai quali si possono sommare 13 casi da accertare. Alcuni denunciano questi fatti come una pratica sistematica e varie organizzazioni stimano che la cifra reale di vittime è il doppio o il triplo. Secondo il Difensore del Popolo, tra gennaio del 2016 e ottobre del 2019 ci sono stati 555 casi. Organizzazioni politiche e dei diritti umani hanno denunciato che dall’entrata in vigore degli accordi di pace del 2016 ad oggi, sono stati assassinati 187 ex combattenti delle FARC.

La macchina della morte, che agisce a suo piacimento nel paese sudamericano, attacca principalmente coloro che promuovono la sostituzione delle coltivazioni di coca, coordinano processi di restituzione di terre a oppositori, ai gruppi etnici che esercitano il controllo nei territori a ex guerriglieri e leader donne.

Secondo la Procura i principali assassini di queste persone sono organizzazioni criminali legate al narcotraffico, alle miniere illegali e alla delinquenza comune. I media raccolgono le denunce della partecipazione dell’esercito, di bande paramilitari e mafie vincolate a settori politici estremisti vicini a figure del Governo.

Il Difensore del Popolo ha anche denunciato l’incremento del 63% nella violenza contro i leader che fomentano la sostituzione volontaria delle coltivazioni di coca e si oppongono alla presenza di gruppi armati nel loro territorio.

Un rapporto dell’Alta Commissaria della ONU per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, ha denunciato di recente che la situazione nel paese è la peggiore dal 2014, e che lo Stato non sta compiendo i suo lavoro di difesa dei leader sociali, mentre Michel Forst, relatore speciale, ha affermato che questi omicidi sono «crimini politici».

Il The New York Times ha scritto che «è uno stato debole che risponde con violenza alle domande dei suoi cittadini oppositori», e che «la Colombia è uno dei paesi più disuguali di questa regione disuguale. La scarsità di opportunità condanna milioni di colombiani, la mancanza di opportunità ha dato impulso alla violenza, ha alimentato la  guerra, ha provocato grandi migrazioni interne e ha stimolato l’emigrazione, ma ha anche moltiplicato in maniera incontrollabile il narcotraffico, i cartelli, le mafie dentro e fuori del paese, i paramilitari, le esecuzioni extra giudiziarie, le esecuzioni dell’esercito, le alleanze con gruppi criminali per ottenere delazioni e ammazzare, gli assassinii selettivi e di massa, i sequestri e le fortune nei paradisi fiscali.

Dopo lo sciopero nazionale del novembre scorso, molti hanno esortato il presidente Iván Duque a un cambio di rotta urgente, per difendere la vita, ma si continuano a sostenere la guerra e  il sangue, non solo dentro il paese ma anche alle frontiere, al soldo dei peggiori interessi degli USA nella regione, mentre se ne approfittano i mercanti delle droghe, le armi e i conflitti.

Duque ha scelto il cammino  del Comando Sud e della 82ª Divisione Aerotrasportata; quello degli esercizi congiunti con gli USA e il Brasile, per compiacere i falchi del nuovo momento americano di Trump e i governi legittimi della coalizione fascista che si erige sul polverone della disuguaglianza, delle droghe, dell’estremismo e delle domande di giustizia e di pace.

 

Francisco Arias Fernández e GM per Granma Internacional, 4 aprile 2020



GRANMA (CUBA) / ESTERI / VENEZUELA

Il Venezuela può diventare un nuovo Vietnam per gli Stati Uniti

Nel momento in cui l’umanità lotta contro la pandemia del COVID-19, Washington crede che le forze progressiste del mondo siano completamente smobilitate e, in maniera opportunista e vile, si prepara per dare quella che chiamano “la stoccata finale alla Rivoluzione Bolivariana”.

Il presidente venezuelano Nicolás Maduro, in una lettera recente al popolo statunitense, ha messo in guardia rispetto a questo piano che può diventare una guerra costosa, sanguinosa e di durata indefinita.

Il pericoloso tentativo di creare un’evento false flag che serva come pretesto all’invasione militare, torna ad essere in questo scenario una possibilità reale. La Forza Armata Nazionale Bolivariana ha neutralizzato, lunedi 6, durante la notte, un aereo destinato al traffico di stupefacenti che tentava di entrare nello spazio aereo venezuelano.

Maduro ha decretato il coprifuoco nei municipi  di frontiera di Simón Bolívar e Ureña, tra Táchira e Colombia, a fronte delle minacce di ingresso nel paese di mercenari e paramilitari. Quattro di questi sono stati catturati mentre tentavano di varcare il confine facendosi passare da rimpatriati venezuelani, ha informato Telesur.

La Rete in Difesa dell’Umanità, dagli Stati Uniti si è sommata alle voci che reclamano la fine delle sanzioni unilaterali e ha pubblicato un manifesto nel quale esige la fine delle minacce e delle aggressioni contro il Venezuela.

Anche l’Associazione Internazionale dei Giuristi Democratici, personalità del Diritto e di altri ambiti dell’intellettualità di varie parti del mondo hanno firmato una lettera aperta indirizzata al segretario di Stato Mike Pompeo e ai membri del Comitato dei Temi Internazionali del Senato statunitense, nella quale hanno sollecitato al paese del nord ad abbandonare la sua posizione aggressiva nei confronti della nazione sudamericana.

Raúl Antonio Capote, e GM per Granma Internacional, 8 aprile 2020

 

 



 

 

GRANMA (CUBA) / OPINIONI / CAPITALISMO E PANDEMIA

Il re è nudo

Hans Christian Andersen racconta che due furbi che si facevano passare per sarto e tessitore, avevano promesso al re di confezionargli il più bell’abito immaginabile: «Tutti ammireranno il suo vestito ad eccezione di quelli nati da una relazione adultera». Il re si entusiasmò e diede il suo denaro ai due ciarlatani per comprare tele, nastri, ricami e fili d’oro, e decise di inaugurare il suo nuovo vestito all'imminente festa popolare.

I due furbi fecero finta di lavorare chiusi in un’laboratorio, fino a quando annunciarono che l’abito era pronto. Il re andò a provarlo accompagnato da un gruppo di cortigianai, ma nessuno vide l’abito. Tutti (anche lo stesso re) pensarono con angustia di essere evidentemente figli del peccato, e tacquero fingendo di apprezzare il lavoro lodando teatralmente la genialità dei suoi creatori.

Il giorno della festa il re "si vestì" e uscì in sfilata per le strade della città sul suo cavallo. I cittadini si zittivano vedendolo passare, si rendevano conto della realtà, ma per paura d’essere moralmente rimproverati, tacevano. Fino a quando un bambino innocente esclamò: «Il re è nudo!» e senza deciderlo fece sì che la farsa fosse scoperta. Con quel grido, il bambino della fiaba di Andersen mandò in frantumi la menzogna generalizzata che tutti vedevano ma nessuno voleva ammettere.

Oggi la natura disumana del capitalismo e la sua versione più oscena, il neoliberalismo, è messa a nudo dal coronavirus. Il suo volto satanico si è rivelato senza maschera né trucco. Crepe molto profonde si sono aperte sull'illusione alimentata per tanti anni dalle macchine del dominio informativo e culturale.

Fidel lo ha ripetuto molte volte: «Il neoliberismo conduce il mondo intero al genocidio; il capitalismo è un genocidio per il mondo di oggi». Lo disse con enfasi particolare quando crollò il socialismo in Europa e il coro trionfale della destra celebrò l’avvento del Regno Assoluto del Mercato come sinonimo di “libertà” e  “democrazia”, mentre buona parte della sinistra mondiale si ripiegava demoralizzata. Come il re, anche “il sistema è nudo, e non è più possibile occultare la sua realtà con l’alienazione culturale”,  sostiene  Juan Manuel P. Domínguez.

Alle loro voci, si uniscono quelle di economisti, filosofi, giornalisti, politologi: il coronavirus ha tirato via bruscamente il velo della presunta prosperità per scoprire la ferocia del sistema, i suoi abissi d’ingiustizia e disuguaglianza. Come il grido del bambino di Andersen, la loro voce strappa la maschera e rivela la crudele realtà.

Secondo Anne Applebaum, «Le epidemie rivelano verità sepolte sullo stato delle società in cui si verificano. Il coronavirus lo ha già fatto a una velocità terrificante. La crisi attuale è il risultato di decenni di assenza d’investimenti nella funzione pubblica, del disprezzo della burocrazia nella sanità pubblica e in altre aree, e soprattutto della sottovalutazione della pianificazione a lungo termine».

Franco "Bifo" Berardi considera che la pandemia è scoppiata in un momento di crisi profonda del sistema: «Da tempo il capitalismo si trovava in uno stato di ristagno irrimediabile. Ma continuava a dare frustate a noi bestie da soma per obbligarci a continuare a correre, anche se la crescita era diventata un miraggio impossibile. Non possiamo sapere come usciremo dalla pandemia, ma è certo che la triste condizione in cui ci troviamo sono state create dal neoliberismo, dai tagli alla salute pubblica per l’iper sfruttamento nevrotico».

Marco Teruggi ci ricorda opportunamente che la tendenza anti-neoliberale, promossa dal coronavirus, "cresceva in America Latina, con i sollevamenti dell’anno scorso in Ecuador e Cile e la vittoria elettorale del Fronte de Todos in Argentina".

 

Questo sì, questo no

Uno delle "falle" del sistema che la pandemia ha messo in luce è il dilemma etico in cui si sono ritrovati i medici obbligati a scegliere (di fronte alla scarsità di respiratori e di medicinali indispensabili, di letti negli ospedali e di unità di terapia intensiva) tra malati “salvabili” e “non salvabili” tra vecchi, fragili e con complicazioni.

Ingar Solty avverte: «Dal punto di vista medico, la grande maggioranza di morti si potrebbe evitare. I meccanismi di selezione stanno spaccando il cuore del personale sanitario, la cui missione è salvare vite».

Il médico pneumologo argentino Ricardo Gené ha pubblicato un testo disturbante intitolato “Questo sì, questo no”: «Nonostante i passi avanti nella conoscenza, nello sviluppo e nella tecnologia, vedo e ascolto i medici spagnoli e italiani raccontare di questo: si ritrovano a scegliere per età chi ventilare o meno, o peggio ancora per aspettativa di vita. Lasciarli a casa, con analgesici potenti, a morire in solitudine senza l’assistenza necessaria, dando l’addio ai loro cari per telefono».

Il dottor Gené riassume la sua angoscia con queste parole che fanno rabbrividire: «Cos’è successo in questo mondo ingiusto, disuguale e criminale? Perchè hanno applicato politiche che - ora è ben chiaro – sono politiche che uccidono? Vivo ogni giorno con il timore che la pandemia diventi devastante e che si debba oltrepassare questo maledetto limite, questa scelta tremenda di dire: questo sì e questo no». 

La classificazione di “salvabili” e “non salvabili” l’abbiamo vista in un’altra scala, tra governi, tra paesi, ha detto Judith Butler, e pone come esempio lo sforzo grottesco di Trump di annotare “punti politici” per la sua rielezione con l’acquisto dei diritti del vaccino contro il coronavirus di una compagnia tedesca: «Trump immagina che la maggioranza della gente pensi che è il mercato che dovrebbe decidere come si sviluppano e si distribuiscono i vaccini?». Evidentemente sì. Per lui la “razionalità” del mercato è l’unica comprensibile. Era sicuro che avrebbe ricevuto molti applausi con il colpo ad effetto che gli avrebbe permesso di fare lo sbruffone, sostenendo d’aver ottenuto in forma esclusiva il vaccino, parlando alle telecamere e in Twitter come un Super Eroe, mentre il resto del pianeta soffriva per la crescita del contagio e l’umiliazione.

"La disuguaglianza sociale ed economica - continua Butler – farà sì che il virus discrimini. Il virus da solo non discrimina, ma noi uomini sì, lo facciamo, modellati come siamo su malsane idee di nazionalismo, razzismo, xenofobia e capitalismo. Il conflitto interiore drammatico e doloroso che obbliga oggi i professionisti della salute di molti paesi ad applicare la selezione tra i loro pazienti non è arrivato al mondo con il coronavirus"

Per Solty (come per tutti gli analisti che non stanno al servizio del sistema), è ovvio che è giunto da lontano: «Il carattere privato e lucrativo dell’assistenza sanitaria è stato la garanzia che sarebbe sorto il Covid-19, così com’e stato. Oggi raccogliamo i frutti di quelle misure economiche».

La concezione della sanità e dell’industria farmaceutica come affari dove non ci sono pazienti ma clienti,  pone le basi che giustificano definitivamente la divisione tra “salvabili” e “non salvabili”.

David Harvey assicura che “l’industria farmaceutica privata prova scarsissimo interesse – ammesso che ne abbia – per la ricerca sulle malattie infettive non remunerative. L’industria farmaceutica investe nella prevenzione assai di rado. Non è molto interessata ad investire perché si sia preparati ad affrontare una crisi pubblica. Amano disegnare rimedi. Quanto più la gente si ammala, tanto più denaro guadagnano. Il modello di business applicato al servizio pubblico di salute ha eliminato le capacità in eccedenza che servono in casi di emergenza.

 

Harakiri, malthusianismo, neoliberalismo

Appena  sette anni fa, un vice primo ministro e ministro delle Finanze giapponese aveva incitato gli anziani del suo paese all'harakiri per alleviare il bilancio da un peso non necessario (El País, 26 gennaio 2013). È mostruoso, ma si dovrebbe ringraziarlo per la sua onestà intellettuale. Comunque, il vicegovernatore del Texas, Dan Patrick, lo scorso 23 marzo ha fatto un'affermazione. Di fatto, la sinistra accoppiata di  malthusianismo e neoliberalismo è stata denunciata da vari anni.

È frequente ascoltare neoliberisti che quando si tratta di salvare il corpo dicono che può essere raccomandabile l’amputazione di una gamba. Socialmente questo equivale alla teoria maltusiana secondo cui 3 miliardi di poveri sono di troppo. I neoliberisti sono stati molto chiari in quanto ai loro propositi: la giustizia è quella stabilita dal mercato con la concorrenza. Gli “efficienti” trionfano, gli “inefficienti” soccombono (Julio Escalona). Si ha l'impressione che il sistema neoliberale e l’economia di mercato siano venuti a ridurre la popolazione e a frenare la crescita demografica, come reclamava Malthus duecento anni fa. La forza che esprimono le idee  malthusiane è quella degli affari, né più né meno. Il guadagno viene prima delle oersone, soprattutto quelle la cui vita è scartabile.

Centinaia di milioni di persone sono rimaste escluse, e le loro vite e la loro dignità non importano più a nessuno. Se qualcosa dovesse essere considerato sacro in ogni tempo, è la persona umana, ma oggi sacro in realtà è il mercato, al disopra della dignità umana (Elías Neuman).

Questo modello implica, ovviamente, che lo Stato abbandoni ogni responsabilità rispetto alla popolazione e si trasformi “in un servitore dei grandi consorzi finanziari”. Per Neuman «si è diluito il sentimento etico rispetto alla vita. L’insicurezza sociale costituisce il paradigma del modello di società raccomandato dal neoliberismo della globalizzazione e del capitalismo finanziario, che hanno necessità, nella loro voracità, di uno Stato debole. Lo Stato assente dalla vita della maggioranza esclusa e senza occasioni, annichilisce violentemente l’aspirazione di giustizia e toglie legittimità alla democrazia».

Nel mezzo della pandemia, Juan Manuel P. Domínguez sottolinea come ora si manifesti questo barbaro malthusianismo: «Di fronte a questa situazione d’annichilimento e morte di massa il potere non nasconde il suo disprezzo per la vita, né per gli Stati che tentano d’applicare contromisure a questo sistema. In un momento di morte incombente, il capitale mostra in maniera aperta la sua irrazionalità, il suo isterismo e il suo egoismo. Non è casuale che tre leader politici che nel continente americano hanno atteggiamenti simili di disprezzo per la grave situazione - Trump, Bolsonaro e Piñera – siano nello stesso tempo i più forti rappresentanti dell’ideologia neoliberista nella regione».

Ha ragione: non è casuale. E' assolutamente naturale che la prima reazione dei politici neoliberisti di fronte al focolaio epidemico sia stata togliergli importanza e guardare da un’altra parte, soprattutto per non danneggiare l’economia. Ovviamente nella loro logica ispirata a Malthus e al cosiddetto  “darwinismo sociale”, il coronavirus si doveva concentrare sui “perdenti” e sui “meno adatti”, sugli “inefficienti” senza assicurazione medica né risorse per sopravvivere, sui migranti, su coloro la cui vita e dignità non hanno valore per il sistema, su quelli che devono farsi una volta per tutte l'harakiri. Ma l’epidemia come sappiamo è andata al di là del previsto, e potrebbe portare conseguenze politiche ed elettorali, e si è dovuto opportunisticamente cambiare il discorso. David Gómez Rodríguez usa un episodio della Francia della Restaurazione per illustrare la filosofia malthusiana-neoliberale del presente. Ci ricorda la spedizione verso la colonia del Senegal nel 1816 della fregata “La Medusa” e il comportamento del suo capitano, il Visconte Hugues Duroy De Chaumareys. Quando l’imbarcazione s’incagliò, questo aristocratico capitano decise chi lo dovesse accompagnare nelle scialuppe di dsalvataggio (un elenco molto selettivo) e lasciò indietro in una zattera precaria i 147 marinai senza alcuna speranza. Questi “scartabili”, nella loro disperazione giunsero al cannibalismo. Morirono 132 fra tormenti atroci.

“Trump ha fatto come De Chaumareys (lo sottolinea  Gómez Rodríguez), e oggi gli USA sanno che perderanno tra 100.000 e 240.000 vite come minino, ma il presidente si preocuppa solo por le elite; è lo stesso atteggiamento  del presidente Lenin Moreno in Ecuador, che ha annunciato come un successo del governo il piano della raccolta dei cadaveri per strada dopo i giorni d’abbandono. In questo contesto è importante ricordare che secondo la OMS più di cento milioni di persone vivono in povertà, non hanno previdenza sociale e sono obbligati a pagare l’assistenza sanitaria. Sono i marinai della zattera, l’umanità che oggi buttano a mare.

La vera crisi si manifesta nel collasso di una struttura di potere piramidale sulla  base insostenibile di un’economia che pone al centro il capitale e non lo sviluppo umano, un modello che personaggi come Trump pretendono di seguire salvandolo a costo del cannibalismo, e questo sarà il loro naufragio.

 

La quarantena rinforza l’ingiustizia, la discriminazione, l’esclusione sociale

È demagogico e falso il discorso del potere che assicura che il coronavirus “ci rende uguali”, dato che attacca ricchi e poveri indistamente. “La pandemia sì che s’intende di classi sociali”, risponde Carmen San José, e aggiunge: «No, no usciremo uniti da questa pandemia perché non lo siamo né in questa come in nessun’altra situazione».

Ingar Solty ci ricorda che «così com’è successo con la mortale influenza spagnola del 1918-1919, le vulnerabilità durante una crisi hanno un marcato e forte segno di classe”.

E pone vari esempi attuali molto amari: «La più evidente e diretta disuguaglianza nel modo in cui le crisi sanitarie danneggiano la classe capitalista e la classe lavoratrice la mostra il nuovo fenomeno dei medici-custodi. Si tratta di medici che prestano servizio a clienti ricchi che li pagano per la loro assistenza 24 ore su 24. Mentre cresce la crisi del coronavirus, la gente ricca si può sottoporre alla prova di positività del virus, anche se non presenta sintomi, riceve l'ossigeno, le mascherine e altro, mentre i lavoratori con i sintomi di Covid-19 devono lottare per essere sottoposti a test, e poi pagare la fattura. Quando tutto il mondo deve scegliere di fuggire invece che lottare, i più ricchi fuggono di più e in modo esclusivo. Si sono moltiplicati i voli privati. I multimilionari si rifugiano nelle loro sicure residenze all’estero, dove l’isolamento si sopporterà in modo molto diverso da quello che deve soffrire la classe operaia.

 

Un reportage del The New York Times

Servizi di salute tipo boutique: yacht, aerei privati e rifugi a prova di virus, di Alex Williams e Jonah Engel Bromwich, spiega in dettaglio come i ricchi “non badano a spese per minimizzare l'impatto con il coronavirus”. Si costruiscono installazioni isolate più inaccessibili del bunker di Hitler, con il massimo confort; pagano quelle che chiamano “visite boutique”, con equipaggiamento medico e assistenza specializzata a domicilio; viaggiano in yacht o aereo privato in luoghi dove il virus non è ancora arrivato e si permettono capricci e stravaganze. Ci sono famosi che comprano gel anti batteri di marca e mascherine eccezionali e molto care. Si fanno selfies per mostrarli sulla rete. Alcuni preferiscono un’elegante “mascherina urbana” di una compagnia svedese di nome Airinum  che ha cinque cappe filtro e rifiniture ideali nel contatto con la pelle”. Altri aquistano quello che fabbrica la Cambridge Mask Co., un’impresa britannica di “cappe filtro di  particelle di carbonio di livello militare”.

Agli antipodi di questi milionari ci sono i gruppi elencati da Boaventura de Sousa Santos: «Hanno in comune una vulnerabilità speciale che precede la quarantena e si aggrava con essa. Questi gruppi stanno in quello che si chiamo il Sud. Nel mio concetto, il Sud non designa uno spazio geografico. Designa uno spazio-tempo-politico-sociale-culturale. È la metafora della sofferenza umana ingiusta, provocata dallo sfruttamento capitalista, dalla discriminazione razziale e sessuale. Donne, lavoratori, precari e informali, venditori ambulanti, gli abitanti del periferie più povere delle città, anziani, rifugiati, immigrati senza documenti, popolazioni sfollate, invalidi. Con la precisione di un chirurgo, Sousa Santos esamina ogni tragedia specifica di questi gruppi vulnerabili e fa e si fa domande che sono stoccate: «Come sarà la quarantena per quelli che non hanno casa? Persone che passano le notti sotto i viadotti, nelle stazioni abbandonate della metropolitana o dei treni, nei cunicoli dell’acqua pluviale o nelle fogne di tante città del mondo. Negli USA li chiamano “tunnel people”. Come sarà la quarantena nei  tunnel?»

Anche se il panorama che traccia Sousa Santos è terrificante, lui stesso ci chiarisce che «la lista di coloro che stanno nel Sud  della quarantena è lontana dall’essere esaustiva». La quarantena non solo si fa più visibile, ma inasprisce l’ingiustizia, la discriminazione, l’esclusione sociale e la sofferenza. Queste asimmetrie diventano invisibili di fronte al panico che colpisce chi non è abituato a tutto questo.

Ai gruppi vulnerabili citati da  Sousa Santos andrebbero sommati i latini e i negri degli USA. Un’inchiesta pubblicata il 25 marzo scorso segnala che gli ispanici sono più esposti al contagio del Covid-19. L’8 aprile sono circolate dichiarazioni del chirurgo Jerome Adams, uno dei portavoce del governo in tema di salute: «Molti negri statunitensi, ha detto, corrono maggior pericolo con il Covid-19». Gi ispanici sono il 29% della popolazione di New York e rappresentano il 34% dei morti per il virus nella città. La comunità negra di New York è particolarmente minacciata e conta il 28% dei morti anche se rappresenta solo il 22% della popolazione.

 

Domande sul futuro

Che succederà dopo l’epidemia? Se lo chiedono in molti. Tra loro, re Slavoj Zizek,  che ha visto nel Covid-19 un colpo da  Kill Bill al capitalismo”, l’ arrivo di “un comunismo rinnovato” o, in cambio, “la barbarie”. Altri, più pessimisti, vedono nella pandemia un’opportunità per il sistema di rinforzare il suo controllo e di renderlo ancora più crudele. Molti non osano fare predizioni ma cocordano che non è concepibile tornare allo stato di cose precedente. Lo stesso  António Guterres, Segretario Generale dell'ONU, ha sentenziato: «Semplicemente non possiamo ritornare dove stavamo prima che ci colpisse il Covid-19. La pandemia ci ha ricordato, nel modo più duro possibile, il prezzo che paghiamo per la debolezza dei sistemi sanitari, delle protezioni sociali e dei servizi pubblici.La pandemia ha sottolineato ed esacerbato le disuguaglianze.

Ora è i momento di raddoppiare i nostri sforzi per costruire economie e società più inclusive e sostenibili che siano più resistenti di fronte alle pandemie, il cambio climatico e altre sfide globali». 

Javier De Lucas dichiara che non vuole tornare alla precedente normalità: «Questo modo  d’intendere la politica che dimentica o subordina sempre quello che realmente importa. Non voglio tornare in quella realtà in cui gli anziani sono un fastidio, coloro che poi piangiamo con ipocrisia dopo averli confinati al di fuori della nostra vista».

Juan Manuel P. Domínguez ascolta con attenzione “le voci crítiche sempre più presenti nelle reti sociali e i media alternativi” ed esprime la speranza che la crisi le renda sempre più influenti di fronte a un neoliberismo “immobilizzato dal virus”.

Inoltre nessuno vuole, al di fuori del pugno di magnati arricchiti con la selvaggia rapina perpetrata nell’era neoliberista, che il mondo torni ad essere come prima - afferma Atilio Borón, nella più lucida riflessione scritta attorno a questa crisi. Per Atilio, “la prima vittima fatale” della pandemia “è stata la versione neoliberale del capitalismo”; anche se non crede “che il virus in questione abbia operato il miracolo di far finire non solo il neoliberismo, ma neanche la struttura che lo sostiene: il capitalismo come modo di produzione e come  sistema internazionale. Ma l’era neoliberale è un cadavere ancora da seppellire, ma impossibile da resuscitare”.

Per contro il capitalismo, come ha detto Lenin, “non cadrà se non esistono le forze sociali e politiche che lo faranno cadere”.

È sopravvissuto alla cosiddetta influenza spagnola e al tremendo crollo globale della Grande Depressione. Ha dimostrato una non usuale resilienza, già avvertita dai classici del marxismo per "digerire" la crisi e anche uscirne rinforzato: «Pensare che in assenza di quelle forze sociali e politiche identificate dal  rivoluzionario russo (che al momento non si percepiscono né negli USA né nei paesi europei) ora si produrrà il tanto anelato funerale di un sistema immorale, ingiusto e predatorio, nemico mortale dell’umanità e della natura, è più l’espressione di un desiderio che il prodotto di un’analisi concreta».

Atilio ci propone come ipotesi di lavoro “una transizione fino al post capitalismo (…) con passi avanti profondi in alcuni campi: l’eliminazione della finanziarizzazione dell’economia, l’eliminazione della mercantilizzazione della sanità e della previdenza sociale. Si incontrerà la resistenza della borghesia come rigorosi controlli del casinò finanziario mondiale contro la statalizzazione dell’industria farmaceutica, le industrie strategiche e i media di comunicazione, oltre al recupero pubblico delle dette risorse naturali.

Un mondo post-pandemia con “molto più Stato e meno mercato” e masse popolari più coscienti e politicizzate (grazie alle amarissime lezioni del virus del neoliberismo) e “propense a cercare soluzioni solidali, collettive ed anche socialiste”. Nel mezzo inoltre di una nuova geopolitica, con l’imperialismo statunitense screditato, carente del potere di altri tempi e col suo prestigio internazionale molto debilitato.

La Cina ha potuto controllare la pandemia e gli USA no; Cina, Russia e Cuba aiutano a combatterla in Europa e Cuba, esempio mondiale di solidarietà, invia medici e medicinali ai cinque continenti, mentre la sola cosa che fanno gli inquilini della Casa Bianca è inviare 30.000 soldati per un esercizio militare con la NATO e indurire le sanzioni contro Cuba, Venezuela e Iran, in quello che costituisce un evidente crimine di guerra.

 

Fidel: seminare idee, seminare coscienza

Lo scenario successivo alla pandemia rappresenta per Atilio Boron una tremenda sfida per tutte le forze anticapitaliste del pianeta e un’opportunità unica e insperata di cui sarebbe imperdonabile non approfittare. Si deve formare coscienza, organizzare e lottare, lottare sino alla fine. E ricorda Fidel in quella riunione della Rete “In difesa dell’Umanità”, nella Fiera del Libro del 2012: «Se vi dicono: siate sicuri che scompare il pianeta e scompare questa specie pensante, che cosa fate? Vi mettete a piangere? Credo che si debba lottare, che è quello che abbiamo fatto sempre».

Fa molto bene Atilio a ricordare Fidel di fronte alla crisi, l’incertezza, l’orrore e lo spettacolo del neoliberismo, nudo e ridicolo come il re della fiaba. E a ricordare anche le speranze che si possono aprire. Cuba, grazie a Fidel, alle sue idee, alla sua opera monumentale, ha posto la medicina, la scienza e tutte le forze dello Stato al servizio dell’essere umano e, in particolare, dei più vulnerabili. Se pensiamo sul serio a un mondo futuro post capitalista, dobbiamo pensare come Atilio, Fidel e Cuba. I nostri medici e infermieri internazionalisti anticipano ogni giorno questa utopia con la quale molti sognano adesso.

Abel Prieto e GM per Granma Internacional, 10 aprile 2020

 

 

 


 

 


GRANMA (CUBA) / ESTERI / DISINFORMAZIONE

Droga e menzogne contro Cuba

Le cicliche campagne diffamatorie dei governi degli Stati Uniti e dei loro servizi speciali contro Cuba, sono sempre stati un’arma permanente nel loro arsenale per cercare di togliere credito alla Rivoluzione e farla cedere con la forza, come fu l’espediente per fabbricare il pretesto dell’invasione durante i fatti che diedero luogo alla "Causa N°1" del 1989. Non è casuale che i principali trafficanti e consumatori di cocaina siano stati i primi ad abbandonare il paese per Miami nel 1959, o negli anni immediatamente successivi.

Con i governanti corrotti, i malversatori e i ricchi, se ne andarono i loro alleati del narcotraffico e della malavita che avevano servito per decenni gli interessi di Washington nell’Isola. Il proposito e la volontà di eliminare totalmente le droghe, messi in evidenza con la Disposizione Numero 6 dell’Amministrazione Civile del territorio libero nella Sierra Maestra del 7 ottobre del 1958, cominciavano ad essere una realtà con la fuga dei mafiosi statunitensi e cubani verso gli Strati Uniti.

Nel paese si dichiarò una guerra a fuoco e fiamme contro quello e altri flagelli come i bordelli e i casinò, risanando l’ambiente di diversi quartieri e bonificando alberghi, cabaret e altri locali che dagli anni ‘30 erano nelle mani dei capi del narcotraffico, e avviando sul piano sociale il processo di uguaglianza e giustizia, di opportunità di lavoro per tutti, di distribuzione delle terre ai contadini, di battaglia per la formazione di generazioni di uomini e donne sani fisicamente e spiritualmente.

Questa realtà vinse gli ostacoli del blocco, del terrorismo di Stato, delle guerre occulte e delle invasioni, confrontandosi fin dall’inizio con le campagne di diffamazione orchestrate dalla Casa Bianca.

 

La droga come pretesto storico

A Washington non bastò il ricorso alle mafie del narcotraffico per cercare di assassinare il Comandante in Capo, Fidel Castro Ruz. Nel 1966, una relazione del Senato statunitense accusava il leader cubano di «contrabbandare» l’eroina proveniente dalla Cina verso il territorio statunitense, «per finanziare le attività delle guerriglie in America Latina», tesi manipolata in un modo o un altro negli anni successivi.

Un’indagine del Centro Studi sugli Stati Uniti rivela che per tutto il decennio dei ’70 del XX secolo, i governi di questo paese accusarono l’Isola in maniera reiterata di trafficare droga senza poter mai mostrare una sola prova, ma dimostrando l’intenzione velata di lacerare l’immagine di Cuba in maniera tale che il mondo associasse i suoi governanti con il flagello.

Era l’anno 1989 quando il Comando Sud degli USA, lo stesso che oggi minaccia d’invadere il Venezuela, in quell’epoca con base a Panama, si preparava per le «nuove missioni» nel «programma antidroga» dell’amministrazione di George Bush. Washington profilava le sue forze d’intervento nei «conflitti d’alta probabilità» che sosteneva approssimarsi in America Latina, e la lotta al narcotraffico era un buon pretesto. Due anni prima era iniziata una forte campagna per screditare le autorità di Panama e mancavano pochi mesi alla sanguinosa mattina del 20 dicembre 1989, quando avvenne l’invasione statunitense contro il paese dell’istmo.

Cuba non era esentata dalla minaccia. Il silenzio della Casa Bianca e delle sue agenzie specializzate di fronte al caso dei militari cubani implicati in quella che fu poi chiamata “Causa Nº 1”, mise in evidenza che gli USA preparavano un espediente segreto molto pericoloso per la sicurezza dell’Isola e, invece di informare e allertare in tempo su quello che stava succedendo, cercarono prove per giustificare azioni politiche o militari.

Mentre Cuba chiariva quel processo con la più evidente pulizia e il più forte rigore, il quotidiano The New York Times pubblicò un articolo dell’ultraconservatore vice segretario di Stato per i temi  Inter-americani Elliot Abrahms, attuale inviato speciale per il Venezuela, che accusava di nuovo il governo cubano e proclamava “eroi” i sanzionati nella Causa N°1.

La doppia morale e la manipolazione tornavano in prima linea, e oggi la rivivono con un Consiglio della peggior specie, che non dimissiona quei figuri che in altri tempi esplosero nel tristemente e celebre scandalo del Iran-Contras (1985-1986), come lo stesso  Abrahms, che rivelò la profonda implicazione del Pentagono, della CIA e della Casa Bianca in uno dei casi di corruzione e violazione della legge più importante nella storia degli USA.

L’Iran-contras o Irangate smascherò il finanziamento della controrivoluzione del Nicaragua guidata dal Consiglio di Sicurezza Nazionale, che aveva tre fonti principali: la CIA, il traffico di armi e quello della droga. In tutto quello furono nuovamente implicati i “cubani esiliati di Miami”.

Difficilmente si potrebbe parlare di un anno del decennio dei ‘90 nel quale gli USA non abbiano creato una campagna o una minaccia contro Cuba, anche solo in relazione all’infamia secondo cui l’Isola non combatte in modo adeguato il narcotraffico, o che ne è complice.

Dalla Casa Bianca, dal Campidoglio o dal Dipartimento di Stato sono sempre piovute menzogne, omissioni o sospetti, nonostante le abbondanti evidenze dell'efficacia dei piani di contrasto e di prevenzione applicati da Cuba e dell’ampia collaborazione internazionale bilaterale e multilaterale che le conferiscono un riconosciuto prestigio.

La nota risibile del momento la pose lo stesso presidente Bill Clinton nel 1998 quando affermò: "Cuba è un 'candidato logico' alla lista nera degli attori principali nella produzione e traffico di droghe verso gli Stati Uniti".

Il lato ironico è che il suo paese era l’unico al mondo che negava la cooperazione con le autorità dell’Isola in una così importante battaglia, quando è noto che gli USA sono il più forte consumatore del pianeta e i destinatari principali della droga che Cuba sequestra.

Solo tra il 1994 e il 1998 il sistema cubano di controllo impedì il trasferimento verso il territorio statunitense e dell’Europa di più di 31 tonnellate di sostanze.

 

Riciclaggio di un argomento

La recente falsità pubblicata dalla rivista Newsweek, conferma che il tema è stato posto da molto tempo nello stesso faldone dei diritti umani, e l'uno o l'altro si estraggono periodicamente e messi nell'agenda della politica contro Cuba senza il minimo scrupolo, a seconda dei loro interessi e delle loro strategie che si cantano e suonano nel Consiglio di Sicurezza dove, con Donald Trump, entrano ed escono con tendenza di male in peggio ex capi militari, funzionari della CIA o capi della mafia di Miami, dai quali non si può certo sperare nulla di buono.

Lì fu stato cucinato lo scandalo dell’Iran- contras, e lì di nuovo si cucineranno quelli che arriveranno in tempi di coronavirus. L’intruglio è sempre lo stesso.

Tornano a giocare con il fuoco quando la pandemia sta dando scacco matto a Trump, che cerca disperatamente una cortina di fumo, già dispiegata davanti alle coste venezuelane con lo stesso Comando Sud dell’Invasione a Panama, rapaci e avidi di petrolio e di potere.

Il Governo cubano, con più di sessant'anni di battaglie contro le menzogne e le aggressioni di ogni tipo, sa che si tratta dell'ennesima calunnia con pericolose implicazioni.

Francisco Arias Fernández e GM per Granma Internacional, 18 aprile 2020

 

 

Dopo il trionfo della Rivoluzione, con i governanti corrotti, i malversatori e i ricchi, se ne andarono i loro alleati del narcotraffico e della malavita che, per decenni avevano servito gli interessi di Washington nell’Isola. Photo: Constantino Arias


 


 

 

GRANMA (CUBA) / ANALISI / FREI BETTO SU AMERICA LATINA

L’Aspetto Sociale dell’America Latina e del Brasile

Dei circa sette miliardi di abitanti del pianeta, 600 milioni vivono in America Latina. Secondo la Oxfam, la pandemia farà aumentare il numero di poveri nel nostro continente, che  passerà da 162 milioni a 216 milioni, ossia esisteranno 54 milioni di persone in più con un reddito quotidiano inferiore a 5,5 dollari. Attualmente sopravvivono in estrema povertà 67,5 milioni. Numero che potrà giungere a 90,8 milioni. La pandemia danneggerà il  commercio internazionale, specialmente la navigazione mercantile.

La caduta della produzione in Cina colpisce già direttamente Brasile, Messico, Cile e Perú. Come evitare la propagazione in una nave che passa giorni interi in alto mare? Le infezioni in una nave da crociera sono state molto diffuse, per questo è probabile che il trasporto degli alimenti da un paese all’altro soffra una considerevole riduzione, perché l’esportatore deve riservare i suoi raccolti per la popolazione locale e perché l’importatore vede diminuito il flusso dei carichi. Se riesce a comprare, dovrà pagare prezzi esorbitanti. In definitiva, questo significa un aumento della fame nel mondo.

Secondo la Oxfam, la pandemia potrebbe far cadere più di 500 milioni di persone nella povertà, se i governi non stabiliscono con urgenza sistemi di reddito minimo e di protezione sociale. Il numero di persone che vivono ogni giorno con meno di 5,5 dollari aumenterebbe a più di 547 milioni nel mondo.

Nel 2019, mentre l’economia globale è cresciuta mediamente del  2,5%, il PIL dell’America Latina  è oscillato di appena lo 0,1%, virtualmente paralizzato. La Cepal prevede una caduta dell'1,8% quest’anno. Dati del Banco Mondiale, diffusi nei primi giorni d’aprile rivelano in Brasile che il totale di persone in estrema povertà è saltato da 9.250 milioni  nel 2017 a 9.300 milioni nel 2018. Il reddito mensile di queste famiglie non superava, nel 2019, i 150 reali. L’aumento della miseria in Brasile si deve alla combinazione tra bassa scolarità e poche opportunità di lavoro. Il tasso di disoccupazione tra gli estremamente poveri è del 24%. Ossia, una su ogni quattro persone di questo gruppo che cercano lavoro, non lo trovano. Oggi più di 12 milioni di brasiliani sono disoccupati. Questo aumenta il tasso di delusione di questo gruppo.

Lo dimostra la lunga coda d’attesa di un milione di persone per entrare nel Programma Borsa Famiglia che oggi aiuta 14 milioni di famiglie, circa 60 milioni di persone, dimostrando il fallimento delle politiche pubbliche per superare la crisi economica che danneggia il Brasile negli ultimi anni.

Tra il 2014 e il 2018, la popolazione che sopravviveva in condizioni di miseria in Brasile è cresciuta del 67%. Nei paesi del continente, c’è stato solamente un peggioramento di questo indice in Argentina, Ecuador e Honduras, oltre che in Brasile. In cambio, in paesi come Uruguay, Perù e Colombia, l’estrema povertà si è ridotta. In Messico, il numero delle persone che sopravvivevano in miseria è calato da 4,6 milioni  (2014) a 2,2 milioni (2018).

Nel 2017, 19 milioni di brasiliani avevano un reddito personale mensile di 3.20 dollari. Nel 2018, questo numero è aumentato a 19,2 milioni. Anche la fascia di coloro che hanno  5.50 dollari al giorno per vivere è calata: da 42.3 milioni  nel 2017, è scesa a 41,7 milioni nel 2018. Questo dimostra che come succede sempre la crisi ha colpito soprattutto i più poveri. 

La classe media ha però dato segnali di recupero.  Le famiglie che vivono con meno di 5.50 dollari al giorno vivono generalmente nelle città e l’80% ha lavoro. La maggioranza è autonoma e senza “libretto di lavoro” firmato, mentre il 25% lavora come dipendente e conta su benefici come salario, famiglia e buoni salariali (simili agli assegni familiari per figlio/a). La popolazione povera che dipende di più dal reddito non dipendente è la più pregiudicata dall’isolamento sociale imposto dalla pandemia, a meno che le misure annunciate dal Governo come l’ampliamento della Borsa Famiglia e del reddito di base dei più poveri funzionino realmente.

La speranza è che la pandemia, che non fa distinzioni di classe, insegni che lo Stato ha davvero un ruolo preponderante per assicurare ai più poveri e vulnerabili un’ampia ed efficiente rete di protezione sociale. Meno aggiustamenti fiscali e più giustizia  sociale.

Frei Betto (GM per Granma Internacional), 19 aprile 2020

 


 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / STATI UNITI

Hart Island, New York: l’isola dei morti 

"Se lei risiede nella città di Nuova York e muore, e i suoi familiari non hanno denaro per pagarle una tomba privata, lei, o meglio i suoi resti mortali, saranno trasferiti nella Hart Island, nell’estuario del Bronx, dove saranno sepolti in una fossa comune dentro una bara di pino, senza lapide, solo con il suo nome.

Dal 1869 le autorità di Nuova York seppelliscono lì in fosse comuni i cadaveri non reclamati, non identificati o di chi non può pagarsi una tomba, soprattutto negri e latini. Si stima che in queste fosse giaccia quasi un milione di corpi.

Normalmente, gli incaricati di aprire le fosse sono i reclusi della famosa prigione di Rikers Island, vicina alla Hart Island, dove si seppellivano circa 25 corpi alla settimana, ma ora, dato che New York è divenuta l’epicentro della pandemia Coronavirus-19, il numero può arrivare anche a 25 al giorno. Se un corpo giace all’obitorio anche se identificato ma non reclamato, dopo un paio di mesi lo si manda a Hart Island. Ma ora con il forte aumento di morti per la pandemia il tempo si è accorciato a due settimane. A New York le persone morte per Coronavirus-19 superano ampiamente la capacità delle agenzie funerarie di smaltire le procedure e dei forni crematori per incenerire i cadaveri. E degli obitori per conservarli. Per questa ragione si inviano con il traghetto sull'isola fuori dalla "Grande Mela", che fu utilizzata come carcere per i prigionieri dell’Esercito Confederato al tempo della Guerra Civile, e poi come ospedale psichiatrico, sanatorio, centro di detenzione per minori e base missilistica durante la Guerra Fredda.

Per un’antica legge coloniale l’Isola è controllata dal Dipartimento Penitenziario di Nuova York, e da questo derivavano le difficoltà dei familiari dei deceduti identificati, quando desiderano visitarli.

Quasi 53 ettari di prato e una chiesa con due edifici abbandonati. C'è un progetto che vorrebbe identificare tutti i corpi delle persone decedute dopo il 1977, dato che i registri precedenti sono bruciati. Un altro progetto vorrebbe creare un museo virtuale simile a Facebook, ma con profili di morti, affinché familiari e amici abbiano accesso al luogo in cui si trovano, e possano pubblicare foto, video della loro vita e epitaffi.

Alcuni giorni fa le reti sociali hanno mostrato fotografie scattate in Hart Island che rivelano la sepoltura di diverse bare in una grande fossa comune. Subito è scattato l'allarme e il sindaco De Blasio ha dovuto comunicare che «i cittadini di NY si sentono devastati vedendo le immagini di concittadini sepolti in fosse comuni» aggiungendo che «non ci saranno sepolture di massa in Hart Island. Tutto sarà individuale e ogni corpo sarà trattato con dignità».

Delfín Xiqués Cutiño e GM per Granma Internacional, 20 aprile 2020

 

Hart Island è un grande cimitero per poveri. Si chiama L’isola dei morti, o il Carcere dei morti. Photo: Internet