I piani occidentali di destabilizzazione e di frammentazione del Medio Oriente (1980-2015)

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Introduzione.

Il saggio[2] analizza i documenti sulla strategia politica statunitense e dei suoi alleati, Unione Europea, in particolare della Gran Bretagna e di Israele, negli anni ’80-2010. Documenti che in Italia sono stati esaminati da pochi studiosi ed esperti[3]. Documenti che mettono in evidenza come il pensiero dei neocon statunitensi degli anni ’80-’90, nei vari think tanks, avesse un progetto di controllare a livello economico e militare le risorse mondiali e in particolare governi e territori del Medio Oriente.

Molti sono stati gli esperti occidentali in particolare di lingua inglese, giornalisti e studiosi, che hanno scritto su questo tema, nel decennio dopo il 2000 e in particolare dopo l’11 settembre 2001, saggi o libri non tradotti in Italia e in ogni caso poco noti e discussi[4]. Sul tema della militarizzazione USA e del ruolo del complesso militare-industriale-culturale-securitario occidentale hanno scritto alcuni dei maggiori studiosi statunitensi fra i quali Noam Chomsky e Chalmers Johnson. Sui rapporti dei neocon con le politiche dei governi israeliani sono importanti le ricerche presentate nel libro di Mearsheimer e Walt sulla Israel Lobby in USA. E molti studiosi e giornalisti indipendenti hanno scritto e scrivono da anni in alcuni siti di lingua inglese come Global Research e Counterpunch.

Questo saggio non fa riferimento esplicito allo stretto intreccio del progetto strategico, politico e militare occidentale con le politiche neoliberiste, con l’imposizione della globalizzazione economica che ripropone una accumulazione ‘originaria’ ovunque sia possibile – e che non necessita più di riproduzione[5] - con la conseguente spoliazione e devastazione di territori, sempre più soggetti alla rapina delle risorse, e di popolazioni spossessate dei propri diritti, progressivamente eliminate ed espulse dai loro paesi devastati dalle guerre provocate dal complesso militare-industriale occidentale. Popolazioni costrette in riserve, nei campi profughi o migranti nei paesi più ricchi. E si deve tener conto, pur non accennandone, anche delle conseguenze catastrofiche, sul piano del cambiamento climatico, analizzate in particolare da Naomi Klein e Amitav Gosh[6].

Per un Nuovo Medio Oriente

Nel luglio 2006, durante l’attacco israeliano al sud del Libano, Condoleeza Rice, Segretario di Stato nell’amministrazione di Bush Junior, era in Israele e con Ehud Olmert, a quel tempo premier, annunciarono in una conferenza stampa che il progetto di un Nuovo Medio Oriente stava per nascere. Negli stessi giorni si inaugurava il nuovo terminal dell’oleodotto petrolifero Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC), con sbocco nel Mediterraneo[7].

Il nuovo corso, la nuova Roadmap, dopo l’aggressione e l’occupazione dell’Iraq da parte di USA e alleati, nel marzo 2003, iniziava un altro periodo di instabilità e caos nei paesi del vicino Levante che ne erano il centro, il Libano e la Siria. Esso è stato definito un “caos costruttivo”[8], che avrebbe giovato in particolare agli interessi geostrategici degli Stati Uniti, Gran Bretagna e di Israele. Questo caos avrebbe organizzato violenze e guerra ovunque in quel territorio, dopo la prima fase organizzata in Afganistan e Irak. E’ un caos “costruttivo” perché avrebbe condotto ad un nuovo ordine mediante una “spaventosa forza rivoluzionaria”, come scriveva in quegli anni il neocon e consigliere di George W. Bush, Michael Ledeen[9].

Il piano Ynon per la destabilizzazione e divisione del Medio Oriente (febbraio 1982)

Il ridisegno complessivo di tutta la regione mediorientale ha una lunga storia di formazione, è già presente nei decenni dopo la seconda guerra mondiale nella fase di strutturazione e definizione di Israele come Stato e come potenza militare e nucleare del Mediterraneo.

Già negli anni ’50, come scrive Israel Shahak nella prefazione al Piano Ynon[10], il sionismo pensava a un piano per fare di Israele una potenza imperiale regionale. Era un tema ricorrente che traeva ispirazione dal pensiero dell’imperialismo britannico. L’idea si integrava ora con il progetto degli Stati Uniti per mantenere il Medio Oriente sotto il controllo occidentale, progetto che nel 1953, in Iran, era stato sostenuto dalle forze conservatrici interne e dagli Stati Uniti, che operarono per cacciare il primo ministro Mossadeq dal governo e riproporre lo Scià Reza Palhavi; nuovamente, nel 1955, esso emerse con il “patto di Bagdad” tra Turchia, Gran Bretagna Irak e Pakistan, e nel 1957 con la dottrina Einsenhower per costruire una alleanza di Stati arabi filoccidentali contro il pericolo del panarabismo nasseriano e di un maggiore legame con l’URSS[11].

L’idea si era contemporaneamente sviluppata in Israele nel 1956 con il sostegno alla guerra della Gran Bretagna e della Francia all’Egitto di Nasser, che aveva deciso la nazionalizzazione delle imprese addette ai servizi del canale di Suez. In cambio il governo israeliano ricevette aiuti, in strumenti e materiale nucleare, da Francia, Norvegia e Gran Bretagna, per i suoi obiettivi di costruzione della bomba atomica. Si era infine consolidata con la vittoria israeliana nella guerra del giugno 1967 e l’occupazione di Cisgiordania e di Gaza, delle alture siriane del Golan e della penisola del Sinai. A fine anni ’70, la situazione si era andata complicando con la caduta dello Scià in Iran, nel 1979 e lo stabilirsi di una Repubblica islamica, con l‘elezione di Reagan alla Presidenza degli USA e l’insediamento di Menachem Begin, del partito di destra Likud, in Israele, con l’invasione sovietica dell’Afganistan e l’inizio della guerra Iran-Irak, armate entrambe l’una contro l’altra dagli USA e dall’Unione Sovietica, che durerà otto anni e porterà i due paesi allo stremo delle forze.

Il documento del giornalista e consulente israeliano del Ministero degli esteri, Oded Ynon, Una strategia per Israele negli anni ’80, esce nel febbraio 1982 sul giornale Kivunim (Direzioni) del Dipartimento di Informazione dell’Organizzazione Sionista mondiale. Viene pubblicato nel luglio dello stesso anno da Israel Shahak[12], docente di chimica a Gerusalemme, molto critico nei confronti della politica dei governi israeliani. Nell’Introduzione al documento, firmata da Khalil Nakhleh, si afferma l’importanza della pubblicazione per l’opinione pubblica israeliana più interessata, per mostrare le vere intenzioni delle politiche sioniste, i suoi piani per creare un sistema capace di “punire” ogni possibilità di rivolta delle popolazioni palestinesi oppresse e procedere al suo espansionismo. “Quello che essi stanno pianificando non è un mondo arabo ma un mondo di Stati arabi frammentato e pronto a soccombere all’egemonia israeliana”. La pubblicazione è necessaria anche per gli Stati arabi e per i palestinesi non in grado di comprendere l’essenza stessa dello “Stato sionista”, della “de-palestinizzazione” della Palestina, che, nell’ambito degli studi post-coloniali, gli studiosi definiranno poi come “colonialismo d’insediamento”[13].

Il documento pone in evidenza la svolta storica degli anni ’80, le trasformazioni politiche, economiche, militari, la necessità di nuove strategie e di un quadro politico, militare, culturale nuovo. L‘organizzazione sionista AIPAC, benché fondata negli Stati Uniti nel 1953, ebbe un effettivo successo e molti finanziamenti proprio dalla metà degli anni ’70.

Come scrive Ynon, ma è il pensiero mainstream di altri analisti israeliani, come affermerà in seguito Chomsky[14], i pericoli sono due: l’URSS come superpotenza mondiale e il nazionalismo arabo, in un mondo arabo che monopolizza le risorse petrolifere, a scapito degli Stati occidentali. Occorreva nuovamente “Ottomanizzare“ il Medio Oriente. Occorreva in realtà impedire a qualsiasi altro stato/potenza di competere nella regione con le armi atomiche e assicurare il controllo del flusso e dei prezzi delle risorse energetiche per l’Occidente.

Il documento di Ynon analizza la situazione dei vari Stati mediorientali la loro debolezza interna, dovuta alle minoranze religiose ed etniche: da questo quadro complessivo emerge dal documento una visione di  instabilità regionale totale, un grande gap fra ricchi e poveri e tra maggioranza sunnita e altre minoranze, soprattutto sciiti e kurdi. Questa situazione rende lo Stato di Israele molto insicuro ma offre anche opportunità reali. Certo, aggiunge, un tragico errore è stato quello del giugno 1967 di non “aver dato la Giordania ai Palestinesi”. Cioè di non aver inviato la popolazione oltre confine, come aveva già teorizzato Theodor Herzl nel 1895[15].

E’ una gran perdita, scrive Ynon, dover abbandonare l’occupazione del canale di Suez e dei ricchi giacimenti di petrolio e gas del Sinai. Perciò si devono operare grandi cambiamenti in questo decennio: “dobbiamo ritornare in Sinai alla situazione precedente alla “ visita” di Sadat e all’errore fatto con gli accordi del 1979 (per il ritorno del Sinai all’Egitto). L’Egitto non costituisce un problema a livello militare, “si può fare in un giorno”, perché l’Egitto non è più una potenza politica guida nel mondo arabo. Occorre frammentare l’Egitto in regioni distinte, così si potranno destabilizzare e frammentare Libia e Sudan in tanti piccoli stati religiosi.

Occorre dissolvere il Libano in cinque province e questo servirà come precedente per tutti gli altri Stati a nord-est di Israele: così sarà della Siria e dell’Iraq, in seguito dividerli in tanti piccoli stati, religiosi ed etnici, Stati alawiti e sunniti e Druzi. E’ il primo obiettivo di Israele, sarà la garanzia di pace e sicurezza per Israele. L’Iraq con le sue grandi risorse di petrolio, ma internamente caotico, sarà un obiettivo di Israele. La sua dissoluzione è perfino più importante di quella della Siria, perché è più forte e costituisce la più grande minaccia per Israele. Una guerra Iran-Iraq metterà da parte l’Iraq e causerà all’interno la sua caduta politica, prima che sia in grado di organizzare un conflitto contro di noi. “Ogni tipo di conflitto inter-arabo sarà di aiuto per noi e abbrevierà i modi per quello che è il nostro più importante obiettivo, distruggere l’Iraq come la Siria, come il Libano e dividerli in tanti stati a nord, a sud e a ovest. In aree sunnite, sciite e kurde.”[16]. E il documento continua in modo ossessivo: così sarà per la Siria, divisa in uno Stato sciita alawita sulla costa, in uno Stato sunnita nell’area di Aleppo e Damasco e in uno Stato Druso forse anche nel vicino Golan. Così sarà del Libano, così della Giordania, anche se non nell’immediato perché non costituisce una immediata minaccia. Semmai si può pensare ad un trasferimento di potere alla maggioranza palestinese. Un regime change potrebbe porre termine al problema dei territori palestinesi occupati a ovest del Giordano.

 “Nella presente  situazione non si può andare avanti se non separando le due Nazioni, con gli Arabi oltre il Giordano (punto 26) “che riconoscano l’esistenza di Israele nei suoi confini fino al Giordano e oltre (and beyond), (punto 27). E ancora “Giudea, Samaria e Galilea sono la nostra unica garanzia per l’esistenza nazionale… per ribilanciare il paese demograficamente, strategicamente ed economicamente… prendendo possesso dell’acquifero delle montagne da Beersheba sino alla Alta Galilea, è il nostro obiettivo principale” (punto 28).

Anche l’Arabia Saudita si potrebbe dividere, ma più tardi. Vi è anche la necessità di cambiare il sistema di economia centralizzata, scrive Ynon, in un sistema di mercato ‘libero’ e trasformarci da economia dipendente in economia produttiva.

I programmi di Stati Uniti e Israele negli anni 1990-2000.

Questo in sintesi il documento del 1982. Il progetto si è andato rafforzando negli anni ’90, e in seguito a partire dal 2000, con la destabilizzazione, l’attacco e la frammentazione del Medio Oriente da parte dei governi degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e di Israele. Alcuni importanti studiosi occidentali della regione si pongono la domanda se il caos raggiunto negli ultimi anni è frutto di politiche incoerenti, contraddittorie e di strategie fallimentari[17]. Oppure a chi avrebbe potuto giovare[18]. Da una analisi attenta prodotta dagli stessi ambienti militari e politici vicini all’amministrazione USA emerge che questo caos rappresenta invece il successo delle politiche annunciate e programmate[19]. Dopo il crollo dell’URSS nel 1989-‘90 l’opinione pubblica occidentale era portata a pensare alla fine della guerra fredda, del militarismo e di un ri-orientamento delle politiche delle maggiori potenze verso esigenze sociali e non militari.

Così non è per i maggiori beneficiari della guerra: il complesso militare-industriale-securitario e di intelligence e per le lobby sioniste che proponevano il Grande Israele. La minaccia invece era proprio la pace, così gli ‘attivisti’ di questo complesso avevano iniziato, già nell’amministrazione Reagan degli anni ’80, e poi nel mondo multipolare degli anni ’90-2000, a individuare i possibili nuovi nemici: gli “stati canaglia”, l’Islam radicale e il terrorismo globale. “Prima di tutto dobbiamo buttar giù i tre big del terrore, Iran, Iraq e Siria. La stabilità è una missione americana poco utile, un concetto fuorviante da cacciare a pedate. Noi non vogliamo stabilità in Iran, Siria, Libano e persino in Arabia Saudita. Noi vogliamo il cambiamento. Il tema reale non è se, ma come destabilizzare.[20]. Come ha scritto Chalmers Johnson, occorre fabbricare nuovi nemici, classificando alcuni paesi come sostenitori di terrorismo o come ironizzava Gore Vidal occorre ”creare un club del “nemico del mese.”[21].

Questi “attivisti”, quasi sempre repubblicani nazionalisti, cristiani sionisti, fanatici di estrema destra, fondamentalisti, hanno rapporti con il Pentagono, con i maggiori contractor, con lo Stato maggiore militare. Sono legati agli interessi delle maggiori industrie della Difesa: Raytheon (missili balistici e sensori elettro ottici), Boeing, General Dynamics, Lockeed Martin, Northrop Grumman, Palantir Technologies, e in parte appartengono alla lobby sionista, sono organizzatori e aderenti ai più noti think tank[22]. Hanno un accesso privilegiato ai media in modo da convincere una opinione pubblica poco informata e disorientata.

Hanno conflitti d’interesse vistosi, in una commistione di impieghi pubblici e privati, si distribuiscono fra loro le nomine incrociate negli uffici del potere istituzionale statunitense e insieme nei Centri studi, nei Comitati, nelle organizzazioni di estrema destra[23]. Sono consulenti ed esperti che spesso saranno coinvolti in scandali, come ad es. quello del trasferimento di documenti segreti sui prototipi anti missile agli israeliani, che questi venderanno poi alla Cina o lo scandalo Iran-Contras che li vede coinvolti nella vendita di armi all’Iran, tramite Israele (Shimon Peres), in cambio del rilascio di ostaggi americani nelle mani di Hezbollah, e per il successivo sostegno finanziario alla contro guerriglia contro il governo sandinista in Nicaragua negli anni ‘85-’86. Tra gli artefici dell’Irangate figurano Richard Perle, ebreo americano consigliere politico nell’amministrazione Reagan, di Bush padre e figlio e coordinatore di alcuni centri di studio neocon come l?American Enterprise Institute; Elliot Abrams, nominato assistente speciale del presidente Bush nel National Security Council (NSC), il 2 dicembre 2002[24], Michael Ledeen,che nel 1980 è in Italia per fornire consulenza al SISMI, e sarà consulente nell’amministrazione USA per il terrorismo (NSC), ma anche agente di Israele perché aveva anche cercato di vendere a prezzo minore a Israele i missili anticarro TOW nel 1985-86[25].

1990: Il piano per creare “instabilità permanente”

Il documento del gruppo “National Security Strategy for USA”, prodotto subito dopo il collasso sovietico nel 1990, il “Defense Planning Guidance o Defence Strategy for the ‘90[26] mostrava l’interesse del governo e dei militari per le “turbolenze imprevedibili del 3° mondo” per le quali gli USA dovevano essere preparati a condurre guerre di bassa o media intensità, con riferimento non tanto alla potenza quanto ai territori meno interessanti, ma che potevano ‘disturbare’ il commercio internazionale. Così veniva mantenuta stabile la spesa militare e la loro posizione strategica nel mondo. Manlio Dinucci, in un recente articolo su il Manifesto [27], afferma come nel 1990 i piani USA fossero già molto chiari. Se l’obiettivo è la conquista di territori ‘strategici’ come quelli mediorientali, le modalità politiche e militari individuate sono, come abbiamo visto all’inizio, quelle di creare una instabilità permanente, un caos permanente organizzato.

Si può affermare che il piano di Ynon, e l’obiettivo dell’instabilità permanente, è la prima versione del pensiero dei neocon negli anni ’90 e dell’amministrazione di George W. Bush e del suo vicepresidente Dick Cheney dal 2001[28]. Anche se per alcuni anni queste modalità vengono poste in discussione dalle agenzie dell’industria petrolifera che avevano il mito della stabilità e della stabilità dei prezzi, e per alcuni all’interno dell’ amministrazione Bush.

Per i neocon statunitensi negli anni ’90, per la lobby sionista, come pure per i governi israeliani, i funzionari dei servizi segreti e i militari, come nel caso anche del generale israeliano Yitzhak Rabin, nel 1991[29], “la guerra è la situazione inevitabile” poiché “Israele è condannata a vivere in guerra o sotto minaccia di guerra da parte dei suoi vicini arabi”[30]. Il piano neocon-governo israeliano di metà e fine anni ’90 prevedeva la distruzione degli Stati maggiori produttori di petrolio (Iran-Iraq) e il controllo dei campi petroliferi da parte di USA/UK: il prezzo del petrolio sarebbe sceso e avrebbe indebolito l’Arabia Saudita e i paesi del Golfo che stavano accumulando ricchezze finanziarie in USA e occidente comprando banche e azioni e influenzando la politica USA contro gli interessi di Israele[31].

 Giugno 1996. “Un taglio netto: Una nuova strategia per dare sicurezza al regno”.

Nel giugno 1996 un gruppo di studio di neocon statunitensi con una notevole rappresentanza di personalità della ‘Likud lobby’, coordinato da Richard Perle, ebreo americano, consigliere politico, consigliere nell’amministrazione Reagan, di Bush padre e figlio[32] e coordinatore in alcuni Centri di studio neocon, come l’American Enterprise Institute, scrive un documento per Benyamin Netanyahu che aveva vinto le elezioni ed era diventato da poco premier. Fra i firmatari, i maggiori rappresentati del pensiero neoconservatore: David Wurmser, consigliere del vicepresidente Bush jr., Dick Cheney, la moglie Meyrav Wurmser, Douglas Feith, James Colbert e Robert Lowenberg.

Il documento, A Clean Break, una strategia nuova per dare sicurezza al ‘regno’[33], sembra essere la prosecuzione e conferma, in modo ossessivo, del piano Ynon. In sintesi, occorre una taglio netto con la politica precedente di “pace onnicomprensiva”, per perseguire una politica di sovranità nazionale e sovranazionale che accolga lo slogan Un nuovo Medio Oriente, con un nuovo apporto di basi intellettuali per ridare energia e ricostruire il sionismo sulla base di una strategia fondata sull’equilibrio di potere. Ecco in breve i punti principali:

1) Occorre rendere sicuro il confine a nord: per questo la Siria, gli Hezbollah e l’Iran sono i principali agenti di aggressione in Libano; perciò è necessario colpire obiettivi militari siriani in Libano e se, questo non è sufficiente, colpire obiettivi selezionati anche in territorio siriano.

Anche perché - sempre secondo il documento- la natura del regime siriano è poco affidabile, ha violato numerosi accordi con i turchi, ha tradito gli USA, continua ad occupare parti del Libano organizzando un governo di quisling e iniziando la colonizzazione del Libano, sostiene e finanzia anche in territorio libanese i gruppi terroristi. Così è cosa giusta e morale che Israele abbandoni la “pace onnicomprensiva per muovere per “contenere” la Siria ponendo attenzione alle sue “armi di distruzione di massa”.

2) Occorre rimuovere Saddam Hussein dal potere in Iraq, ridisegnando strategie con Turchia e Giordania, per creare rivalità e conflitti fra i governi mediorientali, incoraggiare una maggiore influenza dell’economia USA in Giordania per sottrarla alla dipendenza irakena, sostenere le minoranze di opposizione in Libano; occorre un sostegno militare “alle tribù arabe che attraversano il territorio siriano e sono ostili al regime siriano”. Prevedere anche una possibilità di influenzare le popolazioni sciite qualora i giordani controllassero la parte del territorio irakeno abitato da sciiti.

3) E’ necessario che vengano costruiti nuovi rapporti con gli USA, fondati su una reciproca affidabilità, maturità, una condivisa filosofia della pace basata sulla forza, una cooperazione strategica nelle aree di mutuo interesse: Israele non ha bisogno di Forze armate USA per difendersi e può gestire bene i propri affari. E’ matura abbastanza per tagliare i finanziamenti e i prestiti. Israele può diventare autonoma liberalizzando la propria economia, tagliando le tasse, con nuove leggi su zone industriali libere, con la vendita di terreni e industrie. Occorre anche cooperare “per contenere le minacce con una strategia di prevenzione piuttosto che soltanto con una di rappresaglia. Smettere di assorbire i colpi senza rispondere”…”Ma è importante che il paese sia solido economicamente, orgoglioso di sé, ricco e forte…. Queste saranno le basi per un nuovo e pacifico Medio Oriente”.

4) Occorre anche cambiare la natura dei rapporti con i palestinesi, compreso il diritto per Israele di ricerca, caccia violenta per la propria autodifesa in tutti i territori palestinesi. Elemento chiave delle relazioni con la leadership palestinese è la sua conformità/adesione puntuale agli accordi presi, ad es. formando un Comitato congiunto Israele-Stati Uniti: “Israele non ha nessun obbligo rispetto agli Accordi di Oslo se il PLO non adempie i suoi obblighi. Se il PLO non adempie con questo minimo standard, allora non ci sarà nessuna speranza nel futuro, né un interlocutore appropriato nel presente. Per prepararsi a questo Israele può pensare ad alternative al potere di Arafat”.

Il piano Ynon come programma per il laboratorio Palestina

Già dal 1967 si era attuato un piano per indebolire la nascente leadership politica palestinese e la società palestinese nel suo insieme. Erano stati imprigionati o espulsi i maggiori esponenti politici, e, a metà degli anni ’70, si tentò di organizzare le ”leghe di villaggio” anti OLP convincendo parte della popolazione a collaborare. Ma questo tentativo fallirà. Poi si tentò di incoraggiare e sostenere i capi religiosi e le loro charities. Si cercò di distruggere ogni idea di organizzazione del nazionalismo arabo. Ma anche questo fallisce. Infine si tenta con gli Accordi di Oslo, nel 1993, con l’isolamento di Arafat all’inizio del 2000, il suo probabile assassinio nel 2004 e la successione del ‘moderato’ Abu Mazen.

Il piano di cantonizzazionedei Territori occupati di Cisgiordania invece funziona. Il progetto per costruire una governo palestinese di unità nazionale fra i maggiori partiti palestinesi sarà costantemente fatto fallire sia con modalità politiche, di ricatto nei confronti di Fatah, sia militari armando nuove formazioni di polizia dell’ANP contro le milizie armate di Hamas, del Jihad e del FLPL, promuovendo lotte fra i servizi di sicurezza di Fatah e Hamas, come il golpe di Mohammed Dahlan del giugno 2007 a Gaza, o come nel giugno 2014 l’inizio delle rappresaglie in Cisgiordania per giustificare il ‘rapimento’ dei tre studenti israeliani e successivamente la nuova aggressione israeliana, Margine Protettivo,  a Gaza nel luglio 2014[34].

L’insieme di queste politiche sarà definito dal sociologo israeliano Baruch Kimmerling il “politicidio” della Palestina. Il progetto, che è quello tipico di un colonialismo d’insediamento, comprenderà la distruzione dell’economia palestinese e delle sue risorse, con la divisione della Cisgiordania in più settori, con i checkpoint, le strade esclusive per “ebrei”, il Muro di separazione iniziato nel 2002, la disgregazione progressiva della società palestinese e del suo mondo politico, il memoricidio della cultura, la Pax economica neoliberista del premier Salam Fayyad dal 2007. [35] In generale l’ANP, dopo gli Accordi di Oslo nel 1993 e con la ratifica degli accordi a Wye Plantation nel 1998, dovrà acconsentire e partecipare, in primis, alla sicurezza di Israele con misure antiterrorismo. La firma prevede il controllo di ogni atto di incitamento alla violenza, il controllo e la proibizione delle armi. Sarà istituita una Commissione USA-Israele-ANP per monitorare ogni possibile attività di resistenza. Saranno firmati accordi di cooperazione bilaterale e trilaterale con gli Usa, con assistenza tecnica della CIA. A Wye Plantation sono presenti agenti della CIA[36].

Con i nuovi negoziati del 1997-98 è presente come inviato speciale[37] il neocon Dennis Ross, fondatore del WINEP, Washington Institute for Near East Policy, legato all’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), sostenitore della guerra in Iraq, aderente dello PNAC (Project for the New American Century), consigliere speciale di Hillary Clinton nel 2009 nell’amministrazione Obama.

‘Ricostruire le difese dell’America’ e pianificare il caos e l’instabilità permanente

La strategia delineata nel documento A Clean Break venne precisata nuovamente nel 1998, con l’amministrazione Clinton, in una “Open letter to the President “, firmata da molti neocon.

Successivamente, nel settembre 2000, la ritroviamo nel rapporto Ricostruire le difese dell’America, la strategia, le forze e le risorse per un nuovo secolo” scritto dal think thank di neocon, Project for the New American Century, PNAC, organizzato nel 1997 e condotto da William Kristoll, Robert Kagan, Dick Cheney, Richard Perle, Paul Wolfowitz, Donald Rumsfeld e altri[38].

In esso si ribadiva, e divenne essenziale a partire dall’11 settembre 2001, l’individuazione dell’Asse del Male – Iran, Iraq, Siria e sud del Libano - e con esso, l’inevitabilità delle azioni militari occidentali e lo scatenarsi del caos in Medio Oriente, sfruttando le fazioni religiose e politico-claniche, dando sostegno militare-finanziario ai nuovi attori sociali apparsi nella regione: i signori della guerra e i gruppi islamici che chiedevano maggiori spazi di potere.

Il progetto confermava anche il pensiero da Z. Brzezinsky, consulente speciale per la sicurezza nazionale del presidente Carter, 1977-1981, e tra i fondatori della Trilateral Commission, think thank internazionale di studi geopolitici, che già nel suo libro del 1997[39], tracciavale linee guida per la destabilizzazione dell’intera regione mediorientale, definita i Balcani Eurosiatici.

 

Questa linea di interessi convergenti, che sfrutta il discorso di “instabilità permanente”, presente all’interno del complesso militare-industriale-securitario e di intelligence USA-NATO e la lobby israeliana è il nodo cruciale occidentale del perenne ciclo di violenze nella regione nell’ultimo decennio.

 

Dopo l’11 settembre 2001 venne decisa la Dottrina Bush sulla guerra preventiva unilaterale necessaria dopo la fase di “deterrenza” e “contenimento” della guerra fredda. Essa viene diffusa con i toni ossessivi di una Bibbia cristiano-fondamentalista[40]: si possono citare i numerosi discorsi di Bush nel settembre 2001 e nel giugno 2002 ai cadetti di West Point sulla lunga durata della “guerra al terrore”, definiti una missione del Bene assoluto contro il Male assoluto per difendere i valori democratici degli USA e della società occidentale e sfidare il pericolo che proviene anche da Stati minori canaglia e da gruppi fondamentalisti terroristi, che detengono le armi di distruzione di massa (i WMD)[41].Ma non manca anche un accenno alla necessità di espandere il “Free Market”.

Ritroviamo il pensiero mainstream diffuso dai neocon e dalla lobby sionista nei documenti dello JINSA (Jewish Institute for National Security Affairs) per chiedere il regime change in vari paesi del Medio Oriente ed “espandere il cambiamento a partire da Irak, Siria e Iran”.

 

Nel libro The War Against the Terror Masters (2002)[42], Michael Ledeen, già coinvolto negli anni ’85-’86 nell’affare Iran-Contras, teorico neocon e consigliere di George W. Bush, usava, nel settembre 2001, il concetto di “creative destruction”, discusso diffusamente nel secolo XX° da economisti importanti come Schumpeter, Sombart e altri. Ledeen lo usava nel contesto neoliberista contro gli “islamofascisti” e scriveva di Creative Destruction. How to wage a revolutionary war[43]. Sosteneva che occorrevano un metodo e nuovistrumenti per abbattere Saddam Hussein e nuove strategie per spezzare la dittatura della famiglia di Assad, un diverso approccio per porre fine alla tirannia religiosa in Iran e persino di tagliare il sostegno dell’Arabia Saudita ai fondamentalisti islamici. Sosteneva inoltre che per portare la democrazia in questi paesi, occorre portare il “pieno appoggio ai movimenti democratici di resistenza nei paesi terroristi” e in mancanza di questi appoggiare le forze più moderate pro occidentali. Ledeen fa parte a quel tempo di numerosi think tank americani, come l’American Enterprise Institute, è in contatto con alcuni Centri per il sostegno degli oppositori iraniani e con Ahmed Chalabi, leader irakeno che aveva partecipato attivamente alla guerra d’aggressione USA in Iraq; affermava anche la “storica missione” e il “fardello rivoluzionario” degli USA[44].

Nel marzo 2003, all’inizio dell’aggressione all’Iraq, James Woolsey, ex direttore CIA sotto l’Amministrazione Clinton, in un incontro con studenti dell’Università di California, organizzato dai repubblicani, durante una serie di viaggi e forum di discussione in molte parti del paese, parla di IV guerra mondiale che durerà a lungo. Egli afferma che la nuova guerra è condotta da tre nemici: i capi religiosi dell’Iran, i “fascisti” di Iraq e Siria e gli estremisti islamici come Al Qaeda. Questi tre nemici “hanno fatto guerra agli Stati Uniti per anni, ma ora gli USA hanno finalmente “reagito””. Ci sarà un sostegno dell’America ai movimenti democratici [sic] in tutto il Medio Oriente. Scegliendo, come controparte, Mubarak e i leaders dell’Arabia Saudita egli afferma: “Vi vogliamo nervosi. Vogliamo farvi sapere che questo paese e i suoi alleati si stanno muovendo e noi siamo dalla parte che voi temete. Noi siamo dalla parte del vostro popolo.[45].

Ritroviamo questi discorsi, ancora e sempre ripetitivi, tra il 2002 e il 2004, negli scritti di Norman Podhoretz, ebreo americano, nella rivista «Commentary Magazine», da lui diretta da oltre 35 anni.[46] Nella parte seconda, settembre 2004, nelle Note al lettore scriveva «Siamo soltanto nella prima fase di quella che promette di essere una lunghissima guerra e l’Iraq è soltanto il secondo fronte aperto in questa guerra: la seconda scena, se così si può dire, del primo atto di un testo teatrale in cinque atti»[47]. Dopo la Seconda guerra mondiale, dopo la Guerra fredda contro il comunismo, «noi ora ci troviamo di fronte una forza senza dubbio maligna, l’islamismo radicale e gli Stati che lo sostengono».

Ai primi di marzo del 2005, in un documento del Pentagono, presentato dal segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, e pubblicato dal Wall Street Journal, ma non da altri media, l’11 marzo 2005,  si affermava che gli USA, come potenza con un mandato militare globale, devono passare “da una guerra preventiva a una guerra più proattiva, cioè ad attacchi anche contro paesi che non sono ritenuti nemici ma che sono considerati strategici dal punto di vista degli interessi degli USA”.

Le operazioni militari prevedevano non più eserciti convenzionali ma l’invio in tutte le parti del mondo di piccoli gruppi di soldati “culturalmente pragmatici per addestrare e consigliare le forze indigene”, gruppi mascherati (disguised) sotto la forma del peacekeeping e dell’ addestramento. Erano previste anche milizie mercenarie private sotto contratto del Pentagono e della NATO o dell’ONU.[48]

Nel gennaio 2012, la portavoce del Dipartimento di Stato Victoria Nuland e moglie del noto neocon Robert Kagan, (PNAC), ribadiva in un briefing dell’11 gennaio 2012 la necessità di una accorta strategia per la situazione siriana tesa comunque a costringere Assad ad andarsene[49].

 

Alcuni dati

 

La «guerra globale permanente» degli Stati Uniti e dei suoi alleati, «ha ucciso direttamente o indirettamente circa un milione di persone in Iraq, 220.000 in Afghanistan e 80.000 in Pakistan, un totale di circa 1 milione e 300 mila persone».

Si tratta soprattutto di civili. È questa la conclusione alla quale giungono gli autori di “Body Count. Casualty Figures After 10 Years of the War on Terror”, un rapporto redatto da tre gruppi di scienziati attivi nella causa del pacifismo e del disarmo nucleare [50].

Dal 2011-12 la “guerra umanitaria” contro il terrore e per la democrazia, in realtà guerra di conquista, sfruttando anche le cosiddette “primavere arabe” contro i nuovi e vecchi competitori per l’egemonia mondiale, Russia e Cina,[51] è proseguita in Libia, in Siria, nel Kurdistan, nello Yemen. Prosegue e si diffonde in Africa. Ha provocato centinaia di migliaia di morti, milioni di profughi e dislocati. All’ombra del mito del “libero mercato”, delle “riforme”, dell’austerità sono cresciute miseria e disoccupazione. Nel 2015, alcuni analisti, percepivano un conflitto fra due settori della politica USA: i conservatori tradizionali e i neocon che non hanno mai ammesso il fallimento[52]. Forse perché il loro successo, in questa fase della crisi capitalistica, sta proprio, come dicono altri analisti, nello scatenamento dell’instabilità permanente.

Il piano USA/Nato/Israele, insieme all’Arabia Saudita, ai paesi del Golfo e alla Turchia, comprende una agenda controterrorista che ha anche in parte alimentato e finanziato il terrorismo dei gruppi islamici; il meccanismo è provocare gravi tensioni economiche e militari con la Cina e negli ultimi anni contro il progetto strategico cinese della Nuova Via della Seta, anche se si notano da tempo scambi economici e militari di hightech di Israele con la Cina.[53] Analisti, come Pepe Escobar[54], prefigurano un possibile aumento degli attacchi terroristici in Europa, e come conseguenza un aumento del caos, dell’ islamofobia e lo stabilirsi dello stato di emergenza e di repressione nei paesi europei.

In questa fase di grandi processi di globalizzazione la cifra dominante del mondo è l’instabilità economica, sociale e geografica. Essa provoca, come è già stato constatato, la disaggregazione[55] e il dissolvimento dei confini. Queste sono le riflessioni di esperti di studi postcoloniali, come Sandro mezzadra  e Brett Nielson che assumono il “confine come metodo”:

 

“La storia del XX secolo, caratterizzata dalle turbolenze della decolonizzazione, dalla globalizzazione dello Stato-nazione e dai suoi confini lineari sulla scia delle due guerra mondiali, è stata il teatro di una esplosione di questa geografia politica. L’Europa è stata scalzata dal centro della mappa. L’egemonia globale statunitense, che pareva indiscutibile alla fine della guerra fredda, sta rapidamente cedendo, non da ultimo per la crisi economica che segna il passaggio dal primo al secondo decennio del XXI secolo. All’orizzonte si profila un potere globale più variegato ed instabile, che non può più essere esaurientemente descritto con concetti come unilateralismo e multilateralismo. Emergono nuovo spazi continentali come luoghi di difficile integrazione, di interpenetrazione regionale, di mobilità politica, culturale e sociale.[56]

 

 

 

*Diana Carminati, già docente di Storia dell’Europa contemporanea, Università di Torino.

 

 

Il saggio è stato pubblicato, come  scritto nella seconda nota, nel 2017 nel libro di Aa.Vv,  Sguardi sull'Asia. Scritti in onore di Michelguglielmo Torri, a cura di Marzia Casolari e Claudia Maria Tresso, I libri di Emil, Bologna2017

 

 

 



[1] Diana Carminati, già docente di Storia dell’Europa contemporanea, Università di Torino.

[2] Il saggio è una revisione dell’intervento fatto a Roma il 23 gennaio 2016 per la Conferenza nazionale “Palestina e dintorni” organizzata dal Fronte Palestina ed è stato pubblicato in seguito in AaVv. Sguardi sull’Asia. Scritti in onore dei Michelguglielmo Torri, a cura di Marzia Casolari e Claudia Maria Tresso, I libri di Emil 2017.

[3] Vedi  Manlio Dinucci, su il Manifesto o su Global Research, edizione italiana.

[4] Come in particolare il libro di Jonathan Cook, studioso e giornalista inglese, Israel and the Clash of Civilisations. Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East, Pluto Press 2008.

[5] V. discussione sul tema della accumulazione originaria nella fase neoliberista in L. Veracini, The settler colonial present, Palgrave Macmillan, 2015, p. 92

[6] N. Klein, Una rivoluzione ci salverà.  Perché il capitalismo non è sostenibile, BUR Rizzoli, 2015 e A. Gosh, La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile, Neri Pozza, 2017.

[7] M. D. Nazemroaya, Plans for Redrawing the Middle East: The Project for a “New Middle East”, in Global Research, 18.11.2006, ripubblicato il 12 novembre 2012.

[8] Così lo riporta M. D. Nazemroaya, Plans for Redrawing the Middle East: The Project for a “New Middle East”, cit.

[9] V. una sua breve biografia e attività a p. 11 di questa relazione.

[10] I. Shahak,  The Zionist Plan for the Middle East, Association of Arab-American University Graduates Inc, Belmont, Mass. 1982.

[11] G. Valabrega, La rivoluzione araba, Dall’Oglio, 1967.

[12] Professore di chimica organica alla Hebrew University di Gerusalemme e presidente della Lega israeliana dei diritti umani e civili

[13] Sul settler colonialism  si veda  in particolare L. Veracini, Settler Colonialism: A Theoretical Overview, Palgrave Macmillan 2010.

[14] N.Chomsky, The Fateful Triangle, The US, Israel and the Palestinians”, Pluto Press, 1999, citato anche  in J. Cook,  Israel and the Clash of Civilisations. Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East, Pluto 2008, p. 114

[15]Nel suo Diario, del 12 giugno 1895, Th. Herzlscriveva (la citazione è la traduzione dal tedesco  in inglese, NdA):We shall try to spirit the penniless population across the border by procuring employment for it in the transit countries whilst denying it any employment in our own country.”, citato da Ch. Simmons, "A Historical Survey of Proposals to Transfer Arabs from Palestine, 1895-1947"

[16] V. Piano Ynon, cit., punto 23.

[17] I. Hossein-Zadeh, Planned Chaos in the middle-East- and Beyond, Counterpunch, Weekly Edition,  July 18-20, 2014.

[18] J. Cook, op. cit., 120-121.

[19] I. Hossein-Zadeh, Planned Chaos in the middle-East- and Beyond, Counterpunch, Weekly Edition,  July 18-20, 2014, cit.

[20] J. Cook, op. cit., p. 118-119 [Traduzione mia].

[21] Gore Vidal, intervista di Doug Henwood per WBAI, 6.5.2002 http://www.leftbusinessobserver.com/VidalTranscript.html.

 

[22] Uno dei principali think thank impegnati nella destabilizzazione del Medio Oriente, è l’ Hudson Institute, fondato nel 1961 da Herman Kahn, organizzazione non profit, che promuove «sicurezza globale, prosperità e libertà», al quale hanno aderito, tra gli altri, Dan Quayle, ex vicepresidente degli USA, Richard Perle, (PNAC), Douglas Feith, sottosegretario alla Difesa sotto George W. Bush, Donald Kagan, storico alla Università di Yale e padre di Robert Kagan, (PNAC). Nel sito di Kagan si legge che è sponsorizzato da decine di multinazionali come American Cyanamid, Ciba-Geigy, Cargill, ConAgra Foods, DuPont, EliLilli&Company, Exxon Mobil, IBM, Mc Donald’s, Microsoft, Monsanto, Novartis, PayPal, Procter&Gamble, Price, Waterhouse&Coopers ecc., www.hudson.org. Il PNAC è stato fondato nel 1997 e gestito da William Kristoll, Robert Kagan, Dick Cheney, Richard Perle, Paul Wolfowitz, Ronald Rumsfeld e altri: sull’argomento si veda Tom Barry, Jim Lobe, The Man Who Stole the Show, in “Foreign Policy”, Special Report,  novembre 3rd 2002.

 

[23] Per l’elenco di aderenti ai diversi  think tank  v. J. J. Mearsheimer, S.M. Walt, La Israel Lobby e la politica estera americana, Mondadori, 2007, p.162.163; W.Yax, G.Armstrong, K.Connor, Conflict of Interest in Syria Debate and News Commentary. Link to US defense Contractors. An Analysis of the Defense Industry who commented on military intervention, Global Research, December 12, 2015.

[24]Molti sono gli articoli su Elliot Abrams, fra i quali citiamo J. Lobe, Neoconservatives Consolidate Control over US Mideast Policy, Foereign Policy, December 6, 2002;  J. Lobe, Neoconservativism in a Nutshell, March 24, 2016, in https://lobelog.com/neoconservativism-in-a-nutshell/

[25] Stephen Green, Serving Two Flags. Neocons, Israel and the Bush Administration, Counterpunch Special Report, February 28-29, 2004.

[26]  I. Hossein-Zadeh, Planned Chaos in the middle-East- and Beyond, Counterpunch, Weekly Edition, July 18-20, 2014, cit.

[27] M. Dinucci, La guerra dei venticinque anni, il Manifesto, 16.1. 2016.

[28] E’ segretario alla Difesa nell’amministrazione di Bush padre 1989-1993 e vicepresidente di Bush figlio 2001-2009.

[29] V. commento di Israel Shahak su Rabin, in J. Cook, op. cit., nota 2, p. 179

[30] Ivi

[31] J. Cook, op. cit. p.122

[32] Richard Perle nel 1981 è assistente segretario per la politica di sicurezza internazionale nel Dipartimento della Difesa nel governo Reagan (1981-87),  in seguito è Segretario alla Difesa e nel Comitato di consulenza della Difesa delle amministrazioni di Bush senior e junior nel 1987-2004. Nel 2001 è assistente al Segretario alla Difesa sotto Bush junior, si è dimesso nel 2003 per conflitto di interessi.

 

[33]A Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm,Institute for Advanced Strategic and Political Studies, July 1996.

 

[34] V. in particolare su questi eventi  E. Bartolomei, D. Carminati, A. Tradardi, Gaza e l’industria israeliana della violenza, Derive/Approdi 2015.

[35] v. il saggio di Jamil Hilal, The Polarization of the Palestinian Political Field, Journal of Palestine Studies, Vol. 39, n. 3, Spring 2010, pp. 24-39;  anche J. Hilal, M.O.: il processo di pace perché è fallito, La Rivista del Manifesto, 11.11.2000; J. Hilal (a cura di), Palestina, quale futuro. La fine della soluzione dei due stati, Jaca Book, 2007; v. le analisi di economisti palestinesi come Adam Haniyeh, Leila Farsakh, Raja Khalidi e le riflessioni di alcuni studiosi palestinesi in una tavola rotonda di al Shabaka, La rivolta dei giovani palestinesi - Quale ruolo per i partiti politici? Novembre 2015, traduzione in italiano nel sito di Forum Palestina, www.forumpalestina.it

[36] v. G. Corm, Le Proche Orient éclaté (1956-2003), Gallimard, 2003, p. 729 sgg.

[37] V. intervista di Ugo Tramballi a Ross, “Le occasioni di pace perdute di Israele”, in Il Sole 24 ore, 17 gennaio 2016.

[38] V. fra altri articoli, T. Barry, J. Lobe, The Men who Stole the Show, Special Report, in Foreign Policy, November 3, 2002.

[39]Z. Brzezinski, The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geo-strategic Imperatives, Basic Books, 1997, nella trad. it.,Id., La grande scacchiera. Il mondo e la politica nell'era della supremazia americana, Longanesi 1998.

[40] V. Juan Stam, Il linguaggio religioso di Bush, Conferenza 2003 e S. Fath, Militants de la Bible aux Etats-Unis, autrement, 2004

[41]National Security Agency of the United States of America, http://www.state.gov/documents/organization/63562.pdf

[42]M. Ledeen,  The War against The Terror Masters: Why It Happened, Where We Are Now, How We'll Win, New York, St. Martin's Press, 2002

[44] M. Ledeen, Creative Destruction, How to wage a revolutionary war, National Review online, September 20, 2001

[46]N. Podhoretz, World War IV: How it Started, What It Means and Why We have to Win, «commentarymagazine.com».

[47] Ibidem

[48] M. Chossudovsky, Classified Pentagon Document. New Undeclared Arms Race: America’s Agenda for Global Military Domination, Global Research, March 17, 2005. V. anche J. Lobe, Pentagon Reaffirms Globocop Role, 22.3.2005, in www.Antiwar.com/lobe/?articleid=5290

[49] Rick Gladstone, As Syria Wobbles Under Pressure, Iran Feels the Weight of an Alliance, New York Times, January, 31, 2012.  Si veda il testo del  briefing di Victoria Nuland, portavoce del Segretario di Stato Hillary Clinton, del 11 dicembre2012: “Noi abbiamo chiarito che crediamo che qualcosa deve essere fatto per molti mesi ora, che è da tempo che lui se ne deve andare  e che tutti noi abbiamo bisogno di aumentare la pressione sul regime per cambiare corso.” in http://www.state.gov/r/pa/prs/dpb/2012/01/180454.htmMS. [traduzione di chi scrive]

[50] Physicians for Social Responsability, Physicians for Global Survival, International Physicians for the Prevention of Nuclear War, Body Count. Casualty Figures After 10 Years of the War on Terror, First international edition, March 2015; inoltre G. Battiston, L’ecatombe della «guerra al terrore», «il Manifesto», 4 aprile 2015.

[51] M.D. Nazemroaya, Preparing the Chessboard for the “Clash of Civilisation”: Divide, Conquer and Rule the “New Middle East”, Global Research, November 26, 2011.

[52] Western Conservatism: The War Within, Conflicts Forum’s Weekly Comment, 6-13 March 2015; e Robert  Parry, Neocons Ukraina-Siria-Iran Gambit, www.consortiumnews.com, March 19,2014.

[53] M.D.Cabras e G.Dentice , Il Dragone nel Negev: vent’anni di cooperazione  sino-israeliana, 5 marzo 2012 http://www.bloglobal.net/2012/03/il-dragone-nel-negev-ventanni-di-cooperazione-sino-israeliana.html.

[54] P. Escobar, Globalistan: How the Globalized World Is Dissolving into Liquid War, Nimble Books, Ann Harbor, 2007; Empire of Chaos Preparing for More Fireworks in 2016, Global Research, December 26, 2015.

[55] S. Sassen, Territorio, autorità, diritti. Assemblaggi dal Medioevo all’età globale, Mondadori, Milano 2008.

[56] S. Mezzadra, B. Nielson, Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale, il Mulino, Bologna, 2014, p. 19.