L’Italia impara poco dal metodo cinese per controllare l’epidemia, e ne paga il prezzo

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27/02/2020

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L’Italia ha avuto solo pochi casi di Covid-19 riscontrati fra la fine di Gennaio e Febbraio, ma in una settimana si sono registrati ben 374 casi, facendolo diventare il paese europeo col più alto tasso di infetti. Perché solo in questa situazione di emergenza, abbiamo cominciato a diagnosticare casi e a svolgere test? Questo è quello che dicono i leader italiani.

Dopo il repentino scoppio del caso, fra il 20 Febbraio e il 23, le autorità italiane hanno preso una serie di misure per contenere l’infezione. La più importante risulta quello relativa ad un uomo di ritorno dalla Cina e che dovrà rimanere in quarantena per 14 giorni (vi potrebbero essere casi, sebbene rari, in cui l’incubazione duri più a lungo). Lombardia, Veneto e altre regioni del nord Italia coinvolte hanno chiuso le scuole e sospeso eventi pubblici.

Le cosiddette zone rosse, quelle dove ci sarebbe un’epidemia, in cui non è permesso né l’accesso, né l’uscita: un nuovo decreto-legge del 22 Febbraio coinvolge 11 comuni. Un altro decreto da la possibilità alle aziende che hanno sede nelle zone rosse di far lavorare i loro impiegati dalle loro case. Nuove misure di assistenza e di aiuto economico sono pronte per essere varate.

Mentre noi non abbiamo fatto un controllo sistematico della presenza del virus nel primo mese (il 30 Gennaio l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva dichiarato l’emergenza per la salute), abbiamo speso tempo nel criticare il governo Cinese e a parlare di democrazia. Abbiamo speso tempo a parlare dei ritardi cinesi (di due settimane), e dei difetti del loro sistema politico, invece di preparare un piano per valutare oggettivamente la situazione.

Di persona ho dovuto analizzare l’efficienza delle misure di controllo e prevenzione cinesi, incrementate per l’occasione, ed essere costretto pure a spiegare il funzionamento del suo sistema politico nei media italiani. È triste che le persone si chiedano come è stato possibile un incremento così sensibile dei contagiati in così pochi giorni. Forse perché lo stiamo cercando? È triste constatare come gli esperti e i giornalisti giustifichino questa situazione, dicendo che è difficile identificare il virus perché ha sintomi simili a quelli influenzali e perché non si sa abbastanza su di lui.

Questo era vero, a fortiori, a Wuhan. La principale ragione per cui le misure cinesi non sono state perfette e preparate in tempo all’inizio, era che non vi erano abbastanza conoscenze (e prove) per bloccare un intero paese, senza dimenticare la grandezza demografica. Nello stesso tempo, molti in Italia dicono che “bloccare o chiudere intere città, farebbe scoppiare una ribellione popolare”.

Inoltre, non si comprende appieno il perché tutto questo è necessario, sottovalutando la situazione e i consigli da parte della scienza. Ora sappiamo qualcosina in più a proposito del virus, così noi siamo meno giustificati nei nostri ritardi rispetto alla Cina, che affronta l’emergenza da più di due mesi.

Sembra che in occidente, inclusa l’Italia, si sia imparato poco dall’emergenza scaturita dall’epidemia in Cina. Dopo due mesi di elementi empirici provenienti dalla Cina e dopo un mese che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’emergenza internazionale. È il solito vecchio meccanismo dove la Cina impara dall’occidente, mentre noi siamo ancora reticenti dal fare lo stesso con la Cina?

Il dibattito in Italia è confuso. Mentre i governi si stanno muovendo nell’unica direzione possibile, nuovi sistemi di controllo, tuttora insufficienti, e nuove quarantene vengono messi a punto per diminuire nuovi contagi, come ha fatto la Cina col supporto delle analisi scientifiche di livello internazionale, però abbiamo ancora opinioni contraddittorie dagli esperti italiani.

Alcuni insistono a sostenere che il Covid 19 è simile alla normale influenza. Non lo è, per il tasso di mortalità (venti volte superiore rispetto all’influenza stagionale), per la velocità del contagio, anche nei soggetti asintomatici, e per la percentuale di complicazioni mediche.

È altresì irragionevole negare l’importanza, come sta succedendo in Italia, nell’indossare maschere e guanti. Fin dall’inizio, l’esperienza cinese ci ha detto che il virus può essere trasmesso anche quando non si hanno sintomi. Gli esperti hanno confermato tutto ciò, ma la scienza non ha ancora trovato tutte le risposte. La scienza ha dei limiti, per tale ragione abbiamo bisogno di adottare misure precauzionali.

In ogni caso, non voglio discutere questi aspetti che non appartengono al mio campo. Tuttavia noi sappiamo dall’esperienza cinese che le misure draconiane sono le uniche che possano contenere e sconfiggere un’epidemia, misure che sono state lodate dai principali esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Vorrei dire però che, a dispetto della confusione della pubblica opinione che oscilla dal panico espresso in messaggi che propagano il terrore all’approccio contraddittorio dei vari esperti, che il governo italiano sta facendo del suo meglio, allineandosi con quanto riportato dalla comunità scientifica. Però la nostra struttura istituzionale non aiuta ad incrementare le misure draconiane in modo coordinato ed efficiente.

In un recente video clip, che preparai per dare solidarietà al popolo cinese, conclusi dicendo “siamo tutti cinesi”. Ora aspetto che gli amici cinesi dicano a nostro supporto “siamo tutti italiani”.

Semplicemente, dobbiamo sempre ricordarci che “siamo tutti esseri umani”, e tenere in mente che la conoscenza scientifica è umana, pertanto limitata, perfettibile e confutabile. Vi ricordate di Karl Popper? Non esiste la verità scientifica assoluta.

Siate prudenti, prendetevi cura di voi e aiutate le autorità!

L’autore è professore associato di Geografia e Studi Internazionali presso l’Istituto Internazionale Lorenzo De’ Medici, Firenze. È membro del think tank CCERRI, Zhengzhou, membro di Eurispes, Laboratorio Brics, Roma. Il suo ultimo libro è Geofinance e Geopolitics, Egea.

Da Global Times  - Traduzione di Pacifico S., CIVG