L’India di Modi: fra politiche neoliberiste e tensioni religiose

13 febbraio 2020

 

 

Circa 250 milioni di indiani hanno manifestato l’8 gennaio scorso a sostegno dello sciopero generale – il più grande della storia – convocato per resistere alle politiche governative neo-liberiste del premier Narendra Modi, leader del partito nazionalista indù Bharatiya Janata (BJP). A provocare il malcontento popolare stanno ragioni di fondo economiche e materiali. L’economia indiana ha, infatti, segnato uno dei più rapidi incrementi dei prezzi insieme ad un tasso di disoccupazione record e alla massiccia estorsione di ricchezza pubblica da parte di pochi miliardari.

Ma l’India era già sconvolta nei mesi scorsi dai disordini innescati dalla legge sulla cittadinanza proposta da Narendra Modi. Sostenitrice del nazionalismo indù e antimusulmana, settaria e discriminatoria, la legge rende più facile per i profughi di tre paesi vicini (Afghanistan, Pakistan e Bangladesh) ottenere la cittadinanza, ma non se sono musulmani. Una discriminante minaccia per la democrazia. A Lucknow, capitale dell'Uttar Pradesh, a Mangalore, nel Gujarat, da Nord a Sud le forze di sicurezza hanno sparato contro la folla che ha ignorato l'ordine di disperdersi.

Si deve notare come l’iniziativa rappresenti la tendenza ad interpretare il globalismo attraverso il potenziamento dell’identità nazionale, dove le necessità di sicurezza sono prioritarie, poiché -senza sicurezza- non può continuare all’infinito la corsa del PIL. Praticamente la più grande democrazia al mondo, quella indiana, non fa che confermare il processo in atto a livello globale che vede trionfare il nuovo capitalismo liberista. Modi non è un filosofo, è un imprenditore che conosce la logica del profitto e sa promettere misure sociali e sviluppo con buoni risultati; tuttavia non accontenta la grande India religiosa, né quella degli emarginati e dei villaggi, neppure l’India degli intellettuali e del Communist Party of India (CPI) che nella sua storia di formazione tra marxismo-leninismo-maoismo e la scissione del 1964 non è mai riuscito, purtroppo, ad essere una voce alternativa a quella del Congresso.

Passando al problema etnico religioso, la domanda è: come viene risolto il rapporto tra Religioni e Stato, sia nei sistemi democratici, sia nei sistemi con un ruolo centrale dello Stato che riconosce confessioni religiose ma stabilisce norme di praticabilità, così come succede nella Repubblica Popolare Cinese?

Il caso India, la più grande democrazia del mondo, è emblematico ma anche sfuggente alle categorizzazioni. Durante il lungo periodo della dominazione britannica i colonizzatori avevano imposto i loro giudizi etici, moralistici, discriminanti ed ottusi nei confronti di tradizioni, spiritualità, culti e usanze popolari: semplicemente, dopo averli condannati con la sanzione di inciviltà, avevano tentato di sostituirli in favore dell’obbedienza allo Stato di diritto su modello liberale, il quale avrebbe dovuto consentire anche la convivenza, nella diversità, di indù e musulmani.

Specifichiamo che originarie dell’India sono 4 religioni: induismo (che si dirama in un numero incredibile di sette e culti, ed è seguito da circa l’80% degli indiani), buddhismo, giainismo e sikhismo. A queste si sono aggregate, da secoli, altre religioni che oggi sono legalmente riconosciute: giudaismo, cristianesimo, islam e zoroastrismo, con la prevalenza dell’islam che ormai raggiunge quasi i 200 milioni di fedeli.

Con la proclamazione di indipendenza (15 agosto 1947) dal colonialismo britannico e proprio in seno alla neonata democrazia sono scoppiate le contraddizioni e le peggiori tragedie. Solo marginalmente la questione è stata risolta con il contestuale riconoscimento dell’indipendenza del Pakistan (detta “Partizione”), il flusso di profughi musulmani in quella terra, la divisione e la disperazione di interi nuclei familiari. Fu un vero disastro umano che provocò negli anni successivi ben tre guerre.

La Costituzione indiana entrata in vigore il 26 gennaio 1950 - frutto di Assemblee legislative delle province e non di suffragio universale - dichiara che l'India è un paese laico dove è vietata la discriminazione religiosa e praticata la libertà di culto. Tanto che il diritto civile indiano conosce applicazioni differenziate a seconda delle comunità ed è ancora ampiamente efficiente l’antico sistema politico del Panchayat raj, o Assemblee di governo locale, costituite da anziani scelti dalla comunità proprio per risolvere dispute tra persone o villaggi. Oltre a questo sistema tipico dell'Asia meridionale (India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, Nepal), sono praticate anche specifiche e locali regole religiose, come la shari'a o il diritto indù.  

Alla luce di questi dati oggettivi e del dato semplificato di oggi per cui l’induismo non cresce, mentre l’islam vede incrementare il numero di fedeli, prima di emettere giudizi e sostenere la necessità di ‘eliminare’ le religioni dalla vita sociale di un popolo, bisogna porsi qualche domanda sul perché la storia dell’India è attraversata sì dal problema della convivenza tra indù e islamici, ma al tempo stesso riflettere sul fatto che la pratica religiosa è importantissima, anzi vitale e fondante nella società indiana.

Correndo il rischio di essere banale, penso che l’operato delle democrazie vada giudicato di volta in volta dai risultati ottenuti. Senza voler dare valutazioni o trascendere in rancori postumi, ciò che ha sempre contraddistinto il pensiero e l’operato dell’India, è sempre stata la pazienza (cioè esattamente il contrario di quello che ci si aspetta da un governo efficiente e decisionista). L’India ‘sopportò’ i britannici, il Mahatma diede l’esempio della non violenza per poi cadere egli stesso vittima del fanatismo e della violenza, in seguito si impose il modello della ‘pazienza’ nelle decisioni che hanno ricaduta politica, come nella recente sentenza della Corte Suprema per Ayodhya(Utthar Pradesh).

I fatti si trascinavano dal 1992 quando la moschea Babrifu demolita da una folla di estremisti indù che rivendicavano il culto preesistente del Signore Rama fondatore dell’induismo, dando inizio a una faida di sangue che ha causato decine di migliaia di morti. Nel novembre del 2019 la Corte Suprema ha finalmente deciso: il terreno su cui la moschea sorgeva, diventerà di proprietà di una fondazione hindu per realizzare un tempio in onore di Rama. 17 Anni per decidere! Siccome non si voleva incrementare il conflitto interetnico e interreligioso, le perizie sono state affidate a più commissioni formate da esperti, tecnici, archeologi e storici. (Se ci pensate, anche per i due Marò accusati di omicidio, i tribunali indiani hanno agito con analoga lentezza e prudenza, evitando una condanna immediata).

Un ultimo esempio dell’incapacità politica a gestire le religioni nelsud-est asiatico, dove si diffuse prevalentemente il Buddhismo Theravada, con il polo di irraggiamento nell'isola Sri Lanka (Ceylon). Tuttora fondamentali nella vita dei vari paesi, le comunità buddhiste, hanno avuto - come in Vietnam, prima, durante e dopo il conflitto con gli USA - anche importanti funzioni di organizzazione politica, educazione e cultura. Ora lo Sri Lanka ha superato la guerra delle minoranze Tamil contro i cingalesi che li trattavano da cittadini di serie B (e continuano a trattarli anche dopo la vittoria militare sulle “Tigri” separatiste dell’Elaam) perché ad infiammare gli animi e provocare attentati sono antichi conflitti tra musulmani e maggioranza buddista cingalese. Cose che la politica non riesce ad affrontare attraverso i partiti e la democrazia.

Per concludere: la legge sugli immigrati proposta da Narendra Modi non fa che dividere sbrigativamente, accentuando, in nome della sicurezza, un diverso trattamento dei profughi e della delicata questione etnico-religiosa. Non rende neppure giustizia a popolazioni nomadi, poverissime e marginali che nella fede religiosa hanno l’unica identità e forma di espressione culturale. Semplificare, infatti, non corrisponde al praticare quella ‘pazienza’ di cui dicevo sopra, che vorrebbe emarginare fanatici intolleranti di ogni parte e di ogni provenienza, indù o musulmani che siano. Ed è davvero preoccupante che una semplificatoria legge sulla cittadinanza generi tanto odio e tradisca a tal punto la vocazione inclusiva del tradizionalismo indù.

 

Alcuni dati…

 

Tendenze demografiche per i principali gruppi religiosi (1961–2001) e censimento 2011

 

 

Percentuale sulla popolazione indiana

Religione

1961

1971

1981

1991

2001

Induismo

83.45%

82.73%

82.30%

81.53%

80.46%

Islam

10.69%

11.21%

11.75%

12.61%

13.43%

Cristianesimo

2.44%

2.60%

2.44%

2.32%

2.34%

Sikhismo

1.79%

1.89%

1.92%

1.94%

1.87%

Buddhismo

0.74%

0.70%

0.70%

0.77%

0.77%

Animismo, altre

0.43%

0.41%

0.42%

0.44%

0.72%

Giainismo

0.46%

0.48%

0.47%

0.40%

0.41%

 

Dati censimento 2011 sulle comunità religiose pubblicati dal Registrar General of India

 

Per il periodo 2001-2011, i fedeli islamici sono aumentati dello 0,8%, passando da 138 milioni a 172,2 milioni. Maggiore Paese indù al mondo, per la prima volta in India la popolazione induista scende intorno all’ 80% del totale dei fedeli; i musulmani invece salgono a livello nazionale al 13,43%. A livello statale, nei cinque Stati a maggiore rappresentanza musulmana (Maharashtra, Gujarat, Rajasthan, Madhya Pradesh e Uttar Pradesh) la crescita media dei fedeli islamici è ben al di sopra di quelli indù: supera ovunque il 24%.

Per quanto riguarda le altre religioni, i fedeli cristiani compongono il 2,3% della popolazione totale; i sikh l’1,8 % (20,8 milioni); i buddisti sono lo 0,7% (8,4) milioni; i giainisti sono lo 0,4% del totale (4,5 milioni); 7,9 milioni di persone hanno altre appartenenze religiose e 2,9 milioni non sono credenti.

I dati riportano che durante il decennio non ci sono stati sostanziali cambiamenti nella proporzione tra cristiani e giainisti, mentre i sikh sono diminuiti dello 0,2% e i buddisti dello 0,1%. Significativo invece il tasso di crescita medio della comunità cristiana, che supera nello stesso periodo quello dei musulmani e si avvicina al totale della crescita degli indù, nonostante i molteplici casi di persecuzione nei confronti dei fedeli e i numerosi attacchi alle chiese commessi da radicali indù.

 

A cura di Maria Morigi (Comitato Scientifico del CIVG)