Welfare aziendale, Fondi sanitari, Sanità integrativa o complementare. Ovvero come favorire gli interessi privati nella sanità e affossare il Servizio Sanitario pubblico

  • Stampa

24 ottobre 24, 2019

 

 

https://www.medicinademocratica.org/wp/wp-content/uploads/2019/06/Social_Determinants_of_Health_and_Community_Infographic-300x193.jpg

Le assicurazioni sanitarie si stanno prepotentemente diffondendo anche grazie ai contratti collettivi nazionali di lavoro come ad (esempio, fra gli altri, quello dei metalmeccanici) e coinvolgono ora almeno 11 milioni di Italiani.

Oggi la Sanità integrativa (il cosiddetto “secondo pilastro”) è tale solo di nome, potendo fornire fino all’80% di prestazioni già offerte dal Servizio Sanitario Nazionale (“duplicative”), in concorrenza con il servizio pubblico.

La competizione si gioca fornendo le stesse prestazioni del SSN ma in modo (per ora) più pronto e con frequenza maggiore (anche se spesso si tratta di prestazioni di basso valore, inappropriate e persino dannose). La maggior tempestività può verificarsi oggi, ma solo finché i beneficiari della Sanità integrativa sono una minoranza, mentre tutti gli italiani le pagano, almeno in parte,, anche in modo indiretto per i benefici fiscali concessi ai primi.
La “concorrenza” con il SSN ha diversi effetti negativi diretti.
Le compagnie assicurative svolgono sempre più il ruolo di gestori: offrono una rete capillare di erogatori privati accreditati e propongono “pacchetti” di prestazioni che alimentano il consumismo sanitario, facendo leva sulle inefficienze del SSN (tempi di attesa) e su un concetto distorto di prevenzione (più esami = più salute). Insomma un grave ed evidente conflitto di interessi ai danni del servizio pubblico.
Ma sono così importanti i benefici per i lavoratori che accedono al welfare aziendale?
I contributi versati ai fondi sanitari integrativi iscritti all’anagrafe del Ministero della Salute sono deducibili, da parte dell’iscritto e/o dell’impresa, sino a € 3.615,20.
Una somma esclusa dal reddito di lavoro dipendente comporta i seguenti risparmi:
– circa il 35% di oneri contributivi (compresi gli accantonamenti TFR) a carico del datore;
– quasi il 10% di contributi previdenziali a carico del dipendente;
In definitiva chi ci guadagna sono i datori di lavoratori mentre i lavoratori rinunciano ad una quota di salario in cambio dell’accesso al welfare aziendale previsto dal contratto di lavoro.

Il secondo pilastro genera anche un ulteriore livello di spesa. I costi di gestione assommano a oltre il 40% dei premi (anche e non solo perché compagnie assicurative, a loro volta riassicurano i fondi). Questo fattore è alla base della crescita dei costi assicurativi maggiore dell’incremento della spesa sanitaria pubblica e di quella diretta del cittadino di tasca propria (out of pocket).
L’adesione a Fondi e Assicurazioni diverrebbe quindi più costosa, con limiti posti alle prestazioni offerte come succede negli USA.

La defiscalizzazione che viene applicata ai fondi sanitari è un regalo fiscale a gruppi relativamente già più avvantaggiati: è stato calcolato un gettito di oltre 4 miliardi di Euro (di mancate entrate fiscali). Una cifra significativa tanto più inaccettabile tanto più che il SSN è in sofferenza sempre più grave, per i continui tagli di risorse.

Il welfare aziendale oltre a assommare differenze ai differenti stati economici e sociali, determina un approccio alla cura individualistico e dirompente a livello culturale e sociale. Il welfare stesso viene privatizzato nelle sue fondamenta. Non solo per la creazione di un mercato parallelo alla sanità pubblica ma con effetti di finanziarizzazione ovvero la determinazione di rendite e profitti non solo con servizi privatizzati ma anche spingendo i cittadini alla copertura individualizzata dei propri rischi sanitari e sociali. Ecco che allora, oltre alla copertura sanitaria integrativa e servizi sociali personalizzati da tempo è diventato necessaria la previdenza integrativa professionale o con polizze individuali.

Ecco perchè chiediamo di eliminare i benefici fiscali applicati ai fondi sanitari ed il risparmio per la fiscalità generale serva a rifinanziare il servizio pubblico universale pubblico.

Un baluardo in difesa del servizio sanitario pubblico sia rappresentato proprio dai suoi operatori.
il Servizio sanitario Nazionale può e deve essere migliorato: deve essere rifinanziato, deve essere assunto nuovo personale porti beneficio ad una bene fondamentale (la salute dei pazienti) e anche un lavoro qualificato per giovani (formare medici, costo 150.000 €, per poi farli emigrare in non è la cosa migliore!), con una ricaduta sui redditi e quindi sui consumi.

A CURA DELLA SEZIONE DI BRESCIA DI MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS

Come aumenta la spesa pubblica 1
Facendo l’esempio dello screening per la diagnosi precoce del tumore della mammella e ridurre la morte da questa causa, l’offerta di maggiore frequenza e copertura a fasce di età più estese di quelle raccomandate (50-65 anni), aumenta i rischi di sovraesposizione alle radiazioni e di sovradiagnosi (cioè, soprattutto nelle donne fuori fascia di età, di casi che non hanno il tumore e che comporta ulteriori accertamenti rivelatisi inutili, dannosi e causa di ansia) ed indebolisce l’intervento pubblico perché deve ricontattare un numero più elevato di donne che non rispondono alla chiamata del programma pubblico di screening Inoltre, a parità di operatori sanitari, gli iscritti alle assicurazioni “tagliano” le code per sé e familiari e, come risultato generale, con liste di attesa differenziate, alla fine tutti gli altri scivolano necessariamente sempre più indietro, pur contribuendo con le proprie tasse a pagare “benefici” per tutti indistintamente. 

Come aumenta la spesa pubblica 2
Facciamo un esempio: il PSA (il test per la diagnosi precoce del tumore prostata per ridurne la causa di morte è sconsigliato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità). L’80% dei maschi a 80 anni (2,5% di tutti gli Italiani) hanno un tumore della prostata senza che questo li porti alla morte. Il PSA costa poco, per 15 euro, non c’è un gravissimo costo aggiuntivo a farne 34 nel corso della vita anziché a farne nessuno o pochi e solo a giudizio del medico curante. Ma se il PSA risulta sospetto, va ripetuto, poi se il sospetto permane, a carico del pubblico ricade una cascata di conseguenze, dalle biopsie al curare i problemi da biopsia, gli interventi chirurgici quando si decide di farli. Praticamente inutile a selezionare i casi per i quali è richiesto un intervento di cura utile a prevenire la progressione del tumore mentre individua molti casi per i quali si attuano interventi medici inutili e dannosi.

Da medicinademocratica