Come uscire dallo sfruttamento a km zero?

Intervista a Roberto Schellino – A cura del CIVG

Questa intervista fa parte di un ciclo dedicato alle tematiche lavorative. Il gruppo di approfondimento del CIVG intervisterà studiosi e lavoratori per tracciare un quadro dei mondi del lavoro.

 

 

 

Quella dell’agricoltura sostenibile, rispettosa della natura e a misura d’uomo, è diventato un leitmotiv, che ha permesso la nascita di numerose realtà imprenditoriali e cooperative. La maggior parte di queste realtà tuttavia sono pienamente inserite nel mondo dell’agroindustria e si rivolgono a fasce di consumatori a medio-alto reddito. Quale è la tuo opinione al proposito?

Il concetto di agricoltura sostenibile è patrimonio del mondo agroindustriale e spesso anche di quello istituzionale e della ricerca pubblica o privata. Riguarda sostanzialmente il tentativo di rispondere alle emergenze ambientali e sociali poste dall’agricoltura convenzionale per mezzo di soluzioni tecnologiche/tecnocratiche (informatica, agricoltura di precisione, biocarburanti...e ingegneria genetica) mantenendo inalterati struttura, modi e rapporti di produzione.

I movimenti contadini utilizzano invece il più complessivo concetto di agroecologia che, espressamente dalla Via Campesina internazionale, viene declinato in tre livelli.  Il primo è la dimensione agronomica: interpretata in modo plurale secondo i territori e le culture con il fine comune di assicurare il mantenimento dell’ecosistema agricolo, la produzione alimentare ed i suoi abitanti, rispettando suolo, acqua e biodiversità. Il secondo è la dimensione socio-economica che, a partire da pratiche ecosostenibili con la terra, ricostruisce intorno ad esse forme di economia complementare (trasformazione, distribuzione, artigianato, piccolo commercio, sostegno sociale…) con il fine di favorire nuove relazioni tra donne, uomini, giovani nel lavoro e nuove interazioni tra urbano e rurale. Il terzo spazio è la dimensione socioculturale e politica che connette le pratiche agronomiche e le strutture economiche in un contesto di dignità della persona, di giustizia sociale e di solidarietà, dove l’aiuto reciproco si sostituisce alla competizione ed alla concorrenza. Attraverso metodi partecipativi che favoriscono forme di azione collettiva.

Attualmente, soprattutto in Occidente, anche il mondo Accademico e della ricerca, attraverso convegni e forme associative sta cercando di acquisire il ruolo di capofila e detentore del sapere agroecologico, inteso quindi soprattutto come ambito scientifico e quindi specialistico, ad esempio nell’ambito dell’agricoltura biologica e biodinamica.

Personalmente ritengo che il senso profondo dell’agroecologia contadina abbia al centro la dimensione sociale del cibo.  Chi semina, coltiva, alleva? Chi trasforma? Chi consuma?

Il grano è frutto del lavoro umano, grano e pane sono cibo, il cibo è un DIRITTO degli esseri umani. Terra e acqua sono la base dell’agricoltura, terra e acqua sono BENI COMUNI dell’umanità. Nello stesso tempo, nella nostra società, l’economia liberista trasforma continuamente terra e cibo in articoli di commercio, in puro valore di scambio. Può un diritto universale, un bene comune essere gestito dall’economia privatistica del profitto? Così facendo, per ogni essere umano quantità e qualità del cibo sono in funzione di quanti denari possiede. In questo contesto accade che, anche se coltivi l’antico grano per fare pane biologico, se questo diventa “eccellenza” per una nicchia di mercato a 7-9 € al chilo, allora imprenditore o contadino che tu ti definisca, resti dentro la società della merce e della disuguaglianza.

Occorre aver chiaro che sul piano socio-economico, è fuorviante associare a priori al coltivatore diretto piccolo proprietario (che ben potrebbe dirsi contadino) un ruolo di per sé alternativo nell’economia liberista. Spesso sono proprio le aziende più piccole, con una bassa composizione organica di capitale, fondate sul loro lavoro diretto, ad essere oggettivamente le più sfruttate, tramite le leggi del mercato, dai vari soggetti economici con i quali sono costrette a interagire, essendo passato lo stesso contadino-produttore da un’economia di autoconsumo e locale ad una economia di mercato in cui deve battere la concorrenza (cioè l’altro contadino come lui), intraprendendo una corsa al progresso tecnico, spesso attraverso un indebitamento permanente. Il plusvalore che egli crea con il suo lavoro è così risucchiato da imprenditori capitalisti più forti di lui (banche, industrie di trasformazione e di mezzi tecnici ecc…). Finchè agisce da solo non può che autosfruttarsi o tentare ad esempio la via della nicchia commerciale, scaricando sul prezzo quindi sul cittadino parte dello sfruttamento che subisce. Cosicchè accade che le rivendicazioni collettive dei piccoli proprietari imprenditori agricoli si rivolgono ancora al mercato. Per mezzo delle sue Organizzazioni professionali questi agricoltori, i piccoli mescolati ai grandi, non cercano di cambiare i rapporti sociali di produzione, ma rivendicano regole che permettano loro di approfittare meglio del mercato.

Pare ovvio che essendo tutti noi immersi in una economia liberista quasi planetaria, sia pressochè impossibile, anche volendo e dati i rapporti di forza, una emancipazione immediata. Qualunque contadino, inevitabilmente, è condizionato da questo contesto.  Per aprire nuove strade è altresì indispensabile intervenire in tutte le fasi del ciclo sociale del cibo: dalla proprietà della terra, ai modi e rapporti di produzione, alla circolazione, distribuzione e consumo del cibo. Altrimenti parte della popolazione urbana potrebbe credere che catene commerciali come Eataly siano già oggi la risposta.

Esistono a tuo avviso delle esperienze virtuose che in questo momento si muovono nella direzione che hai tratteggiato?

Il nuovo diffondersi di variegate esperienze nella distribuzione e vendita diretta, a valle del processo produttivo è oggi quella più diffusa nella neoruralità contadina e dei piccoli imprenditori in generale. Rappresenta una dimensione indispensabile ad una nuova economia, anche se da sola non sufficiente. Vent’anni fa il mercatino era diretta espressione di una riappropriazione, anche politica, oggi essi sono inflazionati sotto molte sigle a puro scopo commerciale. Tra le quali non pochi contadini scorrono, dall’una all’altra bandiera, nella necessità di sopravvivere. D’altro canto le esperienze più avanzate delle reti di economia solidale stanno costruendo percorsi dichiaratamente “alternativi al sistema neoliberista”. Tuttavia la maggioranza delle relazioni tra piccoli produttori e gruppi di acquisto è ancora tutta interna alla logica della merce, fatta di liste di prodotti, da cui acquistare senza impegni futuri, al miglior prezzo.

Nuove forme di partecipazione attiva e solidale tra produzione e consumo stanno cercando di operare anche su altri aspetti della produzione sociale del cibo. Provo qui ad indicare alcune tracce significative ma non esaustive.

A partire dal mondo anglosassone si stanno moltiplicando esperienze di CSA (Community Supported on Agricolture) che, seppur in modi diversificati, tendono a costruire nuove modalità economiche di partecipazione diretta alla produzione agricola. Uno dei primi esempi italiani è dato dalla Cooperativa agricola Arvaia di Bologna; all’interno della forma giuridica cooperativa, i cittadini utenti sono soci (quindi co proprietari) e mettono a disposizione ad inizio anno quote di capitali per la produzione agricola che verrà poi redistribuita ai soci stessi, con modalità flessibili rispetto alle possibilità dei singoli. Producendo contemporaneamente posti di lavoro.

Un esempio di connessione tra Istituzioni e sociale è dato dal Progetto “Autoproduzione Sociale” nato a Lodi nel 2015 per fronteggiare la crisi che ha causato disoccupazione, inoccupazione e impoverimento di fasce sempre più grandi di popolazione cittadina, attraverso un’intesa tra il Comune di Lodi, le cooperative sociali Monte Oliveto e Il Pellicano e il Gruppo di Aquisto Popolare. Il Comune di Lodi promuove inserimenti lavorativi, attivando borse lavoro o esperienze di volontariato previste dai fondi anticrisi, le cooperative mettono a disposizione terreni, mezzi di produzione e svolgono l’attività agricola, il Gruppo acquisto popolare impiega volontari per la distribuzione, a prezzi concordati e calmierati dei prodotti agricoli ottenuti. 

FUORIMERCATO è invece una rete di agricoltori associati, che si sta diffondendo orizzontalmente ed attualmente composta da una ventina di realtà disseminate lungo l’Italia, collegate a loro volta ad una serie di spacci e punti di distribuzione lungo la penisola e che distribuiscono i prodotti agricoli, anche in alcuni mercati popolari e Gruppi d’acquisto solidale soprattutto del nord Italia. Alla base vi è la comune presa di coscienza del bisogno di costruire un modello di produzione compatibile con la dignità delle persone e l’ambiente, a fianco di azioni sociali per sottrarre migranti e non solo, dal ricatto del caporalato e dello sfruttamento in campo agricolo. Si sta strutturando una rete fondata sulla produzione agricola, in grado di rispondere anche a bisogni e diritti dei migranti a un lavoro ed una casa, a quelli dei braccianti e dei piccoli produttori italiani a non essere schiacciati dai prezzi delle catene agroalimentari e a quello dei cittadini di accedere ad un cibo sano ed economico. Vengono espressamente richiamate le pratiche ed i valori del MUTUO SOCCORSO in chiave contemporanea, coniugando mutualismo e conflitto, in una prospettiva di una connessione anche con altri settori della produzione e della distribuzione di beni e servizi.

Neonata a fine 2018 è CAMILLA Emporio di Comunità a Bologna, strutturata in forma cooperativa. I soci, oltre che usufruire dei prodotti, gestiscono direttamente l’emporio con turni di volontariato. L’intento è di costituire una comunità di ricerca di nuova economia fondata su cooperazione, autogestione, solidarietà. Distribuendo beni e prodotti di buona qualità provenienti da un’agricoltura contadina biologica e biodinamica, a partire dallo stretto rapporto fondante con la rete contadina di Campi Aperti. La cooperativa si pone come punto di connessione tra cittadini socialmente svantaggiati, contadini e territorio. In particolare, in merito ad una economia sociale di produzione, uno degli obiettivi statutari è quello di realizzare patti con i produttori per la programmazione delle produzioni, la co-produzione, il prefinanziamento e la condivisione dei rischi.

 

Da anni sei impegnato nella Campagna per l’Agricoltura Contadina a favore dei diritti dei piccoli coltivatori. Puoi parlarci di questo progetto e spiegarci il senso dell’espressione “agricoltura contadina”?

Cosa e chi intendiamo con il termine contadino?

Oggi questa parola non ha nessuna definizione giuridica né legislativa mentre sul piano culturale e dell’immaginario sociale è estremamente evocativa e di conseguenza liberamente interpretabile da chiunque. A livello personale puoi sentirti contadino perché abiti nella cascina di tuo nonno zappaterra, anche se vivi commerciando vini in Cina. Negli ultimi tempi pare vi sia un grande ritorno, l’agroindustria infarcisce di immagini contadine i propri prodotti, holding commerciali come Eataly fondano la Fabbrica Italiana Contadina (FICO)!! Nei Villaggi Coldiretti lo slogan è “Io sto con i contadini”, Slow Food da sempre parla di contadini.

Pur passata completamente sotto silenzio, noi ci riconosciamo nella “Dichiarazione dei diritti dei contadini e di altre persone che lavorano nelle aree rurali”, che è stata approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU lo scorso 17 dicembre 2018 nonostante l’astensione di quasi tutti i Paesi UE (compresa l’Italia) e il voto contrario di USA, Gran Bretagna, Australia, Nuova Zelanda, Israele, Guatemala, Ungheria e Svezia.

Questa Dichiarazione afferma che “un contadino è una persona che si impegna o che cerca di impegnarsi da solo, o in associazione con altri o come una comunità, nella produzione agricola su piccola scala per la sussistenza e / o per il mercato, e che dipende in modo significativo, anche se non necessariamente esclusivamente, dal lavoro familiare o domestico e altri modi non monetizzati di organizzare il lavoro agricolo, e che ha uno speciale legame di dipendenza e attaccamento alla terra.”

 

Il panorama agricolo italiano è storicamente caratterizzato da una pluralità di sistemi agrari, dovuto alla grande diversità nei nostri territori, di differenti agroecosistemi e condizioni socio-culturali, le quali hanno prodotto nel tempo una pluralità di forme economiche, strutture produttive e mercati agricoli.

Oggi questa pluralità delle realtà agricole è seriamente messa in crisi dalle politiche agricole dominanti che cercano di sussumere e forzare i differenti tipi aziendali nel contesto unico dell'impresa agricola di mercato a carattere industriale (intensiva, specializzata, capitalizzata).

Esistendo una pluralità di modelli agricoli si rendono necessarie – ai fini di giustizia, di equità sociale, di gestione del territorio, di mantenimento della biodiversità agraria e spontanea - MISURE ADEGUATE E DIVERSIFICATE secondo le diverse realtà produttive agricole.

L'intento primario e fondante della Campagna popolare per l'agricoltura contadina è di lavorare per il riconoscimento istituzionale delle Agricolture Contadine, come insostituibile modello socio-economico, e di conseguenza l'individuazione di norme adatte ad esse. E’ da rilevare che il nostro Codice Civile distingue l’Imprenditore che fonda l’attività prevalentemente sui capitali investiti e la remunerazione dei fattori produttivi dal Piccolo imprenditore (coltivatore diretto, artigiano) fondato prevalentemente sul fattore lavoro proprio e della propria famiglia. La Campagna contadina richiede una legge nazionale ed è rivolta quindi in primo luogo al Parlamento. La Campagna è sostenuta da Associazioni contadine e della società civile ed Il percorso nasce nel 2009 in forma di Petizione, prosegue poi nel 2013 con la presentazione alla Camera dei Deputati delle Linee guida per una legge quadro sulle agricolture contadine, azione supportata nel 2014 dal Comitato italiano per l'Anno internazionale dell'Agricoltura familiare. Questo lavoro porta alla presentazione di tre proposte di legge da parte di gruppi parlamentari (M5S, PD, SEL), esaminate dalla Commissione Agricoltura che, a fine 2017, produce un primo testo di sintesi. La fine della legislatura interrompe il percorso che si sta ora cercando di riprendere.

Chiediamo di riconoscere come agricolture contadine le realtà che abbiano i seguenti requisiti di base: la conduzione diretta di tipo familiare o associativo con soli soci lavoratori, pratiche di diversificazioni colturali e allevamento non separato dalla coltivazione, preservazione della biodiversità con il recupero delle sementi e delle razze autoctone, pratiche agroecologiche e conservative della fertilità e del paesaggio per mezzo dei soli prodotti ammessi nella normativa biologica e biodinamica, senza l'uso della dicitura biologica e senza obbligo di certificarsi, di produrre per l'autoconsumo e la vendita diretta prodotti freschi e trasformati con proprie materie prime. Le aziende agricole, sottoscrivendone gli impegni, potranno liberamente iscriversi ad un Albo delle aziende contadine. Ad esse potranno così applicarsi le specifiche norme di sostegno previste dalla nuova legge.

 

Sono convinto che il diritto sociale al cibo possa divenire concreto solo se continuerà ad essere vitale una capillare rete di realtà contadine, portatrici di pratiche e saperi agroecologici che vadano oltre la produzione commerciale, radicate nel proprio territorio e socialmente partecipi di un nuovo orizzonte.

 

In un mondo in cui si parla di intelligenza artificiale e di automazione, gran parte del cibo viene ancora prodotto da piccoli coltivatori, per lo più (ma non solo) collocati nel cosiddetto terzo mondo. Sebbene il loro lavoro sfami miliardi di persone, si tratta di una realtà pressoché invisibile a livello mediatico. Il movimento della Via Campesina, del cui coordinamento europeo tu fai parte, si incarica da anni di rompere il silenzio sulle rivendicazioni dei contadini, e di coordinare le loro lotte. Quali sono le principali attività del movimento?

 

 

Le piccole realtà agricole sono certamente caratteristiche dominanti nei contesti dei Paesi extraeuropei. Ma anche in Europa, seppur in modo diversificato, in alcuni Stati questa presenza è ancora predominante. In Italia circa il 70% delle aziende agricole ha un reddito lordo inferiore ai 20 mila euro annui.

Personalmente sono membro dell’Associazione Rurale Italiana, una piccola realtà sparsa per la penisola e costituita principalmente da contadini, la quale è parte del Coordinamento Europeo della Via Campesina (ECVC) a sua volta costola della Via Campesina Internazionale. La Via Campesina è riconosciuta dalle Istituzioni internazionali come rappresentante del mondo contadino, a fianco delle Organizzazioni professionali agricole che rappresentano l’agricoltura imprenditoriale. In Italia la Via Campesina è quasi sconosciuta, poiché la rappresentanza sindacale è monopolizzata dalle tre Organizzazioni professionali e quella culturale da Slow Food pur non essendo questa un’organizzazione di contadini ma, per proprio statuto, un’associazione a sostegno del buon cibo. Così, paradossalmente, noi partecipiamo a Bruxelles ai tavoli di dialogo delle Commissioni europee mentre non siamo riconosciuti a quelli ministeriali e regionali italiani.

Diritti umani e contadini, agroecologia, lotta ai monopoli agroindustriali che accaparrano terre e privatizzano le risorse naturali, sostegno alle comunità rurali, rivendicazioni di politiche di sostegno sono tra le principali attività della Via Campesina. Seppur agite secondo modalità e condizioni differenziate nei diversi continenti, rappresentano questioni comuni a tutte le agricolture contadine del mondo.

 

Le migrazioni di massa stanno ridisegnando la demografia di molti paesi del terzo mondo. Oltre a essere direttamente responsabili di migliaia di morti all’anno, questi flussi “drenano” milioni di giovani dai paesi di partenza, che vengono così privati di una delle loro risorse più importanti, senza la quale rischiano di rimanere per sempre subordinati alle politiche economiche occidentali. La parola d’ordine dell’ “agricoltura contadina” può contribuire ad arginare questa emorragia?

Gli agricoltori a dimensione contadina sono tuttora la maggioranza sulla nostra Madre Terra. Ma come ben insegna la Storia, ciò non significa che detengano un proporzionale potere. Anzi, anche nell’Occidente sviluppato, l’agricoltore viene sempre più considerato, ad esempio sul tema sementi, solo come uno dei molteplici “portatori di interessi” nella loro gestione, dove a tirar le fila sono Ricercatori, Legislatori e Investitori.

Questo modello di potere produce, più in generale, conseguenze drammatiche sia ambientali che sociali. Oltre che a causa dei cambiamenti climatici, interi territori dell’Asia, Africa, America latina sono devastati e razziati dal “land grabbing”, l’accaparramento delle terre da parte delle Imprese capitalistiche transnazionali sostenute da Governi di ogni colore politico e dalla corruzione dei poteri locali. Senza una prospettiva collettiva, abbandonare il proprio Paese è un dato di fatto per molti, e queste nuove masse di persone in movimento sono oggettivamente utili ad una imprenditoria agricola capitalistica primitiva che trova nel loro sfruttamento semi schiavistico il modo di produrre il proprio saggio di profitto.

In fondo, anche oggi, il piccolo proprietario agricoltore e il bracciante agricolo vengono sfruttati, sebbene in forme diverse, da un neoliberismo sempre più rapace.

La “Dichiarazione” appena approvata dall’ONU riconosce in modo positivo l’esistenza di un soggetto collettivo di lavoratori della terra che accomuna piccoli proprietari, popoli autoctoni, comunità locali e nomadi, salariati e migranti. Una consapevolezza che è patrimonio dei movimenti contadini e che potrebbe divenire risorsa e forza anche per altri contesti sociali.

 

Roberto Schellino è un perito agrario e un contadino, memobro dell’Associazione Rurale con la quale partecipa a reti contadine italiane ed europee. Vive insieme alla sua famiglia, in Valle Stura di Demonte sulle Alpi cuneesi.