Kosovo Notizie n6

                                                                       N°6 –MARZO  2013


KOSOVO NOTIZIE

a cura del Forum Belgrado Italia


SPECIALE GORAZDEVAC - 2003-2013 : …PER NON DIMENTICARE…..

- L'uccisione di bambini serbi in Kosovo: la testimonianza di un sopravvissuto

- Tratto dal Dossier “ Viaggio nell’apartheid”, curato da Enrico Vigna, pubblicato dalla Rivista dei Missionari, nella parte relativa all’enclave di Gorazdevac:

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L'uccisione di bambini serbi in Kosovo: la testimonianza di un sopravvissuto.

                                                                                                                           di Timur Blokhin

 

All'età di 15 anni gli fu sparato otto volte presso un fiume, in quanto serbo. Egli sopravvisse e pochi giorni dopo, durante la festa religiosa della Trasfigurazione, uscì dal coma. Ma fino ad ora non ha ricevuto risposta alla sua domanda: chi ha sparato ai bambini mentre facevano il bagno nel fiume nei pressi del villaggio kosovaro di Gorazdevac, il 13 agosto 2003? Nella sua intervista a Voice of Russia, Bogdan Bukumiric racconta la storia straordinaria del suo salvataggio.

 

“Morire non è così spaventoso come essere sepolto vivo”.

Questa è l'iscrizione sul monumento alle vittime dei terroristi albanesi e dell'aggressione della Nato nella piccola città di Gorazdevac, un'oasi ed al tempo stesso un ghetto per la popolazione serba in Metohija. Ci sono i ritratti di due ragazzi sul monumento – Panto Dakic e Ivan Jovovic. Sono morti il 13 agosto 2003, sulla riva del fiume Bistrica, quando ignoti hanno aperto il fuco contro persone che stavano lì ristorandosi. Più di quattro ragazzi sono stati feriti in quel frangente. Per quanto riguarda uno di loro, Bogdan Bukumiric, 15 anni, i medici avevano fornito le seguenti previsioni: 96 per cento di probabilità di morire, 4 per cento di possibilità di sopravvivere. Egli sopravvisse. Ora è un ventiquattrenne, vive a Belgrado, e quando ha letto la vicenda dei recenti atti di vandalismo in Kosovo (il monumento di Gorazdevac è stato fatto oggetto di tiro), pubblicati dal sito web Voice of Russia, ha accettato di condividere con i nostri giornalisti i suoi ricordi di quel crimine orribile, per il quale nessuno è stato ritenuto responsabile.

 

Bogdan è nato a Gorazdevac dove a suo dire dal 1999 le persone sono abituate a udire il rumore degli spari. Dopo la guerra e l'aggressione della Nato, che si concluse con il ritiro delle truppe serbe, la vita fu difficile. Il villaggio aveva una popolazione di 1000 abitanti ed era circondato interamente da insediamenti albanesi. La più grande città vicina è Pec. Dovevano recarsi lì per comprare il cibo, scortati dalla KFOR. Non c'era fine alle provocazioni albanesi: la zia di Bogdan, Milica Bukumiric, è stata uccisa sulla porta di casa sua, quando qualcuno lanciò una granata nel suo cortile. Il giovane è rimasto isolato dal mondo – non c'era intrattenimento, nessuna possibilità di spostarsi dal villaggio, tutto ciò che era rimasto era solo la comunità della suola ed intorno ad essa. Non c'era nemmeno una piscina. Perché “nemmeno”? Forse questo fatto ha svolto il ruolo letale in tutta la vicenda...

 

“La mia casa era la più vicina al fiume. Il 13 agosto tutti i miei amici sono passati a chiamarmi a casa per andare a fare una nuotata. Chiesi a mio padre se potevo andare. Mio padre aveva una specie di presentimento. Ha detto che non sarei dovuto andare, che l'acqua era ancora fredda. Ma poi gli ho chiesto di nuovo, e così sono andato con i miei amici. C'erano un sacco di bambini al fiume Bistrica, così come un sacco di giovani con i loro genitori. Entrai in acqua, era davvero fredda, così sono andato vicino al fuoco. Meno di dieci minuti dopo ho sentito le raffiche delle mitragliatrici. I miei amici ed io eravamo i più vicini ai terroristi. Tre proiettili mi hanno colpito sul fianco sinistro. I ragazzi ed io sapevamo che dalla foresta potevano sparare abbastanza bene. Io realizzai che erano venuti fuori dai cespugli, io mi voltai bruscamente nella direzione dalla quale sparavano, più proiettili mi colpirono nel petto e nello stomaco, le mie gambe cedettero, stavo per cadere quando un proiettile mi ha colpito in testa. L'ottavo proiettile colpì la mia gamba sinistra”.

 

Bogdan gridava aiuto e cercava ancora di alzarsi. Gli abitanti del villaggio portarono il ragazzo all'ospedale della base militare della KFOR ma il medico non c'era. Il ragazzo, ferito, ricevette il primo soccorso presso la clinica locale, dove in primo luogo cercarono di arrestare l'emorragia. Bogdan era cosciente e continuava a chiedere ai medici di condurre suo fratello lontano dalla camera, perché non voleva che lo vedesse in quello stato. Il medico interno chiedette al personale della KFOR di condurre il ragazzo all'ospedale di Pec, ma furono trovate milioni di scuse per non farlo. Di conseguenza, il fratello di Bogdan e il suo vicino a loro rischio e pericolo lo portarono in macchina alla città, completamente albanese, di Pec. «Bogdan, resta, tu sei un eroe, tu vivrai», loro ripetevano. «Non mi arrenderò», fu la risposta di Bogdan.

 

“Putroppo, vicino al mercato dei contadini a Pec, il motore della nostra auto si fermò. Le nostre targhe erano serbe, così gli albanesi ci attaccarono. Distrussero la macchina, sfondarono i finestrini, e cercarono di trascinarci fuori dall'automobile. Colpirono con dei pugni sulla testa il mio vicino di casa che stava cercando di avviare il motore, mio fratello fu colpito con una pietra. Non c'era pietà, anche se avevano visto una persona che a malapena era in vita. Se fossero riuscititi a trascinarci fuori, non saremmo sopravvissuti. Ma per fortuna, arrivarono due auto di pattuglia della KFOR e iniziarono a sparare in aria. Fino a quel momento ero ancora cosciente, poi entrai in coma. Quello che accadde dopo lo so dalle storie di coloro i quali erano con me”.

 

Bogdan Bukumiric fu ricoverato all'ospedale locale. Un'altra vittima della sparatoria, Panto Dakic, era lì.

 

“Panto era in un letto accanto al mio. Sia il personale medico che i pazienti si divertivano: 'Voi volevate il Kosovo, eccovelo!', 'Chiunque ha fatto questo, è un bravo ragazzo!'. Il padre di Panto teneva con una mano la mano di suo figlio e con l'altra la mia. Venne un medico albanese, ma il padre di Panto non lo lasciò visitare, dal momento che non si fidava di lui. In quel momento il mio amico morì. I medici credevano che fossi morto anch'io. Tuttavia, un medico che era venuto dal nostro villaggio stabilì che ero ancora vivo. Ha insistito che mi trasportassero in elicottero nella parte nord di Mitrovica. Il peronale della KFPOR asserì che necessitava di un permesso. La dottoressa cercò di convincerli per tre ore, e infine, un elicottero portò un altro ferito, Marco Bogicevic, a Prizren, e poi mi portarono nell'ospedale delle truppe francesi della KFOR , nella parte meridionale di Kosovska Mitrovica”.

 

Milena Cvetkovic, un medico della parte settentrionale di Mitrovica, giocò il ruolo più importante nel salvare la vita di Bogdan (il proiettile era passato a due centimetri dal suo rene sinistro). Ma quando ci fu un ritardo nell'ottenere un neurochirurgo, il medico insistette che il ragazzo fosse trasportato a Belgrado. Naturalmente, ad un elicottero serbo non era permesso di atterrare sul territorio del Kosovo. Così, Bogdan fu portato in macchina nella Serbia centrale e da lì – all'Accademia Medica Militare della capitale. La pressione del sangue di Bogdan era scesa a 40, ma il dottore prese tutte le misure necessarie e riuscì a stabilizzarlo. A causa degli infiniti ritardi burocratici della KFOR, l'intero processo del trasporto del ragazzo semi-vivo richiese 11 ore.

 

“Quando i medici dell'Accademia Medica Militare scoprirono che nel mio corpo era rimasto solo 1,4 litri di sangue al posto dei normai 5-5,5 litri, decisero di non effettuare l'intervento subito. Ricevetti una trasfusione di sangue e l'intervento fu previsto per la mattina successiva, con la  previsione seguente: 4 per cento di possibilità di sopravvivere, 96 per cento di probabilità di morire. Il 19 agosto, giorno della Trasfigurazione, ero fuori dal coma e il mio neurochirurgo disse che non credeva che avrei potuto riprendere conoscenza, tutto dipendeva dal mio organismo”.

 

Ma era solo l'inizio: Bogdan aveva la febbre alta e si scoprì che le schegge di osso avevano danneggiato la corteccia. Bogdan è sopravvissuto a quattro interventi chirurgici, ha avuto la meningite, ed è stato immobilizzato per quattro mesi – solo il lato destro del suo corpo funzionava. Ma grazie agli esercizi e, naturalmente, alla sua perseveranza, si è rimesso nuovamente in piedi. Molti funzionari sono andati a trovarlo in ospedale, tra cui Harri Holkeri, che all'epoca era il capo dell'UNMIK.

 

“Si affrettò a prendere un aereo, mi chiese della mia salute e mi augurò una pronta guarigione e il ritorno al mio villaggio, dove tutto era tranquillo e sotto controllo. Io gli chiesi: Mr. Holkeri, posso farle una domanda? Avete arrestato i criminali? Lui chiaramente non si aspettava una simile domanda da un ragazzo di 15 anni. Rimase sulla difensiva, e disse che stavano lavorando al caso, ma che non avevano ancora raccolto prove sufficienti”.

 

Per molti anni Bogdan ha tenuto corrispondenza con varie organizzazioni internazionali in Kosovo. Esse promisero di «non lasciare nulla di intentato» al fine di trovare gli assassini: tra il 2003 e il 2007 non è stato fatto molto, poi un nuovo gruppo ha avviato le indagini da zero. Gli scrissero che se nuove prove fossero emerse, l'inchiesta sarebbe proseguita. Con tutto ciò – dice Bogdan – la giustizia finirà per avere la meglio.

 

“Dei mostri hanno sparato a bambini che si divertivano al fiume... I più giovani tra i bambini avevano circa cinque anni. E si trattava di un piano accuratamente preparato – per terrorizzarci. Non potevamo allontanarci dal villaggio e hanno deciso di colpire l'elemento più sensibile nel sentire di ogni persona: i bambini.

 

Bogdan è passato attraverso molti corsi di riabilitazione ma ancora oggi non riesce a controllare completamente il braccio sinistro. Forse in Russia ci sono medici che mi possono aiutare, perché dopo tutto quel che ho vissuto ho il diritto a che le cose possano andare per il meglio –  dice. Tuttavia, il destino ha in serbo un altra «sorpresa» per Bogdan Bukumiric. Nel 2003 ha ricevuto un appartamento nella capitale serba con un diritto di uso a lungo termine. Poi la decisione è stata mutata e allo stato attuale lui non ha firmato ogni anno il rinnovo del contratto di locazione. Bogdan teme che un giorno potrebbe essergli ricordato di siffatti termini a condizioni di mercato guidate, e gli venga chiesto di andarsene.

 

Il giornale “Vecernje Novosti” ha lanciato una campagna per raccogliere fondi per acquistare l'appartamento, il cui valore stimato è di 59.000 euro. “Non ho tutti quei soldi, sono costretto a chiedere aiuto agli altri. Sembra che lo Stato non sia interessato al mio problema. In questo momento circa 6.000 euro sono stati raccolti. Non so dove trovare la somma restante. Questo problema dev'essere risolto entro un mese o due”.

 

Bogdan vive con il fratello e il padre. Sua madre morì quando il giovane aveva cinque anni. Egli attualmente non sta lavorando, anche se si è diplomato a una scuola per elettricisti. Egli si è completamente dedicato al recupero della sua salute. Bogdan Bukumiric non può tornare a Gorazdevac perché dev'essere costantemente sotto osservazione dei migliori medici disponibili nella capitale. Ma gli altri bambini feriti in data 13 agosto 2003 continuano a vivere nel villaggio di Gorazdevac. Le famiglie degli assassinati Panto e Ivan sono anch'esse lì.

 

“Al cimitero di Gorazdevac c'è una chiesa che è la più antica dei Balcani. Fu costruita senza un solo chiodo otto secoli fa. E io credo che protegga la mia patria. Gorazdevac non è stata bruciata durante la Prima Guerra Mondiale, non è stata abbandonata nella Seconda Guerra Mondiale, o nella guerra del 1999 o nel corso di tutti gli eventi che seguirono; il mio villaggio ha vissuto tutto questo…”.

 

Irina Antanasijevic, un insegnate di lingua e letteratura russa che ha vissuto in Kosovo per alcuni anni, scrisse nelle sue memorie in merito agli inizi del 2000. “Il disarmo del Kosovo è stato il disarmo dei contadini serbi, gli assassinii che si trasformarono in un qualche tipo di sport. Non era nemmeno un tipo di sport estremo. Non c'era alcun pericolo. Andare... sparare... lasciare, e poi sarebbero arrivati i soldati, che avrebbero disposto l'evacuazione dei cadaveri e spostato le pietre...”

                                                                       

                   Da Voice of Russia (5 febbraio 2013)

 

                                                    Traduzione di Paolo B. per SOS YU- Kosovo/CIVG

 

                                       

 

Tratto dal Dossier “ Viaggio nell’apartheid”, curato da Enrico Vigna, pubblicato dalla Rivista dei Missionari, nella parte relativa all’enclave di Gorazdevac:

 

“…Cos’è un enclave…. Un territorio, un villaggio, una ristretta area completamente chiusa, dove si sono rifugiate quelle ultime migliaia di serbi e non albanesi, che dopo i bombardamenti del 1999, non hanno accettato di essere cacciati dalla propria terra e di scappare in Serbia o altrove. Qui vivono barricati, circondati da mezzi militari delle forze internazionali ( Kfor) e spesso dal filo spinato, in una condizione umana di prigionieri e assediati; dove nessuno può uscire, se non sotto scorta militare in autobus collettivi, e solo per emergenze, pena il rischio di venire ammazzati.

“ Qui chi non impazzisce non è normale “, c’era scritto sul muro di una scuola dell’enclave serba di Gracanica….prima che distruggessero anche il muro.

 

In questi quattordici anni ho seguito costantemente e davicino le vicende del Kosovo Metohija, ma la realtà vista e constatata nel vivo della vita quotidiana sul posto, ha superato qualsiasi analisi, valutazione o cognizione di causa.

Le parole dette da un militare italiano in una chiacchierata informale, penso possono dare un’idea della realtà delle enclavi : “…per un mese dal mio arrivo sul posto, sono rimasto scioccato da cosa vedevo e conoscevo circa le enclavi e la vita in esse…”. Parole di un militare, membro di truppe di occupazione straniera.

 

…Un dato che emerge nella conoscenza della situazione sul campo e diretta, è quello di  divisioni interne alle comunità delle enclavi: è evidente che questo è anche il frutto del lavoro di frammentazione e disgregazione delle comunità, che è un obiettivo delle forze di occupazione, perché rende tutto più semplice a loro e tutto tremendamente più complicato per chi vuole resistere.

In una situazione di miseria e sfacelo totale dal punto di vista sociale, bastano poche centinaia di euro o banali facilitazioni e agevolazioni, per tentare dividere e spaccare la gente.

Per esempio una delle cose che spacca in due le comunità delle enclavi è l’accettazione o il rifiuto dei rappresentanti delle comunità indicati dalla Kfor: una parte rifiuta di riconoscere chi non è indicato o eletto direttamente dalla gente, altri per paura di non aggravare ulteriormente la situazione quotidiana di vita, contrastando gli occupatori e indispettendoli, accettano rendendosi collaborativi e inermi. Chi si rifiuta, come una parte dell’enclave di Gorazdevac, continua a mantenere propri rappresentanti i quali pur non avendo titolo come gli altri indicati dalla Kfor, trattano sui problemi e sulle richieste della comunità, arrivando a forme di resistenza e scioperi, come successo nel mese di dicembre, appoggiando uno sciopero di protesta dei maestri della scuola dell’enclave, contro la situazione di completo degrado scolastico e della situazione di vita degli scolari, oltre a rivendicazioni economiche e di diritti civili. Tutta l’enclave ha appoggiato questa lotta, mantenendo occupato tutti i giorni il piazzale dove c’è la Kfor e l’Unmik ( il virtuale governo amministrativo ONU del Kosovo), fino al termine dello sciopero; e quando la stessa Kfor e l’Unmik hanno deciso di cambiare il direttore della scuola per insediarne uno “nuovo” e più “adatto” alla nuova situazione, la comunità, si è stretta con proteste e dichiarazioni ferme, contro il cambiamento e a difesa del ruolo e dell’operato del direttore attuale, costringendo al rinvio (.. per ora) della sostituzione.

Un'altra storia di resistenza è stata quella relativa al monumento interno all’enclave; infatti a Gorazdevac c’è l’unico monumento alle vittime della Nato, insieme a quello di Belgrado, nei Balcani. Avendo la scritta sotto le foto, di “vittime della Nato”, la Kfor voleva che si levasse la frase perché ritenuta sconveniente e di danno “all’immagine” dei liberatori altrimenti l’avrebbero demolito, anche in questo caso la ferma determinazione della gente, che per giorni ha presidiato la piazzetta dove è situato il monumento minacciando disordini se fosse stato  toccato, ha impedito ( ..per ora) che questo avvenisse. Insieme alle foto delle vittime dei bombardamenti, il monumento  porta anche le foto dei due ragazzi assassinati dai cecchini dell’UCK nell’estate 2003, e dove altri quattro ragazzi furono colpiti e sono rimasti invalidi.

Marcate sono la sfiducia e le contraddizioni  verso i rappresentanti ufficiali serbi delle comunità serbe del Kosovo….si sente chiaramente l’assenza di una forte  leadership sul campo, che riesca a dare indicazioni e prospettive positive e costruttive, per far uscire il popolo serbo kosovaro, da una situazione di annichilimento e totale sconfitta. Ancora di più profonde sono le distanze e l’estraniamento dai partiti politici di Belgrado, la dimostrazione si è avuta con il totale rifiuto a votare nelle elezioni dello scorso anno e nelle precedenti l’affluenza era stata la più bassa storicamente.

Generale e profonda è l’ostilità verso la comunità internazionale, ritenuta colpevole di tutto quanto è successo, persino più responsabile dello strumento estremista albanese, che tra l’altro nel 1998 era stato praticamente debellato, sia politicamente che militarmente, poi è stato assunto e diretto dalle centrali estere e la partita è stata capovolta, portando il Kosovo nell’abisso sociale e umano in cui è ora.

In ogni dove, qualsiasi persona con cui si parla, fosse un lavoratore, un contadino, una donna, un rappresentante di comunità, un religioso, sempre viene fuori la frase: “ Siamo soli, ci hanno abbandonato tutti, si sono dimenticati di noi...”. E non è una cantilena retorica o una piaggeria, si sente una coscienza e una lettura della posta in gioco, fatta da uomini semplici ma forse molto più “consci e intelligenti” della propria situazione e condizione ( in relazione ad eventi e dinamiche internazionali, di cui anche la loro vita è parte diretta ), di tanti sofisti e militanti qui da noi, che spesso non vanno oltre letture di provincia o regione nella comprensione della propria esistenza sociale….”

 

L’amara e tragica constatazione a distanza di alcuni anni è che questa gente semplice, di popolo, non si sbagliava… oggi più che mai il popolo serbo del Kosovo Metohija è veramente solo e senza un futuro visibile e…vivibile.

 

“…

La vita (…?…) dentro le enclavi.

Nell’enclave di Gorazdevac sopravvivono circa 760 persone.

Prima dei bombardamenti del ’99

Nelle parole del nostro referente locale, l’ex operaio Zastava Milko, frammenti degli avvenimenti e delle verità nascoste o falsificate per “formare” una opinione pubblica occidentale consenziente alla “necessità della guerra umanitaria”.

“…Il nostro vicino di casa era albanese e per oltre trentanni abbiamo vissuto da buoni vicini e amici, in tutte vicende della vita quotidiana. Anche negli anni prima del ’99, quando gli estremisti albanesi facevano protestare per maggiori diritti e per più autonomia, ogni famiglia di loro era obbligata a  partecipare in qualche modo, in quanto l’UCK era clandestino e commetteva  numerose aggressioni ed attacchi, soprattutto contro albanesi che erano indifferenti o distaccati a quelle proteste; di fatto nessuno di loro poteva esimersi dal farle, altrimenti gli ammazzavano animali o bruciavano i campi, o peggio attaccavano la casa o le persone, se sapevano che erano addirittura contrari. Così per non incorrere in questo, anche i nostri vicini facevano scioperi della spesa, o non mandavano a scuola i bambini, non pagavano le bollette e altre cose, ma l’accordo tra noi era che,  in quei periodi, gli facevamo noi la spesa, badavano ai campi o alle bestie se bisognava portarle fuori, gli procuravamo medicine o altre piccole commissioni o fabbisogni giornalieri; questo per dare l’idea di come era la vita di tutti i giorni, e questo valeva anche tra le altre famiglie del villaggio…. Amici e buoni vicini per 30 anni e poi…una sera durante le violenze e gli assalti, mentre la mia famiglia era profuga in Serbia ed io ero rimasto, vivendo nei boschi intorno alla casa, sperando che non la bruciassero, una sera aspetto il mio amico al suo ritorno dai campi, cercando il momento che nessuno ci potesse vedere, sapendo che se si sa che un albanese parla con un serbo, rischia di essere ucciso dall’UCK. Avevo pensato di regalargli la mia mucca prima che venisse rubata o ammazzata dai terroristi, lo chiamo ma  lui non mi saluta più, mi guarda come fossi un fantasma, uno sconosciuto ed il fratello che era venuto dall’Albania, mi insulta e minaccia urlandomi che avrebbero ammazzato tutti i serbi e che dovevo andarmene via subito se non volevo morire….Ma non è stato tanto questo, lui non era un mio amico, è stato guardare negli occhi una persona con cui hai vissuto vicino per trentanni ed essa fa finta di non conoscerti, io so che  forse era per paura o terrore di essere considerati amici dei serbi, per paura di quelli dell’UCK, per salvare la propria famiglia, la propria casa, la terra, so che potrebbe essere per questo,ma….in quel momento, quella sera in quel sentiero sulle nostre terre, dei nostri campi, che ogni sera percorrevamo insieme per tornare dalle nostre famiglie, nei nostri focolari, quella sera ho pianto. Ho compreso fino in fondo che nulla sarebbe più potuto tornare come prima, mai più. Non solo perché si stava vivendo una situazione spaventosa, non solo perchè quello è stato il tradimento di una amicizia, il tradimento di trentanni, ma perché è stato un tradimento nell’anima. Eravamo sempre stati amici, i bambini cresciuti insieme, feste fatte insieme, aiuti reciproci e questo non lo si potrà più dimenticare, ma non si potrà più tornare come prima, nulla potrà mai più essere come prima, ci hanno traditi, forse per paura del terrore dell’UCK, forse per opportunismo e prendersi le nostre case e terre, forse, forse, forse…. Ma nulla e nessuno potrà cancellare cosa è successo e cosa ci hanno fatto. Noi non lo dimenticheremo mai e neanche i nostri figli…”.

 

Come scriveva il poeta serbo di inizio novecento V.P. Dis:

“…i tempi neri della distruzione sono arrivati.

Sono gonfiati la feccia, il vizio, la malvagità.

Il marcio puzzo del declino si è levato.

Tutti gli eroi e i poeti sono morti.

Le tane, i covi e i canali sono scoperchiati,

i sotterranei sono elevati al sole del giorno.

Tutti subdoli, tutti maledetti, tutti piccoli….”

 

 

La situazione sociale dentro le enclavi : Gorazdevac.

 

Sanità : una stanza è adibita ad ambulatorio, con la presenza di una dottoressa del posto che vive all’interno dell’enclave; oppure in altre enclavi, viene portato un medico sotto scorta una o due volte la settimana ad incontrare la gente.

Mancano praticamente tutti i tipi di medicine ( vi sono solo quelle donate, in  questa occasione abbiamo portato tre scatole di medicinali raccolte, erano alcuni mesi che non ricevevano nulla: ma le nostre medicine non erano specifiche, bensì una raccolta generica, quindi forse neanche un palliativo, come utilità ); non vi sono strumenti, macchinari per fare esami. Per essere curati o in casi di malattie o problemi, occorre fare una richiesta 72 ore prima alla Kfor ( forze militari internazionali), per poter essere portati sotto scorta  all’ospedale di Mitrovica nord, cittadina con la più alta concentrazione della comunità serba, e ricevere cure o fare controlli ed esami, questo per casi urgenti, per il resto si può aspettare anche mesi. Ovviamente nelle situazioni in cui quei tre giorni   possono essere decisivi, si muore e pazienza, come già successo per vari casi sia di anziani causa problemi cardiaci, sia per bambini che necessitavano di ricoveri o interventi immediati. Quindi per morire è sufficiente che sia necessario anche solo un semplice farmaco che lì non c’è,  o un semplice intervento di pronto soccorso che lì non esiste.

Ma c’è anche lo spaventoso problema delle conseguenze dei “bombardamenti umanitari “ con l’uranio impoverito, un argomento top secret, su cui non si hanno dati, cifre o numeri, ma che ormai è entrato normalmente nella vita della popolazione kosovara, questa volta in modo unitario e paritario, in quanto per “liberarli” li hanno abbondantemente investiti di centinaia di tonnellate di proiettili “arricchiti di uranio impoverito” : ci sono mappe e cartine del Dipartimento Pubbliche Informazioni dell’ONU  dove risulta praticamente uranizzata l’intera area, in ogni suo angolo e dove l’inquinamento della terra e delle falde acquifere è praticamente ufficiale; tanto che l’uso dell’acqua dei rubinetti è sconsigliata anche solo per lavarsi i denti, figurarsi per dissetarsi o fare da mangiare: gli stessi soldati della Kfor hanno l’ordine di non bere assolutamente acqua fuori dalle loro basi, al cui interno viene usata esclusivamente solo acqua minerale.

 Ma sorge una domanda: e chi non ha soldi sufficienti per fare scorte di acqua minerale per tutti gli usi? E chi, come i prigionieri delle enclavi, può procurarsi solo periodicamente e in non grosse quantità l’acqua minerale, quale destino gli spetta? Intanto ufficiosamente si sa già che sia tra i neonati degli ultimi tempi, che nelle stesse nascite di animali, sono centinaia già i casi di deformazioni e malattie, legate all’uranio impoverito.

Ha denunciato il padre francescano J. M.Benjamin: “…Il 70% della regione del Kosovo e il 30% della Serbia sono contaminati. E’ scandaloso e riprovevole il comportamento dei mass media di tutto il mondo nei confronti dell’uranio impoverito…Ancora una volta gli organi di informazione si mostrano asserviti ai dettami del potere che, come d’abitudine, rende noto solo  quanto conviene ai loro scopi…”.

Lavoro: l’unica forma di lavoro è in piccoli appezzamenti di terra esterni alle case, ma  interni alla zona protetta. L’enclave è formata da due zone : quella dove vive la comunità con la case non distrutte o incendiate, con un diametro vitale di circa 1 Km, dove vi è la prima linea di controllo della Kfor e la più vigilata ( in cui vi è anche il campo militare della Kfor ), da dove nessuno può entrare o uscire senza permesso. La seconda fascia è formata da campi e da boscaglia circostanti il villaggio, anche questa di circa 1 Km, meno controllata e quindi più pericolosa, a sua volta circondata da una seconda linea più esterna di vigilanza della Kfor; ed in questa gli uomini ogni giorno vanno a lavorare un pezzo di terra, con il rischio quotidiano di non tornare a casa per via dei cecchini o di raid terroristici improvvisi, o di mine sparse intorno dall’UCK, come più volte successo in questi anni. Per il resto non c’è nessun altro tipo di attività produttiva, se si esclude l’allevamento di animali ad uso del sostentamento familiare.

Scuola : nell’enclave di Gorazdevac, vi è solo la scuola elementare, con circa un centinaio di bambini,  con la presenza di alcuni maestri e un ottimo direttore, che l’Unmik (Missione dell’ ONU) voleva sostituire con uno più “ fiduciario” ai suoi interessi ed esigenze amministrative, ma che la comunità con forti proteste ha fermamente difeso e preteso restasse nel suo incarico. La vita dei bambini ruota tutta intorno alle ore passate nella scuola,  dove tutto è vetusto e fermo a cinque anni fa, e dove manca ogni cosa,  dalla cancelleria alle attrezzature. Il resto delle loro giornate, da cinque anni a questa parte, è in casa o nelle strade sterrate del villaggio, perché non devono assolutamente neanche andare in prossimità delle ultime case, per non rischiare di venire colpiti da eventuali cecchini; come avvenuto ad Agosto del 2003, quando un gruppo di ragazzi dell’enclave andato a poche decine di metri a bagnarsi in un torrente è stato assalito con raffiche di mitra dal bosco, con due ragazzi assassinati e altri quattro feriti, di cui due rimasti invalidi permanenti.

Per i ragazzi delle enclavi che vanno alle superiori o all’Università, l’unica possibilità è frequentare nella cittadina di Mitrovica nord, andando all’inizio della settimana con l’autobus scortato dalla Kfor e rientrando al venerdì, dormendo da parenti o alla casa dello studente; mentre per chi fa l’Università la cosa più semplice e dare solo gli esami senza frequentare.

L’economia della comunità si basa esclusivamente su orti familiari, sulle pensioni degli anziani erorate dalla Serbia ( 50 o 60 euro) e sul sussidio mensile di disoccupazione ( 60 euro, che scadrà a settembre 2005) degli unici 17 ex lavoratori della Zastava di Pec, che dal Marzo ’99 non possono più recarsi al loro posto di lavoro…colpevoli di essere serbi. Nell’enclave vi è soltanto un negozietto bazar rifornito periodicamente di prodotti su richiesta ed un bar, dove non vi sono neanche sedie.

Diritti:  su questo aspetto c’è poco da dire, chi vive nelle enclavi è di fatto un prigioniero, ma anche un essere umano senza nessun tipo di diritti, da quelli umani, a quelli civili, a quelli sociali.

Il Kosovo di oggi è una situazione di apartheid, dove chi non è di origini schipetare (albanesi), sopravvive in una sorta di limbo fondato sul razzismo etnico; dove sono negati il diritto al lavoro, ad essere curati, all’istruzione, alla spesa anche solo per il sostentamento alimentare della propria famiglia, alla libertà di movimento, al diritto del proprio credo religioso; persino la continua e provocatoria interruzione della fornitura dell’acqua ed elettrica, sono usate per rendere impossibile  l’uso dei frigoriferi, che significa l’affamamento, in quanto le scorte alimentari marciscono; delle radio e tv, dei telefoni, unico filo virtuale di comunicazione col mondo reale, praticamente impedendo anche una allucinante normalità. In compenso la Compagnia Elettrica Kosovara sta mandando a tutte le famiglie serbe ancora presenti, le bollette con gli arretrati di tutti questi anni, bollette che arrivano anche a 1000 euro.

In pochi giorni siamo stati subissati da decine, centinaia di storie e vessazioni, da quella di un semplice contadino del posto bastonato, pestato a sangue, arrestato perché indicato da un albanese come un criminale e dopo tre anni di prigione, senza avvocati né interrogatori di alcun tipo, rilasciato e minacciato di morte se non abbandonava il Kosovo.

Oppure al storia di una madre di 5 figli ( aiutata dalla nostra Associazione) a cui i banditi dell’UCK hanno ucciso il marito e poi bruciato la casa. Ora i resti della casa  si trovano ai lati della base della Kfor, che le impedisce di tornare a viverci per motivi di sicurezza militare; per lei tornare lì anche se diroccata, è meglio che continuare a vivere in case di altri che la ospitano, in quanto non ha più nulla. Per cui ha deciso che pianterà una tenda dove c’era la casa e la Kfor dovrà cacciarla con la forza insieme ai suoi bambini.

Oppure il comportamento della Kfor durante il capodanno albanese, alcuni di loro sono andati verso l’enclave sparando raffiche di mitra e lanciando granate, con la Kfor che, dopo le proteste della gente dell’enclave perchè intervenissero a sequestrare le armi ( visto che le enclavi sono state minuziosamente perquisite alla ricerca delle armi), indispettita ha intimato ai serbi di rientrare nelle case e di non insegnare a loro cosa dovevano fare, aspettando che se ne andassero tranquillamente con le loro macchine. Per poi, durante il capodanno ortodosso accorrere e sequestrare ai bambini serbi dell’enclave alcuni petardi con cui giocavano…perché disturbavano.

Oppure la storia di quell’anziano, il cui figlio era venuto in Italia in cerca di lavoro ed ora è in regola con i documenti, l’ha invitato prima che muoia, a rivedersi in Italia dopo 5 anni, ma lui non può andare perché è un cittadino….che non esiste più: infatti dovrebbe avere il timbro dal consolato italiano di Pristina…ma lui non può uscire dall’enclave e andare a Pristina, perché essendo serbo lo possono ammazzare…..e così via, racconti per giorni, mesi interi. 

Penso possa dare l’idea della situazione allucinante, da antico Far West… ma accade nel 2005, è la norma di sostituire le targhe prima di avventurarsi per le strade del Kosovo, infatti una macchina con le vecchie targhe federali sarebbe immediatamente attaccata e i suoi occupanti probabilmente ammazzati; così, come abbiamo fatto anche noi, pur avendo la scorta armata della Kfor, cacciavite e copia taroccata di una targa kosovara e via, nel regno della democrazia e della civiltà portate dall’occidente, con buona pace di quei primitivi e cavernicoli cittadini kosovari che, fino al 1999 fossero stati di qualsiasi etnia o TRIBU’ autoctona del Kosovo Metohija, avrebbero potuto andare dove gli pareva e con chi gli pareva.….Tra l’altro non erano invitati a violare le leggi del proprio stato, infatti l’invito, in realtà quasi un ordine dato dalla Kfor ( in quanto altrimenti non rispondono della vita di chi non lo fa), è paradossalmente un invito a compiere un atto che, come era nel Kosovo incivile fino a 5 anni fa e come è in qualsiasi paese della Terra, un REATO: sostituire le targhe delle auto a seconda delle zone in cui ci si trova, addirittura ci sono zone dove si è autorizzati a girare senza targa….tanto il Kosovo è “libero”!!! …..Però non c’era la civiltà e la democrazia!  

Altro che i bla bla bla occidentali sulla libertà e la democrazia: è il diritto alla vita stessa che viene negato oggi in questa parte d’Europa. In quanto cercare di perseguire anche uno solo di quei diritti significa oggi rischiare di essere assassinati: una vita quotidiana, da anni riempita di terrore, di angoscia, di vessazioni materiali e morali, di stress con conseguenze devastanti nella psiche dei bambini, ma anche degli adulti; questo è oggi la provincia del Kosovo Metohija, questo è il risultato dell’aggressione alla Repubblica Federale jugoslava del 1999, la famosa “guerra umanitaria” con i “bombardamenti etici”, perché, dicevano bisognava portare i “diritti” in quella regione, impedire violenze o addirittura genocidi.

VERGOGNA Europa, Italia ed Occidente.

Sfido chiunque a dimostrare, dati e documentazioni alla mano, che UNO SOLO dei diritti negati oggi ai serbi e alle minoranze non albanesi del Kosovo, fosse negato prima del Marzo 1999 alle varie minoranze che vivevano lì da secoli ..…erano 14 quelle riconosciute…prima.

Oggi quante sono?! Non va tra l’altro dimenticato, che anche molte migliaia di kosovari albanesi, sono dovuti scappare in Serbia per non essere uccisi, perché considerati jugoslavisti. 

Coma ha detto Dragan un ex lavoratore della Zastava di Pec: “… la democrazia dell’occidente, è una parola vuota, falsa, è un linguaggio che non riusciamo a capire. La democrazia noi l’avevamo prima, perché ognuno aveva il proprio lavoro, la propria terra, le proprie tradizioni e feste, la propria religione e le proprie chiese, i diritti e i doveri sanciti per tutti. Oggi c’è solo più distruzione, odio, violenza, terrore, criminalità. Ecco cosa ha portato la democrazia occidentale qui…”. 

Dov’era il genocidio, dove sono le fosse comuni, i massacri, gli stupri di massa, le persecuzioni, dov’erano i diritti negati? 

Domande a cui oggi c’è solo più il silenzio come risposta, da parte di tutti coloro che si sentirono arruolati nella lotta del bene contro il male. Dove naturalmente il bene era la Nato, le bombe umanitarie, i politici e  i mass media occidentali, persino grandi parti del movimento pacifista, che pur con qualche distinguo ritennero “necessario” fermare i “demoni”, i violentatori, gli assassini…ovviamente rigorosamente serbi. 

Ed oggi che la grande menzogna, la sbornia collettiva mass mediatica è svelata, dimostrata, è sotto gli occhi di chiunque vuole capire, vuole pensare con la propria testa… OGGI dove sono queste anime belle, candide della politica e della disinformazione, che scrivevano, declamavano in televisione la loro indignazione, il loro rancore contro le ingiustizie e la violenza ?

Dove sono questi signori, questi uomini e donne di grande coscienza, cosa scrivono, cosa dicono degli oltre 300mila profughi di tutte le etnie, ma nella stragrande maggioranza serbi, scacciati dalla propria terra?

Cosa dicono, cosa scrivono degli oltre 3000 assassinati o desaparecidos rapiti e ormai dati per uccisi, dalle stesse forze internazionali, dal marzo’99 ad oggi ( questi sì documentati )?

Cosa scrivono e cosa dicono delle centinaia di migliaia di case bruciate e distrutte ?

Cosa dicono e scrivono dei 148 monasteri e luoghi di culto ortodosso, vere e proprie culle non solo della storia del popolo serbo ma dell’intera umanità, attaccati o distrutti dalle forze terroristiche dell’UCK, il grande alleato dell’occidente ?

Cosa scrivono e dicono di un popolo, quello serbo, costretto a scappare dalle proprie case e dalla propria terra, per non morire; costretto a sopravvivere in  un regime quotidiano di terrore

e di apartheid, in campi di concentramento a cielo aperto, circondati e assediati ?

Con l’unica colpa dell’appartenenza etnica.

Cosa dicono e cosa scrivono di una regione “liberata” che è indicata da tutti gli esperti investigativi internazionali come il crocevia e lo snodo di tutti traffici illegali, dalla droga alle armi, dalla prostituzione a quello degli organi?

La sensazione molto radicata è quella che abbiano paura, timore di capire la verità. Paura di conoscere la realtà, forse perchè in quel caso, la malafede o la faziosità precostituita di ciascuno sarebbe evidente e riconosciuta.

Attraverso questa relazione vorrei lanciare un APPELLO INVITO, a giornalisti, operatori dei mass media, esponenti istituzionali o politici, onesti e liberi professionalmente, che ritengono ancora un dovere fare un informazione corretta, indipendente, sul campo, forse anche scomoda, rispetto al circo mass mediatico e asservito, a cui abbiamo assistito vergognosamente in questi anni.

Facendomi “voce” come da loro richiestomi, di questo popolo e questa gente senza più voce, senza più giornali, televisioni; umiliata, vessata, violentata anche moralmente dalle falsità e menzogne della “disinformazione strategica”, addirittura annunciata e rivendicata come arma di guerra, dallo stesso Pentagono lo scorso anno.

Intendo dare una disponibilità completa  organizzativa e logistica, di poter venire là, incontrare, intervistare, conoscere, domandare e informarsi, senza limiti o preclusioni di alcun tipo….per cercare attraverso documentazione e testimonianze dirette, la realtà dei fatti e storica.

Faremo pervenire questo appello personalmente a un elenco di personalità del campo mediatico e informativo e attenderemo anche solo un riscontro e lo renderemo pubblico….”

 

 

 

                              PROGETTO “SOS Kosovo Metohija“

 

Abbiamo ricevuto questo appello dal Kosmet a seguito del viaggio di solidarietà condotto lo scorso anno; in quell’occasione insieme a SOS Yugoslavia abbiamo realizzato il video documentario

“Kosovo 2005, viaggio nell’apartheid”, una documentazione in dettaglio di come vive questa gente, della loro tremenda realtà.

Aiutiamoli almeno con cibo, materiale scolastico, farmaci…

Aiutiamoli a non sentirsi soli e abbandonati da tutti, diamo un po’ di speranza a quelli che pagano le conseguenze della guerra, nel cuore d’Europa, e che nonostante tutto, hanno il diritto alla speranza che la solidarietà non sarà negata loro.

Sostenete per quanto possibile, questo ulteriore sforzo.

Rajka Veljovic,  Ufficio adozioni e rapporti internazionali, Sindacato Samostalni Zastava

 

                 Appello dal Kosovo - Metohija (Kosmet)

Gorazdevac è l’unica enclave rimasta in Metohija a meno di 5 chilometri da Pec, dov’era la fabbrica Ramiz Sadiku, filiale della Zastava.

 Nell’enclave ci siamo noi, gli ex lavoratori serbi della fabbrica, a soli 5 chilometri di distanza dai nostri posti di lavoro che in tutti questi anni non abbiamo più potuto occupare. Viviamo in un ghetto, con le nostre famiglie e con altri profughi dal Kosmet d’etnie non albanesi. Possiamo muoverci liberamente solo all’interno di uno spazio il cui diametro è di circa 1 chilometro.

Una volta alla settimana, in convoglio e sotto la scorta della KFOR, possiamo andare a nord del Kosovo o a Gracanica per comperare le cose più necessarie; ogni altro tipo di movimento, anche la coltivazione dei campi attorno al paese, sono un pericolo di vita per la nostra gente. Come dice il nostro Djordje Jeremic, anziano del paese, da contadini e lavoratori dignitosi come siamo sempre stati, ora siamo ridotti a chiedere elemosine, a vivere come animali in gabbia, assediati e circondati dal terrore. Il numero degli abitanti nel villaggio varia da un convoglio all’altro. Qualche volta con il convoglio non rientra lo stesso numero di persone, perché ogni volta qualche famiglia decide di diventare profuga e non torna più; attualmente qui siamo ancora circa 1.000 persone.

Un terzo delle famiglie è rimasto senza casa, saccheggiate e bruciate dagli estremisti albanesi durante le ultime violenze. Chi viveva in case che si trovavano fuori dall’enclave, le ha dovute lasciare e scappare nel paese, perciò la comunità adesso ospita anche 30 famiglie provenienti dalle località limitrofe che sono state prese dagli albanesi.

E molto difficile vivere in queste condizioni, ma nonostante le drammatiche difficoltà non vogliamo arrenderci e non abbandoneremo il nostro paese e la nostra terra.

La corrente elettrica manca da mesi, così non possiamo conservare cibo deteriorabile e si vive con alimenti sempre uguali; l’acqua non c’è e le linee telefoniche funzionano saltuariamente; l’assistenza sanitaria non è garantita, perché l’ospedale più vicino è a Kosovska Mitrovica e possiamo andarci solo preavvisando la KFOR almeno 72 ore prima, in caso d’emergenza si può morire.

Nel paese, su 1.000 abitanti, gli unici che lavorano sono i 37 impiegati nelle scuole e altri 60 nella base militare. Prima della guerra la maggioranza lavorava nella fabbrica Zastava a Pec, e nella fabbrica di scarpe che si trova a 200 metri dal paese.

Gli ex lavoratori della Zastava di Pec sono sostenuti con un indennizzo di 50 euro al mese, fornito dall’Ufficio di Collocamento della Zastava di Kragujevac, ma verrà chiuso nell' agosto del 2006.

L’ex fabbrica delle scarpe è ora occupata dai soldati italiani che la usano come base, e le macchine sono ferme.

In questi giorni la fabbrica Zastava Ramiz Sadiku, è stata venduta dall’UNMIK al cittadino albanese Krasnici; egli vive negli USA ed ha comprato anche la centrale idroelettrica a Decani, l’albergo Dardania e centinaia di ettari di terra da coltivazione. La fabbrica è piena di foto di Ramus Haradinaj (Ndt: il capo dell’UCK incriminato per decine di omicidi e… in libertà provvisoria dal TPI), di conseguenza il lavoro per le etnie non albanesi non ci sarà mai più.

Noi speriamo che verranno tempi migliori, ma certo le previsioni sono molto brutte.

Le trattative attuali a livello internazionale ed europeo, e gli ultimi eventi nel governo albanese del protettorato, non ci danno speranze che il Kosmet potrà offrire condizioni normali per la vita delle etnie non albanesi. Bisogna sperare in un miracolo.

Ma noi vogliamo resistere qui, a difesa delle nostre case e della nostra terra.

Ci rivolgiamo alla vostra Associazione “SOS Yugoslavia” che è già stata fra noi a portare solidarietà concreta con il Progetto SOS Kosovo Methoija, insieme alla delegazione dell’Ufficio Adozioni e Rapporti Internazionali del Sindacato Samostalni di Kragujevac;

Vi chiediamo di continuare ad aiutare la nostra gente che soffre e resiste, per non lasciare soli questi nostri bambini e ragazzi  delle quattro scuole dell’enclave (scuola materna ed elementare, liceo, scuola tecnica e media superiore di economia) che raccolgono alunni del paese e alunni profughi per un totale di 210. Sono scuole senza vetri, ultimamente senza corrente, da sei anni senza manutenzioni e riparazioni, se non quelle di fortuna fatte da noi. Manca tutto, strumentazioni e cancelleria di qualsiasi genere. Mancano totalmente i mezzi economici per ricostruire e aggiustare i locali; e inoltre viviamo giorno dopo giorno con il terrore che anche noi saremo cacciati vi  se il processo di indipendenza si attuerà, come sembra. Per questo non sarebbe nemmeno opportuno investire energie o denaro su questo aspetto.

Vi chiediamo se possibile un aiuto in generi alimentari di lunga conservazione, non deperibili stante le condizioni in cui siamo costretti a vivere o meglio a sopravvivere, indirizzati ai nostri 210 bambini e ragazzi, che sono la nostra vera  motivazione verso il futuro, anche se buio.

Vi ringraziamo per quanto già avete fatto in questi anni per il nostro popolo e per la nostra terra martoriata, resterà per noi incancellabile.

La nostra casa sarà sempre la vostra e la nostra amicizia è già ora, per sempre.

 

La comunità (cittadini e cittadine) dell’enclave di Gorazdevac

Kosovo - Methoija, Marzo 2006

 


 

Raccogliendo questo appello, rinnoviamo il nostro impegno per l’enclave di Gorazdevac

 

Insieme ai nostri referenti locali abbiamo deciso di destinare un kit di generi di emergenza per ciascuno dei 210 bambini e ragazzi ancora presenti nell’enclave;

 

Il kit comprende:

6 kg. di detersivo, 5 saponette, 2 litri di shampoo, 2 dentifrici, 10 quaderni piccoli e 5 grandi, 12 matite, 10 penne, 3 kg di pasta e riso, 4 confezioni di cibo in scatola, 4 kg di biscotti, 200 gr. di caffè, 250 gr. di dado vegetale, 1 kg. Zucchero.

Questo è l’obiettivo minimo, sulla base di quanto riusciremo a raccogliere saranno aggiunti altri generi. Come sempre, di quanto raccolto sarà dato resoconto dettagliato.

Il progetto è di raccogliere i fondi per poter acquistare in Serbia il quantitativo da destinare all’enclave

 

Chiunque intenda esserne parte e contribuire, ci contatti con urgenza. Sottolineiamo l’urgenza, perché vogliamo realizzare la consegna in Aprile.    

       

Invitiamo singoli ed Associazioni a sostenerci in quest’ennesimo, non facile sforzo, perché come sempre i fondi non arriveranno da Enti o istituzioni ma da amici, compagni e lavoratori che in questi anni hanno permesso la solidarietà con il popolo serbo e jugoslavo

 

Il presidente di SOS  Enrico Vigna e Il Direttivo di SOS Yugoslavia - ONLUS


 

 

 

 

Monumento di Gorazdevac alle vittime della NATO e ai due ragazzi assassinati nel 2003

 

A cura di Enrico Vigna, Forum Belgrado Italia e

Associazione SOS Kosovo Metohija-SOS Yugoslavia – Marzo 2013