Un saluto a Trebinje dal Kosovo e Metohija

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Per tutti i miei quarantacinque anni e fino all’anno della guerra ho sempre vissuto e sopportato perché non sapevo dove sarei stata meglio. Tutti i miei parenti vivevano nel Kosmet per cui non sapevo dove sarei potuta andare per allontanare la mia famiglia dal Male che emerge, che percepivamo tutti i giorni e attendevamo per certo. L’insicurezza e il vociare nella strada della mia infanzia si è trasmesso anche nella crescita dei miei figli. Da bambina mi aspettavano davanti a scuola.

Tutto, come in un brutto film, si è ripetuto nell’attesa collettiva di un “Venerdì nero” e un “Martedì insanguinato” di quegli anni Novanta, quando sorvegliavamo sempre davanti alle scuole. Avevamo l’istinto di uccelli agitati, però aspettavamo. Aspettavamo che cominciassero a cadere le bombe perché iniziassimo a volare e disperderci in tutte le direzioni. Anche lì, dove siamo atterrati per riposarci e riprendere fiato, e dove siamo poi rimasti, non abbiamo percepito la quiete. Il nostro Sud ci chiamava come gli uccelli migratori che volano instancabilmente da una parte all’altra, sempre in regioni calde.

Dopo aver vagato per diciotto anni, per la prima volta ho percepito dove si trovava quest’altra regione calda: il posto in cui avrei potuto vivere: "Trebinje è la mia città!" ha esclamato il mio cuore. Sì, lì avrei potuto vivere.

Quando oltrepassate la sessantina e vivete ciò che vi è stato narrato, bello e brutto, gioite quando incontrate persone care. Vi fa piacere la sensazione di mancanza e di oblio. Così io, nell'Ottobre dello scorso anno, arrivai nella bianca Trebinje accettando l’invito di un collega dell’università, l’imprenditore di Trebinje Gajo Radovic.  Gajo ha studiato economia all’Università di Pristina, e così, mosso dai bei ricordi dei giorni studenteschi e di quella città, instancabilmente ha continuato a cercare i volti della sua gioventù. Dopo quasi quarant’anni ci siamo rivisti.

Quando un uomo è sano e giovane nell’animo, quando nutre amore verso altra gente, allora non ci sono ostacoli insormontabili. Con i professori Radosav Milosevic e Milovan Rosic, in occasione del mese del libro, abbiamo organizzato una serata di letteratura dedicata al mio lavoro e il giorno seguente, nel liceo “Jovan Ducic”, un’ora letteraria alla quale hanno preso parte la professoressa di letteratura Olgica Cica, i liceali e altri due professori.

Ciò che non si può immaginare, e che nemmeno con le parole si riesce a spiegare è il calore, la cordialità e l’amore espresso verso ogni persona che incontri in questi giorni. Sommando, e solo sommando, questa bontà l’amore trasborda da loro e da me in ogni momento che trascorriamo a Trebinje.

Il suolo del Kosmet è diverso: soffia sempre un’aria fresca così che anche in mezza estate le serate sono piacevoli. Gli inverni sono gelidi. Quando arrivano i giorni piovosi, arriva subito la freschezza. Qui, invece, mi sembra tutto caldo e irreale. Il viale del cortile ha da una parte le piantagioni di viti e dall’altra alberi di kiwi e frutti in grappoli pronti per essere raccolti. Le piante con i frutti di melograno, aperti dall’ultima pioggia, sono rosse e attirano la mia attenzione ad ogni passo. In una parte del cortile vi sono dei limoni maturi e gialli e alla mia domanda: “Quando saranno raccolti i frutti?” la moglie di Gajo, Sladjana, risponde “Quando ne avrò bisogno…”. È tutto biologico: il succo di santoreggia, il vino, i mandarini, il pollame, la marmellata di pomodori e i dolci mandarini che sbucciamo e che gustiamo, come facciamo da noi nel Kosmet con i semi. Le ciotole continuano a riempirsi. Si riempiono perché i discorsi sui tempi passati, sulle persone, su coloro che hanno segnato i giorni più belli della nostra vita, non si esauriscono: “Ti ricordi di quel fatto?", "Sai dove si trova Tizio?", "Ti ricordi di Caio?", "Quando abbiamo sostenuto l’esame da quel professore?", "Quando abbiamo passeggiato lungo il corso?", "E della gita?", "E quei due che si sono sposati…”, e così fino a tardi.

E Trebinje, la bianca Trebinje. Come se li avessi già incontrati tutti prima. Sono così presenti dappertutto. Jovan Ducic non si sa se sia stato più grande come poeta, come diplomatico o come patriota. Tutto insieme comporta che lo incontro ovunque, in ogni posto. Gli faccio un inchino davanti al monumento. Accendo una candela sulla sua tomba, in chiesa, sulla collina più bella da dove si vede tutta la bianca Trebinje. E la Trebisnjica scorre adagio e nel suo colore bluastro assorbe il cielo. Lo incontro a scuola, parlo con lui con un linguaggio non alla sua altezza, ci capiamo, gli alunni ridono, la campana suona e il cuore mi si riempie.

 

Jovan Ducic a Trebinje

A Tvrdos con tremore mi fermo davanti a San Basilio, pregando per lui sono grata a Dio per tutto ciò che mi ha dato in questi giorni e in tutta la mia vita. Nel tempio ancora una volta San Basilio. Nel monastero Petropavlovski vengo a sapere che l’apostolo Paolo ha passeggiato sulla terra dell’Erzegovina. Ha predicato in questa grotta e mi confermo nel credo degli avi, al quale lì, da qualche parte nella giovinezza, i comunisti mi vollero estrapolare. Il racconto evangelico del seminatore e del seme qui è così vivo. Il mio amore per il prossimo è così vivo perché tutti quelli che incontro mi regalano amore. La moglie del prete della chiesa, dopo la liturgia, mi regala un ramoscello di rosmarino e santoreggia. La poetessa Ruzica Komar mi regala libri e del suo tempo, il vecchio amico Vlado Cerecina, il quale inaspettatamente incontro, mi regala i ricordi dell’hotel bianco sotto i platani.

Come se mi fossi svegliata da un qualche sogno. Sono qui o là? In realtà, sia qui che là, io sono QUA.

Il monastero di Tvrdos è una donazione del Re Milutin. Lui è un così grande re e donatore da vivere con noi tutti i giorni nell’unica Gracanica nel Kosovo e in tutti gli altri monasteri e chiese. Ha  quaranta fondazioni, tanti quanti sono stati gli anni in cui è stato sul trono. Vive anche qua nella Tvrdos erzegovese. Sua madre, Elena, principessa della dinastia degli angioini, che è stata accolta in Serbia lungo la vallata dei lillà profumati nella valle dell’Ibar, la quale ha eretto diversi edifici per la collettività e scuole per le ragazze di quei tempi nel pianeggiante Kosovo e, anche qua, ha eretto un muro attorno la parte vecchia della città. La sua mano, parte delle reliquie nel monastero di Tvrdos, disse la guida, si crede appartenesse alla zarina Elena.

Madre Teodora di Gracanica  quando accompagna i credenti attraverso il Medioevo, sembra che li faccia entrare nel palazzo di re Milutin e li avvicina così vivamente a quel tempo tanto che nell’uomo si mescola la calma ai brividi. Quando le parlai delle mie impressioni di Trebinje e dei santi, lei tranquillamente disse: “Di che cosa ti stupisci? La principessa andava dai suoi fratelli in Francia e viaggiava per quella via. Questi viaggi duravano molto e lei poteva vedere che cosa poteva essere costruito in ciascun angolo del territorio serbo. E ha costruito.”

E così da giorni raccolgo emozioni di posti santi, dei santi Serbi, ma anche di noi: piccoli e semplici uomini quanto siamo ricchi quando abbiamo amore.

Il mio sentimento di bontà è confermato con un altro fatto. Robert Layous e sua moglie Laurence Germa Layous, contadini francesi, investigando sulla verità dei serbi, sono arrivati nella Repubblica Serba due anni fa e hanno capito che sono stati tratti in inganno da falsità mediatiche. Vivendo nella Repubblica Serba e nel Kosmet hanno conosciuto gente, vissuto sofferenze e povertà e hanno conosciuto l’ingiustizia. Nel contempo hanno conosciuto la dignità di un popolo, i costumi e un amore infinito. Portavano doni ma molto più grande era la gratificazione che ricevevano. Hanno riportato in Francia molte storie, lacrime, orgoglio e folklore.

Per questo motivo sono venuti ora nella Repubblica Serba per rendere onore, per festeggiare il Natale e il Giorno della Repubblica Serba.

 

Nel Giorno della Repubblica Serba, il 9 gennaio 2017       

Radmila Todic-Vulicevic

Traduzione di Jelena B. per SOS Yugoslavia – SOS KosovoMethoija/civg