Rifugiati e profughi a Torino

Via Paganini, ex Clinica S. Paolo, “Casa Bianca”, Corso Chieri, ex Villaggio Olimpico (MOI)……..E’ l’elenco, finora, degli edifici occupati a Torino negli ultimi anni da parte di rifugiati, richiedenti asilo, profughi: tutti, tranne l’ex clinica, tuttora occupati.

Migranti, profughi, rifugiati: se ne parla tanto (ma con quanta ipocrisia….) in questo periodo, sull’onda emotiva scatenata dall’ennesima enorme tragedia che ha visto 300 morti annegati di fronte a Lampedusa, uomini, bambini, donne anche incinte. Ma da 20 anni è uno stillicidio di morti in mare, sono oltre 15.000 nel nostro bel mar Mediterraneo, diventato una tomba collettiva (qualche anno fa uscì un interessante libro, di Marcella delle Donne, sul diritto d’asilo in Europa, dal titolo “Un cimitero chiamato Mediterraneo”, ed. DeriveApprodi).

Morti che sono il frutto d’un atteggiamento che da anni caratterizza la “Fortezza Europa”, quello di considerare il fenomeno sempre più imponente e continuo del “people in movement”, gente che fugge da guerra violenza miseria per cercare protezione, rischiando la vita, nei nostri paesi, come null’altro che un’emergenza, da affrontare in termini di ordine pubblico: quindi respingimenti in mare, internamenti in centri dove ogni diritto è bandito, espulsione e criminalizzazione. Si tratta invece d’una  drammatica realtà ormai intrinseca ad un mondo globalizzato e martoriato dai conflitti e dallo sfruttamento, una realtà che esige risposte improntate a dignità, umanità e rispetto delle convenzioni e dei trattati internazionali da tanti stati firmati e per nulla applicati, in primis dall’Italia (unico paese dell’Unione Europea che non ha ancora una legge organica sul diritto d’asilo).

Questi impegni internazionali vorrebbero, tra l’altro,  che chi ha ottenuto una protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria) goda di una serie di diritti, che gli consentano la concreta possibilità d’integrarsi attraverso una casa, un percorso d’istruzione e formazione, un lavoro. In realtà, nel caso italiano, lo SPRAR (Sistema di Protezione per Rifugiati e Richiedenti Asilo) è finora molto carente rispetto alle esigenze (6mila posti/anno a fronte di quasi 60.000 rifugiati), anche se una riforma in atto ne prevede l’aumento fino a 16mila. Va anche sottolineato che, nonostante le strida allarmistiche di tante forze politiche, l’Italia conta un numero di rifugiati irrisorio rispetto ad altri paesi europei: la Francia ne accoglie 200.000, la Germania 600.000…….

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Lampedusa: perseguitare i vivi, premiare i morti

Se vogliamo parlare della tragedia di Lampedusa, c’è poco da aggiungere agli ipocriti lamenti delle autorità europee e alle giustissime denunce di attivisti, organizzazioni e migranti. Da anni il teologo del Costarica di origine tedesca Franz Hinkelammert ha riassunto in due parole questa abbondanza di cadaveri ormai di routine, raccolti nei mari e nei deserti delle frontiere d’Occidente: “genocidio strutturale”.

Questa idea di “genocidio strutturale” implica, naturalmente, un’accusa: le strutture non si impongono da sole ma hanno bisogno di politiche che le mantengono in moto, decisioni politiche che eventualmente potrebbero anche disattivarle.

Quando una struttura è incompatibile nelle sue radici con la Dichiarazione dei Diritti Umani e con la più elementare dignità umana, le decisioni prese per mantenerla viva acquisiscono un’aura necessariamente truculenta, un odore di ludica crudeltà infantile, la forma di un grande sbadiglio nichilista.

Immagino che a Barroso e a Letta non sia piaciuto essere ricevuti a Lampedusa al grido di “assassini”. Non si sentono “assassini” e probabilmente provano un sincero orrore davanti alla pila di cadaveri ammucchiati ai loro piedi. Ma devono inghiottirsi gli insulti e i rimorsi di coscienza e rispondere in modo responsabile ai loro impegni con la “struttura”, dai quali in qualche misura dipendono anche i voti dei loro elettori.

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MUOS le carte segrete: "Io faccio Ponzio e tu Pilato"

Un prefetto, un diplomatico degli Stati Uniti d’America e una sfilza di generali e ammiragli. E un ministro della guerra e un viceministro degli esteri. Forse persino una talpa dell’Ambasciata Usa in un prestigioso istituto pubblico d’Italia. Tutti insieme appassionatamente per individuare una strategia che consenta alle forze armate statunitensi di aggirare lo stop ai lavori d’installazione del terminale MUOS nella riserva naturale di Niscemi. Sulla pelle e alle spalle di centinaia di attivisti No war che dal gennaio 2013 bloccano gli ingressi della stazione siciliana di telecomunicazione con i sottomarini nucleari in navigazione negli oceani per impedire il transito degli operai chiamati a realizzare il nuovo sistema di guerra satellitare.

A fine maggio gli hacker di Anonymus Italia hanno fatto incetta di e-mail e comunicazioni riservate del Ministero degli interni. Oltre 2.600 documenti prontamente messi online che svelano le trattative del Viminale per l’acquisizione di apparecchiature d’avanguardia da usare per fini investigativi e l’affidamento al cantiere navale “Vittoria” (Adria, Rovigo) dell’ammodernamento di otto unità libiche nell’ambito dei famigerati accordi di cooperazione Italia-Libia per il contrasto all’immigrazione (un contratto da 5 milioni di euro). Ma ci sono pure le informative sulle più recenti mobilitazioni studentesche a difesa dell’istruzione pubblica e le “istruzioni” per la garantire la sicurezza ai viaggi del Capo dello Stato. E, dulcis in fundo, i carteggi tra la Prefettura di Caltanissetta, la Farnesina, il Ministero della difesa e l’Ambasciata degli Stati Uniti a Roma. Oggetto il MUOS in via di realizzazione in Sicilia.

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Navi in fiera. La portaerei cavour, con due accompagnatrici, per sei mesi in giro per il mondo per fare promozione all’industria bellica (e non solo)

La proposta di “comunione” tra industria bellica e difesa, lanciata dal Ministro Mauro (vedi articolo su “Sole 24 Ore” del 7 ottobre 2013 dal titolo “Crociera ‘promo’ nel golfo e in Africa per la portaerei Cavour”) è totalmente inaccettabile sul piano etico e finanziario Tra i compiti della Difesa non è quello di fare “fiere” ambulanti per il commercio di armi, munizioni e merci di lusso, inviando in giro per il mondo, per sei mesi. tre navi con tutto il personale “spesato” per missioni all’estero. Con l’Italia in braghe di tela sul piano economico ci accolliamo allegramente un enorme costo per fare reclame perfino a ditte che producono motoscafi e yacht. Mentre non abbiamo soldi per dare accoglienza ai profughi, si spendono 200 mila euro al giorno per la sola Cavour. Non è precisato quanto occorre per le accompagnatrici (Bergamini e Etna?). E se la Cavour si rendesse necessaria in Mediterraneo, cosa faremmo?

Visto quanto è accaduto a Lampedusa  e visto che la portaerei è stata usata a Haiti come nave “Croce Rossa”, forse sarebbe più eticamente ed operativamente accettabile impiegarla nel canale di Sicilia per compiti umanitari. Magari potrebbe avvistare in tempo utile qualche naufrago. La Difesa non deve diventare Findifesa e le “comunioni” non debbono essere associate a “munizioni”.

 

Roma,  8 Ottobre 2013

Falco Accame

Censimento amianto porta-a-porta

Dopo circa tre mesi di preparazione burocratica, tecnica, organizzativa e logistica, l’Associazione Regionale ex-Esposti Amianto comunica che ha avuto inizio il 3 giugno 2013 il progetto “Censimento edifici pubblici e privati con presenza di amianto nel territorio di Oristano, ex frazioni e borgate”.

Preme ricordare che il territorio di Oristano ha il primato negativo di inquinamento da amianto causato dalla presenza dei centri di produzione di fibro-cemento (amianto) in Sardegna.Fino al 1992, anno di dismissione della produzione e commercializzazione dei prodotti, si è fatto grande uso non solo nelle strutture industriali, commerciali e zootecniche, ma anche soprattutto nelle civili abitazioni e nelle strutture pubbliche quali asili, scuole, palestre, tribunali, ospedali e condutture idriche ad uso agricolo e potabile.

Negli anni è stata accertata la pericolosità della fibra in amianto, che se inalata, provoca malattie cancerogene come asbestosi e mesotelioma pleurico ed altre. In considerazione di quanto premesso, si rende necessario intervenire con urgenza per conoscere la reale consistenza dei materiali in amianto e la loro dislocazione nella città di Oristano, ex-frazioni e borgate. Pertanto l’Associazione Regionale ex-Esposti Amianto di Oristano, essendo stata accreditata dall’ Assessorato Lavoro e Formazione della Regione Sardegna per il progetto sopra citato, ha la possibilità di avvalersi dell’operato di giovani inseriti nell’elenco regionale “Bando Giovani” per le politiche del lavoro e l’occupazione anno 2011/2014.

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