Ci sarà ancora un giudice a Belgrado?

 

Come sapete, evito accuratamente di parlare di politica; la politica è una cosa seria, dovrebbe esser fatta da persone altrettanto serie e competenti, quindi lo ammetto in premessa, ho il buongusto di auto escludermi.

C’è un momento però, in cui non parlare di politica è politica attiva e militante. Mai come in questo tempo e ce lo insegna Wittgenstein, il silenzio e il disinteresse, “sono elementi fondamentali dell’agibilità del potere, che si diffonde in un substrato di assoluta indifferenza che rende le masse avulse dal contesto storico e sociale che vivono, ottenendone de facto seppur inespresso, un necessario consenso all’azione sia amministrativa che politica, che il potere esercita” (Ricerche filosofiche - 1967).                                                                                   Wittgenstein, sarà macchinoso, ma se si ha pazienza nell’intenderlo, illuminante.

Per il potere, più che il consenso consapevole (che abbisogna di un interlocutore istruito e informato), necessita l’adesione inconsapevole del popolo e quindi l’agibilità politica che ne consegue diventa sempre di più autoreferenziale e oligarchica.

 Perché mi avventuro a concionare di cose che non dovrei? Perché in Kosovo e Metohija e soprattutto in Serbia, si sta consumando un genocidio silente in raffinata punta di ufficio anagrafe, che fa certamente vergogna al popolo serbo e offende chiunque abbia a cuore il senso di giustizia che dovrebbe animare il diritto.

 Dopo il parziale riconoscimento del Kosovo quale stato autoproclamatosi indipendente, si è immediatamente posto il problema dei documenti d’identità validi per l’espatrio, in una parola dei passaporti.

Gli abitanti di Kosovo, possono prendere un passaporto kosovaro che gli garantisce l’espatrio solo attraverso l’emissione di un visto da parte del Paese ricevente. Se un kosovaro vuole andare in Italia, deve fare una lunga e costosa trafila burocratica per ottenere il tanto sospirato visto Schengen (il tasso di concessione visti, per un paese UE è del 23% rispetto alle domande presentate).

Se il cittadino kosovaro è poi di etnia serba, rifacendosi a una nota risoluzione ONU (U.N.R. n° 1244) può richiedere il passaporto serbo. La Serbia è in un rapporto di reciprocità con gli stati U.E., quindi un cittadino serbo può viaggiare liberamente in un qualsiasi paese comunitario senza utilizzare alcun tipo di visto per 90 giorni. Lo possono fare tutti i cittadini serbi, ad eccezione dei cittadini serbi residenti in Kosovo, che posseggono un passaporto in tutto e per tutto uguale ai propri concittadini che risiedono in Serbia centrale e settentrionale, ad eccezione di una piccola scritta che recita: “KOORDINACIJA UPRAVA”.

 Se il tuo passaporto è di koordinacija uprava, per viaggiare devi soggiacere alla regolamentazione del rilascio visti, esattamente come i cittadini kosovari.

Tralascerò di esprimere tutta la mia disistima verso chi ha accettato con gravissima responsabilità politica, il regime di differenziazione dei cittadini su base residenziale, un assurdo giuridico, comprensibile seppur ingiustificabile, con la stanchezza che il popolo serbo aveva accumulato in anni di sanzioni, guerre, inflazione, distruzione, corruzione e miseria.

Adesso però la storia accelera.

Mercoledì 4 maggio la Commissione europea ha confermato che raccomanderà al Consiglio UE e al Parlamento europeo di includere il Kosovo nella lista di paesi esclusi dal requisito di visto per periodi di residenza fino a tre mesi nell’area Schengen, poiché il governo di Pristina ha completato tutti i requisiti richiesti, come scritto nel Quarto Rapporto dell’esecutivo europeo sul tema. 

Come se non bastasse, Dimitris Avramopoulos, greco e Commissario europeo per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza, ha affermato: “... so quanto sia importante il regime visa-free per i cittadini del Kosovo, e sono molto soddisfatto dai progressi raggiunti. La liberalizzazione dei visti, faciliterà i contatti tra le persone e rafforzerà l’economia e i legami culturali tra il Kosovo e l’UE..” precisando “…solo i passaporti del Kosovo sono riconosciuti. E’ molto, molto chiaro”.

 Che significa? Lo voglio spiegare bene alle solite anime belle, a quelle che non si sporcano, che non prendono posizione, ai serbi della diaspora, a quelli che gridano “Kosovo è Serbia”, tanto lo hanno capito anche loro che non serve a niente.

Dal giorno della liberalizzazione dei visti sui passaporti kosovari (data presunta il 20 novembre 2016) un residente in Kosovo di nazionalità kosovara potrà viaggiare liberamente in Europa, un cittadino serbo residente in Serbia può farlo già da tempo (così come un Bosniaco o un Montenegrino), mentre un cittadino serbo residente in Kosovo dovrà apporre sul suo passaporto il visto.

 Ma come, liberi tutti di andare dove vogliono per i motivi che credono, tranne i serbi di Kosovo, sempre più fottuti e mazziati?

 Questo è impossibile, Belgrado si ribellerà, non permetterà l’ennesima discriminazione ai danni del popolo serbo e della propria storia.

E cosa fa Belgrado? Tace!

 Alcuni maliziosamente sostengono che sia l’ultimo conto da saldare per entrare in U.E.,

Belgrado e tutto il popolo serbo (mi piange il cuore a dirlo) mandano letteralmente affanculo 130.000 serbi di Kosovo, il problema è loro mica della nazione.

 Beh, il fine politologo Đžej di Velika Hoča, che alle elezioni ha votato per uno dei partiti nazionalisti della destra serba, ha risolto brillantemente il problema: “Frenci, ho 24 anni, voglio viaggiare, mi faccio il passaporto kosovaro”.

Đžej ha risolto il problema, non solo a se stesso ma anche alla politica serba, che in meno di tre anni, potrà legittimamente sostenere che non ci saranno più serbi in Kosovo e che l’unica “cosa serba”, saranno i monasteri.

 Il genocidio politico di un popolo è servito e noi come al solito, ne siamo stati attori non protagonisti.

 Nessuno parla di questa vicenda, qualche articolo sfigato su qualche rivista sfigata, analizzato da una posizione radical chic che viene il mal di pancia solo a leggerlo e poi basta.

 In mutismo, Belgrado paga con la vita del suo popolo di Kosovo e Metohija, per incassare successivamente i finanziamenti di sviluppo garantiti dall’ingresso nell’unione.

 

Lazar, Milan, Dušan, Nebojsa, Hristina, Marija, Jovana, Milena, Milica, Dejan e altri 129.990, come sempre offrono le terga, sperando solo di non farsi molto male.

 Ma che mondo è questo? Possibile che a nessuno interessi nulla? Possibile che a nessuno venga in mente che ciascuno di noi è PERSONALMENTE responsabile di questo genocidio inesorabile e silenzioso?

 Ci sarà ancora un giudice a Belgrado? O sarà troppo impegnato tra kolo, ćevapčići, casi grammaticali e rakija?

 

Padre Francesco, Decani, Kosovo Methoija - Associazione Amici di Decani

…il Kosovo liberato…