Armi e segreto di stato, un garbuglio nel Mediterraneo nel marzo 1994
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- Scritto da The Depleted Island
13 giugno 2015

Al di là degli ordinari segreti che tutelano le attività in basi e poligoni militari, ci sono stati almeno due casi in cui, nella periferica regione della Sardegna, per due inchieste della magistratura, è stato apposto il segreto di stato. In una settimana, nel tormentato marzo del 1994 (era il periodo della guerra civile in Bosnia-Erzegovina – per rimanere in ambito europeo), sono capitati due affari poco chiari, riguardanti il trasporto in mare di armi: ne andava (a quanto pare) della sicurezza nazionale. Ma ad essere implicato, direttamente o indirettamente, non c’era solo lo stato italiano: Libia e Ucraina (fronti, oggi, molto caldi), Russia, forse Algeria, probabilmente altri.
L’ultima vicenda coperta risale, per la verità, al 19 maggio 2011: il trasferimento di alcune armi dal deposito munizioni di Santo Stefano, La Maddalena (della Nato, ma sotto controllo della Marina italiana) verso Civitavecchia (destinazione, forse, Libia). Ma i missili terra-aria, i kalashnikov, i razzi erano una parte del carico sequestrato nel mare Adriatico ad una nave battente bandiera maltese, il 9 marzo 1994. Per il fatto fu arrestato un oligarca russo, Alexander Zukhov, poi rilasciato. L’altra riguarda la misteriosa esplosione in volo e la caduta di un elicottero della Guardia di Finanza nel mare dell’Ogliastra, vicino al Poligono Interforze di Quirra, impegnato in un’operazione per contrastare il traffico illecito di armi. Era il 2 marzo 1994. La relazione sull’incidente, prima secretata, è stata poi messa a disposizione degli inquirenti, che si sono trovati davanti una sorpresa: niente di compromettente e neanche di significativo.
Molte sono le ombre sul caso del Volpe 132, l’elicottero che mentre sorvolava la zona di mare a ridosso di Capo Ferrato è precipitato in acqua. Le ultime parole dei due piloti, il maresciallo Gianfranco Deriu e il brigadiere Fabrizio Sedda, sarebbero state “Identificazione dei bersagli segnalati dal radar”. Secondo le informazioni pervenute alla procura civile (che ha riaperto un’inchiesta, dopo l’archiviazione della procura militare), si stava indagando sul trasporto di armi. Dell’elicottero sono stati ritrovati solo alcuni frammenti.
I giornalisti de “La Repubblica” Piero Mannironi e Pier Giorgio Pinna hanno parlato, un po’ pomposamente, dell’”Ustica sarda”. Quando i magistrati civili chiesero infatti una relazione dell’Aeronautica, l’Ufficio centrale per la sicurezza del Consiglio dei ministri rispose che il documento era coperto da segreto di Stato. Ma dopo che è stato rilevato un errore procedurale nella classificazione della relazione (secondo la legge 801 del 1977), gli inquirenti hanno potuto visionarla: incompleta e piena di incongruenze, con la conclusione che si è trattato di un errore umano.
Alcuni testimoni oculari, indipendenti, hanno dichiarato di aver visto, nel tratto di mare in cui è precipitato l’elicottero, un’imbarcazione e di averla riconosciuta: sarebbe stata una barca che gravitava spesso in zona, la Lucina (usata in quel periodo dall’ex presidente del Cagliari Calcio, Massimo Cellino), di cui qualche mese dopo (il 7 luglio) venne massacrato l’equipaggio nel porto di Algeri (una parte del carico della nave, forse armi, sparì). L’ipotesi è poco convincente: difficile individuare senza dubbi una nave, seppure familiare, a così tanta distanza. Ma informative dei servizi segreti di quei giorni, inviate alla Guardia di Finanza, confermerebbero spostamenti sospetti di navi (le comunicazioni non sono comunque disponibili né utilizzabili).
Gli avvocati dei familiari delle vittime avevano parlato, comunque, in un primo momento, di un missile leggero partito da “un’imbarcazione di trafficanti di armi”. Una volta visto l’elicottero che volteggiava sul tratto di mare, dalla barca avrebbero sparato facendo esplodere il velivolo. Dalla relazione secretata emerge che il Volpe132 agiva assieme ad una motovedetta, la “Colombina”, che era distante al momento dell’incidente e che ha avuto problemi di comunicazione. Quindi l’equipaggio non ha potuto fornire alcuna informazione.
Il giorno della scomparsa del Volpe 132, comunque erano in corso esercitazioni militari col lancio di missili terra-aria nel tratto di mare competente al Poligono vicino (in cui, in passato, si sarebbero addestrati anche soldati stranieri, si parla di libici e iracheni). La navigazione era stata interdetta dalle 8:00 alle 17:30. L’elicottero è precipitato però dopo le 19:15. Il radar di Monte Codi, nel Poligono di Quirra, era in funzione e avrebbe potuto riportare quanto successo, ma la registrazione si interromperebbe alle 19:14.
Nel 2004 il generale Fabio Molteni, comandante del Poligono dal 2004 al 2006, interpellato dalla Procura di Cagliari, in una testimonianza scritta, ha dichiarato, con una certa raffinatezza, che “il tratto di costa compreso tra capo Ferrato e Feraxi non rientra all’interno delle aree di competenza del poligono”. Il tratto di costa evidentemente no, ma la zona di mare sì – fanno notare Mannironi e Pinna -, perché le acque sono quasi completamente a disposizione degli usi militari (lo spazio aereo anche).
Nelle indagini si è scoperto poi che pochi giorni dopo l’incidente è stato rubato, da un deposito privato (vicino ad Oristano, appartenente ad una società, Wind Air s.r.l., dai movimenti poco trasparenti), un elicottero gemello (AgustaWestland AW109), poi ritrovato smontato. Qualcuno ha pensato a un tentativo di depistaggio.
Una settimana dopo la caduta del Volpe 132, un’altra vicenda singolare avviene nel mare Adriatico, a largo di Otranto, dove un cacciatorpediniere Nato ha ingaggiato una nave, la Jadran Express (poi ribattezzata Croatia), carica di armi destinate (a quanto pare) a truppe dell’ex-Jugoslavia, lacerata allora da un conflitto devastante. L’operazione era stata coordinata da servizi segreti ucraini (la nave era partita dal porto di Oktyabrsk), italiani e inglesi. Nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Torino (su indagini della Direzione Investigativa Antimafia), fu arrestato per questo fatto, nel 2001 (a Porto Cervo), Zukhov, petroliere russo, proprietario, fra le altre cose, di una nota villa in Costa Smeralda (Sardegna).
Il traffico sarebbe stato gestito da agenti dell’ex Kgb, il servizio segreto dell’URSS, e avrebbe riguardato decine di navi che dai porti di Ancona e Venezia trasportavano armi ufficialmente in Africa, in realtà proprio nelle zone del conflitto serbo-croato, violando un embargo ONU. Zukhov è stato rilasciato per difetto di giurisdizione (la nave fu bloccata in acque internazionali e il traffico sarebbe stato estero su estero, senza che la nave abbia mai attraccato in un porto italiano), ma il carico sequestrato è rimasto conservato a Taranto per 5 anni. A processo, i giudici di Torino disposero anche la distruzione delle armi (secondo la legge n. 152 del 1975). Ma l’ordine non venne eseguito.
Le armi sequestrate a bordo della nave mercantile erano state già spostate a La Maddalena. Da dove furono poi portate via nel 2011, su traghetti pieni di passeggeri civili: una strana imprudenza. Tutti si accorsero del carico, che non poteva essere trasportato. La Procura di Tempio aprì un’inchiesta, in primis per peculato. Il governo rispose che nel 2009 aveva emanato un decreto che prevedeva che le armi sequestrate entrassero nella disponibilità dello stato italiano, ma non fu mai convertito in legge, perdendo qualsiasi efficacia. Non potendo agire in altro modo, l’inchiesta fu subito bloccata: segreto di stato!
Le armi russe sono state evacuate nel 2011, probabilmente per aiutare i ribelli in Libia. Allora, dopo una risoluzione Onu, e qualche intervento dei singoli stati, si formò una coalizione della Nato per pattugliare i cieli libici. Dalla Sardegna, base di Decimomannu, partirono aerei dell’Olanda e degli Emirati Arabi.
Proprio in questi giorni si discute un nuovo intervento nel Paese Nord Africano per stabilizzare la regione e arginare il fenomeno dell’immigrazione clandestina, che coinvolge ormai l’intera Europa. L’intrico mediterraneo non sembra facile da dipanare, neanche a trent’anni di distanza da casi ancora così oscuri.
Negli stessi giorni di quelle vicende, la mattina del 3 marzo 1994 (a quanto risulta), era stata sequestrata la nave Faarax Omar in Somalia (parte dell’equipaggio era italiana, fra cui il comandante), sospettata di trafficare in armi (e di trasportare rifiuti tossici) per conto di alcuni servizi segreti . L’impressione è che dovesse essere recuperata in qualsiasi modo (pressioni politiche, operazioni di polizia, denaro). Di lì a qualche giorno, una nota del Sismi (2° divisione, datata 7 marzo 1994, acquisita dalla Commissione d’inchiesta su Ilaria Alpi) aggiorna sulla situazione dell’imbarcazione, poi liberata il 13 aprile, previo pagamento di un riscatto di 450mila dollari. Sul caso stava indagando proprio la giornalista Ilaria Alpi, uccisa in Somalia il 20 marzo, col collega Miran Hrovatin.
La suggestione di un collegamento del caso Alpi con la vicenda del Volpe 132, formulata per primo da Costantino Cossu (si veda “Sardegna la fine dell’innocenza”, Cuec, 2001, che raccoglie alcuni scritti pubblicati su “Diario”, fra il 1998 e il 1999), necessiterebbe di più riscontri. I documenti legati all’omicidio della giornalista sono stati declassificati. Fra questi, una nota del Sismi (acquisita il 26 maggio 1994) comunicava che nel nord della Somalia “il traffico d’armi sarebbe gestito dalla Libia”. Un buon punto di partenza, sui cui si può lavorare per chiarire almeno qualche passaggio in più di quella settimana così intensa.
Da The Depleted Island












