I nuovi orizzonti europei per i diritti di tutela professionale del personale militare

ASSOCIAZIONE  SOLIDARIETA'  DIRITTO  E  PROGRESSO

 

Alle Autorità presenti, ai parlamentari, ai rappresentanti sindacali e del mondo associativo, agli esperti che si occupano della materia in trattazione, agli amici della ADEFDROMIL, ai membri delle RR.MM., agli intervenuti a vario titolo, a tutti un sincero ringraziamento per la loro presenza e un cordiale benvenuto a questo impegnativo  appuntamento.

Un particolarissimo ringraziamento è doveroso da parte mia rivolgere alla Segreteria Organizzativa di questo evento, alla D.ssa Laura Zeppa e alla D.ssa Antonella Manotti che al meglio delle loro capacità e con sicura professionalità hanno consentito la realizzazione dello stesso.

Relativamente al tema in trattazione che ha attinenza con i lavori della nostra Commissione Difesa della Camera che si sta occupando della riforma della RRMM, questo convegno si prefigge lo scopo di offrire ai parlamentari della stessa un contributo di pensiero e qualche elemento di riflessione, che pur espressi  fuori dal coro dei tanti conformismi dalla stessa ascoltati in materia, meritano a nostro giudizio di essere tenuti nella dovuta considerazione proprio per il buon esito della riforma da realizzare.

Un contributo di pensiero che, al pari delle fatiche della ricerca incontrate dalla speleologia al fine di donare alla conoscenza umana il bello che si cela nel buio delle viscere della terra, viene offerto a chi, del lungo viaggio compiuto da ASSODIPRO  alla ricerca di nuove vie di tutela professionale da far percorrere ai nostri militari, saprà apprezzarne le motivazioni che l’hanno animato, le convergenze che ha incontrato, i riconoscimenti che è possibile desumere dal nuovo delle recenti Sentenze della Corte EDU, per ricavarne conoscenze, motivi di condivisione, conferme di impegno, e se del caso qualche utile e mai tardivo ripensamento.      

Per capire come le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dello scorso 2 ottobre, di condanna della Francia per violazione dell’art. 11 della Conv. EDU, ovvero per aver impedito in maniera assoluta ai suoi militari  di esercitare i diritti associativi e sindacali a scopo di tutela professionale ci riguardino da vicino, occorre guardare in profondità e con la dovuta obiettività alla  nostra situazione che allo stato si presenta come quella sanzionata dalla Corte EDU.

Ed è infatti un dato certo che in Italia  come in Francia il legislatore in luogo delle libertà associative e sindacali da riconoscere ai militari, pur con le restrizioni di esercizio previste dalla Conv. EDU prima  e da altre fonti poi,  abbia imposto agli stessi  attraverso la Legge 382/78   uno strumento di tutela, ovvero le RR.MM interne all’Ordinamento Militare.

Da ciò e per effetto dell’art. 8 c. 1 della stessa Legge il divieto assoluto per i militari italiani di costituire associazioni professionali a carattere sindacale e/o aderire ad altre associazioni sindacali.

Una imposizione che come meglio vedremo non solo si è rivelata arbitraria e contraria al diritto Europeo e internazionale ma che, e soprattutto, ha affidato la tutela professionale dei militari ad uno strumento che sotto le mentite spoglie delle elettive RRMM si presenta come il classico sindacato di comodo, notoriamente definito sindacato giallo.

Uno strumento che, al netto dell’enfasi retorica che l’ha accompagnato dalla nascita ad oggi, sta a dimostrarci, come i fatti si incaricano di testimoniare, che a tutto poteva provvedere meno che ad assicurare ai nostri militari la tutela professionale del loro lavoro.

Non è infatti un caso che da ormai cinque lustri i militari richiedono una riforma delle RRMM con una  largo consenso verso l’ipotesi associativa o sindacale e che  tutte le legislature comprese in questo tempo abbiano registrato l’insuccesso delle tante proposte di legge presentate.

Per comprendere come le considerazioni introduttive di questa relazione non siano il frutto della temerarietà di chi ha rincorso sin dall’approvazione della Legge 382/78 l’ipotesi sindacale della Rappresentanza Militare ma il portato di un convincimento che per tempo aveva compreso i limiti strutturali e funzionali delle riconosciute RR.MM, occorre guardare queste dal di dentro , capire su quale binario antistorico sono state collocate e le ragioni per le quali non siano evolute per essere ricollegate nell’alveo delle migliori fonti del diritto fra le quali spicca come riferimento principale la precitata Conv. EDU.

Che le RR.MM. così come volute dal legislatore del 1978 fossero, in riferimento alle aspettative della loro base elettorale, destinate  alla produzione di scarsi risultati non è per l’imperizia di chi con questo strumento si è misurato per produrre tutela;  no, è la costatazione che le RRMM sono state costruite per realizzare altri scopi che meglio comprenderemo quando rifletteremo sui tanti deficit congeniti che le caratterizzano e sui tanti artifizi messi in campo per impedire  loro di intercettare  i processi evolutivi che la storia richiedeva e che la legislazione internazionale dell’OIL imponeva,  in particolare attraverso la Convenzione 151 del 1978.

Ed è dall’esame dei profili delle attuali RRMM e dal raffronto di questi con le previsioni dell’accennata Convenzione 151/78 dell’OIL concernente il diritto di organizzazione nella funzione pubblica che si arriva a comprendere il ragionamento della Corte EDU di cui alle sentenze dello scorso 2 ottobre che, nella definizione del quadro legislativo che doveva essere realizzato dalla Francia in luogo degli assoluti divieti associativi che ha imposto ai suoi militari, si presenta per il nostro legislatore come riferimento ineludibile,  utile ad orientare i lavori della Commissione Difesa della Camera che sta procedendo nell’ennesimo tentativo di riforma delle RR.MM.

Riferimento ineludibile perché anche per l’Italia non è remota una sanzione analoga a quella comminata alla Francia dalla Corte EDU, in ragione dei ricorsi presentati da Assodipro e da un nutrito numero di appartenenti alla GDF.

Dicevamo dei profili delle attuali RRMM realizzati dalla Legge 382/78 e del raffronto di questi con gli strumenti di tutela del lavoro configurati dalla Convenzione 151/78 dell’OIL.

Da uno sguardo veloce alle due fonti citate si ricava una preliminare considerazione che ci aiuterà a capire come da un lato, ovvero dal versante del lavoro pubblico che ha goduto della legislazione dell’OIL e delle mutuate per quanto applicabili previsioni dello Statuto dei Lavoratori, la tutela professionale  è riuscita ad evolvere e ad organizzarsi superando tutti i ritardi che la distinguevano dal restante mondo del lavoro; dall’altro lato si osserva che il personale delle FFAA,  pur essendo compreso fra i destinatari del diritto di organizzazione previsto dalla stessa Convenzione OIL del quale  la misura di esercizio doveva essere disciplinata dalla legislazione nazionale, è stato  escluso dalla platea degli stessi destinatari, facendosi con ciò tornare la  tutela del loro lavoro nell’ambito delle RRMM. della L. 382/78.  

Insomma la tutela del lavoro militare doveva marciare distinta e distante da quella del rimanente settore pubblico in ossequio dell’isolamento dalla società che aveva caratterizzato le FF.AA, che del pregiudizio antisindacale in particolare si era sempre robustamente servito.

Come i fatti invece ci dimostrano così non doveva essere e così non potrà più essere se la nostra politica saprà adeguatamente interpretare il nuovo quadro di riferimento normativo che la Corte EDU ha delineato in occasione delle ricordate sentenze dello scorso 2 ottobre.

Si arriva a capire questo se si ricostruiscono i passaggi parlamentari che nel tempo hanno messo nel dimenticatoio gli obblighi derivanti dalla Convenzione 151/78.

Bene!la Legge di ratifica della stessa ovvero la N° 862 del 19 Novembre 1984 attraverso l’art. 2 assicurava che le Convenzioni oggetto di ratifica avrebbero avuto  PIENA ed INTERA esecuzione a decorrere dalla loro entrata in vigore in conformità rispettivamente degli articoli 18, 12, 11 e 45 delle convenzioni stesse.

Tuttavia la relazione di accompagnamento della stessa in riferimento agli aspetti che qui hanno rilievo introduce una lettura riguardante l’ambito di applicazione della Conv. 151/78 che il tempo e la giurisprudenza CEDU hanno clamorosamente smentito.

Si dichiarò allora che: ”la Convenzione è rivolta a tutti pubblici dipendenti, tuttavia è lasciata alla discrezionalità dei singoli Stati la decisione di estenderne la normativa agli alti funzionari e agli appartenenti alle forze armate ed alla polizia.”

Una lettura che solo la più fantasiosa  intelligenza avrebbe potuto ritenere coerente con gli impegni derivanti dalla Convenzione da ratificare la quale in realtà diceva sostanzialmente qualcosa di diverso; infatti il c. 3 dell’art. 1 della stessa afferma che ” La legislazione nazionale determinerà la misura in cui le garanzie previste nella presente Convenzione si applicheranno alle forze armate e di polizia”.

“Misura” del riconoscimento delle garanzie convenzionali che,  nell’essere questione impegnativa e stringente,  è cosa ben diversa della facoltà di prevederne per il legislatore l’eventuale estensione!

Perché si è girato tanto al largo dall’essere rispettosi degli impegni che la Convenzione 151/78 affidava al nostro legislatore?

Semplicemente perché si sarebbe pervenuti già da allora ad un modello di tutela professionale dei militari che, pur con restrizioni di esercizio, conteneva il riconoscimento del diritto di organizzazione, quindi la facoltà per i militari di costituire associazioni o sindacati a tutela del loro lavoro e il conseguente superamento delle RR.MM. imposte ai militari dallo Stato.

Per comprendere questo che poi è la sostanza del giudicato della Corte EDU delle ormai famose sentenze Matelly e ADEFDROMIL,  è sufficiente una lettura non superficiale dell’art. 5 della Convenzione OIL 151/78, da noi oscurata, che testualmente riportiamo:

  1. Le organizzazioni dei pubblici dipendenti dovranno godere di una completa indipendenza nei confronti delle autorità pubbliche.
  2. Le organizzazioni dei pubblici dipendenti dovranno godere di un’adeguata protezione contro ogni atto di ingerenza da parte delle autorità pubbliche nella loro formazione, funzionamento e gestione.
  3. Vengono in particolare assimilati ad atti di ingerenza, ai sensi del presente articolo, le misure tendenti a promuovere la creazione di organizzazioni di pubblici dipendenti sotto un’autorità pubblica, o a sostenere delle organizzazioni di pubblici dipendenti con mezzi finanziari o altri, con l’obiettivo di porre tali organizzazioni sotto il controllo di un’autorità pubblica.

In luogo del diritto  di organizzazione così definito e delle eventuali restrizioni di esercizio da stabilire, che non potevano assumere il carattere della negazione totale dello stesso, ai militari si è voluto ostinatamente lasciare in dotazione uno strumento di tutela professionale che come ben si comprende è la negazione del riconosciuto diritto internazionale e un sopravvissuto reperto archeologico finanziato e sostenuto dallo Stato,  che il lento operare della democrazia ha superato consegnandolo senza rimpianti alla storia.

Uno strumento di tutela professionale da superare perché, lontano dal descritto diritto di organizzazione e costretto ad operare in un contesto di povertà strumentali di supporto, non poteva che pervenire ad una costatazione di sicura inefficacia nonostante l’onesto impegno di quanti attraverso di esso hanno provato a produrre tutela per i loro rappresentati.  

E’ inefficace perché,  nell’essere stato incardinato dallo Stato all’interno dell’Ordinamento Militare in affiancamento dell’autorità gerarchica di riferimento dei suoi diversi livelli organizzativi COCER COIR e COBAR, è di fatto privato dei caratteri della indipendenza e della autonomia organizzativa, funzionale, gestionale e amm.va che notoriamente rappresentano e non a caso la struttura portante di ogni modello democratico di tutela e la garanzia della propria libertà di azione.

Da questi profili di minorazione, dal  perimetrato spazio di intervento  stabilito dalla legge che in combinato con un inappropriato corredo strumentale idoneo a supportarne il lavoro di rappresentanza e di tutela, originano le ragioni che determinano la scarsa efficacia delle RRMM e la domanda di cambiamento che sale forte dalla società militare.

Allo stato  alle RR.MM non è conferito il ruolo di parte sociale da esercitare nella contrattazione, che è cosa diversa e più incisiva dell’esercizio della concertazione che,  nell’avvenire  tra l’altro sotto il badantato degli Stati Maggiori, è anche culminato a volte con la trasformazione in decreto di un atto concertativo non sottoscritto da qualche COCER.

In carenza delle autonomie precedentemente evidenziate, non possono disporre di un proprio ufficio legale, non possono decidere della formazione dei quadri rappresentativi, non possono ricorrere alle competenze giuslavoristiche esterne ed infine di scarso rilievo è il peso che possono esercitare per garantire la salubrità dei posti di lavoro e la tutela della salute dei lavoratori militari.

Su quest’ultimo aspetto che meriterebbe un convegno specifico,  basta ricordare le questioni amianto, uranio impoverito, procedure vaccinali, poligoni, commissioni di indagine parlamentari e avviati procedimenti giudiziari che, per la natura, l’ampiezza e la gravità che nell’insieme stanno investendo una larga fascia di militari, le responsabilità di chi era chiamato a proteggerli dalle insidie del loro servizio, il parlamento e la magistratura, ci dicono quanto poco al netto delle preghiere,  dei pareri, delle proposte e delle deliberative richieste hanno potuto le RR.MM.

Non hanno inoltre soggettività giuridica per promuovere azioni legali collettive o per intervenire nei processi giudiziari a tutela dei diritti dei propri rappresentati; su questo aspetto sarà utile ascoltare l’intervento del collega Zavattolo di Ficiesse

Sulla condizionabilità delle RR.MM e in questo caso a riprova ulteriore dell’essere uno strumento dipendente dallo Stato  giova ricordare gli artifizi posti in essere, e a più riprese, dai Governi del momento, per prolungare nel tempo  i mandati rappresentativi in chiaro dispregio dei diritti elettorali della base e di una importante ordinanza del TAR Lazio che in tal senso nel 2002 intervenne determinando la sospensione delle avviate procedure di proroga dell’allora COCER in scadenza all’01/04/2002.

Un COCER che subisce o che richiede indebite ingerenze governative, utili al suo permanere in carica, che tuttavia non può subire le conseguenze di un atto di sfiducia dal proprio corpo elettorale perché tale istituto non è previsto dalla normativa che organizza il funzionamento delle RR.MM.,  di quale autorevolezza può godere se si pensa che i suoi componenti una volta eletti diventano padroni del loro operato che è così messo al riparo dal controllo, dal giudizio e dalla eventuale censura della base rappresentata?

In democrazia non esiste un organo elettivo a cui è riconosciuta tanta insindacabilità nell’esercizio delle funzioni ad esso conferite entro tempi certi, stabiliti e indilatabili; questo era possibile solo in altri sistemi e in altri tempi che con l’affermarsi della attuale democrazia rappresentativa  sono stati consegnati, senza particolari rimpianti  ai libri di storia.

Uno strumento di tutela di questo genere, ancorché usato, per metafora, da Landini, dalla Fracassi e dalla Polverini nulla produrrebbe, nonostante il riconosciuto spessore sindacale delle citate personalità.

A questo punto una domanda è d’obbligo rivolgere all'On. Villecco Calipari, Relatrice dei provvedimenti di riforma, da quali conoscenze ricava la convinzione “gli strumenti di tutela che il nostro Paese ha messo in piedi per garantire alla condizione militare i diritti fondamentali dei lavoratori militari e dei cittadini siano adeguati MOLTO PIU’ di quello che è stato realizzato in altri paesi dietro la concessione di diritti associativi o sindacali”?

Per quanto dimostrato e per quello di cui siamo testimonianza diretta che è un bagaglio riempito in questa storia attraverso 40 anni di impegno, la Sua dichiarazione Onorevole Signora Villecco Calipari ci appare  al limite della temerarietà o comunque  il probabile frutto del lavoro di attempati consiglieri o cattivi maestri che al riparo della Sua responsabilità operano per  frenare il nuovo che invece comincia ad imporsi.

Ad altro si poteva pervenire per tempo, nonostante la ritenuta pietra tombale costruita sul tema in trattazione dalla Corte Costituzionale con la Sentenza 449/99 di cui diremo più avanti e prima del recente intervento della Corte EDU di cui alle sentenze dello scorso 2 ottobre; in tal senso non sono mancate circostanze importanti e  riconoscimenti politici delle ragioni che deponevano a favore di una buona riforma delle RR.MM e  solenni impegni elettorali del PD in particolare,  che nel riconoscimento di più ampie libertà di tutela da accordare ai militari assicuravano la sindacalizzazione del loro strumento di tutela.

Sull’occasione persa dalla politica nel 1984, in esito della ratifica della convenzione OIL N° 151/78  abbiamo precedentemente detto per evidenziare quale doveva essere il quadro normativo da considerare per avviare una riflessione utile a mettere in sintonia la tutela dei militari con gli assunti obblighi internazionali in materia.

E’ nel 1992, ovvero durante il 6° mandato delle RRMM, che i militari, dell’A.M in particolare, arrivarono a comprendere per pratica vissuta tutta la virtualità dello strumento di rappresentanza di cui disponevano; nel prendere atto di ciò segnalarono alla politica le difficoltà che incontravano nell’esercizio della loro funzione, gli scarni risultati prodotti, la frustrazione delle aspettative dei rappresentati e la necessità di provvedere con riforma all’assetto strutturale e funzionale delle stesse Rappresentanze.

In ragione del contesto accennato e delle difficoltà che la politica esprimeva nel farsi carico dei bisogni dei militari e delle loro esigenze di una più ampia libertà di tutela, cominciò a maturare l’idea che al fine di rimuovere i divieti associativi e sindacali che imprigionavano la tutela degli stessi dentro le RRMM occorreva avviare le vie giudiziarie; ed è per effetto di questa raggiunta consapevolezza,  e per il volere farsi carico dell’esigenza della fruibilità da parte dei militari dei diritti costituzionali fondamentali, che nello stesso 1992 ASSODIPRO venne costituita.

Nel contempo arrivarono in Commissione Difesa della Camera le prime proposte di legge riguardanti la riforma delle RRMM dalle quali emergeva, attraverso i lavori di sintesi delegati ad un apposito comitato ristretto, la volontà di conferire alle stesse il ruolo negoziale nelle procedure di contrattazione.

Tentativo di riforma che fece registrare l’irrigidimento dei vertici militari dell’epoca, una loro plateale ingerenza verso la sovranità del Parlamento, una indecorosa ritirata della politica e la contestuale  costatazione dell’ennesima occasione persa, il venir meno dell’agognato ruolo negoziale, la protesta dei militari dell’A.M. della 1^ R.A. che sfociò nelle dimissioni dalle RRMM  e l’avvio del procedimento giudiziario conclusosi nel 1999 con la nota Sentenza N° 449 della Corte Costituzionale confermativa della legittimità dei divieti associativi e sindacali di cui all’art. 8 della Legge 382/78.

Nel merito della stessa pur esprimendo a suo tempo il rispetto ad essa dovuto e la nostra contrarietà è utile ricordare per quello che qui ci interessa il quadro legislativo  nel quale maturò e i nuovi parametri che oggi per gli effetti prodotti la rimettono in discussione.

In mancanza di una specifica previsione costituzionale di copertura, si riteneva che le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali acquistassero nell’ordinamento interno il (semplice) rango della legge ordinaria che aveva reso esecutiva la Convenzione.

Vigente il quadro normativo sottostante alla suddetta interpretazione, la Corte Costituzionale, con sentenza 17.12.1999, n.449, affrontava la questione di legittimità costituzionale dell’art.8, comma 1, della legge 11.07.1078, n.382, in riferimento (di necessità, solo) agli artt.3, 52, comma 3, e 39 Cost. e la risolveva, come noto, nel senso della conformità della disposizione suddetta alle richiamate norme costituzionali.  

A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione e della riformulazione dell’art.117, primo comma, tuttavia, le norme della C.E.D.U. son venute a fare ingresso nel diritto interno sulla scorta dell’art.117 Cost., con la conseguenza che, come chiarito dalla Corte Costituzionale con sentenza n.349/2007, la norma nazionale incompatibile con la norma della C.E.D.U., e dunque con gli "obblighi internazionali", viola per ciò stesso il nuovo parametro adesso costituzionale.

In questo rinnovato assetto normativo, lo scrutinio dell’art.1475, comma 2, del D.Lgs. n.66/2010 (che ha sostituito l’art.8, comma 1, della legge n.382/1978) non è più da condurre con riguardo solo agli artt.3, 52, comma 3, e 39 Cost., ma, per il tramite dell’art.117, comma 1, Cost., deve avvenire o avvenire anche rispetto agli artt.11 e 14 della C.E.D.U. e il Giudice interno investito della questione è chiamato ad interpretare la norma nazionale in modo conforme alla norma internazionale, nei limiti nei quali ciò sia permesso dal testo della norma nazionale; ovvero, qualora ciò non sia possibile per incompatibilità della norma nazionale con quella internazionale interposta, ad investire la Corte Costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell'art.117, primo comma.

Il favorevole assetto normativo sopra descritto potrebbe trovare ulteriore e promettente sviluppo, per effetto dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1° dicembre 2009) e dell’adesione dell’Unione Europea alla C.E.D.U.

Infatti, nonostante l’attuale orientamento restrittivo della giurisprudenza nazionale, è da ritenere che il riconoscimento dei diritti fondamentali sanciti dalla C.E.D.U. come principi interni al diritto dell'Unione – operato dall’art.6, comma 3, del Trattato – abbia fatto sì che le norme della Convenzione siano divenute immediatamente operanti, senza limitazioni di sorta, negli ordinamenti nazionali degli Stati membri dell'Unione e quindi nel nostro ordinamento nazionale, in forza del diritto comunitario e, quindi, in Italia ai sensi dell’art.11 Cost.

Il che, in prospettiva, dovrebbe portare a riconoscere, che anche la contrarietà di norme nazionali, quali l’art.1475, comma 2, del D.Lgs. n.66/2010, alle norme della C.E.D.U. (nel caso, gli artt.11 e 14) non richieda più neppure che la Corte Costituzionale sia investita della relativa questione, in quanto il Giudice interno – al quale spetta di interpretare la norma nazionale in modo conforme alla disposizione internazionale – è munito del potere di disapplicare direttamente la norma nazionale, ove ritenga che la compatibilità con quella internazionale non sia realizzabile o se ravvisi contrasto tra l’una e l’altra.

In considerazione del nuovo assetto istituzionale e legislativo europeo, come detto in precedenza, abbiamo investito la Corte EDU della esigenza di valutare la situazione italiana, rispetto alle violazioni attuate dallo Stato in danno dei suoi militari in riferimento all’art.11 della Conv. EDU.

Il ricorso è stato presentato nel 2012.

Al fine di sostenere adeguatamente le motivazioni in esso contenute che sono le stesse degli accolti ricorsi Matelly-ADEFDROMIL, pur potendo evitare in ragione  delle procedure che disciplinano la materia in ambito europeo una  nuova azione giudiziaria nazionale in ragione del definitivo giudizio in materia di cui alla Sentenza della C.C. 449/99, abbiamo deciso ugualmente, nuovamente e contestualmente di adire anche la via legale interna al fine di dimostrare a corredo ulteriore delle doglianze espresse in ricorso, da un lato alla Corte EDU che solo un suo pronunciamento potrà superare i ristretti parametri di riferimento che portarono nel lontano 1999 al giudizio confermativo dei divieti associativi e sindacali dei militari della Corte Costituzionale, e dall’altro per pervenire ad un eventuale nuovo esame della stessa Consulta sull’argomento, comprensivo questa volta dello scrutinio dei  parametri della legislazione soprannazionale richiamata.

Il primo round di questa azione giudiziaria interna lo abbiamo affrontato al TAR Lazio con un esito, per noi di rigetto contenuto nella Sentenza N° 8052 depositata in cancelleria il 23 luglio dello scorso anno.

Sentenza che al cospetto delle successive della Corte EDU che la smentiscono motivatamente e solennemente, sta a dimostrare quanta fatica incontra la messa in sintonia dei disposti dei diversi ordinamenti legislativi in materia, quando ad agevolarne l’esito intervengono diverse sensibilità giuridiche.

A Roma c’è ancora qualcuno che pensa di potersi permettere il lusso di dire…si va bene l’Europa, ma qui si opera come decidiamo noi.  

La sentenza segnalata non poteva da noi che essere appellata e pertanto allo stato è pendente presso il Consiglio di Stato il secondo round di questa nuova azione.

Nell’attesa degli esiti delle avviate azioni giudiziarie e in perfetta coerenza con lo scopo associativo che trae linfa dalla esigenza di mantenere vivo nel Paese il dibattito sulla condizione militare e sui diritti Costituzionali da riconoscere agli operatori delle FF.AA, il contributo che oggi lasciamo alla ponderazione di chi sul punto è chiamato a provvedere per rimediare alle tante occasioni mancate e alle infinite promesse non mantenute sulla materia in discussione.

Per effetto di ciò una veloce considerazione sulle proposte in discussione.

Le proposte SEL (Duranti e altri),M5S (Corda e altri), F.I.  (Palmizio) e ancora F.I. (Martino-Petrenga), pur con aspetti da chiarire in quest’ultima disegnano un modello di Rappresentanza che possiede le necessarie caratteristiche strutturali e funzionali (indipendenza e autonomie) idonee a consentirne il dovuto respiro.

Le altre, PD (Scanu e altri) e ancora PD (D’Arienzo) pur contenendo qualche novità come il riconoscimento di parte sociale del COCER all’interno della contrattazione e il diritto associativo,    da esercitare tuttavia in un contesto e in condizioni,  che risentono delle privazioni della indipendenza dal datore di lavoro e delle sostanziali autonomie,  esprimono un progettualità che nell’essere confermativa del modello di rappresentanza del 1978 si arresta sulla soglia della riforma vera.

Serve a poco il riconoscere un ruolo a qualcuno se poi a questo è impedito di organizzarsi per poterlo esercitare; serve ugualmente a poco riconoscere a qualcuno una certa autonomia finanziaria se poi questa passa per le vie della altrui discrezionale beneficenza.

La sola autonomia finanziaria che supporta l’indipendenza di una democratica rappresentanza è quella che si forma attraverso il finanziamento di quanti in essa si riconoscono; il resto è l’ingerenza che tende a riportarla sotto il controllo dell’autorità pubblica.    

Che piaccia o no la cornice che deve contenere il diritto di organizzazione dei militari è quella desumibile dall’art. 5 della Convenzione OIL 151/78 che prevede:

  1. Libertà associative e/o sindacali;
  2. Completa indipendenza dall’autorità pubblica dei costituiti soggetti di rappresentanza;
  3. Divieto di ingerenza della autorità pubblica nella formazione, nel funzionamento e nella gestione dei soggetti di cui sopra;
  4. Divieto per l’autorità pubblica di promuovere la creazione di organizzazioni di rappresentanza del personale, di finanziarle o sostenerle con altri mezzi con l’obiettivo di porre tali organizzazioni sotto il proprio controllo;
  5. Disciplina della misura di esercizio delle libertà di tutela con previsioni di restrizioni riguardanti i metodi di azione e di espressione delle organizzazioni associative e/o sindacali dei militari liberamente costituite.

Fuori da queste indicazioni non è difficile immaginare un qualche nuovo pronunciamento da parte della Corte EDU.

Non siamo estranei alle vicende politiche del Paese; sappiamo bene che oggi il discutere dei diritti di rappresentanza dei cittadini incontra tendenze politiche che depongono alla semplificazione delle buone pratiche  dell’ascolto, del confronto e della partecipazione, al punto tale che la velocità del procedere prevale sul fine da raggiungere, la meta dell’obiettivo sul suo carico portato, il consenso da ottenere sul confronto che arricchisce, l’insulto sul ragionamento, l’irridere sul rispetto delle idee altrui, le scorciatoie sulle fatiche che richiede il lavoro della Democrazia.

Da queste riflessioni il contributo oggi offerto in primo luogo alla politica,  nella inguaribile  speranza che i partiti sappiano tornare ad essere interpreti delle esigenze vere dei cittadini; è il contributo che ci auguriamo possa utilmente contagiare per migliorare le proposte di legge che, relativamente alla riforma delle RRMM, sono all’esame della nostra Commissione Difesa e allo stato all’attenzione del suo Comitato Ristretto delegato alla sintesi delle stesse, che per tale scopo sta procedendo con  l’audizione di esperti chiamati a fornire un parere sulle implicazioni delle mai  troppo ricordate recenti Sentenze della Corte EDU rispetto alla riforma da definire.

E’ il contributo che al bivio delle decisioni da adottare potrà essere utile a stabilire che il nuovo che ci interroga non passa per le vie della oscura rimembranza dei bei tempi andati, ma per quelle che, oggi illuminate dai fatti e preparate dalla perseveranza di chi  ne ha saputo individuare il tracciato,   meritano di essere imboccate e percorse.

Grazie e buon lavoro a tutti.

 

AS.SO.DI.PRO.

Il Presidente     

Emilio Ammiraglia

 

Roma 19 Marzo 2015