Patria Grande - Notiziario Agosto 2025

NOTIZIARIO AGOSTO 2025
TELESUR (VENEZUELA) / INTERNI / NUOVE INGERENZE DEGLI USA NELL’AREA
L’eterno ritorno della dottrina Monroe
RESUMEN LATINOAMERICANO (CUBA) / ESTERI / BOLIVIA
Bolivia, due candidati di destra affronteranno il ballottaggio
Fine del mandato del MAS
TELESUR (VENEZUELA) / ESTERI / PALESTINA
Palestina: la neutralità è complicità
GRANMA (CUBA) / ANALISI / INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Intelligenza artificiale, una guerra invisibile
GRANMA (CUBA) / ESTERI / COLOMBIA
Sentenza di condanna contro l’ex presidente colombiano Uribe
TELESUR (VENEZUELA) / INTERNI / NUOVE INGERENZE DEGLI USA NELL’AREA
L’eterno ritorno della dottrina Monroe

Gli Stati Uniti, senza escludere l'amministrazione Trump, hanno una lunga storia di tentativi di rovesciamento del governo del Venezuela. Foto: People's Dispatch
Il 7 agosto, il Procuratore Generale degli Stati Uniti Pamela Bondi ha accusato il Presidente venezuelano Nicolás Maduro, senza prove, di essere a capo di tre diverse organizzazioni criminali rivali e, in alcuni casi, in contrasto con lo Stato venezuelano stesso: il cartello Tren de Aragua e i cartelli di Sinaloa e Los Soles, e ha annunciato che la Casa Bianca ha aumentato a 50 milioni di dollari la ricompensa per informazioni che portassero al suo arresto.
Il giorno dopo, il New York Times ha rivelato che Donald Trump ha segretamente ordinato al Pentagono di iniziare a usare la forza militare contro gli otto cartelli della droga in Messico, Venezuela, Haiti ed El Salvador, che la sua amministrazione aveva definito a febbraio "organizzazioni terroristiche". Il New York Times ha anche osservato che l'ordine esecutivo ha fornito la base ufficiale per l'avvio di operazioni militari dirette contro questi gruppi criminali in acque e territori stranieri.
Considerati i precedenti tentativi di Washington di rovesciare il governo Maduro, sommati alle ripetute affermazioni interventiste di Trump in Messico sin dal suo ritorno allo Studio Ovale, entrambe le azioni sono state respinte come forme di minaccioso interventismo, sia a Caracas che a Città del Messico.
Dichiarare la criminalità organizzata transnazionale come "organizzazioni terroristiche" e minacciare un attacco militare persegue diversi obiettivi tattici e strategici.
Per quanto riguarda la tattica, questo implica:
a) collocare il problema del traffico di droga verso gli Stati Uniti in un quadro geopolitico e di politiche bilaterali che legittimi qualsiasi azione interventista da parte di Washington;
b) nel quadro di una guerra ibrida e data l'asimmetria di potere, tentare di strappare l'iniziativa politica a Messico e Venezuela e forzare un allineamento tattico e strategico con la concezione statunitense della guerra alla droga, che è essenzialmente repressiva e punitiva, a differenza di quella dei due paesi produttori di petrolio coinvolti nel complotto; e
c) sapendo che questo problema comune non può essere risolto in ambito militare, lo si trasferisce sul piano geopolitico e ideologico, dove lo Stato-nazione più potente del mondo cerca di imporre i propri concetti attraverso l'interferenza politica.
Dal punto di vista strategico, attribuendo a Messico e Venezuela responsabilità esterne con l’obiettivo non dichiarato di attaccarne e molestare permanentemente la sovranità, la sicurezza e i sistemi giudiziari indebolendone la struttura istituzionale e il funzionamento di entrambi gli Stati nazionali, l'amministrazione Trump cerca di:
a) generare un atteggiamento punitivo, cioè persecutorio con la scusa della criminalità all'interno delle società, delle istituzioni, dei simboli e dei valori politici di queste nazioni, il che costituisce un'azione che scatena una forza dirompente e destabilizzante nelle sfere di un Paese sovrano;
b) mettere in atto la dimensione extraterritoriale di una specifica legge dell'ordinamento giuridico degli Stati Uniti (ne ha diverse), che offre significativi vantaggi geopolitici sottoponendo la sovranità – nel suo senso più ampio – al proprio mandato costituzionale, è un modo invasivo di affrontare un problema che riguarda due Stati nazionali, uno dei quali incide sull'indipendenza dell'altro; e
c) diventa uno strumento di politica estera che viola le norme giuridiche internazionali dell'attuale ordine politico globale, trasformando l'azione punitiva in un gioco a somma zero: ciò che è dannoso per il paese preso di mira dall'azione punitiva militare o di polizia è strategicamente favorevole a Washington, perché rappresenta una sovradeterminazione politica sull'altro stato.
Tuttavia, Washington non sembra aver raggiunto i suoi obiettivi.
L'ordine segreto al Pentagono e al Messico
In seguito all'articolo del New York Times, altri media hanno riferito che il Pentagono stava preparando opzioni militari, tra cui l'impiego di forze speciali, il supporto dell'intelligence e la definizione di obiettivi precisi all'interno dei cartelli. Durante il suo primo mandato, Trump propose di bombardare unilateralmente alcuni obiettivi in Messico e di invadere il Venezuela, ma tali proposte furono respinte dai suoi consiglieri militari. Non è stato rivelato se il nuovo ordine includa qualcosa di simile.
Infatti, nelle prime versioni riportate di questo ordine al Pentagono mancano dettagli sul fatto che l'azione militare sarebbe stata unilaterale o in cooperazione con i governi dei paesi in cui hanno sede i cartelli, come suggerito dal Wall Street Journal.
Il quotidiano ha osservato che ad aprile Trump "ha fatto pressioni sulla presidente Claudia Sheinbaum affinché consentisse un maggiore coinvolgimento delle forze armate statunitensi nella lotta contro i cartelli [...] e ha minacciato di intraprendere un'azione militare unilaterale contro i cartelli se il Messico non avesse adottato misure più drastiche per smantellarli".
Secondo quanto ha dichiarato al quotidiano messicano La Jornada l'analista militare Dan DePetris dell'organizzazione investigativa Defense Priorities, la CIA ha intensificato i voli segreti sulle "aree infestate dai cartelli", ammettendo il possibile utilizzo di droni contro i laboratori di fentanyl. DePetris ha affermato che la "difesa della patria" è ora la massima priorità della strategia di sicurezza nazionale del suo Paese. Tuttavia, ha aggiunto che, durante i primi otto mesi di Trump alla Casa Bianca, la cooperazione antidroga tra Stati Uniti e Messico è stata molto migliore sotto l'amministrazione Sheinbaum rispetto ai sei anni del suo predecessore Andrés Manuel López Obrador.
A sua volta, in un'analisi strategica pubblicata lo stesso giorno in cui il New York Times ha rivelato l'esistenza della direttiva segreta, Caroline Hammer, esperta di sicurezza globale presso la Società di consulenza Stratfor, ha osservato che, a livello operativo, il Pentagono e il Northern Command – responsabili delle azioni militari con il Messico – avrebbero definito scenari di intervento di precisione contro obiettivi di alto valore, mappato rotte logistiche e stabilito basi temporanee al confine con gli Stati Uniti. Avrebbero almeno due obiettivi, con reggimenti in attesa del via libera per agire.
In un'intervista alla Catholic Television Network, il Segretario di Stato Marco Rubio ha accennato a una variazione nel vocabolario: ciò che cambia (classificandole come organizzazioni terroristiche) è il conferimento al suo governo dell’”autorità legale di prendere di mira questi [cartelli] in un modo che non sarebbe possibile se fossero solo un gruppo di criminali. Non è più una questione di polizia. Diventa una questione di sicurezza nazionale”.
In risposta al nuovo ordine esecutivo del presidente Trump, l'8 agosto la presidente messicana Claudia Sheinbaum ha affermato che, nonostante questa decisione, "non c'è alcun rischio che invadano il nostro territorio”.
"Cooperiamo, collaboriamo, ma non ci sarà alcuna invasione. È esclusa, assolutamente esclusa perché oltre al fatto che abbiamo dichiarato in tutte le nostre telefonate [con Trump] che non è consentito, non fa parte di alcun accordo. Quando hanno sollevato la questione, abbiamo sempre detto di no, che possiamo collaborare in altri modi, ma non in questo”, ha sottolineato la Presidente.
Incalzata dai giornalisti, ha affermato che Washington aveva precedentemente informato il suo governo di questa disposizione e aveva ricevuto assicurazioni che non aveva nulla a che fare con il territorio messicano.
E riguardo ai presunti legami di Maduro con il cartello di Sinaloa, ha dichiarato: "È la prima volta che sentiamo parlare di questa questione. Da parte del Messico, non c'è alcuna indagine al riguardo. Niente”.
Il colonnello in pensione Craig Deare, ex addetto militare presso l'ambasciata statunitense in Messico negli anni '90, ha suggerito maggiore cautela riguardo ad azioni militari di questo tipo. Ha spiegato che l'attuale cooperazione militare tra Stati Uniti e Messico è piuttosto buona, nonostante la retorica di alcuni leader statunitensi.
L'attuale professore presso l'U.S. National War College ha avvertito che qualsiasi azione militare unilaterale da parte del suo Paese avrebbe un "impatto negativo devastante" sull'attuale livello di cooperazione. Tuttavia, ha chiarito che la classificazione come organizzazioni terroristiche non si applica solo ai cartelli in Messico, e ha aggiunto che la dichiarazione del Procuratore Generale Bondi, che definisce Maduro "uno dei più grandi narcotrafficanti al mondo e una minaccia per la nostra sicurezza nazionale", potrebbe preparare il terreno per un'azione militare.
La risposta di Caracas
Dopo aver appreso dell'aumento da 20 a 50 milioni di dollari della "taglia” per la cattura di Maduro, il Ministro degli Esteri venezuelano Yván Gil ha scritto sul suo canale Telegram che "la patetica 'ricompensa' di Pamela Bondi è la cortina fumogena più ridicola che abbiamo mai visto. Mentre smantelliamo i complotti terroristici orchestrati dal suo Paese, questa donna si presenta con un circo mediatico per compiacere l'estrema destra sconfitta in Venezuela".
Il Ministro degli Esteri si riferisce all’attacco terroristico pianificato, segnalato il giorno prima, che avrebbe preso di mira il Ministro degli Interni Diosdado Cabello: "Non ci sorprende, visto da chi viene", ha sostenuto il funzionario, alludendo alla promessa non mantenuta di Bondi di pubblicare la "lista segreta" di Jeffrey Epstein (vedi "Gualicho de ultratumba", Brecha, 25/07/2025). E ha concluso: "Il vostro spettacolo è uno scherzo, una disperata distrazione dalla vostra miseria. La dignità del nostro Paese non è in vendita. Ripudiamo questa rozza operazione di propaganda politica".
Nel più recente rapporto dell'Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine, il Venezuela è elencato solo come Paese di transito per la cocaina prodotta in Colombia, Perù e Bolivia. Non ci sono inoltre prove a sostegno dell'esistenza di grandi cartelli della droga operanti in territorio venezuelano. Infatti, vengono regolarmente segnalati sequestri provenienti dalla Colombia. Inoltre, non ci sono segnalazioni della presenza di fentanyl. La messa in scena di Bondi è stata supportata da Rubio, che ha lanciato un'offensiva mediatica accusando Maduro di essere il leader del mitico Cartello de los Soles – una narrazione fabbricata dai servizi segreti statunitensi in cui la propaganda sostituisce le prove e le accuse sostituiscono le indagini – del Tren de Aragua, un'organizzazione criminale distrutta in Venezuela, ma che Washington usa come pretesto per perseguitare e criminalizzare i migranti venezuelani, e come alibi per imporre sanzioni economiche e finanziarie come strumento di guerra con mezzi non militari e, cosa più improbabile, di una frazione del Cartello di Sinaloa. Un fantomatico triumvirato di potere mafioso utilizzato come tattica diversiva, ma che è stato ripreso dalla sua autoproclamata "clandestinità" dalla leader di estrema destra María Corina Machado, che ha rapidamente ridefinito la "natura del regime venezuelano", caratterizzandolo come "un sistema che non si qualifica più come una dittatura convenzionale, ma come una struttura criminale transnazionale".
Tutto questo convive con un'evidente contraddizione: mentre si moltiplicano accuse infondate, Washington mantiene canali di negoziazione con Caracas per garantire la stabilità petrolifera ed energetica.
Due diplomatici da tenere d'occhio
Dato tutta questa situazione, i profili degli ambasciatori degli Stati Uniti in Colombia e Messico, rispettivamente John McNamara e Ronald Johnson, non sembrano casuali. Entrambi fanno parte di una generazione di diplomatici con addestramento militare che il Dipartimento di Stato riserva a scenari complessi o ibridi, in cui la politica estera si fonde con operazioni di difesa e intelligence. Questo dualismo civile-militare si traduce in una diplomazia di contenimento in cui il dialogo tradizionale si combina con obiettivi di sicurezza strategica, sviluppo delle capacità locali e, in alcune occasioni, operazioni di intelligence segrete. Le loro esperienze in Medio Oriente, America Latina e Caraibi dimostrano un profilo operativo all'interno dell'approccio diplomatico alla sicurezza che comprende operazioni segrete, manovre che hanno caratterizzato la politica estera di Washington in zone di conflitto o in paesi che cercano di destabilizzare. Entrambi agiscono come esecutori di una strategia geopolitica basata sul pragmatismo, sulla pressione multicanale e sull'interferenza regionale.
Dalla Colombia, McNamara ha svolto un ruolo attivo con il governo venezuelano durante il processo di scambio dei venezuelani rapiti a El Salvador. Insieme all'inviato speciale di Trump, Richard Grenell, è stato uno dei tre agenti statunitensi che hanno mantenuto una comunicazione diretta con i rappresentanti del governo venezuelano.
Come McNamara, Johnson risponde a una logica di schieramento tattico silenzioso, prolungato e sistematico, attivato dalle agende di interferenza e coercizione di Washington. Nel difendere la decisione di classificare sei organizzazioni criminali con sede in Messico come terroristiche – il che costituisce un'assurdità semantica e giuridica poiché il terrorismo usa la violenza per promuovere un'agenda politica e ideologica, mentre i cartelli sono entità guidate dal profitto – l'ambasciatore Johnson ha distorto il linguaggio fino a estremismi orwelliani, affermando che Messico e Stati Uniti lavorano "collaborativamente, come due alleati sovrani", poiché l'uso unilaterale della forza armata da parte del loro governo costituisce una negazione della sovranità.
In seguito alle sue dichiarazioni, il Ministero degli Esteri messicano ha affermato che il Messico non accetta e non accetterà la partecipazione delle forze militari statunitensi sul suo territorio e che tutta la cooperazione bilaterale deve basarsi sui principi di fiducia reciproca, responsabilità condivisa, uguaglianza sovrana, rispetto dell'integrità territoriale e cooperazione senza subordinazione.
Carlos Fazio, 17 agosto 2025
Articolo originale: El eterno retorno de la doctrina Monroe
https://www.telesurtv.net/opinion/eterno-retorno-doctrina-monroe/
Traduzione a cura di Luigi M., Patria Grande/CIVG
RESUMEN LATINOAMERICANO (CUBA) / ESTERI / BOLIVIA
Bolivia, due candidati di destra affronteranno il ballottaggio
Fine del mandato del MAS
Tra Rodrigo Paz, la sorpresa emersa al secondo turno, e Jorge Tuto Quiroga, il più estremista del campo conservatore, si sceglierà il 19 ottobre il prossimo presidente della Bolivia. La richiesta di annullare il voto di Evo Morales è fallita.

Jorge Tuto Quiroga e Rodrigo Paz, figlio di Jaime Paz Zamora, che potrebbe diventare presidente come il padre. Immagine: AFP
La Bolivia si avvia verso un nuovo ciclo politico, con il MAS come espressione della sinistra in ritirata e due varianti di destra che raggiungono il ballottaggio. I sondaggi erano giusti e sbagliati allo stesso tempo. Non avevano previsto che Rodrigo Paz, ex sindaco di Tarija e figlio dell'ex presidente Jaime Paz Zamora, sarebbe arrivato al secondo turno. Tanto meno che avrebbe vinto il primo turno con un netto vantaggio su Jorge Tuto Quiroga, dell'estrema destra. Avevano previsto che due candidati opposti al Movimento guidato da Evo Morales, che lo ha combattuto come un nemico da sconfiggere, sarebbero arrivati al giorno decisivo. Uno dei due diventerà il nuovo presidente il 19 ottobre, e governerà il Paese per i prossimi cinque anni. Una nazione di contrasti, con due regioni antagoniste: quella conservatrice e terriera orientale di Santa Cruz e quella andina occidentale. È stato proprio qui che il vincitore ha ottenuto una clamorosa affermazione. Si potrebbe dire che Paz abbia stravinto a La Paz. Ha ricevuto il 46,9% dei voti secondo i conteggi non ufficiali, contro il 16,0% di Quiroga e Samuel Doria Medina, altra sorpresa perché era dato come candidato e invece si è classificato a un distante terzo posto.
Paz, il cui trionfo ha stupito tutti, segna questo cambio di epoca mentre sembrava un outsider. Un ex amministratore della città dove questa domenica è caduto curiosamente in un’accusa di corruzione. Gli analisti boliviani concordano sul fatto che il suo sostegno elettorale sia aumentato grazie al ruolo svolto dal suo compagno di corsa, l'ex agente di polizia Edman Lara, che fino a poco tempo fa era una personalità dei social media, che si vantava delle sue accuse di corruzione ai suoi compagni.
L'uomo che emerge più forte da questo primo turno e con le maggiori possibilità di raggiungere la Casa Grande del Pueblo – come è conosciuta la sede del governo – è spagnolo. È nato a Santiago de Compostela durante l'esilio del padre, presidente della Bolivia dal 1989 al 1993, fondatore del MIR (Movimento di Sinistra Rivoluzionaria) e divenuto socialdemocratico nel corso degli anni. Il figlio ha 57 anni, ha vissuto in diversi paesi ed è laureato in Economia e Relazioni Internazionali.
Lara, l'agente di polizia che ha fatto la sua campagna su TikTok, è stato licenziato dal corpo di appartenza nel 2024 e una sentenza gli ha negato il reintegro "per grave cattiva condotta contro l'istituzione”. Nei suoi quindici anni di servizio è diventato famoso per aver denunciato i superiori per corruzione. È apparso davanti ai media poche ore dopo la sua vittoria indossando la maglia della nazionale boliviana e ha dichiarato "siamo in finale” invocando Dio.
La coppia si è confrontata sotto il nome del Partito Democratico Cristiano e in seconda posizione è rimasto Quiroga, ex presidente della Bolivia e precedentemente vicepresidente del dittatore Hugo Banzer, presidente de facto in due periodi, in pieno Plan Condor. Quando si è riciclato nella democrazia, è tornato come capo di Stato, ma con i voti, tra il 1997 e il 2001. Tuto ereditò la sua carica.
Una prima spiegazione, con il riconteggio dei voti in corso ma con una chiara tendenza, è che Paz abbia conquistato una parte considerevole dell'elettorato che storicamente ha votato per il MAS. Aveva dichiarato in un'intervista che ""il nuovo progetto del MAS si chiama Andrónico Rodríguez”, come se avesse cercato di catturare voti da quella fetta indebolita del campo popolare rappresentata dal giovane senatore che fino a poco tempo fa era molto vicino a Evo Morales. Paz ha vinto a El Alto, una popolosa città operaia molto vicina alla capitale.
Un'altra interpretazione che si può dare, è che si sia voluto mettere in atto una punizione, e non solo per la sinistra, ma anche per la vecchia e screditata destra rappresentata da Doria Medina, un uomo d'affari multimilionario che ha flirtato con la dittatura che ha preso il potere nel 2019 e che ha persino progettato una lista poi scartata con l'ex presidente de facto Jeanine Áñez, attualmente in carcere. Anche Quiroga è stato colpito dalle schegge perché non è arrivato primo, e ora vede diminuire le sue possibilità di vincere il ballottaggio. Dovrà cercare i voti dell'Alleanza dell'Unità di Doria Medina, che al primo turno è andato intorno al 20% dei voti. Tuttavia, quest'ultimo candidato ha già annunciato il suo sostegno a Paz, secondo quando diramato dall'agenzia di stampa Efe.
La terza domanda che emerge dall'analisi post-elettorale è cosa sia successo con i voti nulli come ha chiesto l'ex presidente Morales. Sono stati quasi il 20% e questa percentuale, sommata a quella di Andrónico Rodríguez, gli avrebbe dato buone possibilità di competere per il secondo posto al ballottaggio con Quiroga, e avrebbe potuto persino superarlo. Questo dimostra che la strategia di Evo e del suo movimento decimato non era adeguata in questo momento. Tutti i dati pubblicati fino a due ore dopo la chiusura dei seggi non erano ufficiali perché il sito web del Tribunale Supremo Elettorale era offline. Il suo presidente ha affermato che i numeri degli exit-poll riportati dai media non erano vincolanti, ma a dispetto di tutto li ha comunque considerati attendibili. Così, lo stesso TSE ha confermato che Paz stava vincendo con il 32,1% e Quiroga con il 26,9% lo avrebbe accompagnato al ballottaggio. Doria Medina ha ottenuto il 20%, e i voti nulli e bianchi sono arrivati al 20%, Rodríguez all'8,1%, l'ex militare Manfred Reyes al 6,6%, Eduardo Del Castillo, del MAS al governo che rappresentava il presidente Luis Arce, al 3,1%, Johnny Fernández, populista di destra, all'1,6% e Pavel Alarcón all'1,4%.
I dati più precisi pubblicati dal Sistema dei Risultati Elettorali Preliminari (SIREPRE) hanno inoltre determinato che, intorno a mezzanotte, erano stati registrati un totale del 78,28% di voti validi (4.926.414), mentre il voto nullo promosso da Morales ha raggiunto il 19,29% (1.208.619). Dei 7.567.207 aventi diritto, sono stati 6.292.964 gli elettori che si sono recati alle urne in un Paese di 12,41 milioni di abitanti.
La Paz rappresenta la misura della vittoria di un candidato inaspettato. Con l'ampio margine ottenuto dall'ex sindaco di Tarija nato in Spagna – 1.587.823 voti – arriverà al secondo turno rafforzato, sebbene una differenza di circa cinque punti in qualsiasi altra circostanza elettorale non sarebbe stata decisiva. È chiaro che la Bolivia ha scelto di spostarsi a destra e porre fine al ciclo del MAS. Ciò non significa la fine della sua base come movimento, colpita duramente dal risultato, ma pone comunque in allerta lo stato plurinazionale che ha impiegato così tanto tempo a sollevarsi.
Gustavo Veiga, Resumen Latinoamericano, 18 agosto 2025
Articolo originale: Bolivia. Dos candidatos de derecha irán al balotaje y fin de ciclo para el MAS
Traduzione a cura di Luigi M., Patria Grande/CIVG
TELESUR (VENEZUELA) / ESTERI / PALESTINA
Palestina: la neutralità è complicità

Manifestanti in tutto il mondo si sono mobilitati per denunciare il silenzio e la complicità dei loro governi e dei giornalisti occidentali, le cui campagne diffamatorie contribuiscono a generare narrazioni che disumanizzano i palestinesi. Foto: EFE.
In un mondo saturo di conflitti e disinformazione, la causa palestinese rimane il barometro etico e politico dei nostri tempi. Non si tratta solo di una tragedia umanitaria, ma di una lotta contro un regime sistematico di colonizzazione, apartheid e pulizia etnica, come riconosciuto da organizzazioni internazionali e autorevoli voci del diritto internazionale. A questo proposito, il rapporto di Amnesty International del febbraio 2022 afferma che "il sistema israeliano di sistematica dominazione e oppressione del popolo palestinese equivale al crimine di apartheid".
Dall'America Latina, una risposta di solidarietà non può limitarsi a dichiarazioni diplomatiche o gesti simbolici. È necessaria un'azione strutturale, coordinata e sostenuta per sfidare non solo lo Stato occupante, ma anche le reti di lobby sioniste che operano per mettere a tacere la verità, manipolare l'opinione pubblica e influenzare le politiche estere.
È sorprendente che il movimento popolare, giovanile e artistico di solidarietà con la Palestina sia molto più debole in America Latina rispetto all'Europa e agli Stati Uniti. Non si tratta di un semplice dettaglio, dati i legami storici dell'America Latina con la lotta del popolo palestinese. Ciò riflette molteplici fattori interni all'America Latina e il modo in cui legittime e necessarie lotte locali sono state imposte al di fuori del contesto internazionale, il che aggrava le crisi interne in quei paesi e indebolisce il movimento giovanile e popolare limitandone la visione politica alla sfera interna.
Sebbene meno visibile che negli Stati Uniti o in Europa, la lobby sionista in America Latina opera efficacemente attraverso camere di commercio binazionali, associazioni culturali e fondazioni che sembrano "neutrali" ma promuovono la narrativa sionista e hanno svolto un ruolo fondamentale nel mascherare crimini e nel lavaggio del cervello. Queste entità spesso:
• organizzano viaggi di propaganda in Israele per giornalisti e politici;
• finanziano cattedre universitarie e organi di stampa con obiettivi simili;
• censurano o boicottano artisti, autori e giornalisti filo-palestinesi;
• e, di recente, hanno intensificato la loro campagna per reclutare mercenari e inviarli a partecipare alla campagna genocida a Gaza in cambio di ingenti somme di denaro. Ci sono casi documentati di argentini, colombiani, messicani e venezuelani che partecipano all'attuale guerra di genocidio contro Gaza, non è un segreto. Un'analisi di Press TV pubblicata nell'agosto 2024 fornisce nomi e foto di decine di questi mercenari.
Data la gravità dei crimini sionisti in Palestina, le condanne, sebbene necessarie per stabilire una posizione morale, sono diventate un rituale inutile. Israele non ha cessato i suoi orribili crimini per paura di essere condannato; al contrario, vuote dichiarazioni sembrano dargli il permesso di continuare. La Palestina e Gaza stanno davvero sanguinando mentre il mondo scrive risoluzioni che non vengono mai rispettate. È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago che per Hitler (Netanyahu) e i nazi-fascisti (l'occupazione israeliana) riflettere e fermare la loro macchina criminale, genocida e disumana.
La direttiva del presidente colombiano Gustavo Petro per una politica globale di solidarietà con la Palestina non solo dimostra il vero coraggio di un'anima bolivariana, ma riflette anche una profonda comprensione della causa palestinese come causa dell'umanità, e un impegno che dà il tono e costituisce un esempio da seguire per tutti i paesi.
Grazie, signor Presidente Petro, a nome di tutti i palestinesi. La sua posizione concreta e la sua sincerità nell'azione non saranno mai dimenticate. La strada è ancora lunga, ma sarà senza dubbio meno buia con la vostra compagnia e il vostro impegno. A lei, signor Presidente Petro, a tutta la sua squadra e al popolo fratello della Colombia, auguriamo pace, prosperità e suprema felicità.
Il silenzio non è più neutrale. È complice. Pertanto, ci appelliamo:
• agli Stati: per assumere un ruolo guida nei forum internazionali, promuovere sanzioni e sostenere la Palestina presso la CPI e la Corte Internazionale di Giustizia;
• ai media alternativi e pubblici: per generare contenuti sostenibili, rigorosi, contestualizzati e coraggiosi che smascherino l'occupazione israeliana e diano voce al popolo palestinese;
• alle Università e ai sindacati: per interrompere la collaborazione con le istituzioni israeliane coinvolte nell'occupazione;
• alla società civile e ai movimenti sociali: per organizzare giornate informative, campagne di boicottaggio e attivare il fronte legale e perseguire, tra le masse, coloro che sostengono il genocidio, coloro che ignorano deliberatamente il diritto del popolo palestinese all'autodeterminazione e coloro che giustificano l'occupazione e tutti i suoi crimini.
La Palestina non è sola, ma ha bisogno di molto di più. Il popolo palestinese ha resistito con dignità per oltre 77 anni. La solidarietà internazionale è stata fondamentale, ma deve diventare un quadro d'azione, non solo uno slogan morale. Dobbiamo rivendicare la lotta contro il sionismo come lotta di ognuno di noi, per il nostro futuro, per i nostri figli.
Oggi, il sionismo usa gli strumenti più sporchi del ricatto per preservare i propri interessi, tenendo l'umanità in ostaggio della sua influenza ovunque: nel settore bancario, nei media (bisogna analizzare Fuente Latina, Conexión Israel e vedere le centinaia di giornalisti latinoamericani trasformatisi in mercenari dei media), nell'economia e nella politica. Minacciano apertamente guerre mondiali per superare la loro crisi, chiedendo spudoratamente che l'umanità sacrifichi il popolo palestinese e la sua stessa esistenza in cambio della preservazione del loro impero.
Ora più che mai, l'America Latina deve essere all'altezza della sua storia di lotta contro il colonialismo, la dittatura e l'imperialismo. Non abbiamo bisogno di altre parole. Abbiamo bisogno del coraggio di agire, di boicottare, di sanzionare i sionisti, di assicurare alla giustizia i responsabili del genocidio. Se non ora, quando? E se non lo facciamo noi, chi lo farà?
La Palestina è la causa dell'umanità.
Muaz Mussa, 18 agosto 2025
Articolo originale: Palestina: la neutralidad es complicidad
https://www.telesurtv.net/opinion/palestina-neutralidad-es-complicidad/
Traduzione a cura di Luigi M., Patria Grande/CIVG
GRANMA (CUBA) / ANALISI / INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Intelligenza artificiale, una guerra invisibile

L’Intelligenza Artificiale non è solo una tecnologia disruptiva, è il cuore di una nuova architettura di guerra, controllo e accumulo
Dal Progetto Manhattan alla Guerra Fredda, il XX secolo è stato segnato da progressi tecnologici che hanno ridefinito il potere militare, la sovranità degli Stati e il destino del mondo. La realizzazione della bomba atomica non alterò solo il corso della II Guerra Mondiale, ma aprì una nuova era in cui la scienza divenne strumento dell’egemonia globale.
La corsa tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica consolidò un modello basato sulla minaccia, il segreto e la competizione. Oggi, in piena nuova fase del sistema capitalistico mondiale - digitale e finanziario - questa logica ritorna con la stessa intensità per la disputa sul piano dell’Intelligenza Artificiale (IA).
L’IA non è solo una tecnologia disruptiva: è il cuore di una nuova architettura di guerra, controllo e accumulo. Quella che una volta era la corsa per dominare l’atomo, oggi è la gara per dominare l’algoritmo e, ancora una volta, Stati Uniti e Cina si candidano come le due grandi potenze in competizione per guidare questa trasformazione. A differenza del secolo scorso, però, l’IA non si limita al piano militare, ma attraversa ogni dimensione della vita sociale, economica e culturale, accelerando una riconfigurazione globale il cui esito è incerto.
Nel luglio del 2025, l’amministrazione Trump ha presentato l’America's Action Plan, una strategia ambiziosa per assicurare la supremazia statunitense nel settore dell’Intelligenza Artificiale. La road map profila una nuova industrializzazione del Paese, la blindatura della sua sicurezza nazionale e la proiezione del suo potere globale attraverso chips, dati, algoritmi e super-intelligenze. Trump lo ha detto senza incertezze: "Dobbiamo vincere la battaglia per l’IA come abbiamo vinto quella per lo spazio”.
Il piano si appoggia su assi chiave portanti: dalla deregolamentazione del settore per favorire circa 29 mila startup a investimenti milionari nella difesa, nelle infrastrutture e nell’educazione. Include il rafforzamento del settore privato, dei data-center, delle fabbriche di semiconduttori, dei modelli "patriottici” allineati ai valori costituzionali e un esercito di algoriti capace di pilotare armi autonome e guidare guerre preventive.
L’IA non è più solo uno strumento, è già una dottrina strategica che si incornicia in una guerra tecnologica sistematica tra due progetti di capitalismo: da un lato il modello della Silicon Valley (Nvidia, Microsoft, Google, Amazon, Meta, Tesla), e dall’altro l’ecosistema di Shenzhen (Huawei, Baidu, Alibaba, Tencent, Smic). La supremazia nell’IA è una questione di sviluppo economico e di sovranità geopolitica.
Nvidia è il cuore del complesso tecno-finanziario statunitense. Con una capitalizzazione in borsa vicina ai quattro miliardi di dollari, le Unità Centrali Grafiche sono una chiave per allenare i modelli di IA avanzati.
Nell’ aprile del 2025, Trump ha imposto una limitazione all’esportazione dei suoi chip verso la
Cina, causando una perdita per Nvidia stimata in 5,5 milioni di dollari. Evidentmente, il peso del gigante tecnologico ha finito per imporsi, e a luglio la misura è stata rovesciata autorizzando l’esportazione attraverso licenze. Durante la limitazione, più di un miliardo di dollari in chip avanzati sono entrati per vie clandestine via Hong Kong e triangolazioni varie. Nello stesso mese, Jensen Huang, CEO di Nvidia, ha partecipato alla WAIC a Shanghai e all’Esposizione Internazionale della Catena di Distribuzione a Pechino. Lì ha difeso la concorrenza tecnologica, ha elogiato i modelli di DeepSeek, Alibaba e Tencent, ha presentato il chip RTX-pro, adattato alle normative cinesi. La sua presenza ha rinforzato sia la scommessa commerciale che il peso geopolitico di Nvidia.
La Cina, a sua volta, picchia forte. Hangzhou, la "Sylicon Valley” del commercio electronico, è sede di Alibaba, Ant Group, NetEase e altre nuove startup come DeepSeek, Deep Robotics y BrainCo. Shenzhen è leader dell’hardware Huawei, Tencent, DJJ, BYD e ZTE, che detengono produzioni innovative. A Pechino, il distretto di Zhongguancun è sede di Baidu, Megvii, Lenovo, ByteDance e di numerosi centri di ricerca.
I due paesi investono centinaia di miliardi in fabbriche di chip, data center, intelligenza militare e competenza. Gli Stati Uniti legifera attraverso il Chips Act e l’Action Plan. La Cina centralizza la sua infrastruttura sotto il progetto nazionale DeepCent, che concentra l’80% dei suoi nuovi chip e il 50% delle sue capacità di calcolo in un cluster nell’impianto nucleare di Tianwan.
Questi sistemi indagano, programmano e si auto migliorano senza aiuto umano. Agent-4, con 300 mila copie e una velocità 50 volte superiore a qualla umana, procede al ritmo di un anno a settimana. Le IA cominciano a comunicarsi in linguaggi inintelligibili, operando a livelli opachi che sfidano ogni controllo. Una sola IA non allineata potrebbe destabilizzare il mondo intero.
Trump propone misure difensive, 20 miliardi per un comando algoritmico, droni autonomi, intelligenza predittiva e armi con IA. Proibisce l’uso federale dell’IA per la censura, promuove una "IA patriottica” senza tratti progressisti, e pianifica una riconversione educativa.
Il Piano stima che il 40% dei posti di lavoro sarà compromesso prima del 2030. La domanda non è se l’IA trasformerà il mondo: lo sta facendo. La questione cruciale è: chi condurrà queste trasformazioni, con quali fini, sotto quali valori e al servizio di quali interessi? Gli Stati potranno allineare lo sviluppo delle intelligenze super umane ai valori democratici o affronteremo un’accelerazione tecnica che già sfugge ad ogni regola e comprensione collettiva?
In questo nuovo campo di battaglia non si disputano solo l’efficienza produttiva o il dominio industriale: si definisce il luogo stesso dell’essere umano.
Con Trump a capo, gli Stati Uniti intendono guidare questa transizione, subordinando lo sviluppo dell’IA alla sua agenda geopolitica ed economica. Con il regime capitalistico, ogni innovazione tende a essere subordinata alla logica del guadagno prima che al benessere collettivo. Quando il motore di questa trasformazione è la competizione per ridurre al minimo i tempi sociali di produzione – e non la ricerca del bene comune – l’orizzonte diventa inquietante, con super intelligenze disegnate per massimizzare benefici, anche se questo implica relegare, subordinare, eliminare l’umano come centro di decisione. Per questo è urgente riappropriarsi socialmente dello sviluppo tecnologico, ricollocare al centro l’essere umano, e non il capitale.
Democratizzare le decisioni su quale IA vogliamo, per quali fini e a quali condizioni. Solo così questi strumenti si potranno orientare per soddisfare le necessità collettive e ampliare i margini dell’autonomia, e non per rinforzare le invisibili catene di un nuovo dominio. La disputa per l’Intelligenza Artificiale non è solo una questione tecnica: è una lotta politica e di civiltà.
Lucas Aguilera e GM per Granma Internacional, 2 agosto 2025
* Lucas Aguilera è master in Politiche Pubbliche e direttore delle Ricerche dell’Agenzia argentina Nodal.
GRANMA (CUBA) / ESTERI / COLOMBIA
Sentenza di condanna contro l’ex presidente colombiano Uribe

Ex presidente Uribe della Colombia. Photo: Prensa Latina
La giudice colombiana Sandra Heredia ha comunicato pubblicamente la sentenza che dovrà scontare l’ex presidente Álvaro Uribe (2002-2010) dopo la sentenza che lo ha dichiarato colpevole dei reati di ricatto dei testimoni e frode processuale.
Anche se il Pubblico Ministero Marlene Orejuela ha chiesto una pena di nove anni di carcere, Heredia ha precisato che l’ex presidente potrà scontare la sua condanna in casa sua e non dietro le sbarre.
Dopo la lettura della sentenza di condanna in prima istanza, con l’ammontare della condanna e la pena di privazione della libertà imposta a Uribe, lo staff legale ha disposto cinque giorni per presentare appello per contrastare la sentenza. Secondo gli analisti, la richiesta sarà indirizzata al Tribunale Superiore di Bogotá, dove si sottoporrà al criterio di vari magistrati. L’avvocato Jaime Granados, che guida la difesa dell’ex capo di Stato, ha assicurato ai media locali che presenteranno l’appello con l’obiettivo d’impugnare la decisione di Heredia.
Il processo contro Uribe ha segnato un precedente di grande significato per il Paese perché è la prima volta nella storia che un ex governante viene dichiarato colpevole di reati penali. Il risultato del processo ha riacceso le tensioni tra la Colombia e gli Stati Uniti e lo stesso attuale mandatario, Gustavo Petro, ha chiesto all’ambasciata USA "di non intromettersi nella giustizia del suo paese”.
Il capo di Stato ha sollecitato la Corte Costituzionale e il Tribunale Supremo di respingere le dichiarazioni del Segretario di Stato Marco Rubio definendo la condanna emessa contro Uribe una pretestuosa strumentalizzazione politica del potere giudiziario colombiano: "Perchè la Corte Costituzionale, attraverso il suo presidente, non si alza e ribadisce che questo Paese è indipendente e sovrano, e che qui si rispettano i giudici? O stiamo tornando ad essere una colonia? E perchè non lo fanno anche la Corte Suprema e tutto il potere giudiziario?”, ha affermato.
L’origine del caso montato contro Uribe risale al 2012, quando l’ex mandatario denunciò il senatore Iván Cepeda per presunti benefici elargiti a testimoni perchè segnalassero che l’ex presidente e la sua famiglia avevano legami con i paramilitari. Dopo aver esaminato l’allegato, la Corte Suprema di Giustizia archiviò la denuncia e stabilì che era Uribe che apportava false testimonianze contro Cepeda.
Di fronte a questa situazione l’ex governante rinunciò alla sua carica di senatore per consentire che il suo caso passasse alla giustizia ordinaria, ma non fu processato. Nonostante ciò, il 16 gennaio dell’anno scorso il procuratori presso la Corte Suprema di Giustizia, Gilberto Villarreal, riaprì il caso e affermò che esistevano sufficienti elementi per imputarlo con accuse di ricatto di testimoni e frode processuale.
Redazione Prensa Latina e GM per Granma Internacional, 1° agosto 2025












