Riportiamo di seguito l’introduzione al X Congresso di Medicina Democratica, tenuto a Torino.

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Introduzione al X Congresso di Medicina Democratica

di Marco Caldiroli

13.10.2022

 

 

Mi accingo ad aprire i lavori del X Congresso di Medicina Democratica nella qualità di Presidente protempore, ben sapendo la mia persona non può paragonarsi alle figure storiche che hanno fondato il nostro movimento 46 anni fa, e che abbiamo ricordato nel filmato appena mostrato, ma confortato che esiste ed è operativo un collettivo che ha reso possibile garantire continuità alle nostre iniziative in coerenza con i principi fondativi.

“La salute innanzitutto” è stato il mantra nei momenti più critici della prima fase della pandemia. E’ stato accompagnato dall’altro mantra del “andrà tutto bene” ancora più retorico.

La pandemia ha costituito un innesco ed è nel contempo l’ultima chiamata per una netta inversione di tendenza in tutti i campi sociali ed umani.

Ma la salute-mantra ripetuto per far accettare il lockdown prima e le altre misure limitative poi oramai ha lasciato il posto alla ricerca di un ritorno alla normalità o meglio a nuove e diverse preoccupazioni economiche e politiche dimenticando le “promesse” di interventi sul SSN verso la prepardness in campo pandemico e la prevenzione più in generale.,

A quasi tre anni di distanza abbiamo di fronte una “tempesta perfetta” ove i nodi ambientali, sociali e politici si incontrano, unitamente alla situazione internazionale, a determinare un futuro prossimo carico di incertezze e di pericoli collettivi e individuali.

Risulta evidente che la lezione impressa dal Covid, per limitarci all’Italia, non è bastata a innescare un radicale ripensamento della “normalità” (sanitaria, ambientale, sociale) e il PNRR è una pezza nuova su un vestito logoro (nel caso della Lombardia un vero e proprio ircocervo: si realizzano case di comunità nei distretti dopo averli distrutti impiantando il tutto in una situazione in cui la sanità pubblica è impazzita e quella privata impazza senza redini).

Che la salute venga innanzitutto concordiamo pienamente, soprattutto deve venire prima del profitto e deve voler dire condizioni di lavoro sicure e salubri non solo in riferimento alla pandemia da Sars Cov2 ovvero ad un rischio biologico ma rispetto a tutti i fattori di rischio ben conosciuti e che mietono la vita di oltre 1.200 lavoratori e lavoratrici ogni anno, per limitarci agli infortuni.

Anche nei paesi più industrializzati in particolare in Italia, è emersa la evidenza di non essere preparati alla evenienza pandemica ancorchè prevista ed attesa, è oramai pacifico che tale imprevidenza è strettamente correlata con lo smantellamento graduale del servizio sanitario nazionale o meglio il principio di un servizio sanitario come bene comune, pur affermato nelle leggi in Italia, in realtà mai pienamente realizzato nei suoi principi cardine, universalità, gratuità e partecipazione.

L’incremento del grado di privatizzazione dei servizi, basti l’esempio disastroso della eccellenza lombarda, non sta solo aumentando le diseguaglianze sociali di accesso alle cure ma ha ridotto la resilienza del SSN nei confronti dell’emergenza pandemica come la capacità di intervento, in primo luogo preventivo, nei confronti degli infortuni da lavoro. L’incuranza nei confronti della crisi ambientale a sua volta produce pandemia, anzi sindemia, e peggioramento delle condizioni di salute nel medesimo tempo in cui concentra profitti in poche mani letteralmente sulla pelle della collettività.

I sempre più evidenti effetti della crisi ambientale, accentuati dalle guerre, da ultimo quella Ucraina, hanno causato un “rinculo” economico che, nella finanziarizzazione dell’economia, sta determinando un orizzonte di decrescita infelice e disomogenea.

Non un programma di allentamento delle fonti di pressione ambientali, di riconversione ecologica delle produzioni e dei consumi, a partire da quelli maggiormente nocivi, ma semplicemente una compressione delle condizioni di vita per effetto di alcune “varianti” macroeconomiche come quelle energetiche. Per come va evolvendosi e per come viene affrontato (oggi come ieri), allontana l’indispensabile alleggerimento del peso della umanità industrializzata sull’intero pianeta. E’ attiva una “clessidra” che sempre più ci pone davanti a una crisi ambientale planetaria che va letteralmente rovesciata e non con interventi qualunque. Basti pensare alle recenti innovazioni tecnologiche, già attuate su base industriale, di “conversione” diretta del petrolio in materie plastiche senza bisogno di passare o comunque di produrre idrocarburi utilizzabili come combustibili. Come pure gli impatti ambientali (e geopolitici) dell’approvvigionamento di terre rare, litio e altri metalli per alimentare la elettrificazione. Anche le rinnovabili hanno un lato “materiale” che va considerato e correttamente affrontato.

Nel corso della emergenza covid abbiamo poi assistito a uno scontro tra scientismo e antiscienza impressionante e dovuto anche in parte a un altro elemento non attuato della riforma sanitaria : “la formazione di una moderna coscienza sanitaria sulla base di una adeguata educazione sanitaria del cittadino e delle comunità” (art. 2 Legge 833/1978). Un contendere tra scienziati di diverso genere in cui anziché evidenziare le incertezze (non ancora dissipate oggi) presentavano proposte divergenti in nome della stessa scienza “non democratica” (scientista), con affermazioni apodittiche che venivano smentite o corrette dopo poco tempo. Basti pensare alla affermazione che la vaccinazione proteggeva dalla infezione (impediva la positivizzazione) suggerendo che ci si poteva gettare nella mischia senza timore di contagio per poi doversi rimangiare tutto dopo poche settimane e ripiegare sul più plausibile e certo effetto protettivo da conseguenze importanti dello sviluppo della malattia in particolare in caso di comorbilità. Contraddizioni che hanno alimentato il già presente endemico movimento antiscientifico diffondendo teorie infondate, irrigidendo convinzioni e schieramenti, mischiando in un coacervo indistinguibile chi sosteneva che con la vaccinazione si iniettava il 5G per essere monitorati da Bill Gates a chi contestava specifici provvedimenti come il green pass rafforzato per poter lavorare surrogando un obbligo vaccinale che non si osava estendere a tutti, senza basi giuridiche certe.

Che dire della attuale situazione ove sono state azzerate anche le misure di buon senso quali distanziamento e protezioni individuali? Non era utile da parte nostra entrare nella mischia ma puntare sulle priorità che erano e sono la salvaguardia del servizio sanitario pubblico unica, vera difesa, se ben governato e strutturato, dalle prossime pandemie .

Il tutto in un contesto in cui le informazioni epidemiologiche non erano disponibili o solo in parte e solo oggi, necessariamente, cominciano a fornire indicazioni ancora da valutare e approfondire con gli strumenti scientifici. Ma veniamo a quel che più ci preme ed è attuale.

Pochi giorni fa, il 9 ottobre, sono state ricordate le “vittime sul lavoro”, “vittime, incidenti, tragiche fatalità” sono termini che non sono sinonimi di infortunio, omicidio sul lavoro, violazione delle norme in materia di sicurezza. Possono essere fuorvianti spingendo verso un pietismo anziché favorire una reattività per andare alle cause e agire contro condizioni di lavoro nocive.

Manca il riconoscimento delle cause prime delle stragi sul lavoro che è inutile chiamare in questo modo senza indicare le colpe e i colpevoli. Dal riconoscimento delle vittime al vittimismo il passo è troppo spesso lieve. Il 9 ottobre è stato ancora una volta principalmente pieno, in particolare sui media, di vittimismo, con testimonianze di persone con danni permanenti che spesso attribuiscono esclusivamente a un proprio errore l’evento.

La normativa sulla sicurezza sul lavoro in Italia è sostanzialmente una buona normativa, migliorabile ma sicuramente da decenni tra le più avanzate. La sua attuazione concreta è un altro discorso. Faccio solo qualche esempio. A latere e dentro le norme si sono cumulati nel tempo strumenti di valutazione che dovrebbero facilitare il compito dei datori di lavoro come dei lavoratori di individuare le fonti di rischio e le misure di prevenzione necessarie. Troppo spesso gli algoritmi di questi strumenti sostituiscono la valutazione, azzerano la dialettica nei luoghi di lavoro e limitano le azioni di vigilanza se non le zittiscono (non erano molti anni fa quando venne presentato un progetto di legge per il quale la “certificazione” di esperti dei documenti di valutazione dei rischi li rendeva pressocchè inviolabili, indiscutibili anche da parte degli organi di vigilanza). Stiamo all’erta, è alquanto probabile che proposte analoghe torneranno nella agenda politica del governo entrante.

Ancora oggi per esempio, a trent’anno dalla corrispondente norma, vi sono imprese con elevati rischi connessi all’esposizione dei lavoratori a rumore che “spacciano” come valutazione la misurazione del rumore, quello che dovrebbe essere la base conoscitiva per affrontare il tema come l’adempimento normativo conclusivo invece che l’inizio dello studio, con i lavoratori, di misure di miglioramento (riduzione) dell’esposizione al rumore come ad altre nocività.

Se la capacità autonoma dei lavoratori di contestare tali “abitudini” padronali è ridotta per la debolezza complessiva delle condizioni e dei rapporti di lavoro va ricordato che vi è stata una esplicita ritirata dei servizi pubblici nell’impegno sull’intervento delle condizioni di igiene del lavoro che ha lasciato il campo libero ad applicazioni fallaci e a pletore di consulenti “marchettari” che ritroviamo nei Tribunali a difendere le tesi innocentiste dei responsabili delle morti di lavoratori.

Eppure quando sento un lavoratore della GKN che illustra il modo in cui è stato sottoposto a critica il modello OCRA (un metodo per la valutazione dei rischi da sovraccarico biomeccanico da movimenti ripetuti) e illustra le proposte tecniche di miglioramento delle condizioni lavorative mettendo in discussione la “scienza del padrone” mi rendo conto che il seme che è stato seminato più di quarant’anni fa e dal quale è nata Medicina Democratica, non si è perso. Sul tema il PNRR risponde con finanziamenti per l’acquisto di attrezzature di misurazione per i servizi pubblici dove oramai non c’è quasi nessuno in grado di utilizzarli al meglio ma ancor più in grado e con la volontà di costruire con i lavoratori strategie di monitoraggio utili a definire modalità e obiettivi di miglioramento,

Il 10 ottobre si è tenuta invece la giornata della salute mentale (oggi inizia un convegno internazionale sul tema). E’ un tema su cui Medicina Democratica si è spesa principalmente sugli aspetti connessi alle condizioni lavorative corrispondenti al quarto gruppo delle nocività (dopo i rischi chimici quelli fisici e quelli di igiene del lavoro) in particolare sulle “organizzazioni malate” e sullo stress lavoro correlato. Il tema, anche qui emerse con maggiore evidenza per la pandemia, coinvolge una sempre più estesa condizione di malessere correlato con condizioni sociali di esclusione e spesso anche di genere. Condizioni che non possono essere superate o anche solo alleviate con una politica di “bonus”

ma affrontate, nell’ambito della riorganizzazione della sanità territoriale, integrando i servizi socio-sanitari con quelli di salute mentale.

C’è una ultima data che vorrei ricordare, il 7 aprile, giornata europea contro la commercializzazione della salute che si sposa perfettamente con gli obiettivi di ripubblicizzazione della sanità e con il contrasto con la privatizzazione di ogni ambito connesso con le condizioni di salute collettive e individuali.

Non a caso siamo stati tra i promotori, assieme ad una vasta rete europea, della Iniziativa dei Cittadini Europei per la sospensione dei brevetti sui vaccini anticovid e i farmaci essenziali e contestualmente appoggiamo le iniziative, che stanno camminando, per arrivare ad una Agenzia europea pubblica della ricerca. Non siamo riusciti a raggiungere il milione di firme europee per l’iniziativa sui brevetti ma in Italia abbiamo raggiunto gli obiettivi assegnati e soprattutto abbiamo posto il tema nell’agenda degli organismi internazionali.

Il degrado e la deriva del SSN spinge a rifugiarsi e a considerare la condizione individuale come l’unica concretezza per tutelare la propria salute. Chi può cerca una risposta con le proprie forze spinto anche da messaggi espliciti da tutte le parti (mutue, assicurazioni) e particolarmente bruciante è la retorica dei maggiori sindacati sul welfare aziendale. In realtà nessuno si salva da solo.

Si è persa la capacità di una risposta collettiva e partecipata ad una salute quale diritto delle persone e il risultato elettorale è conseguente perché non vi era una netta differenza di proposta tra gli schieramenti.

L’ultima emergenza è rappresentata dal letterale svuotamento di operatori dalla sanità pubblica, non solo dalla inadeguatezza del ricambio generazionale (medici di medicina generale, infermieri e tecnici della prevenzione) ma per la progressiva pesantezza dell’operare nel pubblico (pronto soccorso) rispetto a forme alternative costituite oggi da cosiddetti “gettonisti”, operatori da ore, spesso ex dipendente pubblici che vanno di ente in ente a coprire le voragini sempre più estese. Nella stessa direzione l’estensione di servizi pubblici attribuiti alle (per lo più private) farmacie come pratica che si va estendendo ed esplicito programma “alternativo” della nuova maggioranza.

Il tutto condito dall’avanzare delle ipotesi ancor più distruttive nel definire disuguaglianze anche geografiche rappresentate dalle proposte di autonomia differenziata ancora pendenti.

Lo scopo di questo congresso, nell’ambito della discussione e delle iniziative di MD, è quello di proporre un percorso di inversione di tendenza.

La pandemia ha fatto emergere i limiti della sanità occidentale, in particolare italiana ed ancora più di quella sbilanciata sulla privatizzazione e che ha ridotto la medicina territoriale a partire dalle strutture dedicate (mega ASL, direttori generali “monarchi”, cancellazione di fatto dei distretti, riduzione delle attività di prevenzione).

Quale direzione percorrere ? Possiamo chiamarla quarta riforma o riforma della controriforma, in tutti i casi una ripresa della preminenza pubblica (cito Tesoreria dello Stato) a partire dalla programmazione, su base epidemiologica ovvero per obiettivi di salute collettiva, dalla medicina territoriale e la ridefinizione del rapporto con gli ospedali. In breve la attualizzazione degli obiettivi di prevenzione, cura e riabilitazione ove il primo, la prevenzione primaria (nei luoghi di vita, di lavoro, in un ambiente salubre) è prioritario e il principale investimento.

In questo percorso sappiamo di non essere soli, non solo perché abbiamo costituito un riferimento e abbiamo disseminato i contenuti che ci caratterizzano da 46 anni, basti pensare a il manifesto “La salute non è una merce, la sanità non è una azienda” della primavera 2020. Sono azioni che si innestano nelle attività previgenti del Forum per il diritto alla salute e nelle nuove aggregazioni come La Società della Cura o Il Congresso della Salute che ora si sta articolando in assemblee della salute regionali.

In virtù della nostra storia e della coerenza che ci rende credibili, al di là della nostra dimensione numerica, in un contesto socio-politico frammentato intendiamo proporci come una bussola (non l’unica) che indica la direzione del cambiamento affinchè tutti coloro che intendono uscire da un approccio localistico e/o iperspecializzato si senta e sia parte effettiva di una azione collettiva su obiettivi basilari condivisi.

Nel 2018 a chiusura del IX Congresso a Napoli tra le mozioni approvate me ne era una “contro tutte le guerre e per la messa al bando delle armi nucleari” evidenziando che secondo il “segnatempo” del Bollettino degli Scienziati Atomici USA la distanza dalla guerra nucleare era di 2 minuti dalla mezzanotte nucleare, prima della invasione russa dell’Ucraina si è accorciato a 100 secondi alla mezzanotte. Condividiamo che un percorso di uscita dalle logiche sovraniste e distruttive sta in una radicale riforma delle istituzioni internazionali e delle loro finalità mediante quella che Ferrajoli ha recentemente ripreso e sviluppato della “Costituzione della Terra” che comprende sia una regolazione dei contrasti per impedirne uno sviluppo autodistruttivo come un intervento necessariamente sovranazionale per impedire l’autodistruzione ambientale e sociale.

Lo diciamo in una sede più che deputata a rappresentarlo visto che il Sereno Regis è stato realizzato da obiettori di coscienza e che il 7-10 ottobre scorso ha festeggiato i 50 anni dalla fondazione e basa la sua attività sulla pratica della nonviolenza, lo dico passando la parola al primo intervento di Gianno Tognoni del Tribunale Permanente dei Popoli.

 

Fonte: https://www.medicinademocratica.org