Storie esemplificative della ordinaria Italietta

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La storia che sto per raccontarvi è figlia di due “cose ordinarie”, la giornata di ieri e il mio zaino porta computer.

 

La giornata di ieri l’ho spesa con la famiglia Vuletović, a Milano. È stato un lungo giorno, segnato dalla visita pediatrica generale, da quella gastroenterologa e infine dall’oculistica.

Come immagino già sappiate, il piccolo Jakov, 6 anni, è autistico, ogni visita è disturbante, quella oculistica poi, dopo le gocce di atropina per dilatare la pupilla, l’ha fatto diventare pazzo.

Al termine di questa immersione totale nella sofferenza familiare altrui, che puoi solamente provare a comprendere con la certezza di non afferrarla mai fino in fondo, ho dovuto rispondere a dei messaggi telefonici, in particolare quello di una cara amica, che mi ha tenuto impegnato a lungo in una conversazione.

Abbastanza provato, in endemico ritardo, mi sono trovato a dover decidere se per andare in Stazione Centrale fosse stato meglio prendere la metropolitana, con il trolley e lo zaino o optare per uno dei taxi fermi in via San Galdino, proprio accanto all’ospedale.

L’età, la stanchezza, l’ignavia e la giornata trascorsa hanno deciso per il taxi.

Adesso devo descrivervi il mio zaino porta computer. È nero, capiente e pesante. Lo porto sulle spalle dopo che a Torino, qualche anno addietro, mi hanno rubato la borsa che usavo.

Per qualche ignoto e forse sciocco motivo, l’ho personalizzato con due fiocchetti tricolori, uno bianco rosso e verde e l’altro con i colori panslavi della bandiera serba, il rosso, il bianco e il blu.

Tre colori comuni a molte bandiere dell’Oriente d’Europa, la Slovacchia, la Croazia, la Russia, la Slovenia ma anche la Francia e l’Olanda, ad ogni modo, perché non ci siano equivoci, ho fotografato il mio zaino e la foto è allegata.

Torniamo in via San Galdino, stazione taxi disordinata come tutte quelle di Milano, non capisci mai chi sia il primo. Da una certa distanza, senza parlare, faccio cenno con l’indice all’auto che mi sembra in prima posizione pronta ad accogliere un cliente. Il tassista mi risponde con un ampio “no” gestuale e mi indica un taxi alle proprie spalle, non ci faccio caso più di tanto e sempre a distanza, lo ringrazio con la mano.

Mentre scarico i bagagli sul taxi che mi ha indicato, mi sfugge la voce del capofila, che dice qualcosa a tono alto, noto che tutti mi guardano e allora afferro il resto del discorso rivolto al collega che mi ha accettato: “ecco bravo, portalo tu quest’assassino di bambini”.

A questo punto capisco che il primo della fila non mi ha voluto caricare scientemente e rispondo: “Ma cosa stai dicendo?”

Il tassista è sorpreso nel sentire che intendo l’italiano e dopo un secondo di smarrimento, continua a sproloquiare: “Quello che state facendo in Ucraina è vergognoso, assassini, pazzi…”

Allora mollo il mio taxi e mi dirigo decisamente verso il capofila.

Ma cosa dici? Ma stiamo facendo cosa? Chi? Io sono italiano

Lui è sempre più sorpreso, continua a dire “Quello che state facendo in Ucraina è criminale, uccidete a sangue freddo donne e bambini…” ma vedendo il monaco ortodosso e ortogrosso dirigersi risolutamente verso di lui, entra in auto e chiude le portiere con la sicura.

Gli busso, forse un po' troppo decisamente, sul vetro anteriore lato guida: “Ma ti rendi conto di quello che dici? Apri sta macchina”

Ma il tassista non mi guarda più, fissa ottusamente il parabrezza e parte a velocità sostenuta.

Rimango fermo, tra i taxi ed una fermata dell’autobus, con un capannello di gente curiosa che s’è formato.

Andando verso la Stazione Centrale, il tassista mi racconta quel vociare iniziale che non avevo inteso: “Guarda che arroganza, la bandiera russa, la zeta e la povera gente che muore assassinata per strada…” Vada per l’equivoco dei colori panslavi, ma sfido chiunque a trovare una “Z” sul mio zaino.

Questa è l’Italia, che si sente in guerra e dalla parte giusta, l’Italia loffia, del giudizio in punta di lingua, pronta a sbraitare e scappare, come nel ’45, con le luci accese durante i bombardamenti, l’Italia delle guerre umanitarie alla D’Alema, l’Italia schierata, come giustamente dice Vittorio, schierata come il Papa, come Draghi, come Mattarella, schierata con le lacrime alla Barbara D’Urso e gli affari dei mercanti di armi; peccato però che quel giorno, io, l’uccisore di bambini, l’avevo trascorso con un bimbo autistico di Kosovo e Metohija e con il dolore e l’ansia della sua famiglia e il tassista geopolitico in strada, a cercar clienti e dispensare saggezza, come uno stolto, a sputare sentenze e scagliare sassi. Possa Dio perdonarci tutti quanti.

 

"Non dimenticate di essere ospitali con gli stranieri, perché alcuni hanno ospitato degli Angeli senza saperlo"

 

Отац Бенедикт - Otac Benedikt - Padre Benedetto – Monastero Decani Kosovo Mertohija