Notiziario Patria Grande - Settembre 2021

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SETTEMBRE  2021

 

 

 

TELESUR / NICARAGUA / SANZIONI E INGERENZE

Demonizzare Ortega e inviare i marines

 

TELESUR / ANALISI / TERRORISMO

Parlando di barbarie

 

RADIO LA PRIMERISIMA (NICARAGUA) / LOTTE SOCIALI

Un incontro con i combattenti storici

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / USA E AFGHANISTAN

Lo sciroppo di Brzezinski che gli Stati Uniti si sono bevuti

 

GRANMA (CUBA) / TERRORISMO / FABIO DI CELMO

Ricordo di Fabio Di Celmo

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / BIDEN PROROGA IL BLOCCO CONTRO CUBA

Il mondo si oppone, ma Biden proroga la legge del blocco

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / IL FUTURO DELLA OSA

La OSA appesa a un filo

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / BIDEN E CUBA

Influencer o agente politico degli USA?

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / L’EUROPA DI NUOVO CONTRO CUBA

Sempre lo stesso piccolo gruppo di eurodeputati, sempre la stessa manovra: l'Europa di nuovo contro Cuba

 

 

TELESUR / NICARAGUA / SANZIONI E INGERENZE

Demonizzare Ortega e inviare i marines

di Miguel Ángel Ferrer  -  18 settembre 2021

 

 

 

Gli Stati Uniti mantengono rigide sanzioni economiche, commerciali e finanziarie contro Cuba, Venezuela, Iran, Corea del Nord e Nicaragua. Prima ancora contro Iraq, Libia e Siria. Queste feroci aggressioni hanno come obiettivo fondamentale ottenere un cambio di regime in quelle nazioni. Ossia, detto più chiaramente, il rovesciamento di quei governi.  

Com’è risaputo, parallelamente alle sanzioni, si mette in moto una campagna internazionale di demonizzazione dei governanti e leader di quei Paesi. Così avvenne con Salvador Allende in Cile e con Manuel Antonio Noriega a Panama. 

Idem con Saddam Hussein in Iraq, Mu’ammar Gheddafi in Libia e Slobodan Milošević nell'ex-Jugoslavia. Ed una volta che gli Stati Uniti considerano matura la campagna di demonizzazione di quei leader e Paesi, si procede al colpo di Stato, come in Cile, o all'invasione militare, previ massicci bombardamenti sulla popolazione civile e città aperte, allo scopo d’indebolire la prevedibile o possibile resistenza, come in Jugoslavia. 

In Venezuela, Cuba, Iran, Corea del Nord e Nicaragua il processo di cambio di regime è rimasto alle fasi di demonizzazione dei leader o di tentativi di colpi di Stato e d’invasione armata. Ma portare a termine queste due ultime opzioni dipende del successo o fallimento della demonizzazione del leader. 

Oggi siamo testimoni del tentativo di cambio di regime in Nicaragua. Tutte le batterie mediatiche dell'imperialismo e dei suoi vassalli europei e latinoamericani stanno agendo con questo proposito. La parola d’ordine è "Colpire duro e al capo". 

Se la demonizzazione di Daniel Ortega avrà successo, il passo successivo sarebbe il colpo di Stato o l'invasione dei marines. Ma per come stanno le cose in questo momento, non esistono possibilità reali che riesca un colpo di Stato, per la semplice ragione che l'esercito sandinista è rivoluzionario e sta con Ortega. E nemmeno per l’invasione si vedono possibilità. 

Come tutto quanto in politica, anche le campagne di demonizzazione dei leader hanno una data di scadenza. Se non ottengono il successo entro un certo lasso di tempo, cominciano a svanire nell'aria. Cuba, Corea del Nord, Venezuela, Iran e Siria sono buoni esempi.  

Cosicché per l'imperialismo, la destra nicaraguense, le destre europee e latinoamericane, alcune di esse camuffate da “sinistra”, il tempo è scaduto. 

 

Fonte:

https://www.telesurtv.net/bloggers/Satanizar-a-Ortega-y-mandar-a-los-marines-20210918-0001.html?utm_source=planisys&utm_medium=NewsletterEspa%C3%B1ol&utm_campaign=NewsletterEspa%C3%B1ol&utm_content=32

 

 


 

 

TELESUR / ANALISI / TERRORISMO

Parlando di barbarie

di José (Papo) Coss  -  10 settembre 2021

 

Dopo il bombardamento atomico sul Giappone,

gli Usa lanciarono bombe molto potenti, più sofisticate ma mortali. 

 

Sono passati 20 anni dal criminale attacco alle Torri Gemelle di New York ed i mezzi di comunicazione di massa mondiali, ricordano quegli atti singolari e impensabili con giustificato dolore e costernazione.  

Battendosi il petto, dimenticano tuttavia e sorvolano sugli orrendi crimini dell'impero statunitense nel corso della storia. È come se le morti innocenti di altre nazioni non avessero lo stesso valore di quelle dei cittadini degli Stati Uniti d'America (USA). 

Ricordiamo anche, a partire dalla storia più recente, i Paesi bombardati dagli USA, dopo l'abominevole attacco con bombe atomiche contro la popolazione civile di Hiroshima e Nagasaki il 6 e 9 agosto del 1945. Finì così la Seconda Guerra Mondiale provocando la resa del Giappone. 

Questi potentissimi bombardamenti - mai realizzati prima né dopo da nessuna potenza - furono ordinati da Harry S. Truman, presidente degli Stati Uniti. Si stima che morirono tra le 150.000 e le 200.000 persone.  

Altre decine di migliaia furono bruciate dalle radiazioni e ferite in modo grave, patendo poi malattie terminali come il cancro. Tutta la popolazione giapponese rimase traumatizzata da quel fatto barbarico imperiale, senza precedenti nella storia dell'umanità. 

Dopo il bombardamento atomico sul Giappone, gli USA lanciarono bombe molto potenti, più sofisticate di quelle prime atomiche, ma mortali, contro i Paesi nel seguito elencati, provocando milioni di morti e feriti. 

Non si conoscono le cifre ufficiali esatte, ma soltanto nel Vietnam e in Iraq si calcola che morirono oltre un milione di persone, la maggioranza gente indifesa e popolazione civile. 

Oltre 30 Nazioni bombardate dagli USA dal 1950 al 2021: Corea e Cina dal 1950 al 1953; Guatemala, 1954; Indonesia, 1958; Cuba dal 1959 al 1961; Guatemala, 1960; Congo, 1964; Laos dal 1964 al 1973; Vietnam dal 1961 al 1973; Cambogia dal 1969 al 1970; Guatemala nel 1967 e nel 1969; Grenada, 1983; Libano nel 1983 e nel 1984; Libia, 1986; El Salvador; 1980; Nicaragua, 1980; Iran, 1987; Panama, 1989; Iraq, 1991 (Golfo Persico); Kuwait, 1991; Somalia, 1993; Bosnia nel 1994 e nel 1995; Sudan, 1998; Afghanistan, 1998; Jugoslavia, 1999; Yemen, 2002; Iraq dal 1991 al 2003; Iraq dal 2003 al 2015; Pakistan dal 2007 al 2015; Somalia dal 2007 al 2011; Yemen, dal 2009 al 2011; Libia dal 2011 al 2015; Siria dal 2014 al 2016; Afghanistan dal 2001 al 2021.

Le vite di tutti gli esseri umani hanno lo stesso valore e la barbarie imperiale ha nome e cognome. Anche la Natura ha sofferto l’impatto distruttivo del complesso militare, industriale e finanziario USA. 

In realtà si tratta di uno schifoso affare che ha procurato loro profitti per oltre un triliardo di dollari, solo in Afghanistan.  

Non ci lasciamo ingannare dalle lacrime di coccodrillo di governanti manipolati dal grande capitale. Tali personaggi non possiedono morale alcuna per accusare chicchessia, quando sono loro la principale causa del dolore e della sofferenza di milioni di persone, vittime innocenti delle loro guerre. 

 

Fonte: https://www.telesurtv.net/opinion/Hablando-de-barbarie-20210910-0022.html?utm_source=planisys&utm_medium=NewsletterEspa%C3%B1ol&utm_campaign=NewsletterEspa%C3%B1ol&utm_content=38

 

 


 

RADIO LA PRIMERISIMA (NICARAGUA) / LOTTE SOCIALI

Un incontro con i combattenti storici

 

Pochi giorni fa ho avuto l'onore di partecipare ad un incontro dei combattenti storici del Fronte Sud, in una comunità di Rivas.
C’è tanto da raccontare che le parole scivolano via e il cuore trema. Ma va bene così; è che intrufolarsi tra la folla in un incontro di combattenti storici in qualsiasi parte del Nicaragua, è come fare un viaggio profondo nelle vene aperte del popolo del Nicaragua e della Nostra America. In Nicaragua anche sotto le pietre trovi storia, eroismo, convinzione e fede che il mondo può essere migliore e che la società può essere cambiata con la forza di tutti. Ma non è solo fede, sono esperienze concrete di lotta per la vita e la pace vera.

 

 

Il caldo era estenuante e la campagna si ricopriva d’un color verde intenso. I bambini giocavano liberi arrampicandosi su e giù da alcuni lussureggianti alberi di tigüilote, le loro risate sembravano un proclama di quei sogni e visioni di coloro che un giorno proprio lì morirono. Il fatto è che quella comunità contadina e quel campo attualmente di baseball per il divertimento e svago delle famiglie, 43 anni fa erano un ospedale da campo per i combattenti del Fronte Sud.

Mentre la manifestazione procedeva, là dai dintorni si avvicinò una vecchietta, una contadina un po’ curva, dagli abiti semplici, capelli bianchi e ciabatte impolverate.
La durezza del suo viso e la fermezza del suo sguardo, mi fecero pensare: "Dev’essere un grande personaggio storico". La signora non disse nulla, limitandosi ad osservare tutto l’evento quasi senza un gesto. Alla fine, mentre tutti si abbracciavano, alcune donne la sollecitarono: "Vieni Teresita, avvicinati, sei tra le più storiche, sei stata delle prime".

Sentendo ciò, l’anziana girò un po’ lo sguardo e rivolse loro un timido sorriso. La osservavo e volevo raggiungerla, volevo intervistarla, ma mi sono fermata, quella vecchietta se ne andò col suo bastone camminando lentamente, con sguardo fiero e in silenzio, volli rispettare il suo momento. Le persone molto eroiche non cercano il riconoscimento o l’affermazione individuale, continuano sempre a lavorare per il bene comune e riconoscono "l'altro", "gli altri" e la comunità.

Mentre lei procedeva, altri si accommiatavano chi a piedi, chi salendo in bicicletta, in moto o sui cassoni delle camionette. In qualunque momento si potevano sentire frammenti di conversazioni come: "Hai visto, il tale e tu, che pensavate che ci saremmo riposati...", "è che l'imperialismo non ce lo permette", "qui tutte le famiglie hanno messo il loro granello di sabbia”. Mentre ascoltavo, ho sentito-pensato: è questo ciò che molte volte non si comprende fuori dal Nicaragua.

La Rivoluzione in Nicaragua è stata ed è popolare, è avvenuta e dal basso, è stata ed è del popolo. È figlia del sacrificio delle persone umili che hanno lasciato la vita e la giovinezza per vedere un Nicaragua diverso da quello che hanno trovato, della gente che non ha nulla da perdere, ma tutto da guadagnare. Delle madri di eroi e martiri, dei combattenti storici, dei mutilati di guerra, della gente comune, dei quartieri, comunità e settori popolari, di coloro che non si ingannano facilmente, perché hanno memoria vivida, buon senso e intelligenza autentica.

A prescindere dagli sforzi di personaggi che usano il loro passato rivoluzionario per confondere e diffamare la realtà in Nicaragua, che sono diventati famosi o importanti grazie alla Rivoluzione popolare. Sono figure che hanno abbandonato la loro connessione con il popolo e si sono unite agli interessi imperiali per la propria ambizione personale; sono coloro che cercano eco all’estero battendosi il petto per il loro passato sandinista, perché dentro il Nicaragua nessuno presta loro attenzione, in quanto - come si suol dire - “nei paesi piccoli gli inferni sono grandi”, ovvero qui tutti sanno e conoscono chi è chi. La gente li conosce da tanto tempo.

La cosa peggiore è che molte volte questa narrativa filoimperialista ed egocentrica riceve l'eco di una sinistra neoliberista e benestante, una sinistra da libri, caffè e comfort che va di qua e di là in cerca di paradisi rivoluzionari, e quando i processi politici affrontano battute d'arresto e contraddizioni tipiche delle lotte di classe, si lacera le vesti. Si tratta di chi è iper-radicale nella retorica, ma di fronte alle esigenze, alla durezza, alla complessità della pratica per il cambiamento sociale, non mostra la minima capacità di autocritica, spirito di sacrificio o disponibilità ad ascoltare il parere dei settori che avanzano con le proprie forze, a piedi, in bicicletta, in moto o come che sia, ma senza clamore.

Per lo meno accompagnare e sostenere senza imporre. Ci sono invece quelli che con eloquenza proferiscono tale o tal altra asserzione su ciò che dovremmo fare qui, maciullando e trasgredendo ciò che è l'internazionalismo solidale e dimenticando che non bisogna cercare di fare i profeti in terra straniera, ma provare a risolvere i propri problemi nei propri paesi. E dimenticano anche che questo popolo eroico è pieno di eroi anonimi che conoscono l'arte della resistenza, che chiedono e meritano solo rispetto e continuano a dimostrare con l'esempio che un mondo migliore è possibile.

Qui in Nicaragua, viviamo un momento in cui non si tratta solo di elezioni, ma di reinvenzione della speranza a partire dalla nostra realtà, dalle nostre esperienze e dalla nostra storia. In Nicaragua le famiglie continuano a contribuire con granelli di sabbia, sudore, sforzo e costruzione collettiva per lasciare ai posteri un Nicaragua migliore. Qui ci sono sguardi d’orgoglio tra la gente semplice, perché le persone fecero e continuano a fare ciò che va fatto. La gente sa che la guarigione storica è collettiva e non individuale, avviene lavorando sodo e quotidianamente per la pace vera, che è la vocazione del popolo nicaraguense.

Yorlis Luna Delgado, 24 agosto 2021

 

Fonte : https://radiolaprimerisima.com/opinion/un-encuentro-con-combatientes-historicos/

 

 



GRANMA (CUBA) / ESTERI / USA E AFGHANISTAN

Lo sciroppo di Brzezinski che gli Stati Uniti si sono bevuti

 


Un membro afghano della sicurezza nel luogo dove

è esplosa una bomba a Kabul il 4 agosto 2021. Foto: AFP

 

Il tono tagliente di Biden tradisce l’incertezza: «Gli statunitensi non devono morire in una guerra che gli afghani non sono disposti a combattere per sé stessi», ha detto per giustificare la decisione di lasciare l’Afganistan a fronte dell’offensiva con cui i talebani sono andati al potere.

Laconicamente, ha anche dichiarato che la situazione è precipitata e attribuito la responsabilità del caos ai dirigenti del paese nel quale le forze militari yankee  sono rimaste per circa 20 anni.

Donald Trump ha visto l’occasione come una crepa dell’attuale amministrazione: «Ciò che ha fatto Biden con l’Afghanistan è destinato a entrare nella storia. Sarà una delle più grandi sconfitte degli Stati Uniti!», ha affermato.

Analisti di influenti media della stampa internazionale vanno a nozze con le posizioni di Biden e Trump. David Zucchino, ha scritto sul The New York Times che due decenni dopo l’invasione delle truppe degli Stati Uniti in Afghanistan l’esperimento statunitense di consolidamento del paese è in rovina.

Guillermo D. Olmo di bbc News Mundo ha ricordato che il repentino ritorno al potere dei talebani si stava preparando in realtà già da molto prima del 15 agosto. Ha valutato il 29 febbraio del 2020 come il momento in cui il governo di Trump patteggiò con i talebani, a Doha, in Qatar, il calendario per la ritirata definitiva degli Stati Uniti e dei loro alleati. In cambio, i talebani si erano impegnati a non permettere che il loro territorio fosse utilizzato per pianificare ed eseguire azioni di minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti e dei paesi che li hanno appoggiati nella loro avventura bellica. Inoltre, fu stabilito che tra i ribelli e il governo afgano si sarebbero intavolati negoziati per un cessate il fuoco e un accordo  definitivo sul futuro politico del paese.

Secondo chi ha seguito i colloqui, il più grande successo degli islamisti è stato soddisfare la richiesta di rimuovere il governo afghano dall'accordo. La strategia della cupola talebana, guidata da Mulá Abdul Ghani Baradar, consisteva nel bloccare il dialogo, al punto che Trump giunse a credere che sarebbe fallito.

Secondo molti osservatori, i talebani avevano preso sul serio solamente la ritirata delle forze straniere. Dopo l’accordo avevano incrementato le azioni di violenza. Il loro interesse consisteva nel controllare la maggior parte possibile del territorio e mettere in difficoltà il governo afghano, che alla fine hanno soppiantato.

L’occupazione dell’Afghanistan è costata molto sangue agli Stati Uniti che hanno ammesso - si legge in un comunicato di ap - la morte di 2448 membri delle loro forze armate, 3846 civili e 1144 membri delle forze alleate.

Un articolo apparso su Forbes, si riferisce che i governi statunitensi di turno hanno investito in questa guerra più di due miliardi di dollari.

I loro autori, Christopher Helman e Hank Tucker, hanno detto: «Questo significa 300 milioni di dollari al giorno per vent’anni. Oppure 50 mila dollari per ognuno dei 40 milioni di abitanti dell’Afghanistan».

In questi giorni, leggendo varie opinioni su quella che alcuni ritengono una resa umiliante degli Stati Uniti di fronte ai talebani, ho riletto alcuni capitoli del libro Le guerre che ci aspettano.

La visione di premonizione del suo autore, Raúl Sohr, aiuta a capire la vergognosa situazione che attraversa l’attuale amministrazione statunitense.

Valutando i fatti, Biden e il suo staff di Governo stanno mandando giù a cucchiaiate la pozione di macchinazioni politiche creata da Zbigniew Brzezinski, l’ex ex­consigliere della Sicurezza Nazionale dell’Amministrazione di Jimmy Carter (1977-1981).

Questi, nel 1979, appena l’urss fu coinvolta politicamente e militarmente in Afganistan, aveva avvertito che quello sarebbe stato «il suo Vietnam», la nazione fiaccola del comunismo. In effetti, un decennio di guerra continua fu una catastrofe.

Secondo Sohr, verso la metà degli anni 90 del secolo scorso, quando Brzezinski si chiese:«Che cosa è più importante nella visione mondiale della storia: i talebani  o il crollo dell’impero sovietico?», questi aveva optato per il secondo.

Con Mosca al centro del mirino, non era importante aiutare il futuro dei talebani. Ma questi ultimi, apparsi all’inizio del 1990 con capacità belliche proprie in un ambiente di lotte intestine afgane, hanno fatto parte del significativo potenziale militare degli 80 mila muyahidin addestrati tra il 1984 e il 1987.

La formula dello sciroppo di Brzezinski comprendeva dannosi narcotizzanti. Sohr sostiene che gli Stati Uniti e l’Occidente non si sono fatti coinvolgere dagli aspetti morali, visto che la guerra era ampiamente finanzaita dal traffico di droga. A questo proposito, ci sono le confessioni dell’ex direttore della cia sulle operazioni in Afganistan nel 1995, Charles Cogan: «La nostra missione principale era infliggere il maggior danno possibile ai sovietici. Non avevamo realmente il tempo, nè le risorse per dedicarci a contrastare il traffico di droga. Non credo che dobbiamo chiedere scusa per questo. Ogni situazione ha le sue conseguenze indesiderabili…».

I talebani avevano aspettato il momento opportuno e avevano contrattaccato con successo giungendo sino a Kabul. Dal Qatar, Mohammad Naeem, il loro portavoce dell’ufficio politico, in una dichiarazione ad Al Jazeera tv, aveva detto: «Assicuriamo che offriremo sicurezza ai cittadini e alle missioni diplomatiche, siamo pronti a dibattere le preoccupazioni della comunità internazionale attraverso il dialogo».

Ma il mondo guarda con sospetto ai talebani. In Occidente, soprattutto, esiste il timore che patrocinino il  terrorismo del quale sono figli.

Li hanno formati con l’intenzione d’annullare l'urss e il comunismo, ma i loro patrocinatori hanno fatto crescere le loro ali o, detto meglio, li hanno riforniti di molte pallottole.

Germán Veloz Placencia e GM per Granma Internacional, 8 settembre 2021

 

 

 

 

GRANMA (CUBA) / TERRORISMO / FABIO DI CELMO

Ricordo di Fabio Di Celmo

 

 

Fabio di Celmo era nato a Genova. Quando aveva 32 anni, suo padre Giustino lo portò con sé a L’Avana per passargli le responsabilità dell’impresa visto che lui aveva già 76 anni e voleva ritirarsi.

Il giorno dell’esplosione della bomba nell’Hotel Copacabana, il 4 settembre del 1997, mentre Giustino si trovava nella sua abitazione, Fabio conversava con due amici italiani nell'atrio dell’albergo.

La bomba era stata messa in un posacenere. Quando esplose, intorno alle 12 e 15, una scheggia vagante appuntita si conficcò nel collo di Fabio, recedendogli la carotide e spezzandogli una vertebra. Fabiò morì quasi sul colpo.

Quando si diffuse la notizia della tragedia, il terrorista che aveva organizzato l'attentato, Luis Posada Carriles, di origine cubana, disse cinicamente: «Il ragazzo italiano si trovava nel luogo sbagliato e nel momento sbagliato, e io dormo tranquillo come un bambino».

Il 1997 fu un anno nefasto per Cuba: terroristi pagati dalla CIA posero nove bombe negli alberghi della capitale.

Fabio viveva a Cuba da 4 anni, era un grande appassionato di calcio e voleva fondare una squadra all’Avana. Il popolo cubano ha pianto molto la sua scomparsa e ha sostenuto Giustino nel suo immenso dolore. Sono state create opere in ricordo di Fabio e Acela Caner ha scritto il libro "El muchacho del Copacabana", tradotto e pubblicato in italiano. Il Balletto Nazionale di Cuba gli ha perfino dedicato un balletto e altre varie manifestazioni.

Fabio è sepolto in Italia, nel cimitero genovese al fianco di sua mamma Ora e di suo padre. Giustino, dopo la morte del figlio prediletto, il più piccolo, disse: «Mio figlio era innamorato di questa terra, mi pare di vederlo in ogni bambino, in ogni giovane. Lui è una delle 3478 vittime del terrorismo contro Cuba fomentato dagli Stati Uniti». 

"El muchacho del Copacabana", il libro scritto dalla scrittrice, storiografa e professoressa universitaria Acela Caner Román deceduta lo scorso anno, ci racconta della sua infanzia, dell’adolescenza e della gioventù di Fabio, e dei suoi anni trascorsi a Cuba. Il regista italiano Angelo Rizzo lo ha ricordato nel suo film poco noto "Cuando la verdad despierta".

Nell’Hotel Copacabana una targa ricorda il giovane Fabio e l’Istituto Cubano di Amicizia tra i Popoli organizza ogni anno una cerimonia di ricordo, il 4 settembre.

Anche quest’anno sono state organizzate azioni di ricordo e omaggio, nel rispetto dei protocolli previsti per il covid.

 

Gioia Minuti, 3 settembre 2021

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / BIDEN PROROGA IL BLOCCO CONTRO CUBA

Il mondo si oppone, ma Biden proroga la legge del blocco

 

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato il 7 settembre la proroga per un altro anno della Legge del Commercio con il Nemico, uno degli statuti della Casa Bianca che sostiene il blocco  economico, commerciale e finanziario contra Cuba.

Russia Today ha informato che il memorandum firmato da Biden sostiene che «la continuazione dell’esercizio di questa misura contro Cuba è d’interesse nazionale degli Stati Uniti» e prospetta come data di una nuova revisione il 14 settembre del 2022.

La reiterazione del blocco ignora la condanna della maggioranza assoluta della comunità mondiale espressa annualmente nell'ONU, una politica genocida che, nel contesto del covid, il Governo statunitense ha inasprito in maniera opportunista nel tentativo ostinato di piegare per fame, malattie e miseria il popolo cubano.

Il rapporto più recente di Cuba evidenzia un danno causato in termini di 147,85 miliardi di dollari e mostra esempi di come solo tra aprile e dicembre del 2020 il blocco ha provocato perdite dell’ordine di 3,58 miliardi di dollari.

 

Nuria Barbosa León e GM per Granma Internacional, 8 settembre 2021

 


 

 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / IL FUTURO DELLA OSA

La OSA appesa a un filo

 

 

Marcelo Ebrard, cancelliere del Messico, ha annunciato in una conferenza stampa che nel VI Vertice della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici  (Celac) che si terrà il 18 settembre, si potrebbe definire il futuro della Organizzazione degli Stati  Americani (OSA). La nazione azteca, che detiene la Presidenza pro tempore della Celac ne proporrà la discussione.

La OSA, spesso molto criticata per l’atteggiamento del suo segretario generale Luis Almagro, sempre disposto a difendere gli interessi degli Stati Uniti, ha informato Russia Today.

Durante una conferenza stampa svoltasi nell’Ambasciata del Messico a Washington, a proposito della riattivazione del Dialogo Economico di Alto Livello tra le due nazioni, Ebrard  ha chiarito che si cercherà un consenso sul futuro della OSA, ovvero che risponda prenda posizione rispetto alla questione se sia necessario riformare o rimpiazzare l’organizzazione. Il cancelliere messicano ha detto che la proposta finale potrebbe essere presentata agli Stati Uniti e al Canada nel primo semestre del 2022.

Lo scorso  24 luglio, prima di una riunione della Celac, il presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador aveva annunciato che si sarebbe cercato di disegnare un piano per sostituire la OSA con un  «organismo veramente autonomo che non fosse lacchè di nessuno».

L’annuncio di López Obrador ha ricevuto l’appoggio del presidente boliviano Luis Arce, del Venezuela Nicolás Maduro e dell’Argentina Alberto Fernández. La Colombia  ha respinto la proposta osservando che l’integrazione regionale deve cercare relazioni «più strette » con gli Stati Uniti e il Canada.
Redazione Granma e GN per Granma Internacional Granma, 10 settembre 2021

 

 



GRANMA (CUBA) / ESTERI / BIDEN E CUBA

Influencer o agente politico degli USA?

 


Foto: Yotuel al servizio di chi fomenta l’odio contro il popolo cubano. I nostri saranno sempre quelli che amano e fondano (meme della pagina FB di la Ciberclaria)

 

Il 30 luglio scorso il presidente Joseph Biden ha partecipato a una riunione per discutere le modalità con cui il suo governo continuerà «ad appoggiare il popolo cubano».

Il sito web della Casa Bianca riporta l’incontro. La domanda indirizzata al presidente da uno dei partecipanti lo riassume bene: «Ci saranno altre sanzioni contro Cuba o si fermerà a ciò che ha deciso oggi?».

I media hanno raccontato che nella sala erano presenti cubano-americani a profilo politico, imprenditori e un rapper. Biden, che li ha chiamati «esperti del tema», ha scelto molto bene gli invitati per raggiungere i suoi obiettivi.

Pochi giorni prima, il presidente cubano Miguel Díaz-Canel aveva denunciato sul suo account Twitter che «per compiacere una minoranza reazionaria e ricattatrice», Washington è capace «di moltiplicare il danno a 11 milioni  di esseri umani, ignorando la volontà della maggioranza dei cubani statunitensi e della comunità internazionale».

In linea con l’incontro, i grandi media internazionali hanno richiamato l’attenzione sulla presenza alla riunione di uno degli autori della canzone alla quale si associano le proteste dell’11 luglio a Cuba.

Tempo prima, Yotuel aveva condiviso una diretta sui social network con Juan González, direttore della Sicurezza Nazionale per l’Emisfero Occidentale e consigliere di Biden sui temi latinoamericani. Per il suo fisico e il suo portamento, il rapper incarna perfettamente il ruolo di leader delle comunità di giovani negri cubani, vulnerabili per le loro condizioni di svantaggio sociale e di coloro che il governo degli Stati Uniti ha identificato come naturali alleati per l’obiettivo di cambio del regime nell’Isola.

Poco dopo l’incontro, attraverso un programma audiovisivo sulla piattaforma digitale, il rapper è diventato «portavoce» e ha risposto alle domande del più noto “influencer” del trumpismo e della controrivoluzione cubana in Florida.

Otaola, che ha diffuso l’idea di un grande sciopero nell’Isola e incita pubblicamente il governo degli Stati Uniti a concedere il visto agli artisti in base alla loro posizione politica, si era mostrato molto interessato alle sanzioni che Biden potrà in futuro inasprire.

L’inclusione di Yotuel nella lista degli invitati alla Casa Bianca risponde alla strategia di comunicazione concepita per coinvolgere nel discorso di Washington una sempre più vasta porzione del popolo cubano, in particolare le generazioni più giovani.

Questo disegno non è ancora stato applicato a Cuba, ma è stato già messo in pratica in altri scenari, compresa la stessa campagna elettorale di Biden per la presidenza nel 2020, ed è continuato durante i sei mesi della sua gestione presidenziale.

Un articolo pubblicato originariamente sul The New York Times spiega come il gruppo di comunicazione della campagna democratica aveva messo in atto una strategia di ampliamento di portata sulle reti sociali quando sembrava che la maggioranza degli spazi fosse in mano a Trump. Biden aveva dato mano libera a personalità influenti che l’hanno assecondato: accademici, leader di minoranze, attivisti di cause sociali, artisti, influencer e youtuber avevano condiviso il contenuto pro-Biden.

«Il nostro obiettivo, in realtà, era andare dove c’è la gente», aveva spiegato Christian Tom, capo del gruppo delle associazioni a sostegno dell’allora candidato democratico. Seguendo questo orizzonte, hanno definito il loro target con precisione, e anche i contenuti che li potevano interessare.

Diversi articoli giornalistici negli ultimi mesi hanno informato dell’associazione della Casa Bianca a persone influenti nelle reti sociali per presentare le politiche e le proposte del presidente Biden.

Dal Piano di Riscatto Statunitense alle campagne per motivare la vaccinazione tra i giovani, contano su influencers come tasselli di una nuova strategia di comunicazione digitale per raggiungere il target anche al di là di coloro che seguono i siti ufficiali del governo.

In relazione a queste esperienze, un sito in spagnolo del MIT (Istituto Tecnologico del Massachusetts) ha pubblicato lo studio di una ricercatrice assistente dell’Osservatorio di Internet di Stanford che mostra come i giovani credano e diffondano con maggiore probabilità un contenuto, anche se identificato come disinformazione, se condividono una percezione di identificazione con la persona che lo ha pubblicato inizialmente.

«Le reti sociali promuovono una credibilità basata sull’identità più che sulla comunità. E quando la fiducia si basa sull’identità, l’autorità si trasferisce agli influencers. Dato che assomigliano ai loro seguaci e sono come loro, gli influencers si trasformano nei messaggeri di fiducia su alcuni temi che spesso nemmeno conoscono bene. Siccome i giovani partecipano a più dibattiti politici online, si può sperare che quelli che hanno coltivato con successo questa credibilità basata sull’identità, si trasformino in leader di fatto della comunità, attraendo persone con idee affini e dirigendo la conversazione. Le persone unite dall’identità saranno sensibili alle narrative ingannevoli indirizzate precisamente a quello che le unisce».

Dopo una simile affermazione, risulta alquanto illusorio pensare che il coinvolgimento di un rapper nella riunione del presidente Biden, come quanto avvenuto in una diretta internet, obbediscano a un semplice cordiale invito o a una semplice intervista in un programma. Negli ultimi vent’anni, gli esperti della Casa Bianca hanno studiato da vicino la società cubana. I fondi destinati dall’amministrazione del repubblicano George W. Bush alla sovversione a Cuba per «programmi di cambio di regime», hanno portato qualche beneficio ai progetti la cui piattaforma d’azione si sviluppa sullo scenario digitale.

Barack Obama aveva continuato a destinare ingenti somme milionarie a questa strategia, e con Donald Trump, nel gennaio del 2018, il Dipartimento di Stato aveva annunciato la creazione di un team internet specifico per Cuba con l’obiettivo di promuovere il “libero flusso” dell’informazione nel paese. Frasi molto simili a quelle, dopo l’11 luglio, si sono sentite dalla voce dell’attuale presidente.

In questo contesto, il governo cubano ha accelerato l’informatizzazione della società con la scommessa di ampliare le vie d’accesso alla conoscenza delle fonti che alimentano queste campagne. L’attivazione nel dicembre del 2018 del servizio internet sui cellulari ne è la prova più convincente.

Le statistiche elaborate da siti che analizzato il traffico digitale come We Are Social e Hootsuite, mettono in chiaro i motivi per cui il governo degli Stati Uniti ha fomentato il conflitto sulle piattaforme digitali. Un recente rapporto di una di queste agenzie, pubblicato nel febbraio del 2021, precisa che sette milioni di cubani usano internet e 6,60 milioni di navigatori hanno un account sui social network. Altri operatori rivelano i termini più cercati dagli utenti dell’Isola, tra i quali spiccano i nomi dei musicisti. Non è necessaria un’analisi approfondita per scoprire che i giovani sono i principali generatori di questo tipo di dati.

Per questo, quando ascoltiamo il rapper che si fa eco della narrazione generata da Washington e che la rilancia senza sosta sui canali della cosiddetta stampa indipendente dei grandi media corporativi, nessuno può dubitare che non sia stato incluso nell’esercito degli influencers al servizio del presidente degli Stati Uniti.

Yotuel conferma che, per tentare di realizzare il proposito rimandato da 62 anni, «si devono usare diversi percorsi alternativi». Così come Trump aveva scelto i suoi pedoni, così Biden muove ora i suoi pezzi sulla scacchiera, alcuni senza nemmeno spostarli dalla posizione in cui li aveva messi il suo predecessore.

 

Daily Pérez Guillén e GM per Granma Internacional, 31 luglio 2021

 



 

GRANMA (CUBA) / ESTERI / L’EUROPA DI NUOVO CONTRO CUBA

Sempre lo stesso piccolo gruppo di eurodeputati, sempre la stessa manovra: l'Europa di nuovo contro Cuba

 

 

Lo stesso piccolo gruppo di eurodeputati che risponde all’agenda di Washington – e che ha già montato un precedente simile caso – è riuscito nuovamente a imporre il dibattito su Cuba il 16 settembre, trasformando nuovamente il Parlamento Europeo nel triste ostaggio di un'aggressione estranea agli interessi genuinamente europei e contraria allo spirito di rispettoso dialogo che ha caratterizzato le relazioni tra Cuba e l’Unione Europea negli ultimi tempi.

E' la denuncia della Commissione delle Relazioni Internazionali dell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare, nella cui dichiarazione del 13 settembre afferma: «Dovrebbe essere motivo di preoccupazione per i cittadini e le stesse istituzioni dell’Unione Europea la nuova ripetuta azione di questo gruppo di legislatori, il cui impegno si caratterizza per la doppiezza e l’uso spudorato della menzogna per aggredire uno Stato sovrano, smarcandosi dal comportamento etico che dovrebbe mostrare la condotta dei deputati del Parlamento Europeo, così come prescrive l’Articolo 10 del suo Regolamento Interno. I promotori di questa nuova manovra non hanno l’autorità morale per erigersi a difensori dei diritti del popolo cubano». Questa la dichiarazione di denuncia l’assenza di decenza di questi legislatori, incapaci di disobbedire ai dettami della potenza che dispiega una brutale guerra economica, commerciale, finanziaria, politica e informativa contro l’Isola «che queste persone, facendo mostra della loro proverbiale ipocrisia politica, non si sono mai preoccupate di condannare».

La Commissione delle Relazioni Internazionali del Parlamento cubano ha ricordato che questo gruppo di deputati non rappresenta l’opinione della totalità dei membri del Parlamento Europeo, dove esiste e lavora un Gruppo Parlamentare d’Amicizia con Cuba, la cui voce si solleva ogni volta con maggior forza di fronte a queste calunnie, che avverte del «pericolo rappresentato da queste politiche che rispondono più alle agende personali dei loro promotori che a una genuina preoccupazione per la protezione dei diritti umani, a Cuba e nel mondo» e chiama quindi tutti i membri del Parlamento Europeo a non  sostenere questa ennesiva manovra.

Redazione Granma e GM per Granma Internacional, 18 settembre 2021