Blanqui. Una vita per la Rivoluzione

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Blanqui. Una vita per la rivoluzione

 

Titolo

 Blanqui. Una vita per la rivoluzione (2Volumi)

Autore

 Gustave Danvier

Argomento

 Biografie e storie vere  Biografie generali

Editore

LA CITTÀ DEL SOLE

Pagine

1006                   Euro 70.00

 

Sansimoniani, fourieristi, positivisti, hanno tutti dichiarato guerra alla rivoluzione,

accusata di negativismo incorreggibile. Per una trentina d’anni le loro prèdiche

hanno annunciato all’universo la fine dell’era di distruzione e l’avvento del periodo

 organico nella persona dei loro rispettivi messia. Rivali per il resto, le tre sètte

erano concordi soltanto nelle diatribe contro i rivoluzionari, peccatori incalliti

che rifiutavano di aprire i loro occhi alla nuova luce, le loro orecchie alla parola di vita.

Cosa notevole che basta a stabilire la distinzione: i comunisti non hanno cessato

di costituire l’avanguardia più audace della democrazia, mentre i seguaci d’ipotesi

hanno rivaleggiato in bassezza davanti a tutti i governi retrogradi e mendicato

le loro buone grazie insultando la repubblica.

Il comunismo è l’essenza, il midollo della rivoluzione, mentre le nuove religioni

 non ne furono che nemiche, proprio come la vecchia.

 

1bis

 

Louis-Auguste Blanqui (1805-1881) è una delle figure più limpide della storia politico-sociale del XIX secolo. Contemporaneo di Marx e Bakunin, Blanqui è stato non solo una grande personalità del socialismo francese, ma anche una importante figura del movimento rivoluzionario internazionale. In 76 anni di vita ha subìto due condanne a morte, quindici processi, 34 anni di carcere, dieci anni di esilio e di residenze forzate; una vita piena di sacrifici e di aspre lotte, per la liberazione dei dannati della terra, per l’emancipazione umana.

Per Marx, Blanqui era “il cervello e il cuore del partito proletario in Francia”. Per il russo Aleksàndr Ivanovič Herzen “Blanqui è il rivoluzionario della nostra epoca, ha capito che non c’è nulla da aggiustare, ha capito che il primo compito è di abbattere ciò che esiste”.

Rosa Luxemburg in una lettera dal carcere di Breslavia a Mathilde Wurm, del gennaio 1918, ha scritto: “Agli sperimentalismi utopici [del 1848], l’unico orientamento realmente rivoluzionario proletario che si oppose fu il gruppo di Blanqui, che lottava per la conquista diretta del potere politico e per la rivoluzione sociale”. Vent’anni più tardi, Arthur Rosemberg, ha scritto: “Blanqui era di gran lunga il cervello migliore di tutte le correnti della democrazia francese. Egli era l’unico politico realista che non si lasciasse abbindolare dagli slogan della rivoluzione di Febbraio e dai suoi partiti. Egli chiedeva il completo disarmo dei capitalisti e dei militaristi e nello stesso tempo voleva armare il popolo lavoratore. Riteneva il resto senza importanza, finché questa premessa non fosse stata attuata. Blanqui non era né putschista né avventurista. Al contrario, era la coscienza vivente della democrazia francese, e per questo era ferocemente odiato dai politici ufficiali, dai ministri e dai loro seguaci”. Negli stessi anni, Walter Benjamin osservava che la socialdemocrazia “è riuscita, nel corso di trent’anni, ad estinguere quasi completamente il nome di un Blanqui, che ha fatto tremare col suo timbro metallico il secolo precedente […]. Blanqui non mostra alcun odio per la credenza nel progresso; ma lo copre tacitamente del suo scherno. Ciò non significa affatto che egli diventi infedele al suo credo politico. L’attività del cospiratore professionale, quale era Blanqui, non presuppone affatto la fede nel progresso, ma intanto solo la decisione di farla finita con l’ingiustizia presente. Questa decisione di sottrarre l’umanità, all’ultima ora, alla catastrofe che di volta in volta la minaccia, fu per Blanqui, più che per ogni altro rivoluzionario di quel periodo, l’elemento determinante”.

 

Nel luglio 1830 il giovane Blanqui combatte nell’insurrezione contro Carlo X ed è una delle figure principali della Société des Amis du Peuple. Nel 1837 fonda la Société des Saisons (della quale fanno parte anche molti italiani, tedeschi, svizzeri e polacchi) e organizza una insurrezione contro il governo di Luigi-Filippo (e delle banche). Il fallimento dell’insurrezione e successivamente l’arresto lo porta ad essere condannato alla pena di morte, commutata poi in ergastolo nel carcere infernale di Mont Saint-Michel. La rivoluzione del 1848 lo libera. Il 26 febbraio è già a Parigi. Non credendo nella neonata Repubblica, a differenza di molti altri, si schiera contro le tragicomiche riforme di Ledru-Rollin puntando ad un vasto schieramento di forze effettivamente democratiche. Fonda la Société Républicaine Centrale alla quale aderiscono molti operai, artigiani, studenti, giornalisti e intellettuali come Charles Baudelaire e Louis Ménard. “Ciò di cui abbiamo bisogno – afferma in un discorso alla Société Républicaine Centraleè del popolo nella sua immensità, i faubourgs insorti, un nuovo 10 Agosto”.

In seguito ad una provocazione della polizia nella giornata del 15 maggio (provocazione organizzata dai membri del governo provvisorio), Blanqui viene accusato di complotto e pochi giorni dopo arrestato. Dal 26 maggio 1848 al 21 settembre 1859 trascorre più di 11 anni in carcere, passati soprattutto nella prigione di Belle-Ile.

Sono anni in cui approfondisce una serie di problematiche storiche, politiche e filosofiche. I suoi manoscritti inediti sono straordinariamente ricchi di indicazioni. Ecco alcune sue riflessioni del periodo:

 

“Tutte le Rivoluzioni sono cadute grazie al tradimento dei moderati, alla credulità fiduciosa delle masse, alla perfidia, agli spergiuri degli oppressori […]. Tutti i movimenti popolari della Francia, dell’Inghilterra, dell’Italia: eterna e monotona ripetizione dello stesso dramma, dall’antichità, fino ai nostri giorni”.

 

“Le idee possono trovare interpreti sinceri solo tra uomini le cui azioni ne sono una evidente confessione”.

 

“Il dovere di un rivoluzionario è la lotta sempre, la lotta comunque, la lotta fino alla fine”.

 

“Il vecchio mondo è sufficientemente disseccato. Lo scalpello non scoprirà alcun nuovo enunciato. Spetta oggi alle tempeste rinnovare l’atmosfera… Riguardo alla dottrina, io non ho niente d’inedito in riserva… Discussioni e prediche sono giunte alla fine. La parola spetta ai fatti”.

 

Nel 1860, tornato a Parigi tenta di stampare un giornale, ma viene tradito da un “compagno” indicateur de police e condannato a 4 anni di carcere. Questo il “dialogo” tra Blanqui e il giudice durante il processo:

 

Malgrado 25 anni di prigione, avete conservato le stesse idee?

Perfettamente.

E non solamente le idee, ma anche il desiderio di farle trionfare?

Sì, fino alla morte.

 

Nel 1865 fonda un altro giornale, Candide. Dopo 8 numeri il giornale viene soppresso e Blanqui è nuovamente arrestato e condannato. Nel 1866 evade e si rifugia a Bruxelles da dove riesce ad organizzare una vasta rete di cellule clandestine.

 

Noi non crediamo alla fatalità del progresso – scrive Blanqui in questo periodo – questa dottrina dell’imbastardimento e dell’accovacciarsi. Vincere è una necessità assoluta, per il diritto, sotto pena di non essere più il diritto, ma Satana che si torce sotto il tallone dell’Arcangelo. “Væ victis! Guai ai vinti!” vociferano tutti i partiti dell’arena per disputarsi la preda. “Væ victis!” sogghigna il sicario della penna che arranca sui campi di battaglia, palpando i cadaveri, per trascinare alla gogna quello più distrutto. “Væ victis!”, questo è il grido lugubre dei secoli, il grido di ieri, di oggi, forse di tanto tempo ancora. A volte gli risponde un altro grido, a lunghi intervalli, urla d’angoscia e di rabbia di un’umanità distesa sulla ruota, che si leva per far vendetta”.

 

Ma Blanqui, autore della Instruction pour une prise d’armes, matematico dell’insurrezione e uomo di Stato, comandante in capo dell’insurrezione del maggio 1839, diversamente da molti altri protagonisti delle lotte politico-sociali inclini al canto delle sirene positiviste circa le magnifiche sorti e progressive, ha lasciato anche pagine straordinarie in difesa dei “nativi”, degli ecosistemi e degli animali.

 

Durante la prigionìa a Belle-Ile, Corte e Mascara (2 novembre 1850 – 15 settembre 1859), Blanqui ebbe modo di scrivere su molte questioni storiche, politiche, filosofiche. Nell’imponente lascito manoscritto, non solo del periodo di Belle-Ile, vi sono pagine importanti sul rapporto uomo-natura, uomo-animale e sul senso della civiltà.

Nel carcere di Belle-Ile, durante la bella stagione, Blanqui lavorava in maniche di camicia, zoccoli e cappello di paglia nel “suo” orto, sotto la piccola finestra della sua camera carceraria, coltivando fragole e legumi, cercando così di limitare la sua dipendenza dalla madre e dalle sorelle e di mantenere il suo regime alimentare basato su latte, formaggio, frutta, lenticchie e fagioli; un’alimentazione che Proudhon definì impropriamente “exibitions pythagoriciennes”.[1]

La scelta alimentare di Blanqui è fondata su ragioni attinenti la salute del corpo e sulla convinzione che la grandezza dell’uomo sta nella capacità di comprendere la propria piccolezza, nel poter cògliere che ogni vita è vita che vuole vivere e fiorire, in una rete di relazioni che l’uomo dovrebbe tutelare, piuttosto che distruggere.[2]

            Amante della cultura classica[3], Blanqui coniuga la dolcezza (praotès)[4] dei migliori filosofi greci nei confronti di tutti i viventi, con la determinazione di porre fine alla miseria e allo sfruttamento degli uomini.

            Alcune riflessioni presenti nei manoscritti possono aiutarci a comprendere meglio le exibitions pythagoriciennes de l’Enfermé.

 

            “Gli uomini, le foglie![5] Trastullo dei venti, giochi di passioni, ma solidali e appartenenti ad uno stesso tronco, l’albero, l’umanità […]. Quanto risibile orgoglio e burleschi sforzi, per gratificarci di un’anima immortale! L’immortalità? Ah! Ah! Tanti sofismi per negare l’analogia tra l’uomo e gli altri animali! Grottesca distinzione tra due identità! Stessa organizzazione del nostro corpo, stesse funzioni, stessi procedimenti di pensiero, confronto e giudizio. Stesse affezioni morali: l’odio, l’amore; fino alle diversità di carattere tra gli individui, risultati d’una impercettibile variante del cervello: dei cavalli dolci e dei cavalli ombrosi. Tutte queste similitudini sono respinte con furore dall’orgoglio e dall’egoismo”.

 

E qualche anno dopo:

 

            “Da quasi quattro secoli[6] la nostra razza detestabile distrugge senza pietà tutto ciò che incontra, uomini, animali, vegetali, minerali. La balena sta per estinguersi, annientata da una caccia spietata. Le foreste cadono una dopo l’altra. L’ascia abbatte, nessuno ripianta. Ci si preoccupa poco che l’avvenire abbia la febbre. I giacimenti di petrolio sono sperperati con incuria selvaggia.

Improvvisamente erano apparsi degli uomini che, solo con il loro aspetto ci raccontavano i primi tempi del nostro soggiorno sulla terra. Bisognava conservare con cura filiale, se non altro in nome della scienza, questi campioni sopravvissuti dei nostri antenati, questi preziosi esemplari delle età primitive. Li abbiamo assassinati. Tra le potenze cristiane si fa a gara per distruggerli. Risponderemo d’assassinio davanti alla storia. Essa ben presto ci rimprovererà questo crimine, con tutta la forza di una morale superiore alla nostra. Non vi sarà abbastanza odio né maledizione contro il cristianesimo che ha ucciso, col pretesto di convertirle, queste creature disarmate, contro il mercantilismo che le massacra e le avvelena, contro le nazioni che assistono indifferenti a queste agonìe…Il presente non si preoccupa che di se stesso.[7] Se ne infischia, tanto del futuro quanto del passato. Sfrutta gli avanzi dell’uno e vuole sfruttare l’altro in anticipo. Dice: Dopo di me il diluvio! – o, se non lo dice, lo pensa e agisce conseguentemente. Si risparmiano i tesori ammassati dalla natura, tesori che non sono affatto inesauribili e che non si riprodurranno? Si fa un enorme sciupìo di carbone con la scusa di giacimenti sconosciuti, riserve per il futuro. Si stermina la balena. […]. Il presente saccheggia e distrugge a caso, per i propri bisogni o i propri capricci […].

 

            Quanti animali sono emuli, se non persino superiori all’uomo, nella manipolazione della materia! Certi nidi d’uccelli sono capolavori inimitabili. Quale operaio migliore dell’ape o del ragno? L’ape sovrappone i suoi tubi esagonali con una precisione geometrica che non potremo mai superare. Il ragno sfida la scienza del matematico e l’arte del tessitore, nei mille calcoli per annodare i fili e adattare le tele ai luoghi più diversi. Eppure, non sono che due semplici insetti!”.

 

            Edouard Vaillant[8] riferisce che in Blanqui il minimo segno di dominio svegliava la sua ira.

 

Diffidate – diceva – di quelli che trascinano un cane al loro seguito. Sottomettono un animale per loro capriccio, in mancanza di non poter tiranneggiare gli uomini”.

 

            Louise Michel,[9] che per militanza e sensibilità fu vicina a Blanqui, colse l’inaccettabilità dell’esistente, allo stesso modo.

 

Ho visto i lavoratori dei campi – scrive nel 1886 – trattati come bestie e quelli delle città morire di fame; ho visto piogge di proiettili su folle disarmate. Ho visto cavalieri sfondare gli assembramenti con i cavalli; la bestia, migliore dell’uomo, alza gli zoccoli, per paura di schiacciare, recalcitra e avanza con disgusto sotto i colpi… Al fondo della mia rivolta contro i potenti, trovo, più antico, il ricordo dell’orrore delle torture inflitte alle bestie… e più l’uomo è feroce verso la bestia, più è carponi davanti agli uomini che lo dominano...”.

 

            Non va dimenticata la solida amicizia di Blanqui con Louis Ménard, l’autore del Prologue d’une Révolution. Février-Juin 1848, Paris 1849 (libro che fu utile a Marx, per il suo Die Klassenkämpfe in Frankreich, Neue Rheinische Zeitung, 1850), ottimo grecista, che in un bel testo filosofico sottolineò “la perpetua comunanza tra l’uomo e la natura”[10] esistente nel mondo greco antico e, in un’opera più tarda, intravvide, alla maniera di Empedocle, il nostro plumbeo presente.

 

Se l’uomo dell’era industriale abuserà della sua potenza,[11] se dissiperà le sue ricchezze con lo sterminio delle specie animali o la distruzione delle vecchie foreste, i flagelli dell’inondazione, della sterilità, della fame o della peste presto vendicheranno gli Dèi della natura”.

 

Nel 1870, durante la guerra franco-prussiana Blanqui torna a Parigi e fonda il giornale La Patrie en Danger. Contrariamente a quanto qualcuno ancora oggi crede, il giornale non assunse in alcun momento una funzione “patriottarda”.

Il 17 marzo 1871 Blanqui viene arrestato. Thiers esclama: “Abbiamo preso il più scellerato di tutti!”. Nel novembre 1871 è condannato alla deportazione in una cinta fortificata per “partecipazione morale alla Comune”. Nel 1877 la sua salute, già precaria, vacilla. Nel 1879, benché in carcere a Fort du Taureau, viene eletto deputato a Bordeaux, ma l’elezione è invalidata dal governo. Liberato in seguito all’amnistia, nel 1880 fonda Ni Dieu ni Maître (Né Dio né Padrone), un battagliero giornale al quale collaborarono anche Kaspar M. Turski, Nikolaj Morozov e Pëtr Nikitič Tkačëv. In questo periodo, Paul Lafargue scrisse (da casa Marx) a Blanqui (la lettera è riprodotta fotograficamente nel secondo tomo dell’Opera):

 

            “Caro Cittadino, i giornali di Londra annunciano a grossi caratteri che siete uscito da Clairvaux. Mi dispiace di non essere tra quelli che, per primi, verranno a stringervi la mano. [...] Voi emergete in superficie nel momento in cui noi abbiamo più bisogno di un uomo, per costituire il partito proletario e lanciarlo alla conquista del potere politico. [...] Già prima del 1848, mentre si era ancora avvolti nei sogni utopistici dei primi comunisti, voi avete avuto l’onore di proclamare la lotta delle classi. Oggi la lotta è ingaggiata in maniera terribile e di nuovo voi comparite per servirci da porta-bandiera. Sapevano bene quel che facevano, quei borghesi, quando vi scelsero come capro espiatorio dei crimini rivoluzionari del nostro secolo. [...]. Marx, che ha seguito con tanto interesse tutta la vostra carriera politica, sarebbe felice fare la vostra conoscenza. Salute e amicizia. Paul Lafargue”.

 

Il 27 dicembre 1880, al termine di una riunione operaia, tornato a casa, è colpito da emorragia cerebrale. Muore a Parigi il 1° gennaio 1881. Il feretro, di quinta classe, viene seguito da duecentomila persone.

Nell’orazione funebre scritta dal rivoluzionario russo Pëtr Nikitič Tkačëv, che il 5 gennaio 1881 accompagnò il feretro al cimitero del Père-Lachaise, si legge:

 

“A lui, alle sue idee, alla sua abnegazione, alla lucidità del suo spirito, alla sua chiaroveggenza noi dobbiamo la grande parte del progresso che ogni giorno si compie nel movimento rivoluzionario della Russia. Sì, è lui che è stato il nostro ispiratore ed il nostro modello nella grande arte della cospirazione”.

 

Questa, in linee fin troppo sommarie, la sua vita.

 

 

Auguste Blanqui – ha scritto Charles Rappoport, nel 1912 – fu la Rivoluzione personificata, la sua coscienza, il suo odio, la sua chiaroveggenza; indomabile e fedele, ardente e diffidente, vide tutti i fantocci della politica democratica tradire la Rivoluzione, uno dopo l’altro...”.

La casa editrice La Città del Sole ha ora pubblicato la più ampia, strutturata biografia unitaria di Blanqui (G. Danvier, Blanqui. Una vita per la Rivoluzione), risultato di vent’anni di lavoro, di innumerevoli viaggi e non facili ricerche. Oltre mille pagine d’impressionante erudizione, in due tomi. Ventisei capitoli, accompagnati da duemila importanti note, da rare ed inedite illustrazioni e da 850 fonti bibliografiche ed archivistiche. Un’Opera indispensabile per andare alla radice di scelte sbagliate ed errori, ricca di materiali inediti (riguardanti, tra gli altri, Mazzini, Marx, Lafargue, Louise Michel, Gottschalk, Herzen, Victor Hugo, Baudelaire, Kaspar M. Turski, Nikolaj Morozov, Pëtr Nikitič Tkačëv, ecc.) e documenti rari.

Questa biografia (non solo politica), fondata sull’esame di documenti inediti, sconosciuti o dimenticati, degli atti processuali, delle migliaia di pagine manoscritte conservate presso la Bibliothèque nationale, gli Archives nationales, l’Institut français d’Histoire sociale di Parigi,l’Internationaal Instituut voor Sociale Geschiedenis di Amsterdam, gli Archivi di Mosca e su altre fonti pubbliche e private, è indubbiamente un forte contributo al superamento di tanti squallidi “equivoci” sulla sua vita, sul suo pensiero e, nel contempo, una indagine intorno a tante questioni ingiustamente abbandonate all’oblìo.

Tra i più importanti studiosi di Blanqui, G. Danvier ha curato la prima, grande raccolta di Scritti e materiali, 1830-1848, del prisonnier légendaire du XIXe siècle, nel 1988, il primo lavoro biografico di M. Dommanget, Blanqui (Roma 1990), ed ha pubblicato il saggio Blanqui, Marx e il movimento operaio europeo (Roma 1991).

Blanqui, il prigioniero del capitalismo, è anche il dimenticato del socialismo; questo pensatore combattente, attento alla situazione storico-politica ed alla realtà del movimento rivoluzionario, è ancora rinchiuso nei miseri luoghi comuni che lo vogliono contenuto negli artefatti abitini dell’utopia, del sentimentalismo o del putschismo.

Ha scritto Paul Frölich:

 

Mentre uomini di secondo piano sono stati trascinati a forza dentro i libri di storia dei partiti ed inculcati nella testa degli operai, Auguste Blanqui è stato trattato come un cane morto e la sua memoria distrutta. Rompere la congiura del silenzio, dare a Blanqui il suo posto nella galleria del proletariato in lotta, questo è il cómpito che ci spetta […]. Il proletariato rivoluzionario ha pochi grandi rappresentanti al ricordo dei quali potersi rinfrancare”.

(P. Frölich, Über Blanquismus. Die Kommunistische Internationale, 1925).

 

___________                      A cura di Gino Ditadi

 

 

Il libro è ordinabile anche presso il CIVG, senza spese di spedizione: info@civg.it

Un lavoro di memoria storica da leggere e avere nella propria biblioteca utile anche per un impegno contemporaneo.

 



[1] P.-J. Proudhon, Correspondance, t. VII, p. 8. ~ Alfred Sirven, che per tre volte fu a Sainte-Pélagie (dal 1860 al 1864, condannato per istigazione all’odio e al disprezzo del governo, per oltraggio al culto religioso, ecc.) e che in quella prigione strinse amicizia con Blanqui, ricorda: “A vedere il suo piccolo corpo così esile, così gracile e così sofferente, si potrebbe dubitare d’essere in presenza di uno dei più terribili e più eminenti cospiratori francesi. È grazie ad un regime zenoniano che Blanqui ha potuto sopportare, senza esserne abbattuto, tutte le tempeste della sua vita politica. Egli si nutre unicamente di una poltiglia che prepara con mais, latte, carote e non so che altro. Una sorta di brodaglia lacedemone ; non beve che acqua e dorme con le finestre aperte in qualsiasi stagione”.  ~  “A Vincennes – ricorda Victor Hugo – durante i suoi otto mesi di prigionia [in realtà 9 mesi e 9 giorni] per l’affaire del 15 Maggio [1848], Blanqui mangiò soltanto pane e mele crude, rifiutando ogni altro nutrimento. Sua madre riuscì a volte a fargli prendere un po’ di brodo. Era arrivato a non portare più la camicia. Indossava lo stesso abito da dodici anni, il suo vestito di prigione, ed esibiva quegli stracci con fosco orgoglio […]. Un’abilità profonda, nessuna ipocrisia, sia nell’intimità che in pubblico. Aspro, duro, serio, non ride mai; ripaga il rispetto con l’ironia, l’ammirazione con il sarcasmo…”.

[2] Cfr. Blanqui, Manuscrits, Bibliothèque nationale, Paris, NAF 9592, f. 56 ; altre importanti osservazioni: ff. 225-228; 243; 284.

[3]“È il più grande divoratore di libri che io abbia incontrato nella mia vita […]. Profondo latinista, legge a libro aperto i più difficili autori. Quello che ama sopra tutti è Tacito […]. Ma, per un raro contrasto, questo bevitore di latte, quest’uomo più sobrio di un cenobita, adora Orazio. Virgilio è lo svago delle sue ore di riposo. Ha letto anche romanzi, benché li ami poco; ma, quando questi si distinguono per la loro forma eccezionale, quella forma lo trascina ed attrae…”Hippolyte Castille, Blanqui, Paris 1854, p. 54.

[4] Cfr. J. de Romilly, La douceur dans la pensée grecque, Paris 1979, ch. XVII.

[5] Blanqui, Mss., BN, NAF 9581, f. 371, pagina scritta a Belle-Ile. Cfr. Ms. 9591, f. 352: “La pensée des bêtes est immatérielle comme la notre, puisqu’elle procède comme la notre (puisque les procèdes sont les mêmes). Observation, mémoire, comparaison, jugement, tous les éléments sont identiques. « non pas ! » s’écrie l’ontologue. « il y manque la conscience de l’acte. Les bêtes pensent à leur propre insu. Elles n’analysent point les opérations de l’entendement, ne regardent jamais au-dedans d’elles mêmes, ne réfléchissent pas sur leurs réflexions ». D’abord on n’en sait rien, et puis, qu’importe ? La question n’est point dans la qualité ni dans la quantité, elle gît dans l’essence même de la pensée. (Personne ne met en doute la supériorité de notre intelligence sur celle des animaux, mais la différence n’est que de plus au moins […]. Il y a production par la matière d’une chose immatérielle. Le produit est inférieur mais absolument de même nature)”. Blanqui conosceva i testi di Plutarco, De esu carnium, De sollertia animalium (cfr. 963A), Bruta animalia ratione uti (cfr. 992D) e le pagine in difesa degli animali presenti in: M. de Montaigne, Apologie de Raymon Sabunde; Voltaire, Dictionnaire philosophique, s.v. Bêtes; d’Holbach, Le bon sens, ch. 95-103; J. Meslier, Testament, ch. XCIII-XCV; J.-J. Rousseau, Discours sur l’origine de l’inégalité, Note E-H; nonché i libri (prestatigli da Ch. F. Gambon, cfr. Mémoires, in 27 quaderni, redatte nel 1862) di A. Toussenel, L’Esprit des bêtes, Libr. Sociétarie, Paris 1847 e Le monde des oiseaux, Dentu, Paris 1855, nelle cui prime pagine l’autore loyalement déclare: “L’histoire des oiseaux de France […] n’était que le prétexte […] pour arriver à la démonstration géométrique des deux propositions audacieuses ci-après: Le règne de l’homme, règne de la force brutale, règne de la contrainte, de l’imposture et des vieux, coïncide fatalement avec la période la plus douloureuse de la vie de l’humanité. Le règne de la femme, règne du droit, règne de la liberté, de l’amour et des jeunes, correspond à la phase d’apogée ou de plein développement”. Toussenel osserva che tra gli uccelli “la supériorité du mâle est caractéristique des races inférieures […]. Chaque créature inférieure est un essai de la créature supérieure… l’oiseau annonce l’homme, comme l’homme annonce la femme, comme la femme annonce l’ange”. (Op. cit., pp. 2-3).

[6] Blanqui, Cahier C., p. 40.

[7] Blanqui, Cahier H., pp. 196 e 214. Scrive Blanqui, nel marzo 1870: “L’homme, dans son orgueil, rapporte tout à lui et ne voit partout que d’humbles agents de sa personnalité”.

[8] In Le Socialiste, n. 290, 1° gennaio 1911.

[9] In una lettera del 27 aprile 1885, dal carcere di Saint-Lazare, Louise scrive: “Per fortuna o per disgrazia ho così tanto sofferto che ormai ne ho l’abitudine; se non avessi tanto patito, certe umiliazioni mi turberebbero; ora sono un animale abituato ai colpi. Grazie d’aver avuto cura delle mie povere bestiole” (Internationaal Instituut voor Sociale Geschiedenis – Amsterdam). Nella cella del carcere di Saint-Lazare, Louise riuscì ad ammaestrare topi e gatti fino a farli mangiare dalla stessa scodella; era quel che faceva quand’era bambina a Vroncourt.

[10] L. Ménard, De la morale avant les philosophes, Paris 1860, p. 22. “ Dans la longue nuit de l’histoire, la Grèce rayonne comme un phare : c’est elle qu’il faut interroger ”. (L. Ménard, Pages choisies, Paris 1902, p. 307).

[11] L. Ménard, Opinions d’un païen sur la société moderne, Paris 1895, p. 114. All’inizio della rivoluzione industriale perdevamo una specie ogni secolo. Oggi il tasso di estinzione delle specie si è geometricamente moltiplicato: da 40 anni perdiamo circa ventisettemila specie l’anno, 72 al giorno, 3 ogni ora. La morte delle barriere coralline, la sistematica distruzione delle foreste, la desertificazione, la fusione dei ghiacci artici, l’innalzamento ed il riscaldamento dei mari indicano il fallimento oggettivo dei paradigmi culturali riduzionisti e l’effettuale, concreto rischio per l’umanità d’incappare in un mondo carico d’inedite conseguenze, senza ritorno.