«Rischia di finire male»

13 aprile 2021

Così va la certezza d'un momento
con uno sventolio di tende e di alberi
tra le case; ma l'ombra non dissolve
che vi reclama, opaca. M'apparite
allora, come me, nel limbo squallido
delle monche esistenze; e anche la vostra
rinascita è uno sterile segreto,
un prodigio fallito come tutti
quelli che ci fioriscono d'accanto
. (Eugenio Montale, Crisalide)

 

«Rischia di finire male». Questo è il monito del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov commentando la crisi Ucraina. La Russia è seriamente preoccupata. Da tempo analisti militari indipendenti denunciavano un'escalation di provocazioni da parte delle truppe di Kiev lungo la linea di contatto stabilita dagli accordi di Minsk II. Provocazioni c'erano sempre state, ma da quando Biden si è insediato sono cresciute in modo esponenziale. Dopo sei anni di stallo, le due repubbliche autoproclamate del Donbass rischiano un ennesimo assalto militare in violazione degli accordi che prevedono una soluzione politica che Kiev si è sempre rifiutata di implementare.

E se la Russia, che pur di favorire la soluzione politica non ha riconosciuto l'indipendenza delle repubbliche russofone del Donbass ma ha riconosciuto il governo ostile di Kiev anche se eletto in elezioni monche (il Donbass non vi partecipava) e costellate da violenze e minacce da parte dei gruppi nazisti, se la Russia che ha il terrore della guerra (terrore spiegabile dopo i 24 milioni di morti della II Guerra mondiale) è così preoccupata da muovere truppe al confine, allora è il caso anche per noi di preoccuparci.

E io sono preoccupato.

Ho sempre pensato che se una nuova guerra mondiale deve scoppiare, con tutta probabilità scoppierà di nuovo in Europa, come è sempre successo. Non in Siria, non in Iran, non nel Mar della Cina, ma in Europa.

Il golpe nazista in Ucraina, chiamato “Euromaidan” dalle agenzie di public relation affiliate alla Nato e al Dipartimento di Stato, aveva uno scopo preciso: alzare nuovamente una cortina di ferro tra l'Europa e la Russia. Il presidente scacciato (anche se regolarmente eletto) non era affatto un filo russo. Putin non lo amava per nulla. Ma voleva godere dei vantaggi di essere corteggiato sia da occidente che da oriente. Gli andò male, perché a Washington ad un certo punto decisero che la Russia era diventata un concorrente strategico troppo pericoloso e bisognava prendere ogni misura per contrastarla. La prima era impedire all'Europa di essere attratta essa e dal blocco eurasiatico in generale. La seconda era mantenere in Ucraina uno stato di tensione permanente con Mosca. Bisognava far vedere che gli USA erano disposti a “combattere la Russia fino all'ultimo ucraino”, come si incominciò a dire in quei giorni negli States e nell'Ucraina stessa. Ma si potrebbe estendere: “fino all'ultimo europeo”. Che è poi quanto voleva dire Victoria Nuland, plenipotenziaria di Obama per gli affari europei e regista nemmeno tanto occulta del golpe di Kiev, col suo famoso “Fuck the EU”, in culo all'Unione Europea, risposta densa di significato al suo interlocutore che l'avvertiva che l'Europa non era poi così contenta di quanto stava succedendo.
Le presidenze Dem negli USA hanno sempre avuto l'obiettivo e la capacità di rimettere in riga i riottosi alleati europei, a partire dalla Germania. In quel periodo tra il 2013 e il 2014 convinsero la signora Merkel, secondo me anche con le cattive, che era meglio che si adeguasse ai piani statunitensi se voleva ricavare qualche beneficio dalla crisi ucraina, che comunque sarebbe stata provocata, e questo avvenne. La UE si sdraiò sulla narrativa USA-Nato, piena di bestialità di ogni tipo, dall'esaltazione come “combattenti per la libertà” di nazisti dichiarati, al culto, per fortuna ormai esaurito, delle Femen, quelle “femministe democratiche e di sinistra” chissà perché così legate ai nazisti antisemiti e russofobi di Svoboda e Settore Destro (il cui slogan, per essere chiari, era “Liberarsi dal giogo ebraico-moscovita”) tanto da farsi fotografare spesso alle loro manifestazioni e persino di fronte alla Casa del Sindacato di Odessa in fiamme, in grande esultanza e col pugno chiuso mentre all'interno i loro camerati facevano cose come stuprare una giovane donna incinta, strangolarla col cavo del telefono e poi bruciarla (in Rete si può trovare ampia e atroce documentazione). In Italia, il PD metropolitano milanese organizzava kermesse a sostegno di questa gentaglia, facendo infuriare i militanti di base, mentre femministe post-moderne sbavavano dietro le Femen, “perché il corpo … perché il seno ...”.

E cosa c'è di meglio, per provocare la Russia, che metterle sotto il naso bandiere con la svastica? Putin in tutto questo periodo ha avuto un bel daffare a tenere a freno le forze politiche che chiedevano di intervenire nel Donbass e mettere fine alla carneficina di ucraini russofoni perpetrata a ritmo costante dalle truppe di Kiev e dai corpi paramilitari nazisti, come il Battaglione Azov, inquadrati nella Guardia Nazionale.

Il Post dello scorso 10 aprile intitolava: “La Russia si sta preparando a una nuova invasione in Ucraina?”. Quale “nuova” invasione? La Crimea deliberò con un referendum popolare il ritorno alla Russia, alla quale era appartenuta dal 1783 (prima dipendeva dall'Impero Ottomano) fino a quando nel 1954 lo sciagurato e superficiale Krusciov decise di regalarla alla terra dove era cresciuto e aveva fatto le sue fortune politiche, cioè appunto l'Ucraina. E nel Donbass le truppe russe non si sono mai viste. Anzi, Putin non ha nemmeno riconosciuto la scissione del Donbass e ha respinto la richiesta dei suoi dirigenti di essere annessi alla Federazione Russa. Ma è inutile ricordarlo al Post, così preso dalla sua linea editoriale tipica della sinistra filo-imperiale. Sempre per onorare le linee guida di Biden (in questo caso riprese pari pari da Trump), il 26 marzo scorso, ad esempio, intitolava “L’aggressiva reazione della Cina alle sanzioni occidentali”. E come doveva reagire la Cina alle ennesime arbitrarie sanzioni? Con balletti di gioia? Ha messo un embargo sui prodotti Nike e H&M. Apriti cielo! Aggressione! (parleremo un'altra volta dell'utilizzo di USA e Turchia di organizzazioni terroristiche e politiche uigure fascistoidi, stragiste, fondamentaliste, antisemite, razziste e omofobe per destabilizzare il Xinjiang e indebolire Pechino – e quindi, per definizione, “democratiche”).

Dopo il disastro militare delle forze ucraine nella sacca di Debaltsevo nel 2015, il governo di Kiev dovette correre ai ripari e accettò a denti stretti gli accordi di Minsk II patrocinati da Russia, Francia e Germania che non vedevano l'ora di togliersi la spina ucraina piantatagli nel fianco da Washington. E a Francia e Germania la Russia si è oggi di nuovo rivolta chiedendogli di fare pressione perché Kiev rispetti gli accordi stipulati, che invece ha violato costantemente (in effetti Kiev fece sapere subito che li aveva subiti e che non si sentiva tenuta a rispettarli, anche se non ha il coraggio di denunciarli per non venire isolata). Queste violazione significano tipicamente bombardamenti di artiglieria e morti civili.

Vedremo cosa potranno fare Parigi e soprattutto Berlino.

E' tutto da capire. La prima cosa che ha fatto Biden una volta insediatosi è stato ricordare all'Europa chi comanda (come abbiamo visto, è un tratto caratteristico delle amministrazioni Dem - un altro tratto, ahimè, è iniziare guerre che poi terminano coi Repubblicani) e che dai vaccini al business la parola d'ordine deve essere “Vade retro, Russia!”.

E soprattutto, si prenda nota, ha detto chiaro e tondo alla Merkel: “Questo gasdotto non s'ha da fare, né domani né mai”. Si intende il Nord Stream 2, puro anatema per Washington. Già Washington aveva cercato di imbarazzare Berlino rifilandole la grana Navalny l'estate scorsa. Ma non era servito. Adesso si passa quindi alle maniere pesanti.

Ma veramente la Merkel accetterà di non completare i 10 chilometri mancanti? Non è solo una questione di gas, è una questione che riguarda la domanda: “Che farò, io Germania, nei prossimi 20/30 anni?”. Una domanda che si pongono tutti i Paesi in questo show-down di crisi sistemica. E la domanda collegata è: “Come si fa ad evitare una guerra mondiale?”, perché le crisi sistemiche hanno sempre portato a conflitti mondiali. Infine la domanda collaterale obbligata è “Come sgonfiare la mega bolla finanziaria prima che scoppi in modo catastrofico e senza che Washington reagisca «in modo selvaggio» (Harvey) per salvare la supremazia del Dollaro?”.

Già, come si fa? Quanto bisogna far finta di dir di sì a Washington, dove si annidano decisori ormai diventati psicopatici per via del terrore di perdere l'egemonia mondiale, per via del terrore che si transiti ad un mondo multipolare e non ad un “new American century”?

La Merkel, per prima, ha questo problema, che poi, banalmente, è quello che gli USA non combattano la Russia fino all'ultimo tedesco. Macron segue a ruota, e così per quanto riguarda vaccini e sicurezza comune hanno già fatto un meeting a tre con Putin qualche giorno fa. Non solo, Berlino ha già ipotecato 20 milioni di dosi di vaccino Sputnik.
E l'Italia dov'è? L'Italia è dove è il presidente del Consiglio, Mario Draghi. E lui sta con la testa a Washington.
Pensare che la congiura di Renzi fosse finalizzata a mettere Draghi al posto di Conte solo per gestire i famosi 204 miliardi del Recovery Fund, è stato il solito errore economicista (tipico della sinistra).
In realtà io sono convinto che Conte sia stato spodestato perché Draghi è molto più affidabile agli occhi di Washington. Tutti si sono accorti del “riallineamento atlantico” dell'Italia da che Draghi si è insediato. Di Maio è stato lasciato agli Esteri per equilibri politici vabbè, ma soprattutto perché la politica estera, come si capiva benissimo fin dall'inizio, l'avrebbe fatta Draghi. E diversi media, uno dopo l'altro, hanno descritto orgogliosamente questo ritorno a un'ubbidienza più stretta come l'ascesa di Draghi a unico leader europeo in sostituzione degli “indeboliti” Macron e Merkel.

Non solo, Draghi potrebbe anche dare, all'occorrenza, delle noie alla Germania e in subordine alla Francia rispetto alle politiche comunitarie (Piano di Stabilità, Euro, eccetera). Può sembrare fantascienza ma ormai tutto è possibile, specie se interessi geopolitici si incrociano con il peggioramento di una crisi sistemica, aggravata dalla sovrainfezione della crisi sanitaria corrente, che cozza sempre di più con le camicie di forza che la UE si è autoimposta in altri tempi con criteri di altri tempi.

Chissà, magari vedremo in un prossimo futuro uno spettacolo surreale: un Draghi keynesiano e sovranista. E mi immagino che ci sarà chi parlerà di un “ritorno a Federico Caffè” (il grande maestro di Draghi) e chi di “rinascita italiana”. Infine qualcuno parlerà di “nuova sovranità nazionale”, ma inopportunamente. Intanto perché a livello economico e sociale la strada indicata è chiara: favorire la centralizzazione e la concentrazione di capitali. In secondo luogo, ma non meno importante, perché se ci si scorda che oltre all'Euro c'è anche il Dollaro, si fanno i conti senza l'oste. Magari conti raffinati, ben documentati e ragionati. Ma sempre senza l'oste.
Chissà, forse dovremo vedere i soliti che esultano per primavere che non fioriscono, i soliti che applaudono prodigi che falliscono, i soliti che non si accorgono del limbo squallido delle monche esistenze.
Ma forse non vedremo proprio più niente se Washington non ritorna sana di mente. Come direbbe il mio amico Pierluigi Fagan, è un problema adattativo. Se non ci si adatta la catastrofe è dietro l'angolo, indipendentemente dalle simpatie o antipatie che abbiamo per gli attori in gioco. Se Washington non si adatta a un mondo multipolare non è detto che ci sarà più un mondo.

 

 

Piotr