Geopolitica di una rivoluzione (green). Il mercato mondiale dei minerali strategici
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- Scritto da CIVG
Premessa
La transizione ecologica si presenta come un processo obbligato e irreversibile che coinvolge un numero crescente di paesi. Il passaggio da un’economia basata sui combustibili fossili a una basata sull’energia elettrica sarà la parola d’ordine dei prossimi anni. L’esplosione dell’industria green, soprattutto per quanto riguarda il settore automobilistico, determinerà una crescita esponenziale della domanda di materie prime necessarie alla fabbricazione delle batterie.
Queste materie prime, fondamentali non solo per l’industria automobilistica, ma anche per quella militare e per l’high tech, sono principalmente il coltan, il litio e le cosiddette terre rare di cui fanno parte ben 17 elementi chimici differenti (Lantanio, Cerio, Neodimio, Samario, Praseodimio, Europio, Gadolinio, Lutezio, Tulio, Olmio, Disprosio, Erbio, Terbio, Itterbio, Ittrio, Promezio, Scandio). Chi riuscirà a controllare le riserve di questi preziosi elementi e possiederà le tecnologie necessarie alla loro trasformazione avrà un indiscusso vantaggio economico e geopolitico, potendosi facilmente imporre come leader mondiale nel processo di sviluppo della green economy.
Sebbene presenti in grandi quantità nella crosta terrestre questi minerali sono concentrati in pochi paesi. Attualmente la maggior parte del litio viene estratto in Australia, ma le riserve più grandi si presume siano in Sud America, in quel che viene chiamato triangolo del litio tra Cile, Argentina e Bolivia. Più della metà delle riserve mondiali di coltan si trovano in Congo. Le terre rare, invece, sono concentrate soprattutto in Cina, Russia, Brasile e Stati Uniti.
Questi minerali sono difficili da prelevare e pochi paesi sono in possesso della tecnologia e delle capacità tecniche necessarie alla loro estrazione e lavorazione.
A oggi la Cina è leader mondiale nell’estrazione e nella lavorazione di questi minerali.
Operaio al lavoro in un impianto di estrazione del litio
La disputa tra Stati Uniti e Cina
Al termine della guerra fredda si è definitivamente consacrato il ruolo degli Stati Uniti come unica potenza egemone a livello globale. Il primato nordamericano è stato messo fortemente in discussione dalla fase d’eccezionale sviluppo economico che la Cina ha vissuto negli ultimi trent’anni. Sono enormi i progressi compiuti dal paese asiatico e coinvolgono tutti i principali settori strategici. Ormai Pechino ha superato Washington in termini di PIL, è vicina a raggiungerne il livello di sviluppo tecnologico e, grazie all’ambizioso progetto della Belt and Road Initiative, mina seriamente l’egemonia nordamericana sul controllo dei commerci.
Nella sfida tra Stati Uniti e Cina per la supremazia globale rientra a pieno titolo anche la corsa all’accaparramento delle risorse e delle tecnologie necessarie a guidare l’imminente “rivoluzione green” che coinvolgerà sempre più paesi nei prossimi anni.
Per la Cina, che ha tra i suoi principali obiettivi quello di diventare il più grande produttore mondiale di veicoli elettrici, lo sviluppo di materiali per le batterie è una priorità. La Cina è ricca di terre rare e ha investito molto in questa industria. Ciò gli ha permesso di dominare il mercato mondiale del settore già da molti anni.
Più recentemente, grazie a un’oculata strategia d’investimenti pubblici, Pechino è riuscita ad affermarsi come leader mondiale anche nella produzione del coltan e del litio. L’80% delle riserve mondiali di Coltan si trova in Congo, ma i cinesi ne controllano già una buona parte. Per quanto riguarda il litio la società cinese Tianqi è presente nel sito estrattivo di Greenbushes, in Australia, dove attualmente si concentra quasi la metà della produzione mondiale del minerale.
Negli ultimi anni la ricerca per assicurarsi il litio si è rivolta al Sud America, dove si trovano le più grandi riserve al mondo, molte delle quali non ancora sfruttate. Nel 2018 Tianqi ha acquisito più del 20% della Sociedad Quimica Y Minera (SQM) del Cile, che controlla le riserve del Deserto di Atacama, le maggiori del paese. Anche la Bolivia è stata oggetto di interesse per Pechino. Qui il governo di Evo Morales si è dimostrato ben disposto nei confronti del Dragone e ciò ha permesso un’intensa cooperazione in diversi settori, compreso quello dell’industria mineraria.
Gli Stati Uniti mal digeriscono il dominio cinese nella filiera produttiva delle batterie. Più del 50% del loro fabbisogno dei metalli necessari per la produzione di batterie è coperto da importazioni. Ciò rende le aziende statunitensi dipendenti dalla Cina per l’approvvigionamento dei minerali strategici.
L’anno scorso il governo americano ha pubblicato una lista di 35 minerali, tra cui litio e coltan, considerati “critici per l’economia e la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”. Il sottosegretario al Commercio Wilbur Ross ha dichiarato che gli Usa adotteranno “misure senza precedenti” per assicurarsi più autonomia nelle forniture di questi minerali.
Dal punto di vista nordamericano, nella sfida per il dominio del mercato dei motori e delle batterie elettriche sarà decisivo il contrasto al controllo cinese sulle principali riserve strategiche di litio. Per l’estrazione di questo minerale gli Stati Uniti possono già contare su Albemarle, una società che ha importanti attività di estrazione di litio in Cile e in Australia, nel Deserto di Atacama e a Greenbushes, proprio dove è presente anche la Cina.
Gli Stati Uniti hanno sempre considerato l’America Latina come un’estensione naturale del loro territorio, cercando di impedire la penetrazione di qualsiasi grande potenza che si potesse presentare come alternativa a essi. Ciononostante la Cina è riuscita a instaurare solide relazioni economiche con diversi paesi della regione. In maniera analoga l’Australia, da sempre un alleato fedele di Washington, ha enormemente intensificato i rapporti con Pechino negli ultimi anni, rendendo la Cina il primo partner commerciale dell’isola. Non è un caso dunque che l’Australia e l’America Latina ricevano un’attenzione particolare dagli strateghi di Washington intenzionati a riaffermare l’egemonia del loro paese in queste due aree del mondo.
El Salar de Uyuni, Bolivia
Il ruolo dei paesi fornitori di materie prime
Non partecipano solo le grandi potenze nel gioco mondiale per la gestione delle risorse, ma un ruolo importante lo svolgono anche i paesi forniti di queste preziose materie prime. Questi paesi hanno potenzialmente ottime opportunità di sviluppo grazie allo sfruttamento delle risorse naturali. Il passaggio da un sistema basato sui combustibili fossili a uno basato sull’energia elettrica rappresenta un’ottima occasione di sviluppo per i paesi in possesso di grandi riserve di minerali strategici.
Se il ventesimo secolo ha sancito il dominio del petrolio mediorientale, il ventunesimo secolo potrebbe spostare il baricentro della geopolitica energetica verso altri paesi, come quelli dell’Africa centrale e del Sud America, in possesso di queste importanti risorse per la costruzione delle batterie.
Le possibilità aperte dal possesso dei giacimenti minerari nascondono però anche dei rischi inquietanti, che spesso comportano un grado d’instabilità elevatissimo. Il Congo, per esempio, uno dei maggiori fornitori di materie prime al mondo, è da decenni vittima di guerre e violenze. Li prosperano i signori della guerra che controllano le miniere di coltan e si servono di manodopera minorile costretta a lavorare in condizioni di semischiavitù.
Le grandi potenze industriali hanno sempre cercato di controllare, direttamente o indirettamente, pacificamente o meno, i paesi fornitori di materie prime. Terminata l’epoca delle colonizzazioni sono state costrette a garantirsi l’appoggio dei vari governi nazionali per poter contare su un afflusso costante di materie prime. Questo appoggio è stato ottenuto principalmente grazie all’alleanza con le oligarchie locali, che salvaguardano volentieri gli interessi dei paesi più sviluppati in cambio del loro sostegno politico. E laddove si sono instaurati dei governi che intendevano distribuire all’intera nazione i benefici derivanti dal possesso di risorse naturali abbiamo spesso assistito a colpi di stato che miravano a ristabilire lo status quo.
L’esempio più recente di ciò potrebbe essere offerto dal colpo di stato in Bolivia del novembre scorso.
Nel corso del suo lungo mandato il governo di Evo Morales, in carica dal 2006, ha portato avanti una politica di riappropriazione delle risorse naturali basata sulle nazionalizzazioni e sulla gestione strategica dell’industria mineraria. Questa politica ha dato ottimi risultati in termini economici e sociali, ma ha anche provocato un grande malcontento nella classe possidente.
Morales intendeva sviluppare in Bolivia l’intero ciclo produttivo del litio. Per fare ciò necessitava della collaborazione di aziende multinazionali disposte a fornire il know-how necessario per sviluppare questa industria.
Nel 2018, la Bolivia ha raggiunto un accordo con la società tedesca ACI Systems per lo sfruttamento del Salar de Uyuni. L’anno seguente ha firmato un accordo che prevedeva la creazione di una joint venture partecipata al 49% dalla società cinese Xinjiang TBEA Group Co., Ltd e al 51% dalla società statale boliviana YLB (Yacimentos de Litio Bolivianos). Gli Stati Uniti, seppur interessati, sono stati esclusi da questo tipo di accordi.
Nell’ottobre 2019 viene presentata la prima automobile elettrica al 100% prodotta in Bolivia. Il 10 novembre Morales è stato fatto cadere con un colpo di stato promosso proprio da quelle stesse oligarchie che avevano visto diminuire enormemente il loro potere a causa delle politiche del MAS (Movimiento Al Socialismo).
In un discorso pronunciato a Buenos Aires lo scorso gennaio Morale ha affermato che dietro la sua caduta si celava l’interesse degli Stati Uniti per il litio boliviano. Naturalmente, quella del controllo delle riserve di lito è solo una delle potenziali cause che hanno portato al golpe, ma le dinamiche e i tempismi della crisi portano a credere che ci possa essere del vero nella tesi di Morales.
Conclusioni:
La transizione ecologica sta cambiando la geopolitica energetica mondiale. Le grandi potenze hanno già cominciato la corsa per il controllo delle materie prime indispensabili per lo sviluppo dell’industria green. La Cina è emblematica in questo senso. Giunta in ritardo per la contesa sul petrolio è in testa nella sfida sui minerali strategici. Pechino controlla l’intero ciclo produttivo delle batterie elettriche ed è riuscita ad aggiudicarsi il controllo di importanti giacimenti sparsi per tutto il globo, persino nella parte meridionale del continente americano.
Gli Stati Uniti sono il secondo produttore mondiale di batterie elettriche, ma a differenza della Cina non controllano l’intero ciclo produttivo. Ciò li rende dipendenti dalle importazioni dei minerali strategici e dunque vulnerabili da eventuali azioni di ritorsione dei paesi produttori, Cina in testa. Seppur partita in ritardo, Washington sta ora tentando di recuperare il terreno perduto, cercando di riaffermare il proprio ruolo nelle aree tradizionalmente di sua influenza, come l’Australia e l’America Latina, dove si trovano importanti giacimenti di litio.
Dal punto di vista dei paesi produttori, invece, essere una nazione ricca di questi minerali potrebbe fornire un’ottima occasione di sviluppo, ma allo stesso tempo espone a grandi rischi d’instabilità. Questo accade soprattutto in quei paesi, già fragili istituzionalmente, dove si trovano potenti oligarchie interessate allo sfruttamento dei giacimenti minerari che usufruiscono dell’appoggio politico di potenze straniere per mantenere il controllo sulle preziose risorse.
È interessante notare le diverse strategie che i grandi attori internazionali perseguono nella sfida per il controllo delle risorse.
Il capitalismo americano si serve soprattutto della capacità di influenza politica dello stato, ricorrendo anche, qualora ve ne fosse bisogno, ad azioni destabilizzanti (sanzioni economiche, finanziamenti alle opposizioni, operazioni di intelligence, ecc.) volte a mettere in difficoltà i governi che si rifiutano di collaborare.
La Cina è riuscita a raggiungere questi risultati grazie a un’incredibile capacità programmatoria, che ha reso possibile l’elaborazione di una politica industriale lungimirante guidata dallo Stato attraverso aziende e investimenti pubblici, unita a un approccio win-win nelle relazioni bilaterali, che le ha permesso d’instaurare una proficua collaborazione con molti governi.
Curiosamente, i paesi europei, che sembrano ormai disprezzare l’interventismo statale e la programmazione economica, sono rimasti esclusi da questa importante partita.
Traduzione di Sebastiano C. per civg.it