L’ Amazzonia in fiamme

Brucia il polmone della terra e il futuro dell’umanità

 

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Nei giorni scorsi, l’interesse dei media si è concentrato sull’incendio di grosse proporzioni che sta letteralmente divorando la Foresta Amazzonica. Interessata dalle fiamme è una vasta area situata tra Brasile, Venezuela e Bolivia, un territorio che annovera oltre il dieci per cento della biodiversità della terra ed assicura all’umanità circa il venti per cento dell’ossigeno necessario per svolgere le sue funzioni vitali, pertanto secondo gli scienziati, l’eventuale scomparsa di questo importante ecosistema, sarebbe considerato un evento catastrofico tale da portare in breve tempo il mondo intero verso un irreversibile collasso.

Purtroppo, da diversi anni il mondo intero per ignoranza o peggio per mera convenienza assiste impassibile alla perdita progressiva della superficie verde di questo scrigno vitale per la vita nel nostro pianeta. Infatti, sembrerebbe che, addirittura nei primi mesi del 2019 la deforestazione nel solo Brasile è aumentata di oltre il 60 per cento rispetto all’anno precedente, un’azione antropica non sostenibile, quasi un “crimine contro l’umanità” per la portata delle sue future funeste conseguenze.

Queste pericolose prassi per il futuro dell’umanità, sono state facilitate dalle politiche che incoraggiano la deforestazione messe in atto dal presidente brasiliano Jair Bolsonaro, il quale ha inaugurato un nuovo corso, cioè strappare la terra alla foresta per destinarla a coltivazioni e allevamenti intensivi, favorendo così le potenti lobby dei latifondisti a scapito dei cicli ecologici, quei latifondisti che per miope obbedienza alla logica del profitto, risultano essere il “braccio armato” delle multinazionali del Food sempre alla ricerca di fattori produttivi a “buon mercato”.

Un sistema economico predatorio derivante dalla sempre più pressante richiesta di consumi dilatati sia da parte delle società occidentali così come delle economie emergenti. Infatti la foresta brucia per lasciare il posto a coltivazioni intensive come il mais e la soia, le quali una volta raccolte vengono esportate per diventare cibo negli allevamenti “lager” del midle west americano, al fine di produrre gli hamburger e gli hot dog che le multinazionali del cibo vendono in tutto il mondo nelle catene fast food. L’Amazzonia brucia per ospitare la produzione della frutta esotica che spesso “fuori stagione” imbandisce le tavole dei Paesi occidentali, così come gli alberi sono dati alle fiamme o tagliati per permettere la successiva coltivazione di Quinoa e Palma da Olio, essenze ultimamente molto commercializzate dall’Agribusiness internazionale, la prima per soddisfare la crescente domanda di cibo vegano e la seconda per saturare la domanda di biocombustibili presente nelle società occidentali.

Nell’ultimo G7 il meeting dei Paesi più industrializzati del mondo, tenutosi qualche giorno fa a Biarritz in Francia, si è posta l’attenzione su quanto sta accadendo in Amazzonia, raggiungendo l’accordo di stanziare oltre venti milioni di euro per sostenere una vasta campagna per contrastare l’avanzata delle fiamme così come le cause che le hanno determinate.

A prescindere da quello che potrà fare la politica per prevenire, contrastare e sconfiggere la deforestazione in queste aree dell’America del Sud, sono le nostre azioni quotidiane a fare la differenza, comportamenti che sempre più devono essere all’insegna della consapevolezza e della sostenibilità, perchè parafrasando Fabrizio De Andrè, soprattutto in questa vicenda, possiamo affermare che “per quanto noi ci crediamo assolti, siamo lo stesso coinvolti”.

 

Da sudest.it