SILK ROAD NOTIZIE – NOVEMBRE 2017

La via d’acqua del Danubio e dell’Egeo torna a far notizia

 

 

Fonte: Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali

28 agosto 2017 (EIRNS) – Il progetto di una via d’acqua che colleghi il fiume Danubio al Mar Egeo torna a far notizia con un articolo del Greek Daily (Kathimerini), il quale mostra l’interesse cinese nel progetto. Questo è lo stesso piano che l’Istituto Schiller ha supportato negli ultimi sette anni.

Il corrispondente da Salonicco Stavros Tzimas ha scritto: «Un ambizioso progetto si propone di stabilire un collegamento verticale tra il Danubio, il secondo fiume d’Europa per lunghezza, e la costa greca sull’Egeo grazie a una via navigabile che attraversa i fiumi Morava e Vardar. Può sembrare una prospettiva di proporzioni colossali per gli standard Europei, ma il suo sviluppo non può essere portato avanti come se dovesse servire solo gli interessi della Cina, un’indiscussa potenza commerciale. Lo sviluppo di ciò che viene promosso come una Nuova via della Seta che coinvolga terra, aria e acqua è già in atto e l’utilizzo dei fiumi già esistenti non dovrebbe essere tagliato fuori dal piano più ampio».

L’articolo indica anche che il progetto, sostenuto da Francia e Serbia, è stato menzionato durante la visita di Luglio del primo ministro greco Alexis Tsipras a Belgrado, nel suo incontro con il presidente serbo Aleksandar Vucic. Entrambi i leader si sono occupati dell’argomento nelle loro recenti visite in Cina. I cinesi hanno già steso uno studio di fattibilità per il progetto, non ancora reso pubblico.

Lo sviluppo di una nuova via d’acqua offrirebbe un collegamento per i trasporti dall’Est del Mediterraneo direttamente al cuore dell’Europa, attraverso il Vardar, la Morava e il fiume Danubio. Le navi cargo non dovrebbero più fare il giro da Gibilterra per raggiungere l’Olanda o essere trattenute nello stretto del Bosforo. Questa strada, aggiunge il giornalista, farà risparmiare tre giorni e mezzo rispetto a quella che passa da Rotterdam. Per la Cina e i paesi dell'Asia dell'Est siccome esportano ogni anno milioni di container nel mercato europeo e russo questa è una prospettiva allettante.

Secondo uno studio serbo, i fiumi verrebbero ampliati e resi più profondi con dei canali che aggirerebbero Skopje e due città serbe, Nis e Kraljevo.

Questo articolo, tuttavia, può essere letto nel contesto dell’incombente International Fair di Salonicco, che ha avuto luogo il 9 Settembre ed è il più importante incontro commerciale nella Grecia e, in generale, nei Balcani. Lo scorso anno la Russia è stata l’ospite d’onore, quest’anno lo è stata la Cina.

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I «burocrati vagabondi» stanno bloccando il canale Egeo-Danubio

 

 

 

Fonte: Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali

30 agosto (EIRNS) - Secondo un articolo de «Le Figaro» i «burocrati vagabondi» dell'Unione Europea stanno bloccando l'implementazione del canale Egeo-Danubio e i progetti infrastrutturali nei Balcani sostenuti dalla Cina.

Intitolato La Cina desidera connettere il Danubio al mare dell'Est, l'articolo, scritto dal corrispondente greco Alexia Kafalas, è il secondo in due giorni sul progetto del canale.  Il giornalista asserisce che Pechino, dopo le ferrovie e i porti come quello di Atene, è interessata adesso alle vie d'acqua del Vecchio Continente.

«Le Figaro» ha scritto che la proposta del canale serbo-greco è stata presentata questa estate a Pechino ed è parte del grande progetto cinese delle Nuove vie della seta lanciato dal presidente Xi Jinping.  Nell'articolo viene aggiunto che il progetto costa 17 miliardi di dollari, necessita di dieci anni per la costruzione e richiede che il fiume Morava possa essere navigabile per oltre 346 km e il fiume Vardar per oltre 275km, nonché un canale per creare un collegamento fra di loro. Il progetto includerebbe altresì la costruzione e la messa in funzione di centrali per generare energia idroelettrica lungo tutto il percorso. Tale piano dovrà inevitabilmente tenere conto delle questione dell'irrigazione di tutte le terre agricole che incrocia.

Il giornalista menziona uno studio di fattibilità svolto dalla China Gezhouba Group Corporation nel quale si afferma che tutto ciò possa offrire alla Cina una nuova e più veloce via per trasportare i suoi prodotti nel cuore dell'Europa.

Sebbene venga affermato che Pechino abbia mostrato una certa reticenza nel realizzare il progetto, il problema vero è il vagabondare dei burocrati dell'Unione Europea nella sua approvazione; emblematico il caso del collegamento ad alta velocità fra Serbia, stato non dell'Ue, e l'Ungheria, stato dell'Ue, bloccato da Bruxelles nonostante sia Belgrado sia Budapest siano fortemente decisi a realizzarlo.

L'articolo sostiene quindi che la Commissione Europea non accoglie favorevolmente gli investimenti cinesi nei Balcani spesso visti come un punto di facile accesso per una regione che necessita di capitali e infrastrutture. È probabile, conclude il giornalista, che ciò possa ritardare il progetto del canale balcanico che collega il Danubio al Mar Egeo.

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La Belt and Road della Cina e l'industrializzazione dell'Africa

 

 

 

Fonte: New Era

 

29 Settembre

Secondo un ricercatore keniano, nel ventunesimo secolo la Maritime silk road concepita dai leaders della Repubblica popolare cinese favorirà non solo il commercio bilaterale Cina-Africa, ma anche l'industrializzazione dell'Africa, il secondo continente più grande del mondo. Peter Kagwanja, Ceo del Think tank panafricano Africa Policy Institute con sede a Nairobi, è convinto che la Via della seta cinese potrebbe portare prosperità e dare vita a un rinnovo dell'Africa subsahariana, offrendo benefici di natura socio-economica a tutto il Continente.

Storicamente la Via della seta è un'antica rete del commercio e delle rotte di trasmissione culturale che erano il cuore dell'interazione culturale attraverso le regioni del continente asiatico che connettevano l'Occidente e l'Oriente per i mercanti dalla Cina al Mar Mediterraneo nel corso dei secoli.

La Belt and Road iniziative (BRI) si suddivide in due parti: una via terra e l'altra via mare. La prima rotta è conosciuta come la Cintura economica della Via della seta dalla Cina a Rotterdam e Amburgo, la quale è destinata a cambiare l'economia globale. La seconda, invece, la Cintura marittima della Via della seta del ventunesimo secolo, si struttura in una serie di collegamenti per le navi dalla Cina al Pireo in Grecia fino all'Africa. La Belt and Road iniziative coinvolge pertanto sessantacinque paesi e ha un impatto sul 60percento della popolazione mondiale: un progetto senza precedenti nella storia delle relazioni internazionali.

Per l'Africa, tale progetto è un'importante opportunità di connettersi non solo al mercato cinese, ma anche a quello europeo e mediorientale. L'iniziativa, insieme alla promessa di infrastrutture finanziate direttamente da Pechino, renderebbe beneficiari gli stessi africani. Lungo questa Via della seta, infatti, sette porti si trovano sulle coste dell'Africa. Questi sono ubicati a Gibuti, in Tanzania, in Mozambico, in Gabon, nel Ghana, in Senegal, in Tunisia, circondando l'intero Continente africano. Il progetto, conosciuto come Strategic Maritime Distribution Centers (SMDC), è che questi porti dovranno servire la principale flotta commerciale proveniente dall'Asia, e ogni porto avrà una propria flotta secondaria di navi costiere da distribuire in porti secondari. I SMDC si trovano vicino ai grandi centri urbani con affidabili sistemi stradali per la distribuzione ai mercati locali e regionali. Per esempio, il porto di Libreville in Gabon, il quarto paese più sviluppato dell'Africa con un reddito pro capite di più di 11mila dollari, servirà come centro di distribuzione ai vicini Camerun, Congo e Nigeria del nord.

Secondo i piani ufficiali del governo cinese, la Belt and Road iniziative in Africa ha due hubs principali: Kenya ed Egitto. Le reti ferroviarie e di comunicazione finanziate direttamente dalla Cina collegano però alla BRI anche altri stati come l'Etiopia, la Tanzania e il Ruanda.

L'Africa orientale, dove è concentrata la maggior parte dell'influenza di Pechino, costituisce l'angolo più a sud della Belt and Road initiative e rappresenta solamente una piccola parte dell'intero piano; il progetto infatti ha implicazioni massime l'intera Africa. Ciò è dovuto al fatto che la strategia cinese coinvolge non solo la costa est del Kenya, ma anche le infrastrutture all'interno, anch'esse finanziate dalla Cina. Il più importante di questi è lo Stantard Gauge Railway recentemente inaugurato in Kenya. Questo collegamento finanziato e costruito dalla Repubblica popolare cinese collegherà Mombasa a Nairobi, e delle future estensioni lo connetteranno a una linea già esistente, sempre costruita dai cinesi, con la capitale dell'Etiopia Addis Abeba e gli altri paesi della regione. Alla fine questa rete interna potrà collegare stati distanti come Gibuti, Ruanda e l'Uganda ai porti del Kenya, e di conseguenza alla Cina e all'Europa, attraverso il percorso della Via della seta. La combinazione di porti e di crescita nel campo dell'anti-pirateria semplificherà il commercio a lungo distanza con la Cina, mentre renderà più facile il commercio africano con i più vicini hub della Belt and Road initiative.

L'inclusione dell'Africa da parte della Cina nella Nuova via della seta offre potenzialmente al Continente un'ampia gamma di opportunità che faciliteranno le interazioni fra il popolo cinese e africano e promuoveranno la comprensione e il rispetto fra persone di culture diverse. Qualche governo dell'Africa dell'est vede l'influsso degli investimenti di Pechino nelle infrastrutture e nel settore manifatturiero come un modo per superare il deficit infrastrutturale e industriale posizionando attraverso di essi i loro paesi come nuovi hubs logistici e produttivi che possano servire non solo l'Africa, ma anche il Medio Oriente e l'Europa, rendendo quindi più veloce l'industrializzazione dell'Africa.

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Le dichiarazioni dei leader al vertice dei BRICS di Xiamen

 

 

Di Oliver Stuekel (postwesternworld)

Il nono vertice dei BRICS, il secondo che si è tenuto in Cina dal 2011, si è svolto a Xiamen, ha avuto molta eco nei media cinesi. Nonostante la solida crescita dell’India e la capacità di Putin di tenere l’occidente sulle spine, diventa sempre più evidente che, per via dell’asimmetria di potere all’interno del gruppo, lo sforzo cinese di rimodellare gli affari globali. Questo non significa che la diplomazia cinese non dia importanza o priorità al gruppo, casomai il contrario: il ministro degli esteri di Pechino riserva un trattamento preferenziale agli amici membri del BRICS, e con cura sceglie i diplomatici da mandare nei paesi BRICS. Come c’era da aspettarsi, il nono vertice ha ricevuto la piena attenzione sia di Xi Jinping che della macchina propagandistica cinese. Mentre sia India che Russia continuano ad articolare idee su cosa fare col gruppo dei BRICS, le preferenze di Pechino stanno diventando molto più importanti. Questo pone l’accento sulla necessità per gli altri membri come il Brasile di lavorare con Nuova Delhi o il Sud Africa con proposte articolate. L’influenza cinese è amplificata dal fatto che il paese che ha ospitato il vertice, ha avuto maggior libertà di articolare il resoconto di tutto il gruppo durante l’anno di presidenza della Cina.

La priorità della politica estera cinese è quella di consolidare le sue ambizioni regionali, la presidenza del BRICS e il summit che si è tenuto a Xiamen, vanno in questa direzione, sottolineando la complementarietà tra il progetto One Belt One Road e BRICS.

Qui di seguito riportiamo i cinque punti chiave del nono vertice di Xiamen tenutosi il 3, 4, 5 Settembre 2017:

1)      Il vertice BRICS ha contribuito a ridurre le tensioni tra Cina e India riguardanti le dispute sui confini

Uno dei risultati raggiunti dal vertice è quello che si è raggiunto il 29 Agosto, quando Cina e India raggiunsero l’accordo di ritirare le truppe dal confine dell’Himalaya. La disputa sul confine rimane una delle principali sfide geopolitiche dell’Asia di oggi, che ha rischiato di gettare un’ombra sul vertice diplomatico di Xiamen. Mentre molti si chiedevano se il gruppo dei BRICS fosse utile o meno, il solo fatto che le tensioni si fossero allentate proprio prima del vertice, mostra quanto sia divenuto importante il gruppo dei BRICS. L’Asia è la regione con il minor numero d’istituzioni nel mondo, e le opportunità che i consiglieri per la sicurezza dei Paesi Brics si riuniscano, sono inferiori di quanto si creda. In particolare, quando il fervore nazionalista soffia forte, il solo invitare la controparte a discutere la questione può essere interpretato come segno di debolezza. In tali casi, non c’è maniera migliore per discutere la materia, che programmare nel dettaglio un incontro che offre l’opportunità di mantenere il dialogo. In aggiunta, il gruppo dei BRICS è uno dei pochi che ha costretto Cina e India a lavorare insieme su numerose problematiche, creando relazioni personali che risultano poi importantissime nei momenti di maggior tensione. Questo mostra il perché anche i paesi occidentali siano invitati a prendere parte del BRICS: è un utile strumento di dibattito sulle problematiche che portano tensione tra i paesi membri, ma anche una valida piattaforma per discutere il rafforzamento della cooperazione al fine di raggiungere il bene comune, come, ad esempio, una nuova infrastruttura finanziaria come quella della Nuova Banca di Sviluppo.

2)      Il gruppo dei BRICS è qualcosa di più di un semplice vertice annuale

Molti analisti basano le loro valutazioni solo sulle dichiarazioni fatte dopo il vertice di Xiamen, tralasciando il fatto che il vertice è solamente la parte più visibile del lavoro della presidenza di turno, che ogni paese tiene per un anno (il Sud Africa la terrà il prossimo anno, e ospiterà il vertice). In questo senso il BRICS differisce da altri gruppi di lavoro come il G7, che possiede un livello inferiore d’istituzionalizzazione. Più di 50 attività dei BRICS ora prendono luogo, spaziando dall’agricoltura, la sicurezza nazionale, salute e finanza internazionale, mentre varie iniziative non hanno raggiunto tangibili risultati, altri (come le previe consultazioni tra i paesi membri, prima di prendere decisioni chiave riguardanti la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale) sono diventate pratiche standard. Mentre la profondità dei legami intra BRICS rimane limitata (eccetto quella di ciascuno con la Cina), è palese che il gruppo stia incrementando gli sforzi, rispetto al decennio scorso, di ridurre gradualmente l’ignoranza reciproca che ha caratterizzato i legami tra i paesi membri. Per esempio, poche settimane prima del vertice, Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa hanno approvato un piano triennale (2017 2020) per la cooperazione nell’innovazione. La decisione è stata annunciata durante il quinto meeting dei Ministeri della Scienza, Tecnologia Innovazione del Forum per il Dialogo fra i Brics, tenutosi il 18 Luglio a Hangzhou, Cina. Questo dimostra che piuttosto che produrre grandi risultati, la cooperazione fra i Brics è caratterizzata da piccoli passi che non generano grande visibilità. Dando un altro esempio, citiamo il decimo paragrafo della dichiarazione, che dice:

“Siamo d’accordo nel promuovere lo sviluppo di un mercato obbligazionario in valuta locale e allo stesso tempo stabilire un fondo obbligazionario dei BRICS, come strumento per contribuire alla sostenibilità finanziaria dei paesi dei BRICS, sostenendo lo sviluppo del mercato obbligazionario dei paesi membri, anche incrementando la partecipazione in settori privati di paesi stranieri, e potenziando la capacità di recupero dei paesi BRICS”.

Lo scambio fra persone occupa una parte significativa del documento finale, per esempio nel paragrafo 61 si legge:

“Accogliamo la formulazione per un piano di azione BRICS che promuova la cooperazione culturale e la creazione di una sinergia di Biblioteche, Musei, Gallerie Nazionali, teatri per bambini e ragazzi. Guardiamo avanti affinché il festival della cultura che si terrà a metà settembre 2017 a Xiamen. Continuiamo il nostro lavoro per costituire un comitato culturale dei BRICS che stenda una piattaforma per incrementare la cooperazione culturale tra i paesi BRICS”.

Tuttavia, l’annuncio di tali iniziative deve essere letta con cautela. Un rilevante numero d’idee, sono state abbandonate quasi subito. Questo non è necessariamente una cosa negativa: hanno solo avuto un impatto reale una volta che nessuno stato l’ha abbracciata, significa che il progetto procederà più avanti e più lentamente.

Più importante, e più sostenibile, è la riduzione delle barriere tariffarie, che probabilmente offre la più grande opportunità di progredire nel cammino intrapreso, considerando quanto siano grandi gli interessi di ciascun paese a ridurre le tariffe:

“Prendiamo atto con soddisfazione che i progressi fatti nella cooperazione fra le amministrazioni delle dogane nel facilitare i commerci, la sicurezza e in altre materie di mutuo interesse, inclusi gli strumenti come il Comitato per la Cooperazione dell’amministrazione dello scambio fra paesi membri e il loro relativo gruppo di lavoro".

3)      Il gruppo dei BRICS continua a spingere per una cauta riforma dell’ordine globale, non per la sua rottura

Molti credono che i BRICS siano alla ricerca per ribaltare o destabilizzare l’ordine internazionale. E’ vero il contrario, la dichiarazione di Xiamen riafferma la volontà dei membri di appoggiare lo status quo, senza alcuna intenzione di indebolire le attuali istituzioni: “Noi siamo fermi nell’affermare la conservazione di un trasparente ed equo ordine internazionale e il ruolo centrale delle Nazioni Unite, coi propositi e i principi affermati dalla Carta delle Nazioni Unite e il rispetto del diritto internazionale, promuovendo la democrazia e lo stato di diritto nelle relazioni internazionali.

Appoggiamo il ruolo dell’ONU, incluso il Forum per lo sviluppo sostenibile, insieme alla realizzazione dell’Agenda 2030, supportando la necessità di riforma del Sistema per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, al fine di migliorare la sua capacità nell’aiutare gli Stati membri a realizzare l’Agenda 2030. Considerando il G20 come principale forum per la cooperazione economica internazionale, noi ribadiamo il nostro impegno per la realizzazione degli obbiettivi dei vertici G20, compresi quelli di Amburgo e di Hangzhou”.

Infatti, i paesi BRICS difendono il processo di globalizzazione e la lotta contro i cambiamenti climatici, ciò fa di loro una forza attiva che cerca di preservare l’ordine liberale, al contrario dell’amministrazione Trump, che è ambivalente in materia di libero scambio, e non accetta le prove scientifiche in materia di cambiamento climatico.

Questo, ovviamente, non significa che i BRICS siano allineati su tutto. Mentre Brasile, India e Sud Africa vogliono una riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, Russia e Cina sono i principali antagonisti, per differenti motivi. Nel caso Russo, essere membro permanente del Consiglio è (oltre alla cruda forza militare) uno dei pochi punti di forza del suo potere, e non vuole che venga diluito. Nel caso cinese, la ragione principale è che il Giappone, un membro del G4, assieme alla Germania, India e Brasile, diventerebbe uno degli Stati permanenti in caso di riforma. Crediamo che sia improbabile un cambio significativo nel breve periodo delle posizioni di Pechino e Mosca.

4)      Non ci sono grosse sorprese nel campo della sicurezza internazionale, ma una vittoria diplomatica per l’India nella lotta al terrorismo e nella sua disputa col Pakistan

Confrontandola con le dichiarazioni degli anni passati, quella di Xiamen copre un largo numero di questioni riguardanti la sicurezza internazionale, che vanno dalla necessità di uno Stato Palestinese, alla soluzione per la guerra civile in Siria, e forte condanna per i test nucleari condotti dalla Corea del Nord. Per la prima volta, le dichiarazioni nominano specificatamente i gruppi terroristi come quello che ha base in Pakistan, conosciuto col nome di Lashkar-e-Taiba.

“Esprimiamo preoccupazione per la sicurezza nella regione e la violenza causata dai Talebani, Daesh, Al-Qaida e i suoi affiliati compresi il Movimento Islamico del Turkistan Orientale, il Movimento Islamico dell’Uzbekistan, la rete Haqqani, Lashkar-e-Taiba, Jaish-e-Mohammad, TTP e Hizb ut Tahrir”.

I media indiani dichiarano che specificando i nomi dei vari gruppi nella risoluzione dei BRICS, è stata data un’importante vittoria al primo ministro Narendra Modi e alla sua amministrazione, che nello scorso summit ha definito il Pakistan “la madre del terrorismo”. Infatti la dichiarazione ha suscitato una forte reazione da parte del Pakistan che ha spinto l’ambasciatore cinese ad Islamabad, Sun Weidong, ad assicurare che la politica cinese nei confronti del Pakistan non cambierà. La dichiarazione, come prevedibile, non menziona la crisi in Venezuela, dove sia la Cina che la Russia hanno significanti interessi economici.

5)      I vertici BRICS offrono la possibilità di tenere una serie d’importanti meeting bilaterali

I vertici annuali dei BRICS danno una grande opportunità di tenere meeting bilaterali, ed è stato così anche in quello che si è tenuto a Xiamen. Il presidente brasiliano Temer ha tenuto un meeting col cinese Xi Jinping, nel momento in cui gli investimenti cinesi sono considerati cruciali per aiutare il Brasile ad uscire dalla recessione peggiore della sua storia. Si è tenuto anche un vertice tra Narendra Modi e Xi Jinping. Xi ha incontrato Putin prima del non summit dei Brics che si è tenuto nel sud est cinese, così come han fatto Modi e Putin.

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La Nuova Via della Seta dà slancio a una nuova globalizzazione

Un contributo dell’ex Primo Ministro francese Dominique de Villepin

 

 

Fonte: People’s Daily Online

21 settembre 2017

L'incertezza è diventata la principale minaccia dei nostri tempi. Sui cinque continenti, ci stiamo confrontando con pericoli globali che sono diventati sempre più difficili da prevedere e gestire. Il terrorismo mina gli sforzi globali di costruzione della pace. L'avanzata del populismo conduce a politiche che sfidano l'apertura economica, il libero commercio e lo sviluppo condiviso. Allo stesso tempo, il cambiamento climatico rappresenta un grave rischio per le generazioni future. L'attuale situazione diplomatica e l'imprevedibilità di alcune delle maggiori potenze globali richiede una nuova dinamica multilaterale.

Tuttavia, i mesi trascorsi hanno testimoniato un drammatico declino del dialogo internazionale. L'elezione del nuovo presidente statunitense ha accelerato questo processo compromettendo il quadro multilaterale in settori come il libero commercio e la protezione ambientale. Contro queste tendenze, la cooperazione internazionale è l'unica via praticabile per trovare un terreno comune per costruire il mondo del domani. Oggigiorno, stiamo assistendo alla dolorosa nascita di un nuovo mondo multipolare. Ritengo sia compito di Asia ed Europa ridefinire la globalizzazione sulla base di principi più equi. È di cruciale importanza promuovere la costruzione di nuovi poli di stabilità e prosperità interconnessi in un quadro complessivo di cooperazione.

In tale contesto, la Cina sta offrendo una nuova chance per realizzare questa comune ambizione attraverso la Belt and Road Initiative. Questo promettente progetto non è solo finalizzato a supportare lo sviluppo di infrastrutture in Eurasia e in Africa, ma punta a rinnovare lo spirito multilaterale per servire il dialogo culturale e la stabilità, fondamentali beni comuni. Dall'iniziale discorso che definì il progetto, tenuto dal Presidente Xi Jinping nell'autunno 2013, al Belt and Road Forum per la Cooperazione Internazionale tenutosi a Pechino a metà maggio di quest’anno e al quale hanno partecipato circa 30 capi di stato e di governo, l’iniziativa ha fatto grandi passi avanti. In meno di quattro anni, la Belt and Road Initiative si è munita di nuovi strumenti multilaterali come l'Asian Infrastructure Investment Bank con un capitale di 100 miliardi di dollari e più di 60 paesi coinvolti.

La Belt and Road Initiative offre una possibile alternativa al rischio di rallentamento economico, isolamento e scontro politico. Va riconosciuto che concrete azioni sono state realizzate in un arco di tempo veramente breve. Primi progetti sono stati lanciati in Pakistan, Azerbaijan o Oman, in settori strategici come impianti energetici, gasdotti e linee ferroviarie. Gli investimenti cinesi sono aumentati anche nei paesi dell'Europa centrale nell’ambito della piattaforma "16+1", così come in Europa meridionale dove molti progetti sono in attuazione lungo la cintura economica della Nuova della Seta, specialmente in Grecia per lo sviluppo di infrastrutture come il porto del Pireo.

Il futuro dell'Eurasia è ricco di opportunità. Ci sono molte priorità su cui Asia ed Europa potrebbero lavorare di concerto. Entrambi condividono la comune ambizione a garantire crescita sostenibile, sicurezza alimentare ed energetica, tutela dell'ambiente. Nella sola Asia, la Asian Development Bank stima gli investimenti necessari entro il 2030 per la costruzione delle infrastrutture attorno ai 26 mila miliardi di dollari, con enormi prospettive nel promettente settore dei trasporti, dei beni immobili, delle risorse idriche, dei rifiuti e della green economy.

Da questo punto di vista, la Belt and Road Initiative consente di rispondere massicciamente alle tre più importanti sfide del presente. Primo, essa apre un nuovo capitolo nel campo della connettività globale, rafforzando i servizi energetici, digitali e i trasporti in tutto il mondo. Secondo, rinnova la cultura della cooperazione multilaterale sostenendo maggiore inclusività e collaborazione fra capitali comuni di investitori pubblici e privati nell’ambito di progetti internazionali. Terzo, essa incoraggia il sostegno internazionale e lo sviluppo. Sebbene vi sia un'elevata differenza fra il PIL pro capite dei paesi coinvolti nel progetto, specialmente fra paesi orientali sviluppati e paesi africani e del sud-est asiatico, la Nuova Via della Seta ridurrà gradualmente questo gap, facilitando la crescita delle economie più deboli.

Nel corso degli ultimi anni, fruttuosi scambi di opinioni con global decision-makers hanno rafforzato in me l’impressione che la Belt and Road Initiative debba essere ulteriormente promossa. Necessitiamo di una piattaforma per discutere idee, creare sinergie e stimolare la sensibilità internazionale su questa iniziativa. Abbiamo bisogno di condividere principi per condividere un destino che garantisca il rispetto di ciascun popolo, della sua sovranità e della sua storia. Necessitiamo di progetti di prestigio che coinvolgano il più ampio numero di attori, come gli stati, le compagnie, la società civile, i think tanks e le università.

Ecco perché, con un gruppo di qualificate personalità di Europa e Asia, abbiamo creato la International Marco Polo Society, un tributo al più famoso “costruttore di ponti” del Medio Evo. La International Marco Polo Society è un circolo frequentato da ex primi ministri e ministri degli esteri desiderosi di sensibilizzare l’opinione pubblica nei rispettivi paesi e incoraggiare proposte innovative. Abbiamo una comune convinzione: ogni energia dovrebbe essere ben accetta al fine di rendere la Belt and Road Initiative una realtà di successo, contribuendo così a quello che il Presidente Xi ha definito il "progetto del secolo".

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Fra economia, geopolitica e dialogo fra culture.

L’importante iniziativa sulla Nuova Via della Seta tenutasi a Roma lo scorso 13 ottobre

 

 

Introduzione

Il 13 ottobre scorso la città di Roma ha ospitato il IV Forum Europeo Cina e Ue – I nodi politici ed economici nell’orizzonte della “Nuova Via della Seta” e di una “nuova mondializzazione”. L’evento, organizzato dall’Associazione politico-culturale Marx XXI, ha visto la partecipazione, oltre che di eminenti studiosi italiani, anche di ricercatori della prestigiosa Accademia Cinese di Scienze Sociali. Numerosi interventi hanno ribadito il potenziale italiano nella realizzazione della Nuova Via della Seta. Il ruolo giocato dall’Italia, che dall’iniziativa cinese può trarre enormi benefici, non è riducibile al solo partenariato economico-finanziario o alla ridefinizione delle relazioni geopolitiche, ma coinvolge la sfera degli approcci culturali con cui storicamente l’Occidente si è relazionato con la Cina. Due interventi, tenuti da Fabio Massimo Parenti (professore associato presso l’Italian International Institute “Lorenzo de' Medici”, Roma) e da Domenico Losurdo (presidente dell’Associazione Marx XXI e professore emerito di Filosofia presso l’Università di Urbino), fanno il punto della situazione sulle sfide economiche, geopolitiche e culturali lanciate dalla Nuova Via della Seta. Ringraziamo l’Associazione Marx XXI, nella persona di Andrea Catone, per averci concesso di diffondere, in occasione dell’iniziativa, un volantino informativo sulle attività dell’Osservatorio Italiano sulla Nuova Via della Seta.

 

La Nuova Via della Seta come proposta strategica di un mondo multipolare

Intervento completo del Prof. Fabio Massimo Parenti

 

 

Fonte: Marx XXI

Modelli a confronto per una scelta strategica

Nell’attuale contesto internazionale, i soggetti pubblici e privati di varie potenze statuali si trovano ancora una volta di fronte a scelte strategiche fondamentali almeno nella misura in cui si assuma l’effettivo dispiegarsi di un processo di transizione da un mondo unipolare ad uno multipolare. Qui esaminiamo un caso emblematico: il significato e l’influenza della Belt and Road Initiative (BRI) nella ridefinizione dei rapporti tra Europa ed Asia e quindi l’urgenza europea di decidere se e come ricollocarsi nella geopolitica mondiale. L’Europa, il Mediterraneo e l’Italia possono decidere di preservare la propria posizione geopolitica, rimanendo sotto prevalente influenza USA-Nato, oppure guardare ed agire a favore di un’integrazione eurasiatica. Con focus sulla Cina. Più precisamente, da una parte vi è ciò che conosciamo fin troppo bene, ovvero un modello politico centrato su finanza speculativa (al cuore della crisi economico-sociale che continuiamo a vivere) e sul militarismo (politiche economiche ed estere condizionate dall’interventismo statunitense) che presuppone una semi-autonomia dell’Europa, in quanto fortemente subordinata alle strategie di dominio statunitensi. Da un’altra parte, invece, emerge con chiarezza un modello di cooperazione commerciale, finanziaria e politica volto all’interconnessione, all’innovazione e, in ultima analisi, a creare condizioni materiali di sviluppo diffuso e di mutuo vantaggio. In altre parole: da un lato l’idea di conservare le istituzioni e i relativi rapporti di forza risalenti alla fine della seconda guerra mondiale, ovvero un ordine mondiale caratterizzato da “cambi di regime” e militarizzazione spinta del mondo; dall’altro la possibilità di percorrere una strada di riforma costante, caratterizzata da attività finanziarie al servizio dell’economia reale e da un ordine geopolitico multipolare e potenzialmente più pacifico. Si tratta di una scelta strategica tra la via delle armi e la via della seta, parafrasando il titolo di un recente dibattito livornese.

In questo breve intervento cercherò di delineare la genealogia e le ragioni della BRI (perché?) e alcuni elementi che la caratterizzano (cos’è), per concludere infine con alcuni punti di sintesi su problemi e vantaggi inerenti a questa iniziativa.

La concretezza della BRI sta nelle sue origini

Le strategie cinesi degli ultimi 20 anni hanno creato le condizioni affinché la BRI fosse un progetto realistico ed appetibile. Mi riferisco alla go west e go abroad strategy, quasi simultanee, complementari, ma differenti… La prima si è dispiegata dalla fine degli anni Novanta a oggi, favorendo lo sviluppo della Cina interna e quindi la interconnessione nazionale e coi paesi vicini, mentre la seconda, dal 2000 a oggi, ha garantito il sostegno agli investimenti cinesi all’estero, operati dai campioni nazionali privati e da quelli statali. La BRI è dunque una conseguenza dei successi ottenuti negli anni passati e molti investimenti, che oggi potremmo definire legati alla BRI, sono in realtà avvenuti prima del suo lancio ufficiale nel 2013 (si pensi alla ferrovia Chongqing-Duisburg o al Pireo).

In queste prime considerazioni emerge una differenza culturale e politica sostanziale con la più recente tradizione europea: l’Europa lancia idee (fiscali, ambientali, bancarie, anticorruzione, di difesa ecc.) che risultano spesso inibite dal malgoverno, dalla subordinazione agli Usa, oppure dalla scarsa fattibilità, mentre al contrario le iniziative cinesi nascono sempre dallo studio e dalla conoscenza della realtà, coerentemente con la migliore tradizione marxiana. Con la BRI il presidente Xi Jinping prosegue dunque ciò che hanno preparato altre generazioni, promuovendo continuità nel cambiamento ed innovazione.

 

L’attrattività della BRI sta nei vantaggi reciproci, economico-politici

Contestualmente al più recente sviluppo cinese ed alle sue relazioni con l’Europa, giova ricordare che negli ultimi 15 anni i commerci e gli investimenti sono cresciuti costantemente in entrambe le direzioni, soprattutto dagli anni della crisi. Parliamo di macchinari, trasporti, alimenti e materie prime, principali prodotti dell’interscambio Cina-UE (quasi raddoppiato in sei anni, raggiungendo 550 miliardi di dollari). La Cina è così divenuta il secondo partner commerciale europeo, mentre l’UE è il primo partner cinese.

Benché l’Europa si trovi in una condizione di deficit commerciale con la Cina, è anche vero che ha registrato importanti surplus sia nei servizi che nello stock degli investimenti. Guardando a più anni, si può inoltre notare che anche l’export complessivo europeo sta aumentando costantemente e c’è una tendenza al riequilibrio nelle rispettive bilance dei pagamenti.

Se ci soffermiamo sull’implementazione della BRI, è evidente che vi sono ancora enormi potenzialità per gli investimenti cinesi in Europa – e viceversa – divenuti sempre più articolati geograficamente e differenziati settorialmente (infrastrutture, turismo, calcio, telefonia ecc. Ne abbiamo di vari tipi: specializzati (ad esempio, Huawei e Lenovo) e diversificati (come Fosun o Wanda), in attività di ricerca e sviluppo e nell’organizzazione di forum accademici, scientifici e culturali. C’è anche complementarietà tra i piani nazionali cinesi ed europei per la connettività ed i trasporti, come emerge ad esempio dal raffronto BRI-TENT.

Dal punto di vista cinese, gli investimenti in Europa sono volti in generale alla ricerca di know how e all’apprendimento di nuove esperienze gestionali. La Cina si muove per macro-aree e singoli paesi, come dimostra il piano di cooperazione regionale Central Eastern Europe 16+1 avviato dal governo cinese sin dal 2012, oppure la crescente attenzione strategica verso il Mediterraneo. Nel primo caso prevalgono; i “green field investments”, ovvero in nuove attività produttive (filiali, nuovi impianti ecc.), mentre nel secondo caso uno degli obiettivi principali è quello di acquisire assets strategici, alla luce delle politiche di privatizzazione portate avanti negli ultimi anni e della crisi creditizia. Tramite queste operazioni, la Cina tenta di esercitare anche una maggiore influenza politica su una serie di questioni che considera cruciali (si pensi al Tibet o al MES).

 

Cos’è la BRI? Come si presenta?

Asia-Europa-Africa sono i tre continenti interessati dalla BRI. L’ambizioso progetto cinese è composto da sei corridoi terrestri ed uno marittimo e mira a favorire una maggiore integrazione euroasiatica – e solo in parte africana – coinvolgendo circa 65 paesi, ovvero il 70% della popolazione mondiale. I progetti sono numerosissimi e riguardano strade, porti, ponti, ferrovie ecc. Pensiamo al nuovo impianto termoelettrico in Sri Lanka, al porto di Gwadar, all’autostrada che collega la regione del Xinjiang al Pakistan, ai collegamenti con il Kazakistan e al suo hub strategico di Khorgos. Per non parlare delle connessioni con varie città europee (Duisburg, Hamburg, Varsavia, Lodz, Madrid, Parigi, Praga, Lione, ecc.).

Di fronte a questo quadro è importante porsi alcune domande: come è possibile guidare e realizzare questa iniziativa di portata mondiale? Chi e come gestisce i complessi investimenti previsti o già effettuati? Secondo tradizione le autorità cinesi hanno ben pensato di sviluppare dapprima gli strumenti a sostegno dei nuovi piani di investimento, dando vita ad un’architettura istituzionale multilaterale che va articolandosi e consolidandosi nel tempo. Vi sono ad esempio alcune banche statali, fondi ed istituzioni di investimento che lavorano sinergicamente: il Silk Road Fund (SRF) è legato alla PBoC, la Export-Import Bank of China (EBC) e la China Development Bank (CDB) hanno sviluppato degli schemi di credito agevolato per la BRI e, insieme alla European Investment Bank (EIB), sono alcune delle istituzioni finanziarie dietro all’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), a cui hanno aderito quasi tutti gli stati europei. Dette banche interagiranno con altre istituzioni finanziarie, come la New Development Bank dei BRICS, ma anche la World Bank.

Nell’ambito della BRI gli investimenti cinesi in Eurasia hanno già superato quota 50 miliardi ed hanno contribuito a creare 56 zone di sviluppo economico in 20 paesi, di cui 14 nel Sudest asiatico; complessivamente nel 2016 le compagnie cinesi si sono aggiudicate 126 miliardi di contratti in 61 paesi (+36% su base annua).

E’ importante infine ricordare la firma nel 2015 del memorandum EU-China sulla BRI, per sviluppare sinergie tra diversi piani di investimento, come quelle tra SRF e EFSI. La Cina ha anche accettato di contribuire al piano di investimenti europei di 315 miliardi.

Ovviamente più si sviluppa la BRI e maggiore sarà la necessità di sicurezza, ovvero di sistemi di controllo che proteggano le nuove interconnessioni (al riguardo già si vedono sviluppi in Algeria – Cherchel – Dijbouti, Srilanka e Pakistan).

 

I problemi principali

Geopolitici: i rapporti controversi con l’India rispetto al ruolo del Pakistan; le guerre in Afghanistan e Medioriente e le pressioni esercitate in questi contesti dal sistema USA-Nato. Tuttavia, i corridoi evitano almeno in parte le aree più calde.

Strategici: i piani di singoli stati o imprese non trovano spesso riscontro nella strategia dell’UE, pertanto il nostro potere negoziale risulta penalizzato dalle debolezze strategiche europee rispetto alla BRI.

Procedurali: cominciano a emergere conflitti tra operazioni cinesi e impianto regolamentare europeo sugli investimenti (bandi di gara aperti; standard ambientali e condizioni di lavoro). Emblematico al momento è stato il blocco della ferrovia Belgrado-Budapest.

In conclusione è possibile asserire che un maggiore coinvolgimento nella BRI consentirebbe di:

  • Integrare le insufficienti risorse al livello europeo con quelle cinesi;
  • Aumentare le esportazioni verso l’Asia;
  • Favorire lo sviluppo delle regioni più arretrate;
  • Garantire delle relazioni di mutuo beneficio e quindi favorevoli a rapporti pacifici;
  • Offrire una complessa, ma promettente, alternativa alla guerra.

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La Nuova Via della Seta e il dialogo fra le civiltà

 

 

Estratto dall’intervento del Prof. Domenico Losurdo

L’intervento completo è scaricabile in formato pdf a questo indirizzo:

Più volte One Belt One Road, la nuova via della seta progettata dalla Repubblica popolare cinese è stata paragonata a una sorta di Piano Marshall con caratteristiche cinesi. Il paragone non potrebbe essere più infelice. A suo tempo il Piano Marshall segnò l’inizio della guerra fredda. L’Unione sovietica e i paesi di orientamento socialista erano messi dinanzi a un esplicito ricatto: se non vogliono rinunciare alla tecnologia, ai crediti e agli scambi commerciali di cui hanno urgente bisogno, «i Soviet [devono] aprire la loro economia agli investimenti occidentali, i loro mercati ai prodotti occidentali, i loro libretti di risparmio agli amministratori occidentali», devono «accettare la penetrazione economica e mediale» dei paesi che si apprestano a costituire la Nato (Ambrose, 1997, p. 10). Chiaro e esplicito è il ricatto: o integrazione subalterna nel mercato mondiale capitalistico oppure condanna a una politica di apartheid tecnologica e di embargo più o meno radicale. In questo senso, è lo stesso Truman a parlare del piano Marshall, che dà un poderoso sviluppo alla globalizzazione tra le due rive dell’Atlantico, come l’altra faccia della medaglia della politica di «contenimento» (Ambrose, 1997, p. 10). La globalizzazione nell’ambito dell’Occidente andava di pari passo con la guerra economica contro i nemici dell’Occidente. Era una guerra economica che colpiva in modo particolarmente pesante la repubblica popolare cinese. L’amministrazione Truman persegue un obiettivo, così chiarito da un autore statunitense che descrive in modo simpatetico il ruolo di primo piano svolto nel corso della guerra fredda dalla politica di accerchiamento e strangolamento economico messa in atto da Washington ai danni della Repubblica Popolare Cinese: occorre che essa «subisca la piaga» di «un generale tenore di vita attorno o al di sotto del livello di sussistenza», occorre condurre un paese dai «bisogni disperati» verso una «situazione economica catastrofica», «verso il disastro» e il «collasso». Ancora agli inizi degli anni ’60 un collaboratore dell’amministrazione Kennedy, e cioè Walt W. Rostow, si vanta del trionfo conseguito dagli USA, i quali sono riusciti a ritardare lo sviluppo economico della Cina almeno per «decine di anni». Se il piano Marshall segnava l’inizio della guerra fredda, la nuova via della seta si propone di sventare il pericolo di una nuova guerra fredda che si profila all’orizzonte, dando impulso a un generalizzato sviluppo economico (in particolare del Terzo Mondo) e promuovendo una nuova e più organica globalizzazione, fondata non solo sugli scambi commerciali ma anche sul dialogo tra le diverse culture. A tale prospettiva i nostalgici della guerra fredda contrappongono la diplomazia dei valori; celebrano i valori dell’Occidente in contrapposizione ai valori (o disvalori) del mondo extra-occidentale. Ne scaturisce un discorso non solo manicheo ma anche essenzialista, che favoleggia di un Occidente quale permanente incarnazione dell’«individualismo» e dei principi della libertà e dignità dell’individuo. Contro questa mitologia diamo uno sguardo alla storia reale. Nell’Europa dell’Antico regime, in cui a esercitare il potere era l’aristocrazia ereditaria, gli illuministi guardavano con ammirazione e invidia alla Cina: in questa «società confuciana», dove «l’apprendimento era la chiave per farsi strada», ci si avvaleva del concorso pubblico per selezionare i funzionari e quindi a svolgere un ruolo preminente, piuttosto che la presunta nobiltà del sangue, erano la «competizione» e il merito individuale. Se poi nel quadro non ci limitiamo a far intervenire esclusivamente la comunità bianca, il risultato del confronto può essere del tutto inaspettato: negli Usa a lungo, molto a lungo (e nel Sud ancora in pieno Novecento) l’appartenenza di razza è stata il criterio decisivo per determinare la sorte dell’individuo. La «competizione» e l’individualismo hanno svolto un ruolo più importante nella repubblica nordamericana o nella Cina confuciana? Piuttosto che pronunciarsi per l’uno o l’altro corno del dilemma e lasciarsi imprigionare dallo schema tendenzialmente fondamentalista dello «scontro delle civiltà», conviene far valere il principio della «circolazione del pensiero» tra le diverse culture: una volta abbattuti (grazie alle rivoluzioni anticoloniali e alle lotte dei popoli di origine coloniale) il sistema coloniale mondiale e negli Usa lo Stato razziale e il regime di white supremacy, può ben darsi che la «competizione» e l’individualismo abbiano raggiunto il loro compimento in Occidente. Resta però un fatto: se per individualismo s’intende il riconoscimento della dignità dell’individuo nella sua universalità, esso non può essere pensato senza il contributo rappresentato dalla sfida di culture e popoli estranei all’Occidente e con esso spesso in lotta.

 

A cura di Osservatorio Italiano sulla Nuova Via della Seta - CIVG