“SILK ROAD” – La nuova via della seta

 

settembre 2017

 

 

Con questo primo dossier, il CIVG inaugura l’Osservatorio Italiano del Silk Road Connectivity Research Center. L’Osservatorio ha una funzione eminentemente informativa ed è finalizzato alla divulgazione della conoscenza di questo impressionante progetto di valore strategico per paesi e popoli, fondato su una visione innovativa, pragmatica e non ideologica delle relazioni globali fra gli stati e delle contraddizioni reali dell’umanità intera in questa complessa fase storica.

Non vi è, da parte nostra, alcuna pretesa di lettura analitica, ma semplicemente l’intenzione di ampliare la conoscenza, in Italia, di un progetto di integrazione geopolitica ed economica che si pone in antitesi rispetto agli scenari attuali di “guerre infinite”, offrendo all’umanità un’altra prospettiva e una seria, concreta possibilità: quella di poter finalmente progettare e agire per lo sviluppo sociale ed economico di vaste aree del globo in un quadro di cooperazione internazionale che presupponga la pacificazione delle tensioni e dei conflitti in atto e, assieme al riconoscimento della sovranità e dell’indipendenza nazionale, la facoltà per ogni attore statuale coinvolto di partecipare a questa storica impresa relazionandosi in modo paritario e reciprocamente vantaggioso con gli altri partner.

Va fatto notare che il nostro Paese giocherebbe un ruolo strategico in questo progetto, che vede il porto di Venezia come terminale fondamentale per il completamento della tratta marittima della Nuova Via della Seta.

Attraverso il nostro modesto impegno, come sezione italiana del Forum di Belgrado da sempre impegnata a sostenerne la progettualità internazionale, cercheremo di diffondere, con puntualità e costanza, elementi utili alla conoscenza dell’evoluzione concreta di questo progetto, coinvolgendo esperti, accademici, giornalisti e politici sensibili al tema.

Chiunque intenda interloquire con l’Osservatorio o contribuire alle sue iniziative potrà contattarne direttamente il responsabile, Luca Pellegrino, all’indirizzoinfo@civg.it

 

Nostro coordinatore/referente internazionale è Zivadin Jovanovic, responsabile del Silk Road Connectivity Center di Belgrado epresidente del Forum Belgrado per un Mondo di Eguali.

 

Luca Pellegrino - Referente dell’Osservatorio Italiano Silk Road Connectivity Research Center

Enrico Vigna – Coordinatore e portavoce del Forum di Belgrado per l’Italia


 

Introduzione

60 paesi coinvolti, per un totale di 4.4 miliardi di persone (62% della popolazione mondiale; 23.000 miliardi di dollari di PIL complessivo)

1000 miliardi di dollari in investimenti attuali.

26.000 miliardi di dollari previsti per il completamento delle infrastrutture.

Questo, in estrema sintesi, il potenziale impatto del progetto One Belt One Road (OBOR), lanciato nel 2013 dal Presidente cinese Xi Jinping e ispirato alla leggendaria Via della Seta, la tratta mercantile che univa Oriente e Occidente.

Si tratta di cifre da capogiro, che confermano i traguardi raggiunti da un paese che in poco meno di 70 anni ha saputo riscattarsi dall’umiliazione coloniale, e che ora detta l’agenda dell’economia mondiale. Non temiamo di esagerare affermando che, al pari del 1° ottobre 1949, giorno in cui venne proclamata la Repubblica Popolare, il 7 settembre 2013 è stata una data di importanza capitale per la Cina e il mondo intero. In tale data, nel corso di un importante discorso tenuto presso la Kazakhstan's Nazarbayev University, il Presidente Xi Jinping lanciò ufficialmente l’ambiziosa “One Belt One Road Initiative”. Da allora, il progetto di una “Nuova Via della Seta” in grado di rafforzare ed estendere le rotte commerciali (terrestri e marittime) fra Cina e resto del mondo, ha progressivamente destato dal torpore i think tank di mezzo mondo, ormai disabituati a valutare il possibile impatto di imprese economiche di così ampio respiro. E nel frattempo, le adesioni da parte di numerosi paesi si sono moltiplicate, motivate dai potenziali vantaggi garantiti dalla “win-win cooperation”, leit motiv della strategia economica e politica cinese degli ultimi anni. Queste brevi constatazioni, di carattere essenzialmente economico, sarebbero già di per sé sufficienti a stimolare un approfondimento del titanico progetto cinese, le cui implicazioni non saranno affatto banali per le sorti dell’economia mondiale.

Senza contare che seguire l’evoluzione della Nuova Via della Seta sarà un’occasione preziosa per tutti coloro che vedono nel gigante asiatico un protagonista fondamentale dello scacchiere geopolitico del nostro secolo, depositario di una cultura millenaria e contemporaneamente foriero di importanti innovazioni sul piano delle relazioni internazionali.

L’epoca unipolare, segnata dal dominio incontrastato di un gendarme globale, sta probabilmente volgendo al termine, non senza violenti sussulti (si pensi ai sanguinosi conflitti in Siria e Ucraina) e tentativi più o meno dichiarati di circoscrivere i settori di influenza dei nuovi attori internazionali (si pensi al “pivot to Asia” di Obama o alle provocazioni di Trump contro la Corea del Nord). Un nuovo periodo, carico di speranze di pace ma anche di nuove e complesse contraddizioni, è alle porte. In questo scenario, con la Cina sarà necessario dialogare, volenti o nolenti. Auspichiamo che tale dialogo si basi su un linguaggio comune fatto di rispetto reciproco, interessi condivisi e pacifica convivenza fra popoli. Da questo punto di vista, i presupposti della colossale impresa guidata dalla Cina sono più che promettenti.

La documentazione che forniremo al lettore italiano vuole essere il nostro modesto ma originale contributo alla conoscenza della via cinese alla globalizzazione, che investirà, in un modo o nell’altro, anche l’area europea.

 



Che cos’è il Progetto “ Silk Road – La nuova via della seta”

Un network di ONG per la Nuova Via della Seta

 

 

Nel 2013 il Presidente cinese Xi Jinping avanzò la proposta di costruzione della Silk Road Economic Belt (la tratta terrestre del progetto One Belt One Road) e della 21st-Century Maritime Silk Road (la tratta marittima dell’OBOR), con l’intento di dare alla Cina e ai paesi lungo cui la Nuova Via della Seta si sarebbe sviluppata, nuovo slancio nella realizzazione di comuni progetti di prosperità e sviluppo, rafforzamento della cooperazione internazionale e reciproco scambio culturale fra popoli. Con l’obiettivo di rafforzare le attività delle organizzazioni non governative (ONG) coinvolte nel progetto in patria e all’estero, la Rete Cinese delle ONG per gli Scambi Internazionali (China NGO Network for International Exchanges, CNIE), ha lanciato la proposta di costruzione della Rete di Cooperazione delle ONG per la Silk Road (Silk Road NGO Cooperation Network). Nel corso del Belt and Road Forum for International Cooperation tenutosi il 14 maggio 2017, il segretario generale del CNIE Zhu Rui annunciò la nascita ufficiale della Rete, cui aderiscono attualmente oltre 160 ONG cinesi e straniere.

Linee guida
Il Network è istituito per implementare la “strategia” e le attività legate alla costruzione congiunta della Silk Road terrestre e marittima, rafforzando lo spirito di amichevole cooperazione che contraddistingue il progetto della Nuova Via della Seta e rafforzando i risultati del Belt and Road Forum for International Cooperation, consolidando così il rapporto con l’opinione pubblica e il legame fra i popoli dei paesi coinvolti.

Princìpi

La Rete delle ONG fa propri i principi di apertura e inclusione, rispetto, apprendimento e beneficio reciproci e “win-win cooperation”. Accogliamo e supportiamo gli sforzi delle ONG e di altri attori sociali, in patria e all’estero, volti alla partecipazione al Network e al suo rafforzamento. Sulla base del rispetto reciproco, dell’equo trattamento e della pacifica coesistenza, tutte le ONG coinvolte, indipendentemente dalla loro dimensione, paese d’origine e settore di intervento, devono fare propri gli interessi comuni e le preoccupazioni dei paesi attraversati dal Belt and Road, dare piena espressione alle loro caratteristiche delle ONG, facilitare scambi e cooperazione e promuovere la coesistenza e l’apprendimento reciproco fra diversi paesi, così da realizzare “win-win cooperation” e comune prosperità e, al tempo stesso, condividere i risultati dello sviluppo del Belt and Road.

 

Obiettivi e compiti

Intendiamo costruire il Network all’interno di una piattaforma per la condivisione di informazioni e la coordinazione delle attività delle ONG, finalizzata al rafforzamento del legame fra popoli. Attraverso vari canali, come visite reciproche, workshops, seminari tematici ecc., i membri delle ONG possono mantenersi informati fra di loro sulle ultime notizie riguardanti l’opinione pubblica e la richiesta di cooperazione, sostenendo le discussioni sul Belt and Road e condividendo reciprocamente le rispettive storie di successo. Insieme, le ONG possono apportare saggezza e forza all’impresa di costruzione congiunta del Belt and Road.

Intendiamo rafforzare l’assistenza reciproca e la capacità costruttiva delle ONG lungo il Belt and Road. Il Network incoraggia le ONG a cooperare nel lancio di programmi di sostegno, fornendo servizi medici ed educativi volontari, migliorando gli standard di vita dei popoli lungo il Belt and Road, promuovendo scambi culturali e il mutuo apprendimento fra popoli, sollecitando i media e il mondo degli affari a esercitare al meglio la propria responsabilità sociale e rafforzando la reciproca comprensione e amicizia fra i popoli lungo il Belt and Road.

L’obiettivo è di spingere le ONG a partecipare attivamente al Belt and Road, rafforzando il progetto, dando alle ONG la capacità di esprimere nel miglior modo possibile la loro capacità di promozione degli scambi e dei legami fra i popoli, conquistando supporto pubblico e forgiando energie positive per la pace, l’armonia e lo sviluppo.

Da beoforum - 29/6/2017

 


 

 

Il summit di Pechino della “Belt and Road Initiative”: un grande successo

A cura di Zivadin Jovanovic (Forum Belgrado per un Mondo di Eguali)

 

              

Il summit della “Belt and Road Initiative” (BRI) svoltosi a Pechino è stato un grande successo del Presidente Xi Jinping e della Cina. L’iniziativa ha radunato numerosi capi di stato, rappresentanti governativi ed esponenti di organizzazioni internazionali, provenienti da tutto il mondo.

Il tema ufficiale del summit riguardava l’ulteriore rafforzamento della BRI, ma in effetti sono state discusse le migliori vie percorribili per rilanciare l’economia mondiale, da anni in crisi o in debole ripresa. Quattro anni dopo il lancio della BRI da parte del Presidente Xi Jinping nel 2013, ne sono state riconosciute le positive ricadute sull’economia globale. Si è quindi trattato della più costruttiva conferenza mondiale degli ultimi anni, incentrata sui cambiamenti globali, delle sfide economiche e della multi-polarità che ormai governa le relazioni internazionali.

Il summit ha dimostrato il ruolo trainante della Cina nella proposizione di strategie tese a migliorare il mondo nell’interesse generale, unendo tutti nella realizzazione di questo obiettivo. È emersa una forte volontà politica a favore della “win-win cooperation” e dello sviluppo sostenibile e rispettoso dell’ambiente. Il summit ha dato nuovo slancio al rafforzamento degli attuali progetti previsti nell’ambito della BRI, supportando la cooperazione e il coordinamento fra i paesi partecipanti. È presumibile che anche quei paesi che, finora, non hanno ancora aderito alla BRI, cambino presto opinione ed partecipino al progetto.

Ancora una volta la Cina ha dimostrato la lungimiranza e la capacità attrattiva dell’innovativo percorso di win-win cooperation che caratterizza l’era multipolare. Tale percorso ispira scelte di equità, apertura e beneficio reciproco, non politiche protezioniste e di potenza. L’ampia e ragguardevole partecipazione internazionale ha confermato la crescente importanza della Cina e l’elevata considerazione di cui gode questo paese, grazie al ruolo costruttivo che gioca nelle vicende globali.

La Serbia era rappresentata ai suoi massimi livelli dal Primo Ministro e dal neoeletto Presidente della Repubblica Aleksandar Vucic, a dimostrazione di pieno appoggio alla BRI, oltre che di apprezzamento per il supporto della Cina e del Presidente Xi Jinping alla Serbia, e di piena disponibilità a rafforzare ulteriormente la tradizionale amicizia che lega i due paesi.

La delegazione serba comprendente ministri e altri importanti rappresentanti e specialisti, torna a Belgrado profondamente soddisfatta. Durante il summit sono stati raggiunti nuovi accordi, che impegnano le compagnie cinesi a proseguire i lavori di costruzione del Corridoio 11, che mette in comunicazione la Serbia con il Mar Adriatico meridionale.

È stato anche confermato che la costruzione della superstrada Belgrado-Budapest inizierà a novembre 2017, in occasione del 6° Summit dei Primi Ministri che si terrà a Budapest. Si tratterà della più grande costruzione mai intrapresa nell’intera Europa.

Si è inoltre raggiunto un accordo sul nuovo parco industriale che sorgerà lungo la riva sinistra del Danubio, non lontano da Belgrado. Il complesso potrebbe diventare la “Pudong zone” [un distretto della città cinese di Shanghai che negli ultimi anni è stato coinvolto in una grande impresa di trasformazione urbanistica, NdT] serba, favorendo commercio, industria e occupazione. In base alle dichiarazioni dei ministri del governo serbo, si è stilato un memorandum d’intesa con la cinese China Road & Bridge Corporation (CRBC), relativo alla costruzione di tunnel, ponti e strade, fra cui la Pozega-Boljare (140 km) e la Ruma-Novi Sad – che prevede il più lungo tunnel della Serbia, passante per il monte Fruška Gora – per un valore complessivo di 2.5 miliardi di dollari.

Per quanto riguarda gli scambi internazionali, la Serbia ha ricevuto un pacchetto di 1000 borse di studio, 100 all’anno per i prossimi 10 anni. Un collegamento aereo diretto Belgrado-Pechino (Shanghai), atteso entro la fine di quest’anno, andrà a complemento dell’abolizione del regime dei visti adottata da gennaio e che ha già contribuito a raddoppiare le visite in Serbia nei primi tre mesi 2017 rispetto allo stesso periodo 2016. Sono stati siglati numerosi altri atti che nel complesso costituiranno i presupposti per un’ampia e duratura cooperazione che vedrà giocare un ruolo centrale da parte della Serbia per quanto riguarda le infrastrutture e il trasporto.                              15/5/2017

 


 

BRICS: un punto di svolta nel nuovo ordine economico mondiale

Intervista rilasciata al Quotidiano del Popolo da Zivadin Jovanovic (Forum Belgrado per un Mondo di Eguali e Belgrade e  Centro di Ricerca sulla Connettività della Silk Road alla vigilia del summit dei BRICS (Xiamen, 3-5 settembre 2017)

11 agosto 2017

 

 

QdP: Come paese ospite di questo summit, quali nuovi elementi può apportare la Cina ai BRICS?

ZJ: Prima di tutto è naturale che la Cina, uno dei fondatori dei BRICS e paese ospite del summit, riaffermerà i notevoli risultati raggiunti dai BRICS nel campo della cooperazione, della democratizzazione dei commerci globali e delle istituzioni finanziarie, dell’uscita dell’economia mondiale dalla fase di recessione. Allo stesso tempo, ci si aspetta che la Cina metta sul tavolo le migliori soluzioni per affrontare le nuove sfide nel campo del commercio internazionale, degli investimenti e dei rapidi cambiamenti economici e tecnologici. Parlando di “nuovi elementi”, personalmente ritengo che potrebbero consistere nell’estensione dei BRICS a nuovi paesi emergenti; è  necessario meditare in modo opportuno sulle sfide della nuova rivoluzione industriale, che mostra enormi potenziali in termini di sviluppo, ma apporta anche variazioni senza precedenti in ambito economico, sociale e lavorativo; è inoltre importante rafforzare la lotta per un commercio internazionale basato su regole e investimenti cooperativi, contro l’autarchia, il protezionismo economico e finanziario.

QdP: Che ruolo hanno giocato i BRICS nella governance globale? Il loro ruolo è cambiato negli ultimi anni? Quale ruolo giocheranno in futuro?

ZJ: I BRICS, specialmente la Cina, hanno giocato un ruolo cruciale nella riforma della governance economica mondiale, nel senso della costruzione di un nuovo ordine economico libero dalla dominazione, dall’esclusività e dallo sfruttamento. I BRICS sono il simbolo del Nuovo Ordine Economico basato sull’eguaglianza di Stati sovrani, sull’inclusività, sulla condivisione di benefici e responsabilità, sulla “win-win cooperation”. La fondazione della Nuova Banca dello Sviluppo (New BRICS Development Bank, NDB BRICS), della Banca Asiatica di Investimento per le Infrastrutture (Asian Infrastructure Investment Bank, AIIB), del Belt and Road Fund e numerose altre nuove istituzioni economiche, finanziarie e monetarie stabilite dai BRICS, o dalla Cina come membro leader, hanno già cambiato la governance dell’economia globale. Questo processo, di primaria importanza, non si è concluso. Nuove sfide, ostacoli e persino un’aperta resistenza alla democratizzazione delle relazioni economiche globali impongono vigorose, nuove iniziative da parte dei BRICS e delle economie emergenti.

QdP: Come valuta la performance dei BRICS nel corso degli ultimi anni? Che caratteristiche hanno i BRICS?

ZJ: La fondazione e il ruolo dei BRICS sono di importanza storica per il presente e per il futuro delle relazioni economiche globali e per lo sviluppo. I BRICS rappresentano un punto di svolta, da un sistema mondiale di dominazione a un mondo di sovrana eguaglianza ed eque possibilità per tutti. Da un sistema di approfondimento del gap economico-sociale, a un sistema basato sull’equa distribuzione della ricchezza e su strategie orientate al benessere umano. Dall’interventismo destabilizzatore finalizzato al controllo delle risorse del pianeta, al consolidamento della pace, dello sviluppo e del controllo sovrano delle ricchezze naturali di ciascun paese. La fondazione dei BRICS ha inaugurato un processo irreversibile che pone fine all’era della dominazione di una minoranza opulenta e apre le porte a una nuova era di eque opportunità e sviluppo inclusivo, sostenibile per tutti. I BRICS sono guidati dalla convinzione che solo uno sviluppo equo e sostenibile serva l’interesse della pace, della stabilità e del benessere dell’umanità. Ciò che rende i BRICS forti, affidabili e con un luminoso futuro davanti è la loro apertura, eguaglianza e ed efficienza. La Nuova Banca dello Sviluppo, per esempio, stabilisce le sue decisioni circa le richieste di credito solo sulla base dei meriti economici, senza nessun condizionamento di tipo politico.

QdP: La Cina ha giocato un ruolo di leader nel processo di cooperazione dei BRICS. Cosa dovrebbe fare la Cina per guidare i BRICS verso un futuro migliore?

ZJ: Rafforzare la “win-win cooperation”, ovverosia ciò che meglio esprime l’approccio cinese alla cooperazione economica internazionale, continuare ad aderire al principio di sovrana eguaglianza e armonizzare l’approccio bilaterale e multilaterale al fine di mettere a punto strategie di sviluppo, sarà la strada maestra per condurre i BRICS verso un futuro ancora migliore. Pur rimanendo aperta alla cooperazione con le aree del mondo più sviluppate, la strategia di sviluppo dei BRICS dovrebbe essere finalizzata alla facilitazione degli scambi economici fra i paesi membri e le economie emergenti.

QdP: La Cina è diventata la seconda potenza economica mondiale. Quale influenza positiva ha esercitato la Cina nella riforma del sistema economico e finanziario globale?

ZJ: La Cina ha in mano grandi potenziali non solo per il suo moderno sviluppo socioeconomico e culturale ma anche per la crescita dell’economia globale nel suo complesso. Il fatto che la Cina abbia raggiunto il posto di seconda economia mondiale, con reali possibilità di diventare prossimamente la prima, è la prova stessa di potenziali senza precedenti e la chiara prospettiva di un futuro di eque possibilità per tutti. La strategia cinese di riforme e apertura non ha solamente condotto alla rapidissima crescita del PIL del Paese, ma anche al miglioramento delle conoscenze scientifiche, all’innovazione e allo sviluppo della green technology. Grazie all’introduzione del concetto di “win-win cooperation” e, successivamente, proponendo la Belt and Road Initiative, la Cina ha concretamente aperto nuove vie alla cooperazione internazionale, basate su obiettivi di lungo termine e non su calcoli di breve durata dettati da guadagni temporanei. Tutto ciò rende la Cina, a livello globale, un partner altamente appetibile sia per quanto concerne la concreta cooperazione, sia per quanto riguarda l’edificazione del Nuovo Ordine Mondiale.

La Cina ha ottenuto un forte sostegno internazionale perseguendo la politica della “win-win cooperation”, specialmente dai paesi in via di sviluppo. Ciò ha naturalmente permesso alla Cina di esercitare un’influenza positiva nella promozione delle riforme delle istituzioni economico-finanziarie globali, facendo sì che gli interessi e le voci dei paesi meno sviluppati del mondo venissero meglio compresi e rispettati. Il coordinamento degli sforzi nell’ambito dei BRICS, dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Shanghai Cooperation Organisation, SCO) e altri interventi rendono l’influenza cinese nel G20, WTO, IMF e ONU molto più visibile ed efficace. Non c’è dubbio che il peso della Cina nel processo di riforma del sistema economico-finanziario mondiale crescerà sempre di più. La presenza della Cina nel WTO e l’entrata del renminbi nel paniere dell’IMF delle valute di riserva internazionale (Special Drawing Rights, SDR) rafforzano sempre di più l’influenza cinese. Infine, le istituzioni che la Cina, i BRICS o la SCO hanno recentemente fondato, come la Nuova Banca dello Sviluppo, la Banca Asiatica di Investimento per le Infrastrutture e il Belt and Road Fund, costituiscono i pilastri di un nuovo, emergente sistema economico-finanziario globale.

QdP: I BRICS danno voce agli interessi dei paesi in via di sviluppo. Come potrebbero, sia i paesi sviluppati che quelli emergenti, rafforzare la loro cooperazione in modo da rilanciare la crescita economica mondiale?

ZJ: Innanzitutto perseguendo una politica di commercio, investimento e trasferimento di nuove tecnologie che sia aperta, priva di ostacoli. I paesi in via di sviluppo dovrebbero essere supportati specialmente nel processo di rafforzamento della loro interconnessione, attraverso l’espansione e l’ammodernamento delle infrastrutture. Per essere in armonia con una pace sostenibile, la cooperazione economica dovrebbe essere libera dai miopi calcoli geopolitici tipici della Guerra Fredda e del mondo unipolare. Non c’è possibilità di tornare al vecchio sistema di dominio.

 

Da globalresearch.ca

 


 

La Nuova Via della Seta: la risposta cinese alla strategia dell’anaconda attuata dall’Impero USA nell’Asia Pacifico.

A cura della Redazione del CIVG

 

 

Dopo l’11 settembre 2001 gli USA pianificano, col pretesto della “guerra preventiva al terrorismo”, una sequenza di cambi di regime volti a ridisegnare gli assetti geopolitici del “Grande Medio Oriente”. Lo sviluppo delle guerre in Afghanistan e in Iraq, in assenza di stabilizzazioni, ha comportato un progressivo impantanamento del dispositivo militare USA, con costi crescenti, ampliamento dei deficit pubblico e commerciale compensati da un crescente indebitamento finanziario. Il proseguimento dell’impegno bellico USA si è progressivamente vincolato alla disponibilità della Cina (insieme a Giappone ed Europa) ad acquisire titoli del debito pubblico USA in cambio di una forte crescita economica trainata dalle esportazioni.

La crisi finanziaria del 2007-2008 ha perturbato profondamente lo sforzo USA di conservazione dell’egemonia attraverso i meccanismi di un impero fondato sul debito col resto del mondo.

L’elite finanziaria di Wall Street ha imposto la sua soluzione nella gestione della crisi: socializzazione delle perdite delle Banche sistemiche “troppo grandi per fallire” e immissione costante sino al 2014 di liquidità monetaria attraverso il quantitative easing per prevenire crolli di borsa con l’emergenza di un default globale connesso al montante di contratti derivati gravanti sul sistema finanziario, pari a 10 volte il PIL mondiale annuo.

Il primato globale USA è stato messo in discussione a partire dall’egemonia del dollaro nel sistema monetario internazionale come valuta di riserva e di transazione.

A fronte del deterioramento progressivo delle condizioni di competitività dell’economia statunitense collegato alla strategia di delocalizzazione produttiva delle Corporations, il mantenimento del signoraggio del dollaro può essere sostenuto unicamente dal dispositivo militare del Pentagono e ha come pre-requisiti il rallentamento del declino del monopolio tecnologico, il controllo globale degli accessi alle materie prime energetiche e non, il pieno controllo dei media internazionali, una efficace capacità di manipolazione dei mercati finanziari, un potere di neutralizzazione delle entità statuali non allineate.

La ricerca di opzioni praticabili per rallentare il declino dell’egemonia globale USA sfocia nella strategia di contenimento geo-politico della Cina: l’obiettivo è di condizionarne la crescita economica attraverso l’accesso alle materie prime per poi aggredirne la sovranità e indipendenza nazionale, innescando tendenze centrifughe facendo leva sulle possibili fratture etniche e socio-politiche (Tibet, Hong Kong, Xinjang, ecc.). La buona salute dell’impero del dollaro si vincolava alla capacità di piegare la Cina a una integrazione subalterna nel mercato mondiale attraverso la piena convertibilità dello yuan e la liberalizzazione dei mercati finanziari.

Gli USA elaborano la dottrina del “Pivot to Asia” che comporta un ridispiegamento strategico della potenza aero-navale fra oceano Indiano e Pacifico in funzione del contenimento della Cina.

Tale strumento operativo si propone di condizionare non solo l’accesso cinese a una area strategica per l’interscambio commerciale ma anche di assicurare il controllo degli “alleati” (Giappone, Corea del Sud, Taiwan, ecc.) nei loro flussi di import-export energetico e non.

La manovra di accerchiamento della Cina si è scontrata in questi anni con il suo profilo geo-economico in rapida ascesa  che ne ha fatto il motore della crescita della domanda globale e il perno del sistema produttivo e commerciale dell’Asia nel Pacifico.

La stessa opzione USA del Partenariato Trans-Pacifico (Trans-Pacific Partnership, TPP), quale area di libero scambio escludente la Cina, si è rivelata presto impraticabile dato il ruolo cinese nella partnership regionale asiatica con i paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (Association of South-East Asian Nations, ASEAN). Con l’elezione di Xi Jinping (2012) al vertice del partito-stato è maturato progressivamente un riorientamento strategico che punta a:

 

  • ridefinire il modello di sviluppo cinese attenuando la dipendenza dall’export e sviluppando la domanda interna (il salario medio operaio in Cina è più che raddoppiato in questi anni di “crisi”) con la crescita dei servizi e l’elevamento del contenuto tecnologico della produzione
  • abbandonare il basso profilo nelle relazioni internazionali mantenuto dall’epoca di Deng (“coltivare l’ombra, evitare la luce”) mettendo in campo una strategia geo-economica globale.

 

È emersa la partnership strategica con la Russia maturata negli anni a partire dalla costituzione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (Shangai Cooperation Organisation, SCO), si sono rafforzati i meccanismi istituzionali dei BRICS con la nascita della Banca di Sviluppo e del Fondo monetario di garanzia, si è delineata progressivamente una strategia geo-economica  che, attraverso la ricerca di sinergie multi-settoriali, si propone una compenetrazione economica-commerciale-finanziaria dello spazio euro-asiatico quale premessa di una radicale riforma dell’architettura finanziaria globale incardinata sul dollaro e sul suo potere di signoraggio che alimenta le guerre dell’Impero.

Se fra il 2001 e il 2008 la Cina, comprando bond USA, ha oggettivamente sostenuto l’impegno bellico USA accelerandone il logoramento, dopo il “Pivot to Asia” del 2012 ha scelto l’opzione di emancipazione dal dollaro, incrinando la simbiosi opportunistica chimerica.

In questi ultimi anni il declino strutturale della potenza USA, con la crescita dell’indebitamento pubblico e privato sedato dalla morfina del Q.I., con l’eccessiva proiezione militare e la relativa perdita di efficacia del dispositivo con cui il Pentagono supporta l’egemonia del dollaro, hanno aperto la strada a una crisi di egemonia nel sistema internazionale.

L’esplosione della “Primavera Araba” nel 2011 ha innescato una accelerazione della strategia del “caos costruttivo” in una vasta area dal Nord Africa al Levante, utilizzando la Fratellanza Musulmana  sunnita come vettore di scatenamento della “fitna”, una guerra settaria regionale per dissolvere gli stati nazionali e spezzare l’asse della resistenza (Ezbollah, Siria, Iraq sciita, Iran).

Sotto il profilo geo-economico la posta in gioco era il controllo delle risorse petrolifere e gasifere con relative infrastrutture energetiche, quale strumento funzionale a ridimensionare la dipendenza europea dal gas russo e a rafforzare la dipendenza U.E. dal petrodollaro.

D’altra parte, in coerenza con una lunga tradizione di pensiero geopolitico anglosassone che ha supportato l’espansione imperiale britannica e poi statunitense, l’elite USA ha perseguito in questi decenni con il ricorso a strumenti diversificati (attori con aspirazioni egemoniche regionali quali Francia, Gran Bretagna, Turchia, Israele, Arabia Saudita, Qatar, eserciti mercenari reclutati su scala globale, ONG pseudo diritto-umaniste) il fine di interdire, via regime-change e guerre ibride, la possibile integrazione dello spazio euro-asiatico trainata dalla Cina, con la collaborazione politico-diplomatica-strategica della Russia.

La delega agli alleati regionali delle operazioni di destabilizzazione in Medio Oriente (guerre in Libia, Siria, Yemen) e nel cortile di casa dello spazio russo (Ucraina) non ha sortito gli effetti sperati, giacché gli attori coinvolti nei regime-change e nelle guerre per procura hanno semplicemente accresciuto il “caos costruttivo”, senza disporre di alcuna capacità di stabilizzazione.

Tali eventi hanno innescato la reazione russo-cinese.

La minaccia di un protettorato militare USA nell’area Asia-Pacifico implica del resto un possibile soffocamento della “fabbrica cinese del pianeta” con la negazione dell’accesso alle materie prime e ai mercati globali.

L’uso destabilizzante del mercenariato jihadista in Medio Oriente e il golpe nazi-oligarchico in Ucraina promettevano a loro volta di destabilizzare il ventre molle russo dell’Asia Centrale e di sabotare la connessione energetica con l’Europa.

La risposta russa è stata mirata a prevenire l’avanzamento della minaccia ai propri confini con l’intervento “stabilizzatore” in Siria.

La Cina ha visto poste in gioco le coordinate strategiche del suo percorso di crescita: sovranità e indipendenza nazionale, modernità e sviluppo economico, stabilità sociale e politica.

Sotto questo profilo è stata la stessa strategia di soffocamento (L’Anaconda) perseguita dagli USA a indicare alla Cina la via per aggirare un eventuale blocco economico-militare, diversificare le connessioni energetiche privilegiando  i percorsi continentali,sviluppare il mercato interno per garantire prosperità e coesione sociale.

Di fronte a questa minaccia letale, la Cina non ha privilegiato la risposta militare, malgrado abbia avviato negli ultimi anni imponenti programmi di modernizzazione delle forze armate a scopo difensivo.

Collegandosi alla sua millenaria tradizione di pensiero strategico (vedasi Sun Tzu) rimane fedele a quell’approccio che suggerisce come “la più grande battaglia vinta sia quella che non si è dovuta combattere”.

La Cina ha scelto pertanto di liberarsi dall’Anaconda proponendo un progetto globale che invita paesi e regioni geo-economiche del pianeta  a partecipare a uno sforzo comune di integrazione economica-commerciale su basi di cooperazione reciprocamente vantaggiose.

Il progetto “Nuova Via della Seta” definito con la leadership di Xi Jinping intende rafforzare in primo luogo, a partire dalla piattaforma iniziale dei BRICS, la cooperazione economica Sud-Sud fra paesi emergenti e regioni economiche “vulnerabili e dipendenti” dalla oligarchia finanziaria internazionale. La sua proiezione geo-economica è planetaria investendo i nodi di una possibile integrazione dello spazio africano, latino-americano ed euroasiatico.

Il motore del progetto risiede nell’interconnessione dello spazio eurasiatico attraverso una rete di infrastrutture comprendenti ferrovie, autostrade, porti, oleodotti, gasdotti, fibre ottiche, secondo direttrici est-ovest e nord-sud e articolazioni sia continentali che marittime.

La costituzione della Banca Asiatica per gli Investimenti Infrastrutturali (AIIB), aperta al contributo

e all’adesione di tutti i paesi interessati a promuovere il progetto, getta le premesse di un possibile spazio economico comune che si sgancia dall’architettura finanziaria dominante incentrata su

Wall Street e la City.

Il contenuto implicito nella proposta cinese è l’offerta ad ogni paese di dotazioni infrastrutturali suscettibili di innescare un circuito virtuoso con le ricadute economiche a breve termine ma anche la possibilità di inserire il proprio modello di sviluppo in una dimensione regionale allargata senza rinunciare alla propria sovranità e indipendenza nazionale.

Risulta evidente come tale filosofia si ponga agli antipodi degli indirizzi che ispiravano i fortunatamente “deceduti” TPP e Trattato Trans-Atlantico sul Commercio e gli Investimenti (Transatlantic Trade and Investment PartnershipTTIP), i quali presupponevano la dissoluzione di ogni sovranità nazionale, l’adozione del “diritto anglosassone”, un potere incontrastato delle Multinazionali nel plasmare gli spazi economici “colonizzati” in funzione degli interessi del capitale finanziario dominante e a dispetto delle legislazioni sociali e ambientali nazionali.

Se il contenuto geopolitico della “Nuova Via della Seta” è la neutralizzazione della strategia imperiale dell’Anaconda, il suo profilo geo-economico non è affatto esclusivo!

La caratterizzazione di tale piano come “mondializzazione inclusiva” da parte di Xi Jinping non è pura retorica, giacché l’offerta di collaborazione è rivolta non soltanto all’Europa (si ricordi che Germania, Italia, Francia e Gran Bretagna hanno aderito alla Banca Asiatica di Investimento per le Infrastrutture, AIIB) ma persino agli USA col fine esplicito di evitare un tracollo dell’economia statunitense, altamente destabilizzante e pericoloso per i destini dell’umanità.

Naturalmente ciò presuppone un ri-orientamento strategico del modello di accumulazione su scala globale, in quanto comporta la rinuncia “negoziata” nei tempi e nei modi all’economia del debito che finanzia l’espansione del capitale finanziario e ne sostiene la funzione predatoria e genocida in ogni angolo del pianeta.

Fra le conseguenze emergerebbe la centralità dell’economia reale fondata sulla produzione di beni e servizi, con tutte le implicazioni relative in termini di regolazioni economiche, sociali, finanziarie e di “valori socio-culturali”… il ritorno del lavoro e della cultura.

La condizione per promuovere questa integrazione globale su basi regionali, con un evidente effetto-traino da parte del polo euro-asiatico cui si assocerebbe l’emersione di un potere contrattuale delle regioni oggi dominate e in via di sotto-sviluppo permanente (America Latina e Africa), è una profonda trasformazione del sistema monetario e finanziario internazionale.

Del resto le minacce esistenziali cui sono soggette Russia e Cina da parte dell’elite atlantista hanno spinto i due giganti euro-asiatici a progettare e realizzare un’alternativa globale al dollaro.

Sin dal 2014, dopo il golpe in Ucraina, Russia e Cina hanno concordato diverse misure contingenti per limitare i danni delle sanzioni occidentali e prevenire effetti destabilizzanti: contratti swap di conversione rubli-yuan, sistemi telematici interbancari alternativi allo SWIFT statunitense, grandi accordi di cooperazione energetica, militare, agro-industriale.

La Cina ha altresì esplorato la possibilità di promuovere l’internazionalizzazione dello yuan (senza concedere la liberalizzazione dei capitali) sfruttando la competizione fra la City e Wall Street e ottenendo al fine l’ingresso dello yuan nel paniere dei Diritti speciali di prelievo del Fondo Monetario Internazionale insieme a dollaro, euro, yen e sterlina.

Evidente la natura tattico-strumentale di tali misure volte a rafforzare la cooperazione economica internazionale contenendo i tentativi di destabilizzazione finanziaria in atto a partire dall’estate 2014. Da allora è maturata l’opzione strategica: una moneta, lo yuan-renminbi, agganciata all’oro e sganciata dal dollaro.

Pre-requisiti: la preminenza cinese e russa nella produzione del metallo giallo, l’accrescimento costante delle disponibilità d’oro delle rispettive banche centrali in questi anni, l’apertura nella primavera 2016 della Borsa dell’Oro di Shangai.

Ora il recente annuncio della Cina dell’avvio entro la fine dell’anno di nuovi contratti petroliferi a termine denominati in yuan convertibili in oro costituisce una svolta epocale.

Non si tratta semplicemente di offrire a Russia, Iran, Venezuela e tutti i possibili “sanzionati” dall’Impero l’opportunità di vendere petrolio in cambio di yuan-oro, inclusi gli appetiti instabili dei membri medio-orientali dell’OPEC.

Si tratta di una vera e propria sfida strategica al monopolio atlantico dei contratti petroliferi Brent e WTI su cui si alimenta “l’impero a debito” del dollaro.

Se la “Nuova Via della Seta” rappresenta il possibile terreno di incontro geo-economico fra lo spazio asiatico centrato sulla Cina e il potenziale produttivo-tecnologico dell’Europa, nondimeno vanno considerate le sue implicazioni geopolitiche come la sola reale opportunità presente di porre fine allo stato di guerra permanente nel “cuore della terra”.

Un’alternativa pacifica, costruttiva, negoziabile dai soggetti partecipanti, reciprocamente vantaggiosa, rispettosa del principio di autodeterminazione dei popoli e della sovranità e indipendenza nazionali.

Non potendo confidare nella lungimiranza e consistenza delle elite europee da troppo tempo ridotte a vassalli dell’Impero, tocca ai popoli europei e ai soggetti sociali ancora “critici” interrogarsi sulla ineludibilità di tale opzione per la pace, che ha fra le sue premesse la costruzione di un nuovo ordine economico e politico internazionale sulle ceneri di un capitalismo finanziario predatorio che da 500 anni calpesta ogni diritto umano e minaccia oggi la sopravvivenza della nostra specie.

 

a cura di Luca Pellegrino,

Osservatorio italiano Silk Road Connectivity Centre / CIVG

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