Mentre si profila il referendum in Kurdistan, i cristiani iracheni ridefiniscono le loro posizioni

L’Iraq potrebbe essere sull’orlo di una divisione, dato che la regione settentrionale autonoma del Kurdistan ha programmato un referendum per il 25 settembre per decidere la secessione dallo stato centrale. Non tutte le separazioni sono facili, in particolare quando si tratta della pianura settentrionale di Ninive, regione contesa tra l’irachena Baghdad e la curda Erbil, e che include la città multietnica di Kirkuk, zona ricca di petrolio.

Baghdad considera la piana di Ninive, il cuore della cristianità irachena, dove vivono anche altre minoranze come gli Yazidi e i Shabak, come parte del governatorato settentrionale di Mosul, mentre Erbil la rivendica dopo aver impegnato le sue truppe di Peshmerga, alla fine del 2016, come forza principale di liberazione della zona dai militanti dell’Isis, che l’avevano occupata nell’agosto 2014.

“Sono padre Sarmad e appartengo alla Chiesa cattolica caldea, la principale Chiesa in Iraq. Appartengo a Baghdad, come appartengo a Basra (città nel sud dell’Iraq) e al nord del paese, e sono parte di ogni centimetro della mia terra”, ha detto Padre Sarmad Biloues ad Al Arabiya versione inglese quando gli hanno chiesto del voto.

 

 

Padre Biloues dice che la Chiesa caldea ha tre milioni di seguaci al di fuori dell’Iraq e quasi un milione nel paese. Non c’è un recente censo ufficiale, ma il numero di Cristiani iracheni, che formavano circa il 7% della popolazione, si è ridotto da 1,4 milioni nel 2003 a 450.000 nel 2013, causa le violenze seguite all’invasione USA.

I Cristiani iracheni seguono quattro Chiese: la caldea che è cattolica, l’assira che segue la Chiesa d’oriente, la siriaca ortodossa e l’ortodossa orientale. A ben guardare, sembra che anch’esse vivano un periodo di separazione.

 

                  

“…Tutta la terra irachena vive in noi. Noi siamo cittadini iracheni…”, dice padre Biloues. Tuttavia, le autorità principali della Chiesa caldea non hanno ancora scelto una posizione ufficiale, ha spiegato, sottolineando la cautela dei cristiani iracheni riguardo alla difficile questione dell’incombente separazione.

“…Noi siamo un tutt’uno sia con l’Iraq di Baghdad  che con il Kurdistan” ha detto. “Attendiamo che i capi della nostra Chiesa scelgano una posizione. Abbiamo sempre avuto Cristiani in Kurdistan e amiamo il Kurdistan, come abbiamo sempre avuto Cristiani a Baghdad e amiamo Baghdad”. Egli ha anche invitato tutti a stare tranquilli e ha chiesto che tutti i Cristiani preghino per l’Iraq. “La pace deve tornare, l’ISIS deve essere completamente eliminato, e ci vuole una riconciliazione tra tutti gli iracheni, un solo cuore e una sola terra e poi potremo sederci a un tavolo e decidere…”, ha ribadito, intendendo che un voto di separazione, è adesso troppo prematuro.

Juliana Taaimoorazy, alla testa dell’ICRC, Iraqi Christian Relief Council che ha base in Illinois – dice che si devono rimarginare ferite che stanno ancora sanguinando:“…Non è tempo per un referendum” dice. “Noi dell’ICRC stiamo facendo del nostro meglio per mobilitare l’Occidente cristiano e i filantropi perché si rendano conto del valore dell’essere uniti e ricostruire le proprie vite” aggiunge. Sottolineando che l’ICRC sostiene l’importanza dell’unità irachena. “La maggioranza della nostra gente in Iraq e nella diaspora vuole che l’Iraq rimanga unito…Una delle ragioni principali per cui i Cristiani si sentono parte dell’Iraq è l’articolo 125 della Costituzione del paese che nomina Assiri e Caldei con i loro distinti nomi etnici. L’articolo promette ad essi, la loro provincia nel nord, anche se questi piani sono stati bloccati dalla comparsa devastante dell’ISIS”, aggiunge la Taimoorazy.

Con Turchia e Iran che ospitano un gran numero di separatisti curdi, il Capo di stato maggiore iraniano generale Mohaammed Bagheri si è incontrato in agosto con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan , premendo perché il Kurdistan rinunciasse alla votazione. “Siamo nervosi. L’Iran non ha interesse a questo referendum, la Turchia sta cercando di impedirlo, gli USA non lo appoggiano. Masoud Barzani (presidente della regione curda irachena) cerca di imporlo” ha detto la Taimoorazy. “Siamo preoccupati, se il referendum si farà saremo di nuovo vittime di un’altra guerra , con l’Iran o la Turchia che attaccheranno i curdi”.

Oltre alla mancanza di appoggio nella regione, gli osservatori notano anche che non solo i curdi sono divisi fra loro, ma che hanno anche difficoltà finanziarie per i prezzi in calo del petrolio che ha coinvolto tutto l’Iraq, lasciando nei guai gli impiegati governativi. Fonti, hanno detto alla Reuter che il Kurdistan iracheno ha preso a prestito fondi dai suoi acquirenti di petrolio, per contribuire a sistemare prima del voto, un processo da 1 miliardo di dollari in un tribunale londinese.

“E’ uno scandalo e un progetto di Barzani per potenziare il KRG (Governo regionale del Kurdistan) non per renderlo indipendente” ha detto a Al Arabiya, Max J. Joseph, un artista e scrittore assiro residente a Londra. “La famiglia Barzani sa che l’indipendenza porterà a un’altra guerra civile, come pure a un più ampio conflitto regionale”

Con gli Assiri in Iraq e della diaspora “…che in preponderanza preferiscono avere un rapporto diretto con Baghdad”, essi si sono fatti sentire quando hanno protestato a fine agosto nel villaggio in maggioranza cristiano di Alqosh nella piana di Ninive, ha detto Joseph. Tuttavia sono stati ammoniti dal Consiglio provinciale dominato dal KDP (Partito democratico del Kurdistan) per le loro “proteste illegali”, come ha scritto Joseph nel suo Twitter citando fonti locali, i cui nomi ha taciuto per motivi di sicurezza.

 

 

 

“Gli Assiri di Alqosh hanno protestato tre volte fino ad ora, alzando bandiere irachene, ma Baghdad li trascura e non li sostiene. Noi desideriamo che Baghdad abbia un ruolo più attivo nelle nostre lotte ma finora questo ruolo è stato minimo…” ha scritto.

In luglio il Consiglio di Ninive ha destituito il sindaco il sindaco di Alqosh sostituendolo con un capo politico locale vicino al KDP guidato da Barzani. “Gli unici che sostengono il Kurdistan sono quelli sul libro paga del KDP e sono pochissim,i ma collocati strategicamente dal KRG sui media per dar voce a quel sostegno che invece non esiste sul terreno”.

Non c’è nemmeno tra cristiani un concreto accordo, su quale sia la strategia migliore da intraprendere sullo status definitivo della loro ancestrale piana di Ninive.

Mentre la Chiesa caldea non ha sul prossimo referendum una posizione chiara a cui possano aderire i suoi seguaci, ha concordato sul fatto che i cristiani non dovrebbero essere “intrappolati” nella piana di Ninive poiché “un passato di violenza ha insegnato lor,o a non concentrarsi in un solo luogo così da essere una facile preda”, ha detto padre Biloues.

“Collocare i cristiani nella piana di Ninive ci sembra una congiur,a in un paese che ha spaventato i suoi abitanti. Ci fa paura essere chiusi in questa prigione”, ha detto, ricordando il massacro di Simele nel 1933. Ha anche descritto la tattica ingannatoria messa in atto dagli inglesi quando hanno incoraggiato i cristiani alla ribellione, per poi informare il Governo iracheno perché la sopprimesse, causando la morte di 3.000 cristiani.

Padre Biloues respinge anche qualsiasi richiesta di protezione o osservatori internazionali. “La situazione politica in Iraq non è ancora stabile e mi aspetto che la nazione irachena riprenda ad scrollarsi. Se dico che solo i cristiani rischiano la persecuzione, sì, posso dirlo, ma non è del tutto esatto, perché tutti sono perseguibili in Iraq” ha detto.

Diversamente da lui, Taimoorazy ha affermato: “Vogliamo osservatori internazionali che si concentrino su Baghdad ed Erbi,l per proteggere i diritti di minoranze come i Cristiani, gli Yazidi e i Turkmeni…I nostri problemi non sono in quanto siamo cristiani, ma come nazionalità, come Assiri, Caldei e Siriaci siamo tutti una sola nazione, abbiamo un problema con il KRG” ha detto, e ciò complica ulteriormente la situazione.

“In particolare gli Assiri chiedono che siano rispettati i propri diritti in quanto popolo indigeno su questa terra, che deve avere come gli altri la parola sul proprio destino. Non vogliamo che alla piana di Ninive tocchi di unirsi al Kurdistan”

 

Da baghdadhope

Traduzione di Claudia B. per civg.it