Carceri segrete e torture negli Emirati e in Yemen: il ruolo degli Usa

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26 giugno 2017

 

 

I militari statunitensi si sono resi complici di torture, abusi e violenze contro sospetti terroristi, compiute dalle forze armate degli Emirati Arabi Uniti e dello Yemen sul loro territorio. È quanto emerge da un lungo reportage pubblicato dalla Associated Press (Ap), che sostiene il coinvolgimento di soldati americani negli interrogatori compiuti nelle prigioni segrete del Paese arabo, teatro da oltre due anni di una sanguinosa guerra civile.

Le carceri sono controllate da ufficiali di Abu Dhabi e Sana’a e i dettagli che emergono dai racconti dei testimoni sono raccapriccianti. I prigionieri sono chiusi all’interno di container per spedizioni, cosparsi di feci e urina, bendati per settimane.

E ancora, i sospetti sono picchiati e legati a una griglia circondata dal fuoco. A questo si aggiungono gli abusi a sfondo sessuale e interrogatori compiuti all’interno di navi segrete da parte di “esperti psicologi” ed “esperti di poligrafia” statunitensi.

Secondo alcune testimonianze anonime rilanciate da Ap, sarebbero centinaia i sospetti terroristi, appartenenti alla rete di al Qaeda, finiti nella rete degli abusi e delle violenze delle carceri segrete in Yemen. Esse sorgono all’interno di basi militari, di porti, aeroporti, ville private e anche club notturni.

Gli informatori riferiscono che gli abusi sono “una routine” e le torture inflitte “estreme”. Altre fonti parlano di circa 2mila persone scomparse, che sarebbero ancora oggi rinchiuse all’interno delle carceri. Familiari, parenti, amici hanno promosso proteste e iniziative per la loro liberazione, finora invano.

A fronte delle accuse – respinte al mittente anche dalla leadership degli Emirati Arabi Uniti (Eau), alcuni alti ufficiali a Washington, dietro anonimato perché non autorizzati a parlare con la stampa, affermano che le forze statunitensi avrebbero partecipato agli interrogatori. Gli esperti Usa avrebbero indicato le domande da porre ai sospetti e analizzato i verbali forniti dagli alleati degli Emirati. Inoltre, gli alti comandi degli Stati Uniti erano a conoscenza di violenze e torture, ma queste non sarebbero mai avvenute in loro “presenza”.

Attivisti e associazioni pro diritti umani non credono alla versione ufficiale dei vertici di Washington e del Pentagono, parlando di maldestro tentativo di lavarsi le mani e minimizzare responsabilità e coinvolgimenti. In un rapporto pubblicato in questi giorni da giornalisti e ong viene raccontata la storia di 49 persone – fra cui quattro bambini – detenuti in queste carceri segrete in Yemen e poi scomparsi senza lasciare traccia.

La rete di prigioni segrete ricorda i centri di detenzione promossi dalla Cia all’indomani dell’11 settembre per interrogare i sospetti terroristi, più volte finiti nel mirino di ong internazionali e attivisti per i diritti umani. Nel 2009 l’ex presidente Usa Barack Obama aveva smantellato questi “buchi neri”; tuttavia, il complesso di prigioni creato dagli Emirati in Yemen è nato durante gli anni dell’amministrazione democratica e continua a essere ancora oggi operativa con Donald Trump alla Casa Bianca.

Dal gennaio 2015 la nazione del Golfo è teatro di un sanguinoso conflitto interno che vede opposte la leadership sunnita dell’ex presidente Abedrabbo Mansour Hadi, sostenuta da Riyadh, e i ribelli sciiti Houthi, vicini all’Iran e agli Hezbollah libanesi. Nel marzo 2015 una coalizione araba a guida saudita ha promosso raid contro i ribelli, finiti nel mirino delle Nazioni Unite per le vittime [fra i civili] che hanno provocato. Tra questi vi sono anche bambini. Fonti Onu parlano di oltre 8mila morti e 45mila feriti.

 

Da Asia News