Gracanica, Kosovo Methoija. Il ricordo è la vita stessa

 

 “Come se qualcuno mi avesse aggiunto questi diciotto anni, appiccicati alla mia vita,  senza averli vissuti”, mi ha detto Rajka un giorno.

“ Ero andato nei campi quel 17 marzo 2004”, ricorda Ljubisa. “ Avevo portato con me Stefan, un figlio nato nel ’99. Guardando in direzione di Ceglavica mio fratello ed io vedevamo fumo.  Fumava in diversi posti. Si sentivano spari, raffiche, detonazioni. Mia moglie mi chiama al telefono. Lei era incinta del terzo figlio. Sconvolta insiste che io torni a casa, che riporti a casa il bambino, siccome a Ceglavica sta iniziando una nuova guerra. Ha sentito la radio, hanno chiamato i parenti.

Frettolosamente mi avvio verso casa. Alla radio ripetono l’invito alla difesa dei villaggi e di recarsi dal meccanico, quello all’ingresso del villaggio arrivando da Pristina. Esco con i fratelli. Siamo a mani nude. Ci siamo radunati ed aspettiamo. Improvvisamente si sente un forte rumore ed appare un gruppo folto di persone furiose e si avvicina a noi. Quando arrivano cosi vicino che possiamo vedere e riconoscere i loro volti, arrivano da un'altra parte, e si mettono di fronte a loro, tre soldati stranieri con impermeabili olivastri. I soldati hanno parlato con loro e poi loro sono tornati verso la città. Allora hanno iniziato a girare i blindati della KFOR. Giovani soldati, senza una goccia di sangue nei loro visi, pallidi e spaventati, sporgevano da sotto le feritoie dei blindati”

“É stato molto difficile in quei giorni”, racconta la suora di Gracanica. “Un popolo ha riempito il cortile in quei giorni. Spaventati, sperduti, affamati, nudi,tanti bambini. Li abbiamo aiutati per quanto era nelle nostre possibilità. Per giorni si sono cercati intorno fra tutti con fatica..”

 

 

“Dalle otto del mattino alle otto di sera iscrivevo intere famiglie che arrivavano ogni giorno”, racconta Dobrila. “Arrivavano da Obilic, Pristina, Slovinje, Caglavica, Kosovo Polje. Ho ascoltato solo pianto e parole di tormento. Piangevo anch’io e mandavo giù.”

“Hanno bruciato la nostra casa a Kosovo Polje”, ricorda Jelena. “La mia famiglia e la famiglia di mia sorella sono state salvate da uno straniero che ci ha stipati  tutti in una jeep e portati a Ugljare, il villaggio più vicino. Abbiamo continuato a vivere in un container. Ricordo ancora un bambino del mio vicinato che piangeva e voleva essere portato via con noi, ma noi eravamo così stretti che non era possibile aprire la porta. Continuerò a disapprovarmi per tutta la vita perché non sono scesa dall’auto per lasciare il posto a lui. Non so cosa è successo. Quando sono andata, alcuni giorni dopo, alle rovine della nostra casa, accompagnata dai soldati, tra le ceneri ho trovato una piccola icona, plastificata della Madonna, un pezzo di candela del nostro santo protettore una bottiglietta di acqua dal monastero di Ostrog. E c’erano ancora molti odori, doveva aver bruciato molto forte.”.

Tanti ricordi, delle persone che sono sopravvissute a quel giorno. Ancora più dolorosi sono i ricordi delle persone che quel giorno sono rimaste vittime della follia. La follia che dura da molti anni indietro. La persecuzione dei Serbi che dura da secoli.

Ci sono così tante storie vere scritte, parole raccontate, poesie, ma senza poter avvicinarsi alla verità. Sarebbe insufficiente anche se ognuno dei testimoni di quel giorno di 13 anni, fa  scrivesse un libro. Noi non ricordiamo con la voglia di vendetta ma trasformiamo ogni ricordo in sofferenza dignitosa.

Per questo motivo oggi  a Gracanica si sono radunati centinaia di cittadini, insieme alle famiglie delle persone rapite e sparite fin dal 1998, per cercare tutti insieme ancora una volta la verità e giustizia per i ragazzi uccisi a Gorazdevac, per i mietitori massacrati a  Staro Gracko, per la famiglia Stolic ammazzata tutta in un colpo solo a Obilic, per il medico pediatra Zlatko Gligorijevic, ucciso nel proprio ambulatorio da una donna e in presenza del figlio della donna. Giustizia per l’Ing. Zoran Kontic, ucciso nel proprio alloggio, siccome si fidava dei propri colleghi albanesi. Giustizia per quelli ammazzati nel pullman rosso a Livadice,  per il disperso Dr. Tomanovic e il giovane Dalibor Ristic, Ivan Majstorovic, Marjan Melonasi, per i giornalisti dispersi e tutti quelli di Orahovac che aspettavano di comprare pane e hanno trovato la morte, per il ragazzo di 16 anni Dimitrije Popovic,  ucciso in un bar di Gracanica mentre beveva una birra, poi per i lavoratori spariti nel tragitto verso la miniera Belacevac. Quanto è lunga questa lista Dio solo lo sa.

 

 

Oggi a Gracanica posiamo i fiori davanti al monumento degli “scomparsi” con le fotografie dei dispersi Serbi, Rom, Goranci, devo precisare che non ancora tutte le foto sono presenti.

Oggi a Gracanica erano presenti molti abitanti dei villaggi vicini. Sarebbero stati molti di più, se tanti non fossero andati anche a Caglavica ad un funerale. 

Caglavica, che in quei giorni di tredici anni fa bruciava e si difendeva, oggi salutava per l’ultima volta il suo cittadino Gradimir Denic.

 

 

Uno dei suoi eroici difensori, che in quei giorni era nelle prime linee della difesa del suo villaggio. Se n’è andato, terminando tutte le battaglie, all’età di cinquanta anni. Possiamo considerare anche lui vittima della sofferenza della gente di Kosmet?

 

Aprile 2017 - Radmila Todic Vulicevic- Радмила Тодић- Вулићевић                                                   

Traduzione di Jovanka A. per SOS Yugoslavia-SOS Kosovo Methoija