Dai kibbutz alla Nakba


 

 

Sionismo laburista, movimento operaio

e pulizia etnica della Palestina

(1936 – 1948)

 

In copertina:

- manifesto propagandistico del MAPAI (dal 1968 Partito Laburista Israeliano), 1955

- attivisti dei kibbutz appartenenti al movimento Hashomer Hatzair

- Nakba palestinese del 1948

 

 

indice

 

 

Premessa. Fondazione del sionismo laburista……………………………………p.6

Syrkin……………………............................................................….p.6

Borokhov…………………………………………………..……….p.7

Ben-Tzvi…………………………………………………….……...p.10

Nascita dell’Histadrut………………………………………………p.13

Ben-Gurion……………....................................................................p.14

Nascita della PLL…………………………………………………..p.16

 

1. La Grande Rivolta Araba e il sionismo laburista(1936 – 39)…..……………p.17

Lo sciopero generale e il lavoro ebraico……………..……………..p.18

La PLL durante la rivolta…………………………………..……….p.21

La commissione Peel e il lavoro in Palestina……………………....p.23

“Il nocciolo della questione”…………….…………………………p.24

La soppressione della rivolta………………….……………………p.26

Ideologia della fratellanza e realtà della segregazione…………..….p.28

 

2. Movimento operaio e sinistra negli anni della guerra (1939 – 45)………….p.29

Gli anni della guerra: mutamento economico e politico……………p.29

I ferrovieri: dall’alienazione alla lotta comune……………………..p.31

L’Histadrut, Hashomer Hatzair e l’attività araba...............................p.32

La ripresa del movimento operaio arabo…………………………….p.34

Hashomer Hatzair verso la sinistra araba……………………………p.36

La rinascita della PLL………………………………………………..p.37

I campi militari, i lavoratori dei campi e la lotta tra i sindacati……...p.38

La scissione del PCP e la formazione della NLL……………………p.42

Sconfitta della PLL…………………………………………………..p.43

Lotte di classe e movimento operaio arabo…………………………..p.46

 

3. Verso la Catastrofe (1945 – 48)……………………………………..…………p.48

Prospettive di cooperazione……………………………………….…p.48

Il settore petrolifero 1943 – 48………………....……………………p.50

Lo sciopero generale dell’aprile 1946…………………....………….p.52

Le basi militari inglesi 1945 – 48……………………………………p.53

La disintegrazione del movimento operaio arabo…………….……...p.54

L’ultimo servigio della PLL al sionismo…………………………….p.56

Hashomer Hatzair e la fine del sogno binazionale…………………...p.58

La Nakba ad Haifa…………………………………….……………..p.59

 

 

 

 

principali organizzazioni citate

 

Agenzia Ebraica. Fondata nel 1929 dall’Organizzazione Sionista Mondiale, con un nome appositamente scelto per coinvolgere tutti gli ebrei del mondo nel progetto di colonizzazione della Palestina. Di fatto fu l’organismo dirigente della comunità ebraica in Palestina (Yishuv).

 

AHC. Arab Higher Committee (Alto Comitato Arabo). Organismo nazionalista arabo creato nel 1936 in occasione della Grande Rivolta e presieduto dal Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini.

 

Ahdut Haavoda (Unità del Lavoro). Principale partito politico sionista laburista degli anni’20, nel 1930 fu il nucleo fondatore del MAPAI. Nel 1944 si riformò come scissione dal MAPAI e insieme ad altri gruppi della sinistra sionista nel 1948 costituì il MAPAM.

 

AURW. Arab Union of Raiway Workers (Unione dei Ferrovieri Arabi). Sindacato arabo dei ferrovieri.

 

AWC. Arab Workers’ Congress (Congresso dei Lavoratori Arabi). Creato nel 1944 come fronte sindacale unitario dei lavoratori arabi.

 

AWS. Arab Workers’ Society (Società dei Lavoratori Arabi). Fondata nel 1934, sciolta nel 1936 dopo l’assassinio del suo segretario Michael Mitri.

 

FATULS. Federation of Arab Trade Unions and Labor Societies (Federazione dei Sindacati e delle Società Operaie Arabe). Associazione sindacale araba creata ad Haifa nel 1942 da un gruppo di comunisti fuoriusciti dalla PAWS, guidati da Bulus Farah.

 

Hapoel Hatzair (il Giovane Lavoratore). Partito politico sionista laburista degli anni ’20, nel 1930 si fuse con Ahdut Haavoda creando il MAPAI.

 

Hashomer Hatzair (la Giovane Sentinella). Movimento giovanile sionista laburista, ispirato agli scout inglesi di Baden Powell. Dal 1919 in avanti promosse la formazione di comunità agricole ebraiche (kibbutz) in Palestina. Fino al 1947 sostenne la soluzione dello stato binazionale, ma quando questa fu messa ai margini entrò nel primo governo israeliano.

 

Histadrut. In ebraico “organizzazione”, la parola indica l’Organizzazione Generale dei Lavoratori Ebrei della Terra di Israele. Fondata nel 1920, principale istituzione operaia del movimento sionista in Palestina, dal 1930 controllata politicamente dal MAPAI.

 

IU. International Union of Railway, Postal and Telegraph Workers of Eretz Israel. Denominazione assunta dal 1931 dal sindacato dei lavoratori di ferrovie, poste e telegrafi dopo il colpo di mano sionista che escluse gli attivisti comunisti e arabi.

 

MAPAI. Acronimo ebraico di Partito dei Lavoratori della Terra di Israele. Partito politico sionista laburista fondato nel 1930 dalla fusione di Ahdut Haavoda e Hapoel Hatzair e diretto da David Ben-Gurion. Fu lo strumento principale dell’affermazione del sionismo laburista in Palestina e nel movimento sionista mondiale.

 

MAPAM. Acronimo ebraico di Partito Unificato dei Lavoratori. Nato nel 1948 dalla fusione di Ahdut Havoda, Hashomer Hatzair e Poalei Zion Smol, entrò nel primo governo israeliano.

 

NLL. National Liberation League (Lega per la Liberazione Nazionale). Fondata nel 1944 dai comunisti arabi fuoriusciti dal PCP, anti-sionista. Distrutta dalla guerra del 1948.

 

PAWS. Palestinian Arab Workers’ Society (Associazione dei Lavoratori Arabo Palestinesi). Fondata nel 1925, principale sindacato arabo-palestinese.

 

PCP. Partito Comunista di Palestina. Formatosi nel 1921, dal 1924 aderente alla Terza Internazionale. Composto da militanti arabi ed ebrei, antisionista fino al 1943 quando andò incontro a una scissione su base etnica e la componente araba formò la NLL.

 

PLL. Palestine Labor League (Lega Palestinese del Lavoro). Organismo creato dall’Histadrut per organizzare i lavoratori arabi sotto la propria tutela. Fu sempre diretta da ebrei.

 

Poalei Zion (Lavoratori di Sion). Principale organizzazione operaia sionista di inizio Novecento, animata dalle teorie di Ber Borokhov.

 

Poalei Zion Smol (Lavoratori di Sion di Sinistra). Piccolo partito sionista socialista formatosi nel 1919 dalla divisione del SWP, che oltre a Poalei Zion Smol produsse il PCP.

 

SWP. Socialist Workers Party (Partito Socialista dei Lavoratori). Formatosi nel 1919 dalla scissione dell’ala sinistra di Poalei Zion (l’ala destra costituì Ahdut Haavoda). A sua volta si divise nel 1921 in Poalei Zion Smol e PCP.

 

Yishuv. In ebraico “insediamento”. Termine usato per indicare la popolazione ebraica in Palestina.

 

 

principali fonti citate

 

Joel Beinin, Was the Red Flag Flying There?, 1990

Joel Beinin, Knowing your Enemy, Knowing your Ally: the Arabists of Hashomer Hatzair, 1991

Yitzhak Ben-Tzvi, Il movimento arabo, 1921

Ian Black, Zionism and the Arabs 1936 – 39, 1986

Ber Borochov, La questione nazionale e la lotta di classe, 1905

Ber Bochorov, On the Question of Zionism and Territory, 1905

Ber Borochov, La nostra piattaforma, 1906

Musa al-Budayri, Development of the Arab Movement in Palestine, 1981

Shmuel Dothan, Reds: The Communist Party in the Land of Israel, 1991

David Hachoen, Time to Tell: an Israeli Life 1908 – 1984, 1985

David Horowitz, Rita Hinden, Economic Survey of Palestine, 1938

Simha Kaplan, Zionism and the Palestinians, 1979

Issa Khalaf, Politics in Palestine: Arab Factionalism and Social Disintegration, 1939-1948, 1991

Walid Khalidi, All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated in 1948, 1992

George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937

Ann Mosely Lesch, Arab politics in Palestine, 1917-1939, 1979

Mordechai Orenstein, Jews, Arabs and British in Palestine: A Left Socialist View, 1936

Yehoshua Porath, The Palestinian Arab National Movement, from Riots to Rebellion, 1977

Yonathan Shapiro, The formative years of the Israeli Labour Party, 1919-30, 1976

Marie Syrkin, Nachman Syrkin, Socialist Zionist: A Biographical Memoir and Selected Essays, 1960

Nachman Syrkin, La questione ebraica e lo stato socialista ebraico, 1898

Rachelle Taqqu, Arab Labor in Mandatory Palestine, 1920-1948, 1977

Shabtai Teveth, Ben Gurion: The Burning Ground, 1886-1948, 1988

 

Bulitin, bollettino della federazione dei kibbutz di Hashomer Hatzair

Davar, quotidiano dell’Histadrut

Filastin (giornale palestinese nazionalista)

Haaretz, quotidiano sionista socialista, fondato nel 1919 e ancor oggi esistente

Haqiqat al-Amr, periodico della PLL

Al-Ittihad, giornale della NLL

Jewish Frontier, mensile del movimento sionista laburista

Kuntres (periodico di Ahdut Haavoda)

 

Central Zionist Archives, Foreign Office papers (ministero degli esteri inglese), Hashomer Hatzair Archives, Histadrut Archives, Labour Party Archives (archivi del partito laburista inglese) , MAPAI Archives, Trade Unions Congress Archives

 

 

Premessa

 

FONDAZIONE

DEL SIONISMO LABURISTA

 


 

SYRKIN

Come tendenza specifica, il sionismo socialista fu quasi contemporaneo al sionismo liberale di Herzl, sebbene potesse fare riferimento anche su alcuni precursori come Moses Hess (1812 – 75), sodale di Karl Marx negli anni ‘40 e in seguito autore del saggio proto-sionista Roma e Gerusalemme (1862). Il primo grande teorico del sionismo socialista, Nachman Syrkin (1868 – 1924), pubblicò il suo saggio La questione ebraica e lo stato socialista ebraico nel 1898, solo un anno dopo il Primo Congresso sionista, al quale fu delegato. Syrkin cercò di sintetizzare la sua concezione del socialismo (etica e utopica piuttosto che marxista) con la sua forte adesione al sionismo, sostenendo in contrasto con i sionisti borghesi come Herzl che solo le masse ebraiche proletarizzate potessero realizzare il sionismo (che dunque doveva essere socialista nella sua essenza) e, in contrasto con i socialisti ebrei antisionisti, che non vi sarebbe stata soluzione alla questione ebraica senza la costituzione di uno stato ebraico.

Syrkin non era sempre stato convinto che lo stato ebraico dovesse sorgere in Palestina: per alcuni anni dopo il Settimo Congresso sionista (1905) abbandonò la WZO e fu a capo dell’ala socialista russa del movimento territorialista, che considerava la Palestina come solo uno dei possibili luoghi per l’insediamento ebraico. Dal 1909, tuttavia, egli rientrò nell’alveo della corrente pro-Palestina aderendo a Poalei Zion (Lavoratori di Sion), la più forte tendenza socialista all’interno del movimento sionista. Più tardi, dal 1930 in poi, Syrkin divenne una sorta di grande vecchio del sionismo laburista nella versione non marxista, socialdemocratica incarnata dal MAPAI (Partito dei Lavoratori della Terra di Israele)[1].

E’ degno di nota che Syrkin apparentemente non sentì la necessità di giustificare in termini di principi socialisti l’aspirazione del sionismo per la Palestina o il probabile impatto del sionismo sulla popolazione indigena palestinese. Infatti, nessuno dei suoi testi teorici o programmatici precedenti la Prima guerra mondiale fa menzione implicita o esplicita degli arabi o di un “problema arabo”. Ne La questione ebraica e lo stato socialista ebraico Syrkin propone che il sionismo acquisisca la Palestina dal governo ottomano con una trattativa economica o diplomatica o mobilitando l’opinione pubblica democratica e proletaria europea per spingere gli ottomani a concedere il paese agli ebrei. L’opzione migliore per il sionismo, diceva Syrkin, era sostenere i popoli cristiani oppressi dell’impero ottomano – egli cita i macedoni, gli armeni e i greci – nelle loro lotte indipendentiste. Dopo la vittoria ogni popolo avrebbe avuto il suo stato negli ex territori ottomani ove esso costituiva la maggioranza, mentre nei territori a popolazione mista avrebbe avuto luogo una spartizione e uno scambio pacifico di abitanti. Per il loro ruolo nella lotta anti-ottomana gli ebrei avrebbero ricevuto la Palestina: “Erez Israel, che è scarsamente abitata e nella quale oggi gli ebrei sono il 10% della popolazione, dovrebbe essere ceduta agli ebrei[2].

La facilità con cui Syrkin sorvolava sul fatto che la Palestina avesse una consistente popolazione araba e il suo non vedere alcunché di problematico nella trasformazione di una piccola minoranza ebraica in uno stato e una società (pur socialisti) esclusivamente ebraici, apparentemente rimuovendo la popolazione indigena, suggeriscono che nonostante le forti differenze con Herzl sul carattere sociale del nuovo stato, egli condividesse l’idea sionista dominante degli arabi palestinesi come invisibili, o marginali. Per Syrkin come per Herzl la popolazione indigena della Palestina era semplice oggetto di una politica di potenza, da spostare altrove per soddisfare bisogni e aspirazioni degli europei, e non godeva certo del diritto all’autodeterminazione nazionale al pari di quello che si presumeva possedessero gli ebrei.

 

BOROKHOV

Il lavoro dell’altro principale pensatore del primo sionismo socialista, Ber Borokhov (1881 – 1917) mostra una concezione più complessa ma non dissimile nella sostanza. Fu Borokhov a gettare le basi teoriche per la sintesi tra marxismo e sionismo prodotta da Poalei Zion, il più grosso partito sionista-socialista in Europa orientale e Palestina prima della Grande Guerra. Ne La questione nazionale e la lotta di classe (1905) Borokhov cercò di elaborare una teoria marxista della nazione e del nazionalismo. Egli aggiunse ai concetti marxisti di “rapporti di produzione” e “forze produttive” il suo concetto di “condizioni di produzione”, che includeva il territorio nazionale e altri fattori. Cercò di dimostrare che il raggiungimento da parte di un popolo oppresso di “normali” condizioni di produzione (ovvero un proprio stato indipendente) fosse un pre-requisito, piuttosto che un ostacolo, per lo sviluppo della lotta di classe e successivamente per la rivoluzione socialista.

Nel lavoro di Borokhov i suoi metodi e schemi erano intrisi di quel marxismo molto positivista, economicista e meccanicista tipico dei partiti della Seconda Internazionale, con la loro fede nelle “leggi ferree” e negli inesorabili processi storici operanti indipendentemente dall’azione o dalla volontà umane. L’utilità del lavoro di Borokhov fu immediatamente chiara ai suoi discepoli: esso forniva uno schema marxista all’apparenza rigoroso per risolvere la contraddizione (assai profonda per molti sionisti socialisti est-europei) tra socialismo e sionismo, facendo del secondo un pre-requisito essenziale per la realizzazione del primo, un obiettivo necessario e inaggirabile invece che una pericolosa deviazione. L’analisi di Borokhov aiutò i sionisti socialisti a respingere le critiche dei socialisti anti-sionisti, incluse quasi tutte le fazioni dei socialdemocratici russi ma anche il Bund, il partito socialista ebraico indipendente che aveva un forte seguito tra le masse ebraiche impoverite dell’Europa orientale. Sia i socialdemocratici panrussi che i bundisti denunciarono il sionismo in tutte le sue forme come reazionario, poiché chiamando gli ebrei a emigrare in Palestina esso distoglieva l’attenzione dei lavoratori ebrei dalla lotta contro il capitalismo e l’antisemitismo nei paesi in cui essi vivevano, poiché implicitamente o esplicitamente esso accettava l’assunto antisemita dell’impossibilità della convivenza alla pari tra ebrei e non ebrei, e infine prometteva una soluzione illusoria e utopica ai reali problemi delle masse ebraiche.

Nel 1906 Borokhov pubblicò La nostra piattaforma, che applicava la sua analisi generale del nazionalismo alla questione ebraica e forniva al giovane movimento di Poalei Zion una prospettiva teorica definita e un programma politico. Nel pensiero di Borokhov, gli ebrei erano non assimilabili e perciò perseguitati ovunque vivessero a causa della loro struttura sociale “anomala”: essi erano concentrati soprattutto negli interstizi e ai margini della vita economica nazionale, nel piccolo commercio, nelle piccole imprese dei servizi, nel prestito del denaro e simili, piuttosto che nell’agricoltura e nell’industria di base. Incapaci di competere in società dominate economicamente da non-ebrei e generando antisemitismo ovunque andassero, le masse ebraiche piccolo-borghesi alla fine sarebbero state inesorabilmente costrette ad emigrare in Palestina, il solo territorio in cui potessero acquisire la “normalità” economica diventando operai e contadini. Qui questo nuovo proletariato ebraico avrebbe finalmente potuto sviluppare la lotta di classe e infine raggiungere una società socialista ebraica.

Ma perché era proprio la Palestina il territorio nel quale le masse ebraiche avrebbero inevitabilmente dovuto stabilirsi e nel quale avrebbero ottenuto sia il socialismo che lo stato? Borokhov diede un prezioso contributo al sionismo socialista fornendo una giustificazione apparente, formulata in termini marxisti, della scelta della Palestina, diversa dalle giustificazioni emotive, religose o storiche fornite da altri sionisti. La Palestina era unica per un aspetto cruciale: solo laggiù gli immigrati ebrei in viaggio intorno al mondo in cerca del paradiso avrebbero potuto

 

non andare incontro a una resistenza organizzata e unitaria. In tutti gli altri paesi le restrizioni e i divieti di ingresso legale sono un’espressione dei bisogni della popolazione locale, che non vuole concorrenti stranieri. Di conseguenza nessuna democratizzazione del governo o delle relazioni internazionali all’interno della società borghese può rimuovere queste restrizioni. Invece, i divieti di ingresso in Eretz Israel nei confronti degli ebrei provenienti da Russia e Austria sono solo una manifestazione degli arbitri del sultano, senza alcun legame con i reali bisogni della popolazione stessa di Eretz Israel[3].

 

Borokhov quindi sapeva che la Palestina non era disabitata. Ma come la maggior parte dei primi sionisti egli era sicuro che i suoi abitanti non costituissero, né in futuro avrebbero costituito una comunità definita e coesa che potesse opporsi all’immigrazione ebraica. Di fatto le sue analisi e previsioni erano rese plausibili soltanto da questa assai opinabile premessa. Quella premessa era sua volta sostenuta dalla concezione di Borokhov della popolazione palestinese. Sebbene un ignorante li potesse definire “arabi” o “turchi”, egli scrisse, “Essi di fatto non hanno nulla in comune con gli arabi o i turchi, e il loro atteggiamento verso entrambi è freddo e anche ostile[4]. Egli sosteneva che

 

I nativi di Eretz Israel non hanno un carattere economico o culturale indipendente; essi sono divisi e disgregati non solo dalla struttura territoriale del paese e dalla diversità delle religioni, ma anche per le sue caratteristiche, una specie di ostello internazionale…I nativi di Eretz Israel non sono un’unica nazione, né costituiranno un’unica nazione per lungo tempo. Essi si adattano molto facilmente e rapidamente ad ogni modello culturale superiore al loro introdotto dall’estero; non sono in grado di unirsi e organizzare atti di resistenza alle influenze esterne; sono inadatti alla competitività tra nazioni, e la loro competitività ha un carattere individuale e anarchico.

 

Prediceva Borokhov: “Saranno gli immigrati ebrei a sostenere lo sviluppo delle forze produttive di Eretz Israel, e la popolazione locale di Eretz Israel sarà presto assimilata economicamente e culturalmente agli ebrei”[5].

Per sostenere le sue argomentazioni Borochov ricorreva anche alle classificazioni razziali in voga all’epoca in Europa. “La popolazione locale di Eretz Israel” affermava “è più simile agli ebrei per composizione razziale che ad ogni altro dei popoli “semitici”…In tutti i casi tutti i viaggiatori confermano che a parte l’uso della lingua araba è impossibile distinguere in alcun modo un facchino sefardita e un semplice lavoratore o contadino arabo[6]. Borokhov doveva fidarsi dei resoconti dei viaggiatori perché egli stesso non mise mai piede in Palestina.

Curiosamente, nonostante la scarsa comprensione della goegrafia, della cultura e della storia della regione, Borokhov sapeva qualcosa della comparsa di un movimento nazionalista arabo. In una nota a piè di pagina de La nostra piattaforma egli riconobbe che i nazionalisti arabi includevano la Palestina nei loro progetti e che “i nostri nemici di Sion[7] vedono gli arabi come una terribile minaccia al sionismo”. Ma egli liquidò il nazionalismo arabo come irrilevante poiché era certo che pur condividendo la stessa lingua e religione i contadini palestinesi non avessero nulla in comune con gli arabi.

La pre-condizione per un massiccio afflusso di immigrati ebrei in Palestina e il loro eventuale assorbimento della popolazione indigena era, naturalmente, la rimozione delle restrizioni del governo ottomano alla libertà di ingresso per gli ebrei. Ma come raggiungere ciò? Come Syrkin, Borochov riteneva che i governi antisemiti dei paesi europei abitati dalle masse ebraiche avrebbero spinto il governo ottomano a concedere la libertà di ingresso degli ebrei, per facilitare la loro emigrazione e quindi liberarsi di tali elementi indesiderati. Nel lungo periodo, la lotta di classe del proletariato ebraico avrebbe contribuito al rovesciamento di quei regimi reazionari, e i nuovi governi democratici, insediatisi con l’aiuto degli ebrei, avrebbero ricompensato questi ultimi costringendo il sultano ottomano a dare loro libero accesso in Palestina[8].

I bisogni della popolazione palestinese indigena non rientravano nella visione presente o futura di Borokhov. Di fatto il suo edificio teorico poggiava sulla negazione dell’esistenza di una società araba coesa in Palestina, e sulla rappresentazione della popolazione indigena come nient’altro che una massa di contadini arretrati, eterogenei e senza radici. In questo senso il teorico socialista-sionista fu davvero un uomo del suo tempo. Sicuramente vi era all’epoca molto dibattito nel movimento socialdemocratico europeo sulle relazioni tra l’internazionalismo proletario e i diritti nazionali dei popoli oppressi (inclusi gli ebrei) entro gli imperi multietnici d’Europa, specialmente la Russia zarista e l’Austria-Ungheria degli Asburgo. I socialdemocratici europei erano anche impegnati a mitigare gli aspetti più feroci del colonialismo europeo e a renderlo più benigno, contrastando il militarismo e lo sciovinismo che essi ben conoscevano e che le forze reazionarie in Europa impiegavano contro lo stesso movimento socialdemocratico. Prima della Prima guerra mondiale, ben pochi socialisti rifiutavano in toto il colonialismo o criticavano i suoi assunti di fondo, e molti condividevano con i loro nemici di classe la ferma convinzione della superiorità della civiltà europea e il conseguente diritto (se non dovere) degli europei di governare sui popoli meno avanzati. Il principio dell’autodeterminazione nazionale, che molti socialisti europei erano pronti ad accettare riguardo ai popoli europei, non era applicato per i popoli non-europei, che erano visti più o meno come bambini bisognosi della benevola tutela occidentale. Si riteneva che i futuri governi socialisti in Europa avrebbero di certo esercitato una tutela più benigna di quella dei regimi borghesi, e non avrebbero esercitato un dominio coloniale tale da suscitare l’irredentismo nazionale. Ma il diritto degli europei di condividere o imporre ai non-europei il proprio superiore modello, incluso il socialismo, era dato largamente per scontato.

Sia Syrkin che Borokhov ritenevano che la Palestina alla fine sarebbe stata assegnata agli ebrei dai governi europei, reazionari, antisemiti, democratici o socialisti che fossero. I bisogni della popolazione indigena semplicemente erano qualcosa di cui neanche i sionisti socialisti dovevano tener conto. Mentre Syrikin s’immaginava l’emigrazione di quella popolazione per far posto agli ebrei, Borokhov semplicemente pensava che gli abitanti arabi della Palestina sarebbero scomparsi attraverso l’assimilazione agli ebrei economicamente e culturalmente più avanzati. Nelle previsioni di Borokhov vediamo la sintesi di concezioni sui popoli non-europei che erano al centro del pensiero colonialista, e una versione del marxismo assai simile al più crudo determinismo economico.

Negli anni che seguirono la pubblicazione dei suoi principali lavori teorici e programmatici, Borokhov avrebbe soltanto accennato alla popolazione indigena della Palestina. Nei suoi ultimi scritti egli occasionalmente usò il termine “arabi”, ma non abbandonò mai l’idea che non questi ultimi costituissero un’entità nazionale distinta, e che non avessero alcun diritto sulla Palestina. Nonostante alcune espressioni di riconoscimento per la resistenza ottomana all’invasione straniera nei primi anni della Prima guerra mondiale, egli e il suo movimento ricollegarono sempre all’antisemitismo ogni opposizione araba e ottomana al sionismo. Così nell’estate 1911 il terzo congresso mondiale dei Lavoratori di Sion, che riuniva partiti socialisti-sionisti di vari paesi, nella risoluzione finale affermò nell’estate 1911 che “vi sono state recentemente alcune manifestazioni di antisemitismo tra alcuni segmenti della comunità araba di Eretz Israel e anche in alcuni elementi della società turca, manifestazioni che causano conflitti e scontri e creano ostacoli politico-legali all’immigrazione e insediamento degli ebrei in Palestina”.

In questa risoluzione vi sono anche altri elementi centrali per la concezione sionista-laburista della Palestina e dei suoi abitanti. In primo luogo, proclamando il supporto di Poalei Zion all’integrità territoriale dell’impero ottomano e la sua solidarietà con le forze progressiste e democratiche di quell’impero, essa dichiarava anche che “le nostre aspirazioni viaggiano di pari passo con lo sviluppo delle forze produttive in Eretz Israel e con gli interessi della democrazia ottomana”. Questa formulazione rispecchia l’autorappresentazione del borokhovismo come applicazione fedele della necessità storica, un’immagine legata alla sua intepretazione meccanicistica del marxismo. Con lo sviluppo delle forze produttive il proletariato ebraico sarebbe cresciuto in ampiezza e forza, incrementando la propria lotta di classe che avrebbe contribuito anche a quella per la democrazia ottomana. Di qui il carattere benefico e necessario del sionismo borokhoviano. In questa concezione vi era ben poco spazio per le aspirazioni della popolazione arabo-palestinese, che come abbiamo visto era stata definita più o meno inesistente.

La risoluzione del 1911 conteneva anche quella che sarebbe divenuta la principale giustificazione addotta per difendere il sionismo laburista dalla critica che i diritti nazionali della maggioranza indigena erano violati. L’argomento consisteva nel fatto che il paese dovesse appartenere a coloro che lo avevano reso produttivo. Gli immigrati ebrei si erano insediati quando la Palestina era un luogo sterile, tramite il loro appassionato lavoro l’avevano resa fertile e produttiva, e questo atto di redenzione quasi sacro aveva loro conferito i diritti sul paese. Implicita in questa rappresentazione vi era un’accusa verso gli arabi, dipinti come se avessero abbandonato, ignorato e rovinato quel luogo, e dunque non ne avessero diritto.

Un’altra parte di questa risoluzione mostra un altro tema di grande rilevanza nella concezione sionista laburista delle relazioni con gli arabi palestinesi, in particolare con i proletari. Da un lato essa dipingeva l’opposizione araba al sionismo come puro e semplice antisemitismo, paragonando implicitamente i contadini palestinesi ai pogromisti russi o ucraini, esaltati dall’alcool, che gli ebrei dell’Europa orientale ben conoscevano. Dall’altro lato la risoluzione invitava alla riconciliazione e alla comprensione reciproca con “gli elementi popolari tra gli abitanti arabi di Eretz Israel”. Come vedremo, con questa formulazione si marcava la distinzione tra “elementi popolari” potenzialmente amichevoli della popolazione araba e altri presumibilmente ostili. La distinzione sionista laburista tra masse operaie arabe benevole (se arretrate) e un’elìte pericolosa (perché nazionalista e antisionista) avrebbe rafforzato non solo la convinzione di un’oggettiva propensione al sionismo dei lavoratori arabi ma anche un duraturo rifiuto dell’autenticità, della legittimità e del radicamento di massa del nazionalismo arabo-palestinese.

 

BEN-TZVI

Sebbene il periodo della Seconda Aliyah (1903 – 14) avesse visto alcuni episodi di conflitto arabo-ebraico, allora era ancora possibile per molti sionisti ignorare la questione delle relazioni tra arabi ed ebrei in Palestina, o considerarla un tema di marginale importanza. Pochi anni dopo tale atteggiamento divenne pressoché impossibile. La conquista della Palestina da parte inglese durante la Prima guerra mondiale, la crescita sotto la leadership hashemita di un movimento nazionalista arabo il cui obiettivo era la creazione di uno stato arabo indipendente che includesse la Palestina, la Dichiarazione Balfour del novembre 1917, l’istituzione del Mandato inglese, l’evidente sviluppo in Palestina di un’opposizione nazionalista araba organizzata al sionismo e al governo inglese – tutti questi elementi obbligarono il movimento sionista laburista ad affrontare la questione araba molto più seriamente e direttamente. L’urgenza del tema divenne ancor più chiara dopo lo scoppio di violenze arabe contro gli ebrei a Gerusalemme (1920) e Jaffa (1921).

Numerosi tentativi di venire a capo dei dilemmi teorici e pratici che l’autodeterminazione araba poneva al sionismo di sinistra furono compiuti durante i primi anni del Mandato. Questi tentativi includevano elementi della concezione sionista-socialista prebellica sviluppandoli in uno schema più coerente e sistematico anche rispetto alle esigenze politiche immediate. Uno dei più seri e autorevoli di tali tentativi fu il saggio del 1921 intitolato Il movimento arabo, di Yitzhak Ben-Tzvi (1884 – 1963). Questo saggio contiene molti degli elementi costitutivi della concezione sionista-laburista sugli arabi nei decenni a venire, e perciò merita un’attenta lettura.

Già dirigente di prestigio del partito socialista Poalei Zion prima della guerra, nel 1919 Yitzhak Ben-Tzvi fu uno dei fondatori di una nuova forza politica, Ahdut Haavoda (Unità del Lavoro). Subito dopo la guerra il movimento internazionale dei Lavoratori di Sion e le sue sezioni in Palestina si divisero sulla questione dell’adesione all’Internazionale Comunista o all’Organizzazione Sionista. Ahdut Haavoda era la sezione palestinese dell’ala destra di Poalei Zion, e rifutò l’adesione al Comintern preferendo continuare la collaborazione coi sionisti borghesi della WZO. Negli anni ’20 e oltre Ben-Tzvi svolse un ruolo centrale nel riciclare la sintesi borokhovista tra sionismo e marxismo nell’ideologia socialdemocratica alla base del MAPAI, il partito formato all’inizio del 1930 da Ahdut Haavoda insieme ad Hapoel Hatzair, suo rivale minore all’interno del movimento sionista laburista. Ben-Tzvi fu anche, sin dalla fondazione nel 1920, “capogruppo” sionista laburista nel Vaad Leumi (“Comitato Nazionale”), l’organo esecutivo dell’assemblea elettiva dell’Yishuv. Era inoltre un prolifico giornalista e un rispettato studioso. La sua esperienza nel movimento sionista laburista e la sua conoscenza della lingua araba, fatto raro tra i sionisti anche in Palestina, diede al suo saggio del 1921 sulla questione araba un peso rilevante.

Ben-Tzvi iniziava il suo saggio ammettendo che solo pochi anni prima l’oggetto della discussione era stato “nascosto”, mentre ora la stampa ebraica in Palestina e all’estero era piena di storie sensazionali su di esso e ognuno ne discuteva.

 

E se si giudica da questi resoconti sembra che vi sia un forte movimento arabo in Palestina rivolto contro di noi. E paragonandolo ad altri movimenti nazionali a noi noti presso altri popoli e paesi, sorgerà facilmente l’illusoria impressione che questo movimento arabo poggi su una solida base popolare, che sia nell’interesse delle masse proletarie arabe e che dunque possegga il carattere di un movimento per la liberazione e il progresso dell’uomo. E non solo, ma abbiamo già ebrei di “orientamento arabo”, così come ne abbiamo troppi con orientamenti polacchi, ucraini, russi etc. Costoro diffamano il movimento di liberazione nazionale ebraico, e il sionismo in genere, con la falsa accusa che esso esiste solo come agente dell’imperialismo europeo per soffocare il movimento di liberazione del popolo arabo, e che il suo scopo è sfruttare e schiavizzare le masse proletarie arabe[9].

 

Era necessario a questo punto dimostrare esplicitamente che non vi era contraddizione tra il sionismo e gli interessi obiettivi della popolazione indigena della Palestina. Uno o due decenni prima la questione aveva avuto un peso minore nella teoria e nella pratica sionista socialista; ora assumeva un ruolo centrale e Ben-Tzvi affermò non era corretto parlare di una singola nazione araba, data l’assenza di condizioni sociali, economiche e politiche per l’unità del popoli di lingua araba. Il nazionalismo arabo-palestinese essenzialmente non era un qualcosa di genuino. Le sue rivendicazioni – opposizione all’immigrazione ebraica, all’insediamento e alla Dichiarazione Balfour – erano del tutto negative, riflesso del fatto che non fosse un vero movimento popolare radicato nella masse proletarie arabe. Piuttosto, era una creazione artificiale destinata a fare gli interessi dei grandi proprietari terrieri arabo-palestinesi, degli speculatori finanziari e dei religiosi, che volevano perpetuare il loro dominio e sfruttamento sui contadini e operai arabi.  

Nell’analisi di Ben-Tzvi, fondata sul marxismo economicista che egli condivideva col suo amico e mentore Borokhov, erano gli interessi economici dell’elite terriera araba a generare l’ostilità al sionismo. I proprietari e i loro lacchè temevano che “gli immigrati arriveranno e si insedieranno e impediranno per sempre agli effendi[10] di impadronirsi dei terreni incolti per sfruttarli e speculare, mettendo così a repentaglio il futuro stesso di questa classe”. Costoro si opponevano al sionismo anche perché sapevano che l’immigrazione ebraica avrebbe minato il loro dominio sui contadini, che traevano beneficio dalla presenza degli ebrei e dalle opportunità di ricchezza e sviluppo che essi portavano. Ben-Tzvi ribadiva che il contadino arabo in Palestina

 

non subisce l’immigrazione ebraica, ma il dominio del suo effendi e lo sfruttamento da parte del cittadino di medesima razza e religione che fa da tramite tra lui e l’effendi…ha interesse per il nuovo regime[11] che gli assicura pace e sicurezza da ladri e banditi, specialmente dai beduini che compiono scorrerie dal deserto alle terre abitate devastandole senza sosta; il contadino ha interesse per un regime che eleva il livello culturale e garantisce giustizia e protezione dalle estorsioni. Il contadino ha anche interesse nell’espansione dello sviluppo industriale e nell’aumento del numero dei proletari, il che necessariamente deriva dall’immigrazione ebraica. Dunque il contadino non si oppone all’immigrazione…

 

Il sionismo dunque era considerato al servizio degli interessi – definiti in termini rigorosamente economici – della maggior parte della popolazione palestinese. Questo era un vecchio argomento, risalente a Herzl. Ma da quando fu innegabile l’esistenza di un movimento nazionalista palestinese dichiaratamente anti-sionista, Ben-Tzvi dovette ampliare il suo ragionamento, e rifiutò di legittimare l’antisionismo e il nazionalismo indigeni dipingendoli come strumenti, se non creazioni artificiose, di un’elite reazionaria ansiosa di preservare i suoi privilegi e averi. Questo era un argomento relativamente nuovo.

Ma le circostanze in cui Ben-Tzvi e il suo movimento agivano richiesero di allargare ulteriormente il discorso, riesumando un altro vecchio tema per riadattarlo in termini socialisti. L’opinione pubblica socialista e liberal-democratica cui Ben-Tzvi si rivolgeva tendeva ad accogliere il principio di autodeterminazione dei popoli. Un compito centrale per il sionismo era dunque risolvere l’apparente contraddizione tra il suo obiettivo di lungo termine – la creazione di una maggioranza ebraica e uno stato in Palestina – e il fatto che per il momento la stragrande maggioranza della popolazione palestinese fosse araba. Era necessario dimostrare che in questo contesto non vi era alcuna violazione del principio di autodeterminazione dei popoli.

Per fare ciò Ben-Tzvi sviluppò un elemento della concezione sionista già presente nelle allusioni di Herzl agli abitanti della Palestina come una “moltitudine mista”, e nell’ipotesi di Borokhov sull’assimilazione. Ben-Tzvi trasformò queste caratterizzazioni piuttosto grossolane in una coerente negazione dell’esistenza di un vero popolo palestinese. Solo i beduini erano di pura razza araba, affermò; la restante popolazione non-ebrea era costituita da contadini e cittadini che

 

sono arabi per lingua e cultura ma per origine e razza sono misti e composti di diversi elementi…Come dimostrato dalla composizione nazionale, religiosa e razziale, la popolazione di questo paese non ha un carattere nazionale e non costituisce un’unica nazione ostile alla nuova nazione nel paese, cioè Israele. Al contrario, questa popolazione è composta da gruppi religiosi e nazionali differenti ciascuno dei quali ha un carattere più o meno definito.

 

Usando dei criteri da lui definiti assolutamente oggettivi, Ben-Tzvi stabilì che gli abitanti della Palestina erano divisi in undici distinte comunità. La più grande di queste, i musulmani sunniti, comprendeva la maggioranza della popolazione del paese e un domani avrebbe forse potuto costituire un distinto gruppo nazionale, ma non allo stato attuale a causa delle divisioni razziali, economiche e di classe, e inoltre perché la nazionalità non era una categoria identitaria legittima per l’Islam. Gli altri settori della popolazione erano molto meno numerosi, e di essi solo i non musulmani erano da considerarsi possessori di caratteri nazionali.

La rappresentazione di Ben-Tzvi della popolazione indigena, oltre a eliminare le basi per un legittimo nazionalismo arabo-palestinese, aveva il vantaggio supplementare di sovrastimare il peso demografico e l’importanza politica dell’Yishuv. Al tempo in cui scriveva, gli ebrei costituivano circa il 10% della popolazione totale, ma nella rappresentazione di Ben-Tzvi venivano a costituire il secondo gruppo per numerosità, e il primo per coesione nazionale. Gli ebrei erano inoltre la comunità più attiva, energica e creativa del paese.

La conclusione di questa analisi era che “Non c’è ancora traccia di un movimento arabo unitario tra gli abitanti di Eretz Israel. Il movimento arabo che pretende di essere nazionale non è altro che il movimento di alcuni strati di possidenti di beni e terre, le famiglie abbienti del vecchio regime. Questo movimento è diretto non contro gli ebrei, ma piuttosto contro i lavoratori della propria stessa etnia e contro le altre etnie e comunità”. Quale doveva essere dunque l’atteggiamento della classe operaia ebraica nei confronti “non dell’odierno movimento arabo, che non è nazionale e non ha contenuto sociale, ma verso i vari elementi non ebraici che vivono a Sion?”. Ben-Tzvi riconosceva che in passato erano stati compiuti molti errori e che la questione non era stata affrontata con la dovuta attenzione, ma non offriva alcuna chiara soluzione. Concludeva in modo piuttosto vago:

 

Se prendiamo come punto di partenza gli interessi comuni dei lavoratori, e teniamo a mente gli interessi di prosperità, progresso e giustizia sociale del nostro paese, allora troveremo facilmente la  strada per risolvere la nostra questione nazionale, e con essa la questione delle relazioni interetniche dal punto vista della classe operaia di Eretz Israel. Quale forma concreta questa soluzione avrà, e quale sarà il programma pratico per raggiungere l’equilibrio nei rapporti tra la classe operaia ebraica e i lavoratori di altri popoli che vivono nel nostro paese – questo è oggetto di un’altra discussione, che va al di là dei limiti di questo studio.

 

 

 

 

 

NASCITA DELL’HISTADRUT

Negli anni ’20 la questione delle relazioni del movimento sionista laburista con la maggioranza arabo-palestinese, e specialmente con la sua classe operaia, divenne persistente e complessa, non solo dal punto di vista teorico ma anche come problema pratico. La cosa suscitò un ampio dibattito tra i vari partiti che si contendevano l’influenza sui lavoratori ebrei di Palestina, e fu all’ordine del giorno all’inizio di dicembre 1920 al congresso di fondazione di quella che sarebbe diventata la principale istituzione del movimento sionista laburista in Palestina, l’Histadrut.

Dopo la guerra i sionisti laburisti in Palestina avvertivano come urgente necessità la creazione di uno strumento organizzativo unitario al di sopra dei singoli partiti per dare maggior peso politico e sociale al movimento nell’Yishuv. Dopo lunghi negoziati nel novembre 1920 si tennero le elezioni per i delegati a un congresso dei lavoratori ebrei in Palestina. I votanti furono meno di 4.500 su una popolazione totale ebraica di 80.000 – un chiaro segno della debolezza del movimento operaio ebraico cui la creazione del nuovo organismo doveva rimediare[12]. Ahdut Haavoda fu l’organizzazione più forte rappresentata al congresso che si riunì ad Haifa dopo le elezioni, e pur non avendo la maggioranza assoluta controllò largamente i lavori in collaborazione con Hapoel Hatzair.

Questi due partiti sionisti laburisti consideravano la nuova Histadrut non come una federazione sindacale sul modello europeo, ma piuttosto come uno strumento per favorire l’insediamento dei lavoratori ebrei in Palestina e la costituzione di un “benessere comune” (commonwealth) ebraico. Questo implicava ovviamente che l’Histadrut fosse un’organizzazione esclusivamente ebraica e non aperta a tutti i lavoratori presenti in Palestina. Di qui l’aggettivo posto accanto al termine “lavoratori” nel nome ufficiale: Organizzazione Generale dei Lavoratori Ebrei della Terra di Israele.

Questa concezione sulla struttura dell’Histadrut fu contrastata al congresso fondativo da un piccolo ma battagliero gruppo del Partito Socialista dei Lavoratori (SWP), che insisteva anche sulla necessità di affrontare la questione delle relazioni coi lavoratori arabi. L’SWP si era formato nell’autunno del 1919 come ala sinistra del movimento dei Lavoratori di Sion (Poalei Zion), mentre Ahdut Haavoda ne rappresentava l’ala destra. All’epoca era ancora possibile per i leader e attivisti dell’SWP insistere sul fatto che non vi fosse contraddizione tra il supporto alla rivoluzione bolscevica e al Comintern da un lato e l’impegno a costruire una patria ebraica in Palestina dall’altro. Il SWP denunciava Ahdut Haavoda per la rinuncia alla lotta di classe, i legami con la risorta Seconda Internazionale, la cooperazione con l’imperialismo inglese, l’alleanza con la borghesia ebraica, il tutto provato dall’adesione all’Organizzazione Sionista Mondiale. Il SWP si considerava un’alternativa rivoluzionaria ma anche ebraica ad Ahdut Haavoda, una posizione che si potrebbe definire “bolscevico-sionista”. Questa posizione sarebbe divenuta insostenibile, e in capo a un anno il SWP si divise in fazioni rivali[13]. Ma nel particolare periodo 1919 – 21, quando la rivoluzione socialista mondiale sembrava imminente, queste contraddizioni sembravano sanabili. Alcuni membri del partito immaginavano una marcia trionfale dell’Armata Rossa fino in Palestina per liberarla dall’imperialismo inglese e trasformarla in una repubblica sovietica ebraica.

Nel periodo prima e durante la fondazione dell’Histadrut, la posizione del SWP attirò significativo supporto dai lavoratori ebrei in Palestina, specialmente dai nuovi arrivati dall’Europa orientale tra i quali l’impatto galvanizzante della rivoluzione bolscevica era molto forte. L’opposizione a quanto era vissuto da molti come un atteggiamento dominante e centralizzatore da parte di Ahdut Havoda, recava loro molta simpatia.

La lotta per l’influenza sul proletariato ebraico avveniva anche nel campo culturale, sulla questione della lingua. L’yiddish era la lingua madre delle masse ebraiche dell’Europa orientale, e molti nuovi immigrati in Palestina rimanevano attaccati ad essa anche se iniziavano ad usare l’ebraico. Gli attivisti del SWP usavano orgogliosamente l’yiddish nella propaganda e agitazione scritta e orale. Invece Ahdut Haavoda vedeva l’yiddish come il linguaggio della vituperata Diaspora, e cercò di fare sì che venisse parlato solo l’ebraico, la cui prevalenza nell’Yishuv era ritenuta essenziale per il progetto sionista di edificazione di una nuova società ebraica. Coloro che parlavano yiddish erano sovente zittiti nei meeting pubblici. Tuttavia nei primissimi anni ’20 la linea “solo lingua ebraica” impedì i tentativi di Ahdut Haavoda di collegarsi a molti nuovi immigrati ebrei, favorendo indirettamente il SWP.

Nei dibattiti al congresso fondativo dell’Histadrut, i delegati del SWP criticarono la linea di Ahdut Haavoda e Hapoel Hatzair per cui la nuova organizzazione dovesse essere esplicitamente sionista e aperta esclusivamente ai lavoratori ebrei. Essi invece proposero che fossero istituite due organizzazioni: “una federazione sindacale non partitica di tutti i lavoratori di Eretz Israel, senza limitazioni dovute alla nazionalità o alle opinioni politiche” e “un’organizzazione di insediamento di tutti i lavoratori ebrei impegnati nella costruzione di un centro socialista ebraico in Eretz Israel”. A completare questi due enti occorreva “un consiglio operaio interetnico come organo politico dell’intera classe operaia del paese, per tenere le redini del governo” – ovvero un soviet. Il SWP non rifiutava l’immigrazione e l’insediamento, ma voleva che questi obiettivi fossero perseguiti da un’organismo apposito di lavoratori ebrei, mentre la lotta di classe sarebbe stata condotta da un’organizzazione congiunta arabo-ebraica, seppure in sezioni etnicamente separate.

La proposta del SWP ricevette un sostegno molto limitato. Lo statuto della neonata Histadrut non faceva menzione esplicita dei lavoratori arabi, e venne varata una risoluzione che diceva che l’Histadrut avrebbe “unito tutti i lavoratori del paese che vivono del proprio lavoro senza sfruttare il lavoro altrui, per provvedere all’insediamento, ai problemi economici e anche culturali di tutti i lavoratori del paese, per costruire una società del lavoro ebraico in Eretz Israel”. Va da sé che “tutti i lavoratori del paese” di fatto significava solo i lavoratori ebrei.

 

BEN-GURION

            David Ben-Gurion (1886 – 1973) era emigrato dalla Russia alla Palestina nel 1906, e presto emerse come figura leader in Poalei Zion prima della guerra e poi nel suo partito successore, Ahdut Haavoda. Egli quando fu creata l’Histadrut era all’estero per conto del suo partito, ma al suo ritorno alla fine del 1921 fu eletto segretario dell’organizzazione, e come tale si impose come principale esponente del movimento sionista-laburista. Sotto la sua guida l’Histadrut divenne un organismo molto forte e centralizzato, e fu la base di partenza che avrebbe consentito al partito politico fondato nel 1930 da Ben Gurion, il MAPAI, di conquistare l’egemonia nell’Yishuv e nel movimento sionista mondiale. Come presidente dell’esecutivo dell’Agenzia Ebraica, Ben-Gurion di fatto fu il leader dell’Yishuv dal 1935 al 1948, e poi primo ministro di Israele dal 1948 al 1953 e dal 1955 al 1963. Egli possedeva una tremenda forza di volontà, un’abilità organizzativa di prim’ordine, e una grande capacità di combinare la duttilità tattica con l’incrollabile determinazione nel perseguire gli obiettivi a lungo termine del sionismo. I suoi critici di destra e di sinistra lo descrissero come prepotente, moralista e testardo, ma queste caratteristiche spesso ne rafforzarono le doti di leader anziché danneggiarlo.

Ben-Gurion mise a punto le sue tesi sulle relazioni tra lavoratori arabi ed ebrei nell’agosto 1921, in un indirizzo all’imminente congresso di Ahdut Haavoda. Iniziò affermando che la base di queste relazioni doveva essere “un lavoro economico, politico e culturale congiunto, che è il prerequisito necessario per la nostra redenzione come proletariato libero e per l’emancipazione del proletariato arabo dalla schiavitù dei suoi oppressori, i grandi proprietari di terre e di ricchezza”. Era “il proletario ebreo cosciente e istruito, la cui missione storica è la costruzione di una libera comunità di produttori in Eretz Israel, che deve guidare il movimento di liberazione e rinascita dei popoli del Vicino Oriente” e “educare il proletario arabo a vivere una vita di lavoro, disciplina e mutua responsabilità”.

Partendo da queste premesse, che suggerivano una sorta di missione civilizzatrice nei confronti dei lavoratori arabi, Ben-Gurion propose che “in tutte le aziende che impiegano lavoratori arabi ed ebrei (come le ferrovie, la lavorazione dei metalli e così via) i sindacati ebraici dovrebbero organizzare i lavoratori arabi in sindacati legati ai sindacati ebraici. I sindacati uniti prederanno iniziative per migliorare le condizioni di lavoro e per approntare attività culturali e assistenza sanitaria per i lavoratori arabi”. Egli suggeriva anche che l’Histadrut impiegasse lavoratori arabi al pari degli ebrei per ottenere appalti dal governo mandatario, e proponeva la creazione di circoli operai che organizzassero conferenze, attività sociali, e lezioni di arabo ed ebraico. I kibbutz avrebbero dovuto stabilire contatti coi villaggi arabi per l’assistenza reciproca, inclusa la protezione dai “banditi[14].

Ben-Gurion e i suoi seguaci erano spinti a queste proposte soprattutto avendo constatato le spinte alla cooperazione arabo-ebraica nel settore dei ferrovieri. Ma la questione era emersa anche in altri settori. Per esempio, nel 1921 la neonata unione dei carpentieri ebrei di Jaffa e Tel Aviv aveva cercato senza successo di contattare i falegnami arabi, molti dei quali erano impiegati in piccole botteghe e per i bassi salari erano visti dagli ebrei come concorrenti. Nello stesso anno nelle fornerie e pasticcerie di proprietà ebraica di Jaffa e Tel Aviv si trovò terreno più fertile: i lavoratori arabi collaborarono coi lavoratori ebrei quando questi ultimi formarono un sindacato (i fornai arabi delle fornerie arabe invece rimasero inattivi). Alcuni fornai ebrei “radicali” nel 1922 arrivarono a dichiarare il loro sindacato “internazionale”, ovvero aperto ad arabi ed ebrei, e iscrissero alcuni membri arabi. La direzione dell’Histadrut si affrettò a far annullare questo atto di insubordinazione.

Per Ben-Gurion, la linea del sionismo laburista sull’organizzazione congiunta era largamente definita dalla concreta situazione economica dei lavoratori ebrei in Palestina. Nel gennaio 1922 egli affermò al consiglio dell’Histadrut:

 

Fino a pochi anni fa l’attività del proletario ebreo nel paese era quasi esclusivamente limitata a una difficile e disperata lotta per il diritto a lavorare nelle poche imprese della comunità ebraica. Senza saperlo e senza volerlo il lavoratore arabo, a causa del suo stato degradato, dei suoi bisogni limitati, della sua cultura primitiva, ostacolava la possibilità di esistenza del lavoratore ebreo nella stessa sfera del lavoro salariato…Ora le condizioni sono mutate. Ora il lavoratore ebreo e il lavoratore arabo lavorano insieme nelle imprese del governo mandatario, ovvero in tutto il paese, e alla pari. Ma le caratteristiche di questa “uguaglianza” sono ora determinate dal lavoratore con cultura e bisogni più limitati; le paghe e le condizioni di lavoro sono determinate in base alle esigenze del lavoratore arabo, una situazione negativa per il lavoratore ebreo. Il miglioramento delle condizioni di lavoro degli ebrei in queste imprese non può essere immaginato senza la partecipazione attiva dei lavoratori arabi. E la creazione di una forte organizzazione di classe di arabi ed ebrei è la condizione necessaria per la sopravvivenza del lavoratore istruito in queste occupazioni.

 

            Ben-Gurion concluse che “la creazione di un singolo fronte comune di tutti i lavoratori del paese per soddisfare i propri interessi è diritto e dovere dei pionieri della cultura laburista in Palestina – è la missione dei lavoratori ebrei. Non una missione metafisica o teologica, ma una missione che deriva ed è condizionata dalla nostra situazione di vita e di lavoro in Palestina[15].

            Mentre insisteva sul fatto che la cooperazione fosse vitale per i lavoratori arabi ed ebrei, Ben-Gurion fu anche inflessibile nell’affermare che ciascun proletariato aveva propri obiettivi specifici che richiedevano un certo grado di separazione organizzativa. In un discorso a un’assemblea del sindacato dei ferrovieri nel 1924, egli affermò che

 

L’unità tra lavoratori di differenti nazioni può esistere solo sulla base della libertà e uguaglianza delle nazioni. Per i lavoratori ci sono ambiti di interesse comune nei quali non vi è differenza tra ebreo e arabo, o tra inglese e francese. Sono le cose che riguardano il lavoro: orari, salari, rapporti col padrone, tutela dagli infortuni, diritto a organizzarsi eccetera. In tutti questi ambiti noi lavoriamo insieme. E vi sono interessi che sono specifici dei lavoratori di ogni nazione, interessi specifici ma non contraddittori che riguardano la cultura, la lingua, la libertà del popolo etc. In tutti questi ambiti ci deve essere la completa autonomia e uguaglianza per i lavoratori di ciascuna nazione[16].

 

Nello schema di Ben-Gurion e del suo partito, sindacati separati in luoghi di lavoro misti, o almeno sezioni nazionali autonome all’interno di sindacati unitari, erano necessarie per assicurare il perseguimento dei bisogni specifici dei lavoratori ebrei e arabi. La versione di organizzazione congiunta da loro concepita avrebbe permesso ai lavoratori ebrei impiegati in luoghi di lavoro misti di migliorare la loro situazione attraverso la cooperazione coi colleghi arabi mantenendo il carattere esclusivamente ebraico dell’Histadrut e dei suoi sindacati, che avrebbero potuto quindi condurre i loro obiettivi sionisti (“nazionali”), inclusa la lotta per il lavoro ebraico. Su questa base Ahdut Haavoda insisteva affinchè i lavoratori arabi non fossero ammessi a far parte dell’Histadrut.

Questa concezione aveva anche un’importante dimensione politica. Con la rappresentazione del proletariato araba che vi era sostenuta, poteva essere letta come una risposta all’emergere in Palestina di un battagliero movimento nazionalista arabo che chiedeva la cessazione dell’immigrazione ebraica e dell’acquisizione delle terre, la fine del mandato inglese e l’indipendenza della Palestina come stato arabo. Nelle varie formulazioni di Ben-Gurion e del suo partito a metà degli anni ’20 si può evincere lo sforzo di ridefinire con il linguaggio della solidarietà di classe il rifiuto sionista della autenticità e legittimazione del nazionalismo arabo-palestinese, con i lavoratori arabi curiosamente eletti a potenziali decisivi alleati del sionismo.

Ben-Gurion sviluppò queste argomentazioni affermando che il vero conflitto in Palestina non era tra la maggioranza araba e il progetto sionista, come sostenuto dal nazionalismo arabo-palestinese, ma piuttosto tra i lavoratori arabi e i loro oppressori arabi. Al falso nazionalismo arabo propagandato da quegli oppressori, Ben-Gurion contrapponeva un’alleanza di classe tra lavoratori arabi ed ebrei fondata sui loro interessi economici comuni. Questa alleanza secondo Ben-Gurion avrebbe giovato agli interessi di entrambi i proletariati. I lavoratori ebrei, più avanzati, avrebbero aiutato i loro fratelli arabi schiavizzati e ignoranti a liberarsi dai loro veri nemici, i loro compatrioti oppressori. In questa dinamica gli arabi si sarebbero innalzati e trasformati in veri proletari, e avrebbero colto il carattere benefico e progressista del progetto sionista. Allo stesso tempo, la solidarietà di classe arabo-ebraica (limitata ad alcuni ambiti) avrebbe permesso di raggiungere l’obiettivo sionista della redenzione nazionale ebraica. A metà degli anni ’20 Ben-Gurion sosteneva che senza una tale alleanza tra lavoratori arabi ed ebrei, il sionismo non avrebbe potuto avere successo.

 

NASCITA DELLA PLL

La più conseguente traduzione pratica della linea di Ben-Gurion avvenne nel 1932, quando per coordinare i lavoratori arabi sotto la propria direzione l'Histadrut creò un’organizzazione chiamata in ebraico "Lega dei lavoratori della Terra di Israele", e in arabo "Unione dei Lavoratori di Palestina". Il nome ufficiale inglese era Palestine Labor League (PLL). Lo statuto della PLL fu approvato dall'Histadrut e ratificato dal comitato esecutivo nel maggio 1932[17].

Con la creazione della PLL la dirigenza dell'Histadrut pose fine alla possibilità che ai lavoratori arabi fosse permesso di diventare membri a pieno titolo di un'Histadrut rinnovata in senso non-sionista, come chiedeva Poalei Zion Smol. Questa svolta rendeva altresì irrilevante anche l'appello all'unità arabo-ebraica lanciato dall’altra organizzazione collocata all’estrema sinistra dello schieramento sionista, Hashomer Hatzair.

Per il restante periodo mandatario la PLL (ribattezzata Israel Labor League dopo il 1948) fu l'organizzazione cui erano indirizzati i lavoratori arabi organizzati sotto la tutela dell'Histadrut. Fu diretta esclusivamente da funzionari ebrei dell'Histadrut, il suo budget proveniva dall'Histadrut e da altre fonti sioniste, e dipendeva esclusivamente dalle indicazioni dell'Histadrut - quindi del MAPAI - per tutte le questioni.

Per il lavoro quotidiano di reclutamento fu ingaggiato un nuovo organizzatore a tempo pieno, Eliyahu Agassi, che per più di quattro decenni avrebbe svolto un importante ruolo nell'attività araba dell'Histadrut. Agassi era nato a Baghdad nel 1909 e aveva seguito la famiglia in Palestina nel 1928. Dopo il diploma alla prestigiosa scuola secondaria di Herzliya, dove si unì al movimento giovanile sionista laburista, si iscrisse all'Università Ebraica di Gerusalemme. Per gli scopi dell’Histadrut Agassi era l'uomo ideale: era ebreo, fedele al MAPAI, parlava bene sia l'arabo che l'inglese, aveva una buona cultura araba e mostrò subito dedizione al suo compito di organizzare i lavoratori arabi, sia per convinzioni socialiste che per ottemperanza agli obiettivi del sionismo. Come molti suoi colleghi dell'Histadrut, che però erano per di più di origine est europea, era gentile, forbito e di buone maniere, e rispettato anche dagli arabi. Queste qualità gli permisero di ingraziarsi molti degli arabi coi quali veniva in contatto, anche coloro che erano estremamente contrari agli scopi della sua attività politica.

 

 

 

1

 

LA GRANDE RIVOLTA ARABA  

E IL SIONISMO LABURISTA

(1936 – 39)

 

 

 Il 15 aprile 1936 membri della brigata guerrigliera fondata dallo sceicco Ezzedin al-Qassam fermarono degli autobus nei pressi di Nablus, uccidendo due passeggeri ebrei. Due giorni dopo un gruppo paramilitare ebraico di destra si vendicò uccidendo due arabi. Le proteste arabe presto dilagarono in tutto il paese, assumendo gradualmente la forma di una grande rivolta popolare anticoloniale e antisionista. Per contenere la violenza e sviluppare la rivolta dal basso, gli attivisti nazionalisti arabi lanciarono uno sciopero generale. Lo sciopero si diffuse rapidamente, così come nacquero nuovi “comitati nazionali” per portare avanti la lotta nelle grandi città. Colte di sorpresa, le elites politiche tentarono di cavalcare l’onda popolare appoggiando lo sciopero e formando un Alto Comitato Arabo (AHC), con tutti i maggiori partiti presenti, e Amin al-Husseini come presidente. 

Lo sciopero sarebbe andato avanti per sei mesi, fino all’ottobre 1936, diventando uno degli scioperi generali più lunghi della storia. Esso fu il primo stadio di una rivolta nazionalista araba contro gli inglesi e contro i sionisti, che sarebbe terminata solo nell’estate 1939. Lo sciopero fu accompagnato da numerosi attacchi agli ebrei e alle proprietà ebraiche, condotti per lo più dai numerosi gruppi guerriglieri che nacquero nei villaggi di tutto il paese durante la primavera e l’estate del 1936 e diedero alla rivolta un carattere sempre più violentemente e apertamente insurrezionale.

Molti settori della popolazione palestinese urbana parteciparono allo sciopero generale, e i lavoratori ebbero un ruolo centrale. Il sindacato degli autisti di Hasan Sidqi al-Dajani paralizzò i trasporti arabi, e i portuali di Jaffa bloccarono le banchine. Per sostenere le sciopero i comitati nazionali raccolsero donazioni dai palestinesi abbienti e dai simpatizzanti dei paesi vicini, e crearono casse di resistenza per sostenere i lavoratori in sciopero, inclusi i portuali di Jaffa. A parte Jaffa, che era un caso particolare, lo sciopero generale distrusse gran parte di ciò che restava dell’influenza della PLL e le rese impossibile l’attività pubblica tra i lavoratori arabi. E’ da notare che gli stivatori e i chiattaioli di Jaffa, che alla fine del 1934 avevano collaborato con la PLL e la cui organizzazione sembrava stesse per mettere il porto di Jaffa sotto il controllo dell’Histadrut, erano ora in prima linea nello sciopero generale. I sindacati arabi che prima avevano cooperato coi laburisti ebrei aderirono rapidamente alla causa nazionalista. L’adunata del 1 maggio 1936 organizzata dalla PAWS ad Haifa e composta per la gran parte da ferrovieri inviò un messaggio all’Alto Comissario denunciando il governo per aver tollerato “la giudaizzazione di questo paese arabo, che priva il lavoratore del suo lavoro e il contadino della sua terra”. Il messaggio dichiarava poi che la propaganda sionista sulla cooperazione tra lavoratori arabi ed ebrei era “una sfacciata bugia, di cui noi siamo innocenti[18].

 

LO SCIOPERO GENERALE E IL LAVORO EBRAICO

Nonostante il successo in molte parti del paese, lo sciopero generale non fu mai totale, e l’incapacità del movimento nazionalista di renderlo tale ne minò l’efficacia. Questo fallimento può essere attribuito in parte a specifici fattori locali, come la posizione filo-inglese e filo-sionista del sindaco di Haifa Hassan Shoukri e dei suoi alleati locali, che si opposero allo sciopero, e poi alle profonde e a volte violente divisioni all’interno della leadership araba. Ma a un certo livello almeno esso è anche attribuibile agli anni di paziente e continuo lavoro che l’Histadrut aveva svolto per mettere i lavoratori ebrei in settori economicamente e politicamente importanti che prima erano appannaggio soltanto degli arabi, un progetto al quale certamente contribuì la PLL cercando di organizzare i lavoratori arabi di quei settori negli anni 1932 – 35. Le posizioni acquisite dall’Histadrut in questi settori favorirono molto le autorità inglesi nell’impedire ai nazionalisti arabi di estendere lo sciopero generale e di paralizzare completamente l’economia del paese. Nello stesso tempo l’intervento della forza militare e poliziesca inglese rese possibile per l’Histadrut rafforzare alcune di queste posizioni trasformandole in solidi bastioni del lavoro ebraico.

Gli avvenimenti al porto di Haifa forniscono l’esempio migliore. Il comitato nazionale locale e la leadership araba nazionalista al completo volevano assolutamente bloccare il più grande porto della Palestina. Circa 100 dei 250 portuali scioperarono alla fine di aprile ma diversamente da Jaffa, dove tutti i portuali avevano rapidamente aderito allo sciopero, la gran parte degli appaltatori e dei portuali di Haifa rimasero al lavoro, nonostante l’offerta di casse di resistenza e le intense pressioni del comitato nazionale. Amin al-Husseini e altri leader nazionalisti vennero più volte ad Haifa e provarono a persuadere Abdallah Abu Zayid, l’appaltatore che aveva più dipendenti, a bloccare le banchine. Ma Abu Zayid sosteneva che la situazione ad Haifa era molto diversa rispetto a Jaffa. In quest’ultima città tutti i portuali erano arabi, mentre al porto di Haifa circa 200 ebrei lavoravano tramite gli appaltatori. I portuali che avevano interrotto il lavoro in aprile erano stati rapidamente rimpiazzati da ebrei e uomini provenienti dall’Hawran[19], e i portuali che non scioperavano erano alloggiati nel porto stesso sotto stretta sorveglianza. Se i suoi lavoratori avessero scioperato, diceva Abu Zayid, immediatamente i loro posti sarebbero stati presi dai lavoratori ebrei già impiegati, da altri ebrei in aggiunta e dagli immigrati provenienti dall’Hawran, e così il porto di Haifa sarebbe stato definitivamente perduto per gli arabi di Palestina. Questa comunque non era la sola motivazione a disposizione di Abu Zayid: egli aveva legami di lunga data con ebrei, specialmente funzionari locali dell’Histadrut, e ci sono indizi che l’Agenzia Ebraica abbia sborsato considerevoli somme a lui e ad altri per tenere aperto il porto di Haifa[20].

In agosto, dopo una lunga serie di pressioni e minacce, alcuni dei lavoratori arabi del porto di Haifa scesero finalmente in sciopero, insieme a lavoratori delle Ferrovie Palestinesi, dell’Iraq Petroleum Company, della Shell, del comune e del dipartimento dei lavori pubblici. Abu Zayid fuggì in Libano per sottrarsi alle minacce di morte dei nazionalisti. Decisi a impedire che queste importantissime imprese venissero bloccate, le autorità inglesi inviarono prontamente contingenti militari per proteggere i crumiri al porto e negli altri siti interessati, e impiegarono gli ingegneri della Marina per far funzionare i treni. Il consiglio operaio di Haifa collaborò mobilitando membri dei kibbutz e altri per sostituire i portuali arabi in sciopero, mentre la PLL di Agassi fece la sua parte approntando un gruppo di crumiri arabi tra i suoi membri e contatti. Questo atto di forza combinato delle autorità inglesi e dell’Histadrut mantenne in funzione il porto e le ferrovie di Haifa, e il timore degli scioperanti di perdere definitivamente il lavoro a vantaggio degli ebrei li spinse a tornare quasi tutti al lavoro dopo dieci giorni. Né il porto né altri importanti siti lavorativi di Haifa subirono altri blocchi per tutta la durata della rivolta.

Questa congiuntura senza precedenti permise all’Histadrut di raggiungere altri obiettivi di lungo periodo. Ad esempio alla fine del 1936 l’Agenzia Ebraica persuase le autorità del porto di Haifa ad assumere gli ebrei direttamente anziché attraverso gli appaltatori com’era avvenuto fino ad allora, emarginando così i lavoratori arabi e rafforzando il lavoro ebraico. Nel 1933 alcuni leader del MAPAI avevano espresso il timore che Abba Hushi, funzionario dell’Histadrut e allo segretario del consiglio operaio di Haifa, stesse spendendo troppo tempo ed energie nell’organizzare i lavoratori arabi: “Egli dovrebbe ricordarsi – lo ammonirono – di essere il segretario del consiglio dei lavoratori ebrei di Haifa”. Dal momento che i successi dell’Histadrut nel 1936 furono dovuti alla dedizione di Hushi sia al lavoro ebraico che ai lavoratori arabi, sembra i timori del 1933 fossero infondati.

Prima della rivolta, il governo mandatario in Palestina era stato per lo più insensibile o anche ostile all’aggressiva campagna dell’Histadrut per il lavoro ebraico, per paura che essa avrebbe minato le relazioni arabo-ebraiche e l’ordine pubblico, rafforzato il movimento sionista e gravato sulle casse governative a causa dell’aumento dei salari e del valore dei contratti di lavoro. Ora però la rivolta araba aveva creato delle circostanze in cui il governo aveva forte interesse a sostenere la linea dell’Histadrut per il lavoro ebraico, per tenere in funzione le aziende più importanti e indebolire la sollevazione nazionalista. Ad Haifa il governo inglese e il movimento sionista videro una chiara convergenza di interessi nel sabotare lo sciopero di agosto, e vi riuscirono combinando forza militare (gli inglesi) e gruppi di crumiri fortemente motivati (sostenuti dall’Histadrut).

Anche alla cava di Nesher lo sciopero generale e l’interesse del governo nel bloccarlo rese possibile la realizzazione di uno dei sogni dell’Histadrut: l’introduzione di lavoratori ebrei. Nel marzo 1936 i cavatori di Nesher, rappresentati esclusivamente dalla PAWS, avevano concluso l’ultimo di una serie di infruttuosi scioperi contro il concessionario, quello stesso Musbah al-Shaqifi che negli anni precedenti aveva ripetutamente siglato e poi rotto gli accordi. Quando iniziò lo sciopero generale in aprile, Shafiqi fu spinto a fuggire in Libano dalle minacce di morte dei nazionalisti. I cavatori si unirono allo sciopero e i villaggi dei dintorni divennero focolai di attività nazionalista. Le autorità inglesi e il movimento sionista avevano interessi comune nel bloccare lo sciopero; come disse Moshe Shertok, capo del dipartimento politico dell’Agenzia Ebraica, se lo sciopero alla cava fosse andato avanti fino a bloccare, per mancanza di materia prima, la fabbrica di cemento da essa rifornita “i leader arabi sarebbero nella condizione di affermare di essere riusciti a bloccare la più grande fabbrica ebraica, e ciò rafforzerebbe il loro status di fronte all’opinione pubblica[21]. I direttori della cava alla fine si convinsero che la produzione e la disciplina potevano essere ristabiliti solo se almeno una parte del lavoro fosse andato agli ebrei, e quindi accolsero le richieste dell’Histadrut cancellando la concessione di al-Shafiqi e trasferendola all’Ufficio Contrattazioni dell’Histadrut, diretto da David Hacohen.

Hacohen e soci temevano che i cavatori arabi si sarebbero opposti violentemente all’impiego di ebrei. Perciò pianificarono le loro mosse in stretta coordinazione con gli inglesi. Hacohen parlò anche con Sami Taha, segretario della PAWS, che rappresentava la maggior parte dei cavatori. Taha aveva intenzione di cooperare con Hacohen, apparentemente perché voleva mantenere qualche impiego per i suoi iscritti, e forse anche perché nel movimento nazionalista faceva parte della fazione anti-Husseini. Il 4 maggio 1936 Hacohen, accompagnato da Taha e da funzionari di polizia, condusse alla cava una cinquantina di lavoratori ebrei, membri del vicino kibbutz Yagur. Dopo aver ricevuto da Hacohen l’assicurazione che i loro impieghi erano al sicuro e i loro compensi sarebbero aumentati, i lavoratori arabi accettarono l’ingresso degli ebrei senza opporre resistenza. L’influenza della PAWS nella cava fu presto eliminata e i lavoratori arabi confluirono nella PLL. I lavoratori ebrei furono contrariati per questo, poiché temevano che la semplice iscrizione alla PLL avrebbe permesso agli arabi di occupare impieghi che potevano far gola agli ebrei. Negli anni successivi, nei quali la cava sviluppò metodi di produzione più intensiva (più macchinari, un sistema di quote, il lavoro a cottimo), la forza lavoro si ridusse e divenne più ebraica: nel 1939 essa contava 60 ebrei e 50 arabi, con i primi pagati 37 piastre al giorno e i secondi 16 piastre. La fabbrica e la cava di Nesher furono vendute a una nuova compagnia posseduta congiuntamente dall’Histadrut e da un gruppo di imprenditori ebrei del cemento[22].

La rivolta permise anche all’Histadrut di avere successo nella sua lotta per imporre il lavoro ebraico alla cava di Majdal Yaba, dove precedenti tentativi nel 1934 e poi nell’aprile 1936 erano stati respinti dalla vigorosa resistenza dei lavoratori arabi. Come al porto di Haifa e a Nesher, fu il supporto ufficiale britannico che questa volta fece la differenza. Alla fine del 1936, su pressione dell’Histadrut, tutti i lavoratori arabi a Majdal Yaba furono licenziati e subentrarono dei lavoratori ebrei. Come avevano fatto altre due volte, i lavoratori arabi licenziati diedero luogo a una forte protesta, ma questa volta le autorità britanniche si schierarono direttamente dalla parte dell’Histadrut e un ampio contingente di polizia e numerosi arresti spezzarono la resistenza araba. Questa sconfitta, che cosò circa 400 posti di lavoro, lasciò molta amarezza. “Non c’è da stupirsi – scrisse un cronista arabo l’anno successivo – se gli abitanti dei villaggi vicini parteciparono al deragliamento di un treno vicino alla stazione di Ras-el-Ain il 14 ottobre 1937…venivano da…villaggi che avevano toccato con mano quel che i sionisti intendono per “conquista del lavoro[23].

Il successo dell’Histadrut a Majdal Yaba fu solo temporaneo: durante la guerra i lavoratori ebrei andarono in cerca di lavori migliori altrove e alla fine della guerra la forza lavoro alla cava era di nuovo almeno parzialmente araba, il che determinò un nuovo tentativo di imporre lavoro ebraico nel 1947.

Qualcosa si simile accadde nelle piantagioni di agrumi dei moshavot[24]. Durante lo sciopero quasi tutti i lavoratori arabi si astennero dal lavoro e i loro posti furono presi dai lavoratori ebrei mobilitati dall’Histadrut. Una volta terminato lo sciopero, tuttavia, i lavoratori arabi rientrarono e recuperarono molto del terreno perduto. La marea montò di nuovo nell’estate e autunno 1938, quando la rivolta giunse al massimo livello e i lavoratori ebrei di nuovo occuparono i posti di lavoro nelle piantagioni di proprietà ebraica. Ma quando la rivolta fu soppressa nel 1939, e specialmente dopo che con l’inizio della guerra si erano creati posti di lavoro altrove, gli ebrei abbandonarono in massa i moshavot e i lavoratori arabi ripresero i loro posti nella produzione ebraica di agrumi. Poi la questione restò in sospeso fino al 1948, dopodiché la fuga o l’espulsione della maggior parte degli arabi che vivevano nella parte di Palestina che divenne Israele “risolse” il problema. Quella soluzione si dimostrò a sua volta provvisoria: dopo il 1967 la forza lavoro nelle piantagioni di agrumi israeliane sarebbe stata largamente composta da lavoratori palestinesi di Gaza.

Per acquisire credito presso le autorità inglesi e assicurare più lavoro agli ebrei, i leader sionisti fecero del loro meglio per sottolineare il ruolo avuto dai lavoratori ebrei nell’indebolire lo sciopero generale. Nella sua testimonianza del dicembre 1936 davanti alla commissione istituita per indagare sulle cause dei “disordini” in Palestina e guidata da lord Peel, Moshe Shertok affermò che

 

Questo è un paese con due razze ed è molto importante rendere i servizi pubblici immuni dalle agitazioni razziali (Interruzione di un membro della commissione: “Immuni contro il virus, si può dire?”). Sì, contro i disservizi nel caso di agitazioni razziali, e a questo riguardo l’esperienza degli ultimi disordini, disordini causati da uno sciopero razziale, ci hanno fornito una buona lezione. Abbiamo rilevato che quando il servizio era esclusivamente in mani arabe, come al porto di Jaffa, è stato paralizzato completamente, e ciò ha contribuito all’estendersi dello sciopero e dei disordini, che si sono rafforzati l’un l’altro. Dove vi erano gli ebrei il servizio è rimasto attivo e noi sottolineiamo che è fondamentale che la composizione razziale della popolazione sia rappresentata nel personale dei servizi pubblici in questo paese[25].

 

Per fare un esempio, Shertok disse alla commissione che quando in agosto era scoppiato lo sciopero al porto di Haifa, “il lavoro ebraico continuò e lo sciopero fu stroncato sul nascere, poiché il lavoro ebraico fu in grado di garantire gli alleggi e gli stivaggi. Erano là e lo poterono fare. A Jaffa non c’erano, e non lo poterono fare[26].

 

LA PLL DURANTE LA RIVOLTA

            Il fatto che la PLL potè portare crumiri arabi al lavoro nel porto di Haifa nell’agosto 1936 fu segno non tanto della sua forza in quella città quanto della disperata situazione in cui versavano i disoccupati arabi. A una riunione del comitato centrale del MAPAI nel gennaio 1937, Agassi disse ai suoi colleghi che dal 1932 la PLL era stata in contatto con circa 2.500 lavoratori arabi, aveva raccolto 1.100 iscrizioni, organizzato 13 sindacati e diretto alcuni scioperi. Ora, disse Agassi, non vi erano più di 15 lavoratori arabi ancora completamente fedeli alla PLL e in contatto con essa tra Haifa e Jaffa, e altri 50 o 60 nei dintorni, mentre tutti i sindacati sostenuti dalla PLL erano defunti. La sua sede ad Haifa rimaneva aperta grazie alla dedizione del solo Mahmud Abu Dabus, la cui reputazione di “tipo tosto” offriva una certa garanzia ai pochi arabi pubblicamente riconosciuti come membri della PLL[27]. Il fatto che la PLL continuasse a esistere è prova della relativa debolezza del movimento nazionalista arabo in Haifa, e degli anni di paziente e continuo lavoro di Eliyahu Agassi nello sviluppo di buone relazioni con i lavoratori arabi della città. Ma qualcos’altro spinse comunque dei lavoratori arabi alla PLL, anche in questo periodo: la reputazione dell’organizzazione come fonte di impiego per i lavoratori arabi, per i quali la rivolta aveva significato un aumento della disoccupazione. Le annotazioni di Agassi dal 1936 al 1937 riportano numerosi casi in cui lavoratori arabi di Haifa e dei villaggi intorno lo avvicinavano durante i suoi viaggi o si recavano alla sede di Haifa e chiedevano di iscriversi alla PLL, nella convinzione che ciò avrebbe portato loro un impiego sicuro e ben pagato presso un’impresa ebraica[28].

            Come regola Agassi respingeva le richieste individuali, rispettando la linea della PLL di accettare solo gruppi di occupati nel medesimo posto di lavoro. Ma di fatto la PLL durante gli anni della rivolta fece la funzione di ufficio di collocamento, supportando i lavoratori arabi ritenuti affidabili dall’Ufficio Contrattazioni dell’Histadrut (che poi divenne la compagnia Solel Boneh) e destinandoli a vari progetti di lavori pubblici, o alla cava e alla fornace di calce di Even Vesid, posseduta congiuntamente dall’Histadrut e dall’affarista di Haifa Tahir Qaraman, dove nel 1936 vi furono solo pochi giorni di sciopero. Tuttavia l’impiego di lavoratori arabi che erano anche membri della PLL creò dei problemi all’Histadrut. Nel 1937, per esempio, la Solel Boneh vinse un appalto per la costruzione di un ospedale governativo ad Haifa. Poiché il contratto specificava che il 50 per cento del monte stipendi dovesse andare agli arabi, l’Histadrut si rivolse a un intermediario arabo e chiese che i suoi lavoratori fossero iscritti alla PLL. Tuttavia i rapporti tra la Solel Boneh e questo intermediario si guastarono presto, l’accordo fu sciolto e i lavoratori licenziati, mettendo in imbarazzo l’Histadrut e la PLL quando i lavoratori chiesero la restituzione delle quote di iscrizione. Lo stesso progetto dell’ospedale divenne una controversia pubblica: i sindacalisti arabi contestarono la concessione del contratto alla Solel Boneh e il fatto che i lavoratori arabi non ricevessero la giusta parte del monte stipendi, e aggiunsero che i lavoratori arabi di un certo livello non ricevevano la stessa paga dei loro pari grado ebrei[29].

            Le differenze di paga tra lavoratori arabi ed ebrei, anche lavoratori qualificati, rimasero marcate e continuarono ad essere fonte di malcontento tra i lavoratori e i sindacalisti arabi. Uno studio pubblicato nel 1938 dall’Istituto Economico di Ricerca dell’Agenzia Ebraica rilevò profonde differenze tra le paghe arabe ed ebraiche. Per esempio nel 1936 – 37 i carpentieri ebrei ricevevano 37 piastre al giorno, mentre i carpentieri arabi ne guadagnavano 27. Per i tornitori le paghe erano rispettivamente 39 e 35 piastre; per i muratori 54 e 43; per gli intonacatori 53 e 33; per i piastrellisti 54 e 38. Alcune differenze possono essere dovute ai gradi di qualifica e produttività, ma certamente non fu così in molti casi. Lo studio dell’Agenzia Ebraica rilevò anche che le paghe di alcuni lavoratori arabi qualificati, per esempio nelle imprese edili, e forse anche dei lavoratori non qualificati, erano spesso più alte che nei paesi arabi circostanti o anche nei paesi meno sviluppati d’Europa. In questo senso l’argomento sionista che l’afflusso di immigrati e capitali ebraici aveva contribuito ad aumentare i salari in Palestina non era senza fondamento. Ma il paragone che i lavoratori arabi ritenevano importante non era con i lavoratori più poveri dell’Egitto o dell’Hawran, bensì con i lavoratori ebrei che erano pagati di più per le stesse mansioni e la cui organizzazione, l’Histadrut, sembrava appetire i posti di lavoro degli arabi[30].

            Oltre alla fornitura di forza lavoro, la PLL contribuì alla lotta dell’Yishuv contro la rivolta araba in altri modi. Soldi forniti dall’Agenzia Ebraica furono segretamente girati ai portuali arabi e agli intermediari per tenere aperto il porto di Haifa, e Shmuel Alafiya, un ebreo di Damasco che aveva sostituito Agassi come responsabile della PLL ad Haifa quando quest’ultimo iniziò ad operare per lo più a Tel Aviv e Jaffa, pagò i portantini arabi affinchè non si unissero allo sciopero generale. Le prime navi per il nuovo porto ebraico di Tel Aviv furono acquistate da arabi di Haifa tramite le conoscenze della PLL. La PLL fu anche un’importante strumento di spionaggio per l’Haganah e le autorità ebraiche. Agassi e Alafiya passavano regolarmente le informazioni ricevute dai loro contatti arabi sulla situazione in varie città e villaggi e sulle mosse di specifici individui e gruppi. George Nassar sembra avere fatto altrettanto: gli archivi dell’Histadrut contengono numerose lettere che egli spedì al suo mentore Moshe Erem e ad altri leader di Poale Zion Smol sulla situazione a Jaffa durante lo sciopero generale[31].

            Agassi e Alafiya usarono anche la loro conoscenza dell’arabo – privilegio piuttosto raro nell’Yishuv – per condurre propaganda anti-nazionalista. Durante il 1936 la PLL produsse propri opuscoli contro lo sciopero e ne distribuì altri preparati dal dipartimento arabo dell’Agenzia Ebraica. La PLL inoltre pagò Abd al-Rahman Uthman al-Husayni, un siriano che recentemente aveva abbandonato il suo posto di impiegato governativo a Damasco per stabilirsi ad Haifa, affinchè scrivesse un pamphlet (Appello all’umanità che soffre) contenente una miscela di socialismo e pacifismo, e lo distribuì. In quel contesto, il pamphlet di al-Husayni poteva essere interpretato solo come una condanna della rivolta. Al-Husayni inzialmente insistette nel mantenere segreto il suo legame con la PLL, ma era ben intenzionato a lavorare come propagandista sionista. Nel 1937 la PLL lo inviò nel villaggio di Wadi ‘Ara in seguito a una lettera ricevuta da parte di un residente, nella speranza di sviluppare una sezione dell’organizzazione. Wadi ‘Ara, situato nella lunga e stretta vallata che collegava la fascia costiera alla Jezreel Valley, era in una posizione strategicamente importante. Più in generale, l’Histadrut sperava che stabilendo, attraverso la PLL, legami con i villaggi avrebbe contrastato l’influenza nazionalista nelle campagne e capitalizzato il risentimento nei confronti del debole e inefficace Alto Comitato Arabo. Il momento sembrava propizio per iniziative di tal fatta: durante la primavera-estate del 1937 la rivolta era in una fase di attesa mentre la commissione Peel faceva la sua inchiesta. La PLL riuscì ad aprire una sede a Wadi ‘Ara (e poi una nel vicino villaggio di Ar ‘Ara) con una radio e materiale informativo, e durante il 1937 mantenne contatti regolari con i simpatizzanti nei due villaggi[32].

            Successivamente nel 1937 la relazione della PLL con al-Husayni si intensificò quando essa lo ingaggiò per organizzare una rete di intellettuali e club filo-sionisti in varie città e villaggi, e gli allestì un ufficio, con un investimento complessivo di 250 sterline. I funzionari dello spionaggio inglese si associarono al piano, ebbero un colloquio con al-Huseyni e gli proposero di lavorare per loro come infiltrato in un partito nazionalista arabo. Ciò diminuì l’utilità di al-Husayni per l’Histadrut, ma comunque egli rese vari altri servigi ai suoi amici. Tra le altre cose fu autore dell’opuscolo Kash’f al Qina (Giù la maschera), pubblicato nel gennaio 1937 dalla PLL, che condannava lo sciopero generale e la rivolta nazionalista mentre applaudiva l’Histadrut per la sua attenzione ai lavoratori arabi.

            Al-Husayni e un gruppo di arabi filo-sionisti furono anche estremamente utili per i tentativi del sionismo di sviluppare relazioni diplomatiche. Quando per esempio due membri del parlamento inglese appartenenti al Independent Labour Party (ILP) visitarono la Palestina in un viaggio pagato dalla fazione di Poale Zion Smol facente capo a Yitzhaki Abramovitch, con la quale l’ILP aveva sviluppato stretti legami, essi incontrarono soltanto ebrei e arabi scelti dall’Histadrut, incluso al-Husayni il cui comportamento a detta di Alafiya fu molto efficace. George Mansur, che provò senza successo a mantenere in piedi l’Arab Workers Society (AWS) dopo l’assassinio del suo segretario Michael Mitri da parte di uno sconosciuto nel dicembre 1936, fece reiterate richieste di incontrare l’ILP ma non fu accontentato[33].

            Hashomer Hatzair non aveva quadri arabi affidabili per accogliere i visitatori provenienti dall’estero, tuttavia cercò anch’essa di trovare supporto presso la sinistra europea per la sua versione di sionismo socialista e la sua idea di una Palestina binazionale[34]. Questo periodo vide anche i primi tentativi di Hashomer Hatzair di condurre una propaganda diretta verso gli arabi. In occasione del Primo Maggio 1937 il movimento pubblicò ciò che sembra essere stato il suo primo opuscolo in arabo, intitolato La via dell’accordo tra gli ebrei e gli arabi di Palestina. L’opuscolo sosteneva che la solidarietà reciproca avrebbe giovato sia ai lavoratori ebrei che ai quelli arabi, e distingueva nettamente Hashomer Hatzair dalla maggioranza sionista sostenendo la costituzione di uno stato binazionale arabo-ebraico in Palestina. Esso cercava anche di collocare la questione palestinese in un contesto internazionalista: i lavoratori ebrei e arabi, affermava, non avrebbero potuto donare al mondo, alle vittime di Hitler e Mussolini, ai lavoratori di Spagna in lotta per la libertà, la democrazia e il socialismo, null’altro che la concordia e la solidarietà reciproca. D’altra parte l’opuscolo condannava decisamente la leadership araba, evitando di prendere posizione sul nazionalismo arabo o sul sionismo. Esso inoltre non faceva esplicita menzione del lavoro ebraico o delle differenze tra Hashomer Hatzair e il MAPAI, sebbene nelle riunioni dell’Histadrut e nella stampa ebraica il movimento sovente sottolineasse tali differenze. Per di più, a dispetto delle frequenti critiche di Hashomer Hatzair verso i fallimenti della PLL, l’opuscolo la indicava come la migliore opzione per l’organizzazione dei lavoratori arabi.

I funzionari ebrei della PLL contribuirono anche a indebolire la rivolta araba favorendo i primi contatti tra il movimento sionista e le comunità druse in Palestina e Siria. Nel 1936 i capi del grosso villaggio druso di Usufiya, sul monte Carmelo, chiesero aiuto al consiglio operaio di Haifa per proteggersi dalla guerriglia nazionalista che insidiava il villaggio a causa del suo rifiuto di supportare la rivolta. Questi contatti, favoriti da Hushi, Agassi e Alafiya, condussero a incontri tra i leader dell’Yishuv e della comunità drusa, inclusi alcuni leader drusi siriani in esilio in Palestina e Transgiordania. Nell’ottobre 1937 Abba Hushi e Shmuel Alafiya, accompagnati da Shayk Hasan Abu Rukn, un capo druso di Usufiya, si recarono in Libano e poi a Jabal al-Druz (“la Montagna dei Drusi”, cuore della comunità nel sud della Siria) in missione segreta per conto dell’Agenzia Ebraica. Come riporta Agassi, il loro scopo era “siglare un accordo ufficiale (sebbene segreto) tra noi e i leader della Montagna, cosicchè essi inducessero il popolo della Montagna a ignorare i sobillatori palestinesi, e a fornire informazioni. In tutte queste zone furono ottenuti preziosissimi benefici[35]. Alcuni drusi palestinesi infatti erano attivi nel movimento anti-sionista, e i leader sionisti speravano che un accordo con i capi drusi siriani avrebbe ridotto il coinvolgimento dei drusi palestinesi nella rivolta. Un mese dopo ebbe luogo un’altra missione, a Beirut e a Damasco.

            Durante la rivolta del 1936 – 39 le buone relazioni coi drusi giovarono alla sicurezza degli insediamenti ebraici e delle imprese nell’area del monte Carmelo, in particolare il kibbutz Yagur e la fabbrica di cemento e la cava di Nesher, e indebolirono l’insurrezione nazionalista nelle campagne. Esse furono anche alla base della posizione neutrale o pro-sionista assunta dalla maggioranza dei drusi palestinesi durante le battaglie del 1947 – 49. Come nel caso dei curdi iracheni, avvicinati nel 1934 dal funzionario dell’Histadrut Reuven Zaslani, questi nascenti rapporti conducevano verso quella che sarebbe diventata un elemento centrale nella strategia sionista e poi israeliana: la ricerca nell’area di comunità non arabe e non sunnite che potessero essere coinvolte in un’alleanza contro il nazionalismo arabo[36].                 

 

LA COMMISSIONE PEEL E IL LAVORO IN PALESTINA

            Le audizioni davanti alla Commissione Peel permisero ai sindacalisti ebrei e arabi di presentare le loro vedute di fronte a un pubblico più ampio. I leader sionisti laburisti che testimoniarono insistettero sui benefici che l’immigrazione e gli insediamenti ebraici in Palestina avevano portato agli arabi, citando il caso delle paghe più alte rispetto ai paesi vicini. Un memorandum siglato dall’Histadrut affermava che “I lavoratori di entrambe le comunità, gli ebrei consapevolmente e gli arabi istintivamente, si sono resi conto che esiste una base reale per stabilire relazioni reciproche amichevoli”. Questa distinzione tra “consapevolmente” e “istintivamente” stava a significare che erano i lavoratori ebrei che avevano preso l’iniziativa:

 

…i lavoratori ebrei consideravano loro sacro dovere sollevare il lavoratore arabo dalla sua condizione di sfruttamento e degrado di cui i suoi padroni, sostenuti dal governo e dai religiosi, erano responsabili. Essi si sono imposti eticamente di abolire le condizioni di povertà e oppressione ovunque esistessero nel paese; e non volevano neanche che in Palestina esistessero strati di lavoratori le cui cattive condizioni di vita e lavoro rappresentassero un pericolo costante per le condizioni di vita e lavoro dei lavoratori ebrei.

 

Nonostante fosse centrato sulle relazioni tra lavoratori ebrei e arabi, il memorandum non citava né mai alludeva alla questione del lavoro ebraico, pur difendendo esplicitamente la politica di escludere gli arabi dall’Histadrut. Esso inoltre attaccava la leadership della comunità araba in Palestina, che ostacolava “il sincero tentativo di elevare lo standard del lavoratore arabo, e anche la possibilità di una comprensione tra lavoratori ebrei e arabi”.

            Ma il vero colpevole, suggeriva l’Histadrut, era il governo mandatario, che aveva bloccato i tentativi di cooperazione arabo-ebraica. Sebbene questa parte sembra avere infastidito lord Peel, nella sua testimonianza Dov Hoz, portavoce dell’Histadrut, difese questo punto di vista. I membri della commissione chiesero insistentemente ai leader dell’Histadrut se la politica del lavoro ebraico dell’organizzazione non implicasse l’allontanamento dei lavoratori arabi, ma non ebbero risposte chiare[37].

            Per contro George Mansur dell’AWS, quando comparve di fronte alla commissione nel gennaio 1937 per testimoniare delle condizioni e richieste dei lavoratori arabi in Palestina, sottolineò il ruolo del lavoro ebraico, che secondo lui contributiva molto alla disoccupazione araba[38]. Tuttavia i filo-sionisti in Inghilterra non lo presero sul serio: quando il rapporto della commissione Peel fu discusso in Parlamento nel luglio 1937, uno dei membri dell’Indepenent Labour Party che non avevano incontrato Mansur durante la loro visita a gennaio affermò che “Mansur non rappresenta altri che se stesso”. Frustrato dal fallimento dei sindacalisti arabi nell’influenzare l’opinione pubblica inglese, Mansur pubblicò un opuscolo in inglese “per dare al lettore inglese un’idea del perché il lavoro arabo è al fianco di tutta la popolazione araba nell’opposizione all’immigrazione sionista…e per denunciare l’inadeguatezza del modo con cui la commissione Peel sta affrontando le relazioni tra  lavoro arabo ed ebraico in Palestina[39]. Il lavoratore arabo nella Palestina mandataria non ebbe l’impatto sperato dal suo autore. Il movimento sionista laburista aveva stretti legami con il partito laburista inglese e il sostegno di molti membri laburisti in Parlamento, mentre i conservatori anti-sionisti non avevano molto interesse o simpatia per i lavoratori o i sindacati arabi. Se vi fu una battaglia per conquistare l’opinione pubblica inglese di centro-sinistra e non comunista, questa fu vinta dai sionisti.

 

“IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE”

Lo sciopero generale e l'insurrezione su vasta scala che ne derivò resero più evidente che mai la mancanza nel movimento sionista di uno strumento di propaganda in lingua araba. Vi erano stati sporadici tentativi di influenzare qualche giornale arabo in Palestina, ma nè l'Histadrut nè altre istituzioni sioniste avevano creato una pubblicazione regolare in arabo dal tempo della chiusura di Ittihad al-Ummal nel 1928. Dal 1935 i leader dell'Histadrut avevano ripetutamente affermato che non si poteva più rinviare il lancio di una nuova pubblicazione.

I leader di Hashomer Hatzair incalzarono il MAPAI sulla questione: "Non capisco perchè l'Histadrut non possa pubblicare un giornale in lingua araba", chiese Yakov Hazan a una riunione dell'esecutivo dell'Histadrut nell'autunno 1936. "Non posso credere che tra i 10.000 membri del MAPAI non vi siano tre redattori per un giornale in arabo". Eliyahu Golomb rispose ammettendo che il redattore indicato dal partito, Michael Assaf, non era in grado di scrivere un articolo in arabo; infatti, aggiunse, "non vi sono tra noi dieci compagni che conoscano l'arabo"[40]. La scelta del MAPAI di un redattore come Assaf indica la scarsa priorità che il partito dava a questo progetto. Nato nella città polacca di Lodz nel 1906, Assaf emigrò in Palestina nei primi anni '20 e presto ottenne un posto di secondo piano nella direzione di Ahdut Haavoda. Tuttavia si dimostrò non interessato o non in grado di contribuire al radicamento del partito, e dalla metà degli anni '20 era stato dirottato al lavoro culturale, diventando giornalista del quotidiano dell'Histadrut Davar, fondato nel 1925. Nonostante la sua scarsa conoscenza dell'arabo, all'inizio degli anni '30 Assaf aveva acquisito la fama di massimo esperto di questioni arabe nel MAPAI[41]. Non trovando di meglio, i leader del MAPAI incaricarono Assaf di dirigere il nuovo settimanale in arabo e gli affiancarono Eliyahu Agassi, che conosceva bene la lingua. Ciò lasciò il dipartimento arabo dell'Histadrut senza un funzionario a tempo pieno a Tel Aviv e l'inesperto Alafiya da solo ad Haifa, ma finalmente il progetto del giornale fu avviato.

Il primo numero di Haqiqat al-Amr (Il nocciolo della questione) fu pubblicato nel marzo del 1937. Benchè il periodico venisse ufficialmente indicato come organo della PLL, i temi trattati andavano oltre, in linea con l'intento dichiarato di combattere la propaganda anti-sionista. Haqiqat al-Amr conteneva numerosi articoli di discussione sul sionismo (in particolare il sionismo laburista) e che provavano a dimostrare che il progetto sionista avvantaggiava gli arabi di Palestina piuttosto che danneggiarli. Il primo numero iniziava con un'affermazione (in un arabo piuttosto forbito) che in un modo o nell'altro sarebbe stata ripetuta quasi settimanalmente:

 

A ogni persona intelligente non deve sfuggire la dedizione del popolo ebraico alla sua patria unica ed eterna, le cui virtù si sono perdute nei secoli. Perciò gli ebrei hanno intrapreso grandiosi progetti di civilizzazione in Palestina, che hanno migliorato tutto il paese e la situazione di tutti i suoi abitanti...Il movimento operaio ebraico organizzato nell'Histadrut - l'ossatura del movimento sionista - è stato e sarà sempre all'avanguardia di coloro che si impegnano per lo sviluppo della pace e del progresso del paese, per il bene del popolo ebraico e il bene degli arabi che vi abitano. Questo è il nocciolo della questione[42].

 

Questa rappresentazione della Palestina come il paese del “popolo ebraico” e degli “arabi che vi abitano” non era una sconfessione della posizione sionista laburista elaborata nei precedenti 15 anni, ma solo un suo perfezionamento. I leader del MAPAI continuavano a credere in una sorta di diritto superiore degli ebrei sulla Palestina, come si evince dalla frase sul “popolo ebraico” di cui la Palestina era “patria unica ed eterna”, mentre agli arabi capitava semplicemente di  “abitarvi”. L’insediamento e lo sviluppo sionista in Palestina avevano rafforzato le pretese sul territorio. Questa formulazione corrispondeva alla concezione sionista laburista degli arabi di Palestina non come una nazione distinta con i suoi propri diritti, ma piuttosto come membri di una più ampia popolazione, quella araba, una parte della quale si ritrovava a vivere in Palestina ma che poteva (e forse doveva) raggiungere la sua autodeterminazione nazionale altrove, poiché in quel paese doveva realizzarsi la sovranità ebraica[43].

Durante il periodo 1936 – 39, la forza e popolarità della rivolta araba indusse alcuni leader del MAPAI a riconoscere (per lo più in riunioni di partito a porte chiuse) che gli arabi di Palestina avevano rivendicazioni comprensibili, uno spirito nazionale autentico e legittimi diritti nel paese. Nel febbraio 1937, per esempio, Ben-Gurion dichiarò che  “Il diritto che gli arabi di Palestina hanno è il diritto che gli abitanti di un qualunque paese posseggono…perché vivono qui, e non perché sono arabi…gli abitanti arabi della Palestina dovrebbero usufruire di tutti i diritti politici e di cittadinanza, non solo come individui ma come comunità nazionale, proprio come gli ebrei[44]. Anche questa formulazione era vaga e ambigua: i diritti della maggioranza araba in Palestina erano ancora percepiti come di grado non pari a quelli degli ebrei, e certamente non includevano il diritto all’autodeterminazione, mentre non erano possibili compromessi sulla questione chiave dell’immigrazione ebraica.

In ogni caso tali affermazioni non rappresentavano una revisione degli obiettivi del sionismo; piuttosto esse erano sintomo del pragmatismo di Ben-Gurion, della sua capacità di adattarsi alle circostanze. Quando la commissione Peel nel luglio 1937 indicò che la Palestina fosse divisa in un piccolo stato ebraico, uno stato arabo che comprendesse anche la Transgiordania e un’enclave controllata dagli inglesi con Gerusalemme, Betlemme e un corridoio fino al mare, Ben-Gurion (insieme a Chaim Weizmann, presidente dell’Organizzazione Sionista Mondiale) riuscì a convincere il movimento sionista ad astenersi dal rifiutare il principio della partizione. Ciò non era in funzione dei diritti degli arabi, ma perché Ben-Gurion riteneva che anche un piccolo stato ebraico in Palestina potesse rappresentare un rifugio per gli ebrei europei, e che nuove circostanze ne avrebbero permesso in futuro l’espansione. In cuor suo Ben-Gurion continuò a ipotizzare uno stato ebraico in tutta la Palestina, e a ritenere il “trasferimento” degli arabi che vivevano in quel territorio come del tutto legittimo. Anche Weizmann vedeva la partizione come una soluzione temporanea, della durata più o meno una generazione; alla fine, secondo lui, lo stato ebraico avrebbe compreso tutta la Palestina[45].

Fu l’interpetazione più mite e flessibile dei diritti degli arabi da parte del sionismo laburista che venne presentata al pubblico arabo attraverso le pagine di Haqiqat al-Amr. Il settimanale dedicava inoltre ampio spazio a denunciare la rivolta araba, a condannare le affermazioni anti-sioniste della stampa araba e a dimostrare la forza e continuità della presenza ebraica in Palestina. I leader nazionalisti arabi erano messi sotto accusa in quanto manipolatori del proletariato arabo per scopi politici. Nello stesso tempo Haqiqat al-Amr conteneva notizie internazionali, in particolare sul mondo ebraico e operaio, resoconti delle attività della PLL e dell’Histadrut e traduzioni di opere letterarie. Queste ultime includevano racconti dello scrittore ebreo (ed ex dipendente dell’Histadrut) Yehuda Burla, e scritti di Maxim Gorkij e di altri autori europei. Nel 1940 Haqiqat al-Amr iniziò a tenere corsi di ebraico per i suoi lettori. I numeri del periodico, circa 2.000, erano distribuiti quasi tutti gratuitamente attraverso vari canali: le istituzioni ebraiche, che li consegnavano agli arabi con cui erano in contatto, la posta e la rete di contatti personali che Agassi e i suoi collaboratori avevano sviluppato nel corso degli anni.

E’ difficile stabilire quale influenza Haqiqat al-Amr abbia avuto sull’uditorio a cui era destinato, ma probabilmente essa fu minima. Esso raggiunse un numero relativamente ristretto di arabi e non potè competere con la stampa araba, specialmente durante il periodo della rivolta. Ciononostante, con il sostegno dell’Agenzia Ebraica e altre istituzioni dell’Yishuv, l’Histadrut continuò a pubblicare e distribuire Haqiqat al-Amr fino al 1948 e anche dopo; il periodico continuò a uscire fino al 1960, quando infine ne vennero cessate le pubblicazioni.

 

LA SOPPRESSIONE DELLA RIVOLTA

            All’inizio del 1937 Ben-Gurion dichiarò al consiglio dell’Histadrut di essersi sbagliato quando, al congresso di Ahdut Haavoda a Ein Harod 13 anni prima, aveva affermato che il sionismo non avrebbe mai potuto scendere a patti con gli effendi, ma solo con la masse operaie arabe. “Ora - disse - dobbiamo rivolgerci a tutto il popolo arabo…con contatti e negoziati con i suoi rappresentanti, chiunque essi siano”. La nuova posizione di Ben-Gurion sottolineava implicitamente la scarsa priorità data dalla leadership del MAPAI ai tentativi di organizzare i lavoratori arabi. Quei tentativi sarebbero proseguiti, ma in maniera ridotta.

            Tuttavia, nonostante la mancanza di entusiasmo del MAPAI per il lavoro della PLL, un minimo investimento consentì ai pochi membri del dipartimento arabo di mantenere una sporadica attività rivolta ai lavoratori. Durante l’anno di relativa calma tra l’ottobre 1936, quando finì lo sciopero generale, e l’ottobre 1937, quando la rivolta riesplose e gli inglesi reagirono con una pesante repressione, vennero presi dei contatti con i facchini della dogana di Jaffa. La PLL li sostenne con del denaro e li aiutò a formulare ed esprimere le loro rivendicazioni nei confronti dei funzionari inglesi. Come sempre, l’organizzazione dei lavoratori arabi aveva un motivo particolare: in una delle sue numerose lettere all’Agenzia Ebraica per chiedere fondi per il dipartimento arabo dell’Histadrut, Agassi sottolineava che “Dal nostro punto di vista vediamo nell’aiuto ai facchini della dogana di Jaffa una facile e irripetitibile opportunità di indebolire la posizione del loro intermediario Salim al-Khuri, al quale a dispetto dei vostri e nostri sforzi non siamo mai riusciti a far accettare di estendere il lavoro ebraico quanto noi vogliamo”. Con il sostegno della PLL i facchini scesero in sciopero, ma furono sconfitti e la loro nascente organizzazione venne distrutta[46].

            In netto contrasto con il 1934-36, quando la AWS e la stampa araba avevano combattuto vigorosamente la PLL a Jaffa, i suoi rapporti più o meno ufficiali con i facchini nel 1937 non provocarono reazioni. La mancanza di risposta da parte del movimento operaio arabo era un sintomo dalla virtuale paralisi in cui esso era caduto. Dopo l’assassinio di Michael Mitri alla fine del 1936, fazioni rivali si contesero il controllo dell’AWS, provocando il suo disfacimento. La piccola Unione dei Lavoratori dei Trasporti, diretta dai comunisti, cessò la sua attività, e anche la PAWS in Haifa era pressoché immobile. La forte disoccupazione certamente contribuì alla debolezza del movimento operaio, ma altrettanto fece la repressione: molti dei principali leader e attivisti furono imprigionati e gli inglesi intervenirono violentemente contro tutte le manifestazioni legate al movimento nazionalista. Per esempio Sami Taha, che pochi anni prima era emerso come dirigente di punta della PAWS, fu detenuto senza processo per sei mesi durante il 1937, sotto le leggi emergenziali che gli inglesi promulgarono per soffocare la rivolta, con l’accusa di “presunto possesso di attrezzatura per la costruzione di mine”. Molti professori e intellettuali che avevano legami coi sindacati erano stati coinvolti nella rivolta durante il 1936 e 1937, e quando la lotta armata riprese alla fine del 1937 molti di loro vennero arrestati o costretti all’esilio.

            Il Partito Comunista Palestinese (PCP), che aveva sperato di sostenere e guidare il movimento operaio arabo, fu a sua volta diviso in conseguenza della rivolta. Alcuni dei suoi dirigenti e attivisti arabi presero parte attiva nella lotta armata, mentre diversi membri ebrei abbandonarono il partito e molti di quelli che rimasero si organizzarono in una “sezione ebraica” largamente autonoma che si distanziò sempre più dalla leadership araba e si mostrò ansiosa di colmare l’isolamento dall’Yishuv assumendo una posizione meno marcatamente anti-sionista. Alla fine della rivolta le componenti araba ed ebraica del PCP risultarono profondamente distanti, andando incontro a una serie di divisioni e infine al collasso del PCP come partito arabo-ebraico.

            Per un breve periodo, dunque, gli ostacoli ai quali la PLL si era trovata di fronte nel 1935 furono assenti. Ma le sue risorse limitate, e soprattutto l’esplosione della rivolta in una forma molto più violenta durante il 1938, impedirono nuovi progressi. Nell’estate del 1938 gruppi di guerriglieri controllavano vasti pezzi di campagna e molte città in tutto il territorio palestinese; come puntualizzò un funzionario inglese, nel settembre del 1938 “la situazione era tale per cui l’attività amministrativa nel paese, da tutti i punti di vista, era inesistente[47]. Il governo inglese, preoccupato per la crisi dei Sudeti, non se la sentiva di rafforzare massicciamente la sua presenza in Palestina mentre incombeva una guerra europea.

            A Nesher, dove sia ai lavoratori arabi che a quelli ebrei erano imposte la riduzione di orario e frequenti periodi di “ferie” a causa della crisi economica, i gruppi armati presenti nella zona facevano sentire sempre più la loro presenza. Uno dei membri del comitato della PLL fu preso prigioniero e detenuto per due settimane dalla guerriglia come monito per i lavoratori. La mossa ebbe successo: i lavoratori chiesero alla direzione di dire ad Alafiya di non recarsi più laggiù. I lavoratori di altri siti sospettati di collaborazione con l’Histadrut furono intimoriti e in qualche caso uccisi; tra di loro vi fu il principale contatto della PLL nel villaggio di Wadi ‘Ara, giustiziato dalla guerriglia in quanto sospetto informatore della polizia[48]. Durante il 1937 e all’inizio del 1938 i lavoratori arabi si recavano ancora alla sede della PLL di Haifa per cercare lavoro, ma nell’autunno di quell’anno vi fu uno stop completo; come sottolineò Agassi, “in questa situazione di terrorismo politico, declino economico e depressione morale non c’è nulla di più arduo di una qualche possibilità di azione da parte della PLL[49].

            L’accordo che le potenze europee raggiunsero a Monaco nel 1938 permise al governo britannico di inviare un gran numero di militari in Palestina per schiacciare la rivolta araba; alla fine le forze inglesi avrebbero soverchiato i ribelli nella proporzione di dieci a uno[50]. La repressione di massa, incluse le punizioni collettive e i bombardamenti aerei e di artiglieria sui villaggi ribelli, permisero la graduale restaurazione del controllo inglese. Anche i dissensi e le divisioni nella comunità arabo-palestinese indebolirono la rivolta. Le bande ribelli raramente riuscivano a coordinare le loro azioni, la maggioranza della leadership nazionalista dall’autunno 1938 finì in carcere o in esilio, e crescenti settori di popolazione si allontanarono sempre più dalla rivolta. Per di più i Nashashibi e alcuni dei loro alleati si schierarono apertamente contro la rivolta e con l’aiuto britannico organizzarono le “Bande della Pace”, che attaccavano i ribelli e i villaggi che li supportavano. Come i ribelli furono ricacciati indietro, iniziò una serie di uccisioni da una parte e dall’altra, come regolamento di vecchi e nuovi conti. Tra coloro che furono assassinati vi fu Hasan Sidqi al-Dajani, un leader dei Nashashibi, che fu ucciso a colpi di pistola a Ramallah nell’ottobre 1938. Fakhri al-Nashashibi, che aveva fondato l’AWS a Gerusalemme nel 1934, fu poi assassinato a Baghdad nel 1941.

            Nella primavera del 1939 la rivolta stava per finire. Avendo avuto il sopravvento militarmente, gli inglesi appoggiarono un'altra sessione di negoziati arabo-ebraici. Quando questi fallirono, il governo britannico varò una nuovo documento politico per la Palestina, il Libro Bianco del maggio 1939. Il Libro Bianco andava parzialmente incontro ad alcune richieste degli arabi annunciando la nascita di uno stato palestinese indipendente entro dieci anni, limiti all’acquisizione di nuova terra ebraica e un tetto di 75.000 nuovi immigrati ebrei nell’arco dei cinque anni seguenti, dopodiché un ulteriore afflusso sarebbe stato subordinato all’approvazione degli arabi. Con la guerra europea alle porte, i funzionari britannici speravano con il Libro Bianco di conciliarsi l’opinione pubblica araba e di assicurarsi l’appoggio bellico degli arabi di Palestina e dei paesi circostanti.

            Il movimento sionista accusò il Libro Bianco in quanto ripudiava l’impegno britannico, rappresentato dalla Dichiarazione Balfour del 1917 e dallo stesso Mandato, a istituire una “casa nazionale” ebraica in Palestina. La sua promulgazione di fatto rappresentò la fine dell’alleanza tra l’Inghilterra e il movimento sionista. Quell’alleanza aveva fornito al movimento sionista il tempo, la protezione e il sostegno necessari a creare la base demografica, economica, militare e politica per un Yishuv forte e autosufficiente, nonostante la crescente resistenza da parte della maggioranza arabo-palestinese. Come risultato, nel 1939 l’Yishuv era vicino a essere autonomo dal sostegno britannico, mentre il movimento nazionalista arabo-palestinese aveva patito una cocente sconfitta, lasciando la comunità araba demoralizzata, disorganizzata e senza una guida effettiva.

            I leader sionisti, indignati, inizialmente chiamarono alla resistenza e alla lotta contro i provvedimenti contenuti nel Libro Bianco. Ma pochi mesi dopo scoppiò la guerra in Europa, e l’Yishuv e il movimento sionista misero da parte l’opposizione al Libro Bianco e si allearono con gli inglesi per combattere la Germania nazista. Il confronto con l’alleato e protettore del passato, l’Inghilterra, venne rinviato alla fine della guerra, quando l’Yishuv e il movimento sionista sarebbero stati in grado non solo di ostacolare i provvedimenti del Libro Bianco ma anche di arrivare ad acquisire uno stato ebraico in Palestina.

 

IDEOLOGIA DELLA FRATELLANZA E REALTA’ DELLA SEGREGAZIONE

Moshe Shamir, il noto romanziere israeliano che da giovane fu militante di Hashomer Hatzair ma dopo il 1967 si spostò verso l’ala destra dello scenario politico israeliano, negli anni ’30 andò a scuola a Mishmar Haemek, uno dei kibbutz del movimento nella valle di Jezreel. Nel suo libro La mia vita con Ismaele Shamir descrisse così la distanza tra retorica e realtà:

 

Nella sala da pranzo i dirigenti parlavano di “fratellanza tra i popoli”. Nessuno di loro sapeva una parola di arabo, e agli arabi non parlavano come un uomo parla ai suoi amici. Non avevano amici nei villaggi circostanti, e non fecero mai neppure una semplice visita ai loro vicini. In quella eccellente e moderna scuola – per lungo tempo forse la più avanzata del paese – l’arabo non lo si studiava…Così abbiamo semplicemente vissuto con le nostre belle teorie da un lato e con la cruda realtà dall’altro…Ci organizzavamo dietro la recinzione, ci preparavamo all’autodifesa, parlavamo di fratellanza tra i popoli e di questa fratellanza non abbiamo mai messo in pratica un singolo atto[51].

 

Questo senza dubbio è un giudizio duro, ma in gran parte veritiero. Infatti è lecito supporre che per Hashomer Hatzair e per il sionismo laburista in generale il raggiungimento dei propri scopi richiedesse un sostanziale divario tra l’ideologia e la realtà, tra intenzioni soggettive e conseguenze pratiche.

La rivolta araba del 1936 – 39 portò a una crescente segregazione sociale e lavorativa tra arabi ed ebrei; gli ebrei si spostarono dai quartieri arabi verso “zone ebraiche” più sicure. Arabi ed ebrei inoltre iniziarono a frequentare con meno assiduità gli stessi spazi per gli affari, gli acquisti o il semplice svago, e l’odio reciproco e la paura di attacchi contro i civili scomparvero a fatica. Sarebbero stati gli sviluppi legati alla guerra a generare dinamiche nuove di controtendenza, e a permettere nuove forme di interazione tra lavoratori arabi ed ebrei.

 

 

2

 

MOVIMENTO OPERAIO E SINISTRA

NEGLI ANNI DELLA GUERRA MONDIALE

(1939 – 45)

 

 

 

 

1944 - unità ebraica inquadrata nell’esercito inglese nel campo di Sarafand, presso Ramle

 

 

La promulgazione del Libro Bianco nel maggio 1939, la fine della rivolta araba un mese dopo e lo scoppio della Seconda guerra mondiale nel settembre, crearono le condizioni per l’inizio di un nuovo periodo nella storia della Palestina mandataria. La rovente atmosfera generata dalla guerra produsse un rapido cambiamento sociale, economico e politico, influenzando profondamente le relazioni tra lavoratori arabi ed ebrei.

 

GLI ANNI DELLA GUERRA: MUTAMENTO ECONOMICO E POLITICO

La guerra condizionò l’economia palestinese in diversi modi. Nei primi mesi, la chiusura delle rotte navali mediterranee diede un duro colpo alle esportazioni degli agrumi. L’edilizia civile, un settore molto importante dell’Yishuv, fu a sua volta danneggiata sia per la fine dell’immigrazione ebraica che per la difficoltà nell’importazione dei materiali, che venivano poi dirottati a impieghi militari. Durante il 1940 la disoccupazione fu elevata sia per gli ebrei che per gli arabi. Con il protrarsi della guerra, tuttavia, il declino delle importazioni creò nuove opportunità per la manifattura locale. E ancora più importante, la Palestina divenne un punto d’appoggio per gli inglesi e le altre forze alleate, il che stimolò enormemente la domanda di beni e prodotti agricoli. Per soddisfare questa domanda, le autorità inglesi incentivarono l’industria locale in Palestina e nei paesi circostanti, aprendo nell’aprile 1941 il Middle East Supply Center al Cairo.

Alcuni dati possono chiarire l’andamento del boom economico bellico. Tra il 1940 e il 1946 circa 12 milioni di sterline furono investite in imprese industriali di proprietà ebraica in Palestina, circa il doppio rispetto a tutti gli anni ’30. Le spese di inglesi e alleati in abiti, cibo, munizioni, costruzioni e servizi di manutenzione e riparazione ammontarono a 1 milione di sterline nel 1940; l’anno seguente erano quadruplicate, quello dopo più che raddoppiate ancora, e nel 1943 raggiunsero i 12 milioni. Gli ordini militari nel 1942 equivalevano all’intera produzione palestinese del 1939. L’export industriale salì da 470.000 sterline nel 1940 a 11 milioni nel 1945.

Come conseguenza decine di migliaia di arabi ed ebrei trovarono lavoro in fabbriche e manifatture vecchie e nuove, e nelle basi e installazioni militari inglesi e alleate che sorsero ovunque nel paese. Dall’ampia disoccupazione che aveva afflitto il settore arabo negli anni ’30 si passò alla carenza di forza lavoro, nonostante i tentativi del governo di indirizzare l’occupazione nei settori chiave e il divieto per i lavoratori dell’industria e delle ferrovie di cambiare impiego. L’occupazione nell’agricoltura, sia ebraica che araba, durante gli anni della guerra diminuì in favore degli impieghi meglio pagati nell’industria e nei servizi.

L’estensione e la velocità della proletarizzazione nella comunità araba furono particolarmente accentuate. Nel 1944 pare che la forza lavoro salariata araba abbia superato i 100.000 addetti a tempo pieno esclusa l’agricoltura – circa un terzo dell’intera popolazione araba maschile in età lavorativa[52]. Più di un terzo di costoro erano impiegati in basi e installazioni militari inglesi, a fianco di 15.000 lavoratori ebrei, mentre altre migliaia svolgevano lavori a contratto sempre legati alla sfera militare. I campi militari divennero nuovi spazi sociali dove un gran numero di arabi ed ebrei lavoravano fianco a fianco, sviluppando nuove forme e dinamiche di relazione.

L’espansione economica bellica fu accompagnata da una crescita dell’inflazione, dopo un lungo periodo di stabilità dei prezzi. Come conseguenza i salari reali calarono nettamente nella prima parte della guerra. A questo i lavoratori arabi ed ebrei risposero con un rinnovato attivismo e organizzazione. Molte delle lotte ebbero successo, e alla fine della guerra i salari reali in Palestina erano saliti notevolmente.

            Gli anni della guerra videro anche importanti cambiamenti nell’arena politica, con la nascita di nuove forze politiche sia tra gli arabi che tra gli ebrei. La sconfitta della rivolta araba aveva lasciato il movimento nazionalista arabo in condizioni di debolezza e arretramento. I suoi dirigenti erano in esilio, e molti attivisti erano morti o in prigione. Era chiaro che la fine della guerra avrebbe portato a una ripresa della lotta per il futuro della Palestina, ma per ora la situazione nel campo nazionalista era quiescente. La debolezza del controllo delle fazioni di potere sulla comunità araba e l’intensa proletarizzazione portarono invece alla nascita di una nuova sinistra araba, rappresentata dalla National Liberation League (NLL), che si sviluppò dalla scissione del Partito Comunista di Palestina nel 1943. Questa organizzazione, formata da veterani comunisti arabi ma anche da membri di una nuova generazione di intellettuali e attivisti operai, acquisì un forte radicamento nel movimento sindacale arabo in espansione. Come vedremo, la NLL sosteneva l’unità arabo-ebraica, nell’interesse di classe ma anche come strumento per una soluzione “democratica” del problema palestinese.

            Gli anni della guerra portarono a importanti cambiamenti anche nella politica del movimento sionista e dell’Yishuv. L’opposizione sionista al Libro Bianco fu largamente sospesa e l’Yishuv si mobilitò a sostegno dello sforzo bellico alleato, benché i tentativi di introdurre immigrati ebrei in Palestina continuassero nonostante i divieti inglesi, così come continuava l’acquisizione delle terre. Gli anni della guerra videro il consolidamento delle conquiste fatte dall’Yishuv negli anni ’30, che gli consentirono per la prima volta di raggiungere il peso demografico, la capacità militare, lo sviluppo sociale e l’unità economica e politica necessarie per gettare le basi di uno stato. Questo stato di cose fu riconosciuto in occasione di una conferenza sionista internazionale svoltasi a New York nel 1942 (nota come “Biltmore Conference”, dal nome dell’hotel che la ospitò), che approvò un programma presentato da Ben-Gurion nel quale si dichiarava espressamente, per la prima volta, che l’obiettivo del sionismo era la costituzione di un “commonwealth” ebraico su tutta la Palestina.

            Benchè la richiesta di uno stato trovasse maggiore sostegno nel movimento sionista e nell’Yishuv, essa ebbe degli oppositori. Nel 1939 un gruppo di intellettuali e professionisti liberali, insieme ad attivisti di Poalei Zion Smol, avevano formato la Lega per la Riconciliazione e Cooperazione Arabo-Ebraica, alla ricerca di un compromesso politico tra le fazioni. Nel 1942 Hashomer Hatzair aderì formalmente alla Lega, portando il peso della propria federazione Hakibbutz Haartzi (che riuniva più di 40 kibbutz in varie fasi di sviluppo con più di 7500 membri), e del proprio partito urbano, la Socialist League. Al quinto congresso dell’Histadrut, svoltosi nell’aprile 1942, Hashomer Hatzair e la Socialist League insieme presero il 19% dei voti su una piattaforma che sosteneva l’attivismo operaio, l’opposizione di massa non violenta al Libro Bianco del 1939, e un compromesso arabo-ebraico. Durante gli anni della guerra e fino alla fine del 1947 Hashomer Hatzair fu fermamente contraria allo stato ebraico e a ogni forma di partizione, sostenendo invece la costituzione in Palestina di uno stato binazionale in cui arabi ed ebrei avrebbero avuto pari diritti politici indipendentemente dalla consistenza numerica delle due comunità. Questa era una posizione molto minoritaria nell’Yishuv ma, come ha sottolineato Joel Beinin, all’epoca era perfettamente legittimata nel dibattito politico[53].

            Il cambiamento politico nell’Yishuv fu anche facilitato dalle lotte di fazione all’interno del MAPAI, che culminarono con una brusca scissione nel 1944 e il distacco dell’ala sinistra, che si costituì come partito autonomo riprendendo la sigla Ahdut Haavoda (Unità del Lavoro), lo stesso nome posseduto dal partito fondatore del MAPAI 14 anni prima. Sebbene il MAPAI restasse il primo partito, la scissione lo indebolì e le altre forze poterono rivendicare maggiore spazio. Del clima politico generato dalla guerra si giovarono anche i comunisti. Le organizzazioni comuniste ebraiche scaturite dalla scissione nel Partito Comunista di Palestina erano molto deboli, ma i loro tentativi di trovare un terreno comune col sionismo procurarono loro un crescente credito nell’Yishuv, così come il riferimento all’Unione Sovietica la cui Armata Rossa acquistò grande prestigio tra gli ebrei in Palestina, resistendo all’assalto nazista e guidando la distruzione della macchina bellica tedesca con l’avanzata verso Berlino.

 

I FERROVIERI: DALL’ALIENAZIONE ALLA LOTTA COMUNE

Fu in questo contesto di rapido cambiamento economico, sociale e politico che le relazioni tra lavoratori arabi ed ebrei si intensificarono durante gli anni della guerra. Nel gennaio 1940 i proprietari di agrumeti nell’area di Petah Tikva si riunirono per formare una delegazione congiunta che presentasse le loro richieste al governo. Nel prosieguo dell’anno proprietari di case arabi ed ebrei, commercianti e altri iniziarono a collaborare per i loro interessi economici in una maniera che poco tempo prima non sarebbe stata possibile. Anche i ferrovieri arabi ed ebrei furono tra i primi gruppi a riprendere i contatti dopo la rivolta.

Oltre all’aumento dei salari, i ferrovieri volevano anche la fine dell’orario ridotto in vigore durante gli anni della rivolta, e la messa in atto delle promesse fatto dal governo nel 1935 e mai mantenute. All’inizio del 1940 l’Unione Internazionale dei Lavoratori di Ferrovie, Poste e Telegrafi (IU), ora costituita da soli ebrei, aveva ripreso i contatti con alcuni ferrovieri veterani arabi, specialmente ad Haifa. Quando l’Unione Araba dei Ferrovieri (AURW), che durante la rivolta aveva pressoché cessato l’attività, iniziò a reclutare nuovi iscritti, vi furono diversi colloqui informali tra membri di entrambe le organizzazioni ad Haifa, Lydda e altrove. Come negli anni passati, l’AURW chiese che ogni delegazione congiunta fosse costituita non su una base di parità – come chiedeva l’IU -  ma in proporzione al numero di ferrovieri arabi ed ebrei. Su pressione di chi non voleva pregiudicare la cooperazione con l’IU, alla fine l’AURW rinunciò alla sua richiesta, e in agosto una delegazione congiunta incontrò il direttore generale delle ferrovie per la prima volta dopo quattro anni[54].

La mobilitazione dei lavoratori suscitata dalla guerra spinse ancora una volta i due sindacati ad affrontare la questione delle relazioni reciproche. La leadership dell’IU sapeva che le condizioni dei ferrovieri ebrei sarebbero migliorate solo attraverso la cooperazione con gli arabi, ma sapeva anche che ciò avrebbe stimolato molti arabi ad aderire alla AURW. Da parte sua l’AURW, preoccupata dalle critiche di marca nazionalista, di fatto collaborò con l’IU ma rifiutò sempre di ufficializzare legami formali con il sindacato ebraico. La cooperazione avveniva di fatto a titolo individuale da parte dei suoi attivisti, ma non come organizzazione[55].

I due sindacati continuarono a cooperare su queste basi informali nel 1940 e nel 1941, incontrando in delegazioni congiunte il management delle ferrovie. In questo periodo le Ferrovie Palestinesi si espansero rapidamente per assistere le forze militari inglesi e alleate di stanza e di passaggio nel paese. Il tonnellaggio totale passò da 858.995 nel 1940-41 a 2.194.848 nel 1943-44, e il numero di addetti arrivò alla cifra record di 7.778 nel 1943[56]. Di conseguenza furono abolite le riduzioni di orario. Inoltre aumentò la richiesta di lavoro qualificato, con conseguente diffusione dello straordinario (e aumento di produttività), e migliaia di contadini arabi entrarono nella condizione di salariati come ferrovieri non qualificati. Ora dunque si poneva la questione dell’aumento dei salari, poiché l’indennità di contingenza (Cost Of Living Allowance, COLA) garantita dal governo come supplemento al salario minimo dal 1941 non riusciva a far fronte all’aumento dei prezzi. La differenza tra i salari dei ferrovieri e quelli del settore privato salì al 50% o più, una differenza che si fece ancor più gravosa in seguito a una legge marziale che impediva ai ferrovieri di lasciare il lavoro in quanto essenziale agli scopi bellici.

Sotto la pressione della base, alla fine i leader dell’AURW nel gennaio 1942 decisero di ufficializzare il legame con l’IU e condurre una campagna unitaria per le rivendicazioni dei ferrovieri. Fu lanciata una petizione nazionale, e all’inizio del febbraio 1942 i due sindacati si riunirono in un’assemblea generale nella sala riunioni della PAWS di Haifa. Questo evento ricordò agli osservatori la grande giornata di solidarietà tra i ferrovieri del 1935[57]. Nei mesi che seguirono il malcontento operaio aumentò per la carenza dei beni di prima necessità: dall’agosto 1942 la farina fu quasi introvabile in alcune zone urbane e il pane scarseggiava, tanto da arrivare a costare quasi la metà della paga di un ferroviere. Negli incontri con il management delle ferrovie i sindacalisti chiesero razioni regolari di farina, riso, zucchero, burro chiarificato e altri beni di base, e anche che il governo creasse per loro una cooperativa di consumatori per ridurre i prezzi. Le Ferrovie Palestinesi, preoccupate per l’efficienza del personale e dunque delle ferrovie, effettivamente fecero sì che i beni primari arrivassero a prezzi adeguati. Ma le trattative sul salario e sul COLA non diedero risultato, finchè il malcontento degli operai non sfociò in uno sciopero di tre giorni di tutte le officine di Haifa nel dicembre 1942, nonostante fosse in vigore il divieto di sciopero nei settori vitali dell’industria.

Inizialmente le Ferrovie Palestinesi rifiutarono di rispondere alle richieste dei lavoratori, ma pochi giorni dopo il direttore generale, A.H. Kirby, fece alcune importanti concessioni, incluso un aumento annuale del salario per tutti i lavoratori, scatti di anzianità e il pagamento degli straordinari. Kirby era stato egli stesso ferroviere e sindacalista in Inghilterra. Gli ebrei coi quali trattò lo vedevano come abbastanza favorevole al sionismo, a differenza di molti altri funzionari inglesi. Kirby era dell’idea di cambiare l’approccio del management verso i sindacati, e che i metodi repressivi che avevano contraddistinto il management precedente fossero superati. Cercò quindi di istituire un “comitato permanente dei dipendenti” con esponenti della direzione, dei lavoratori e del governo.

Passarono alcuni mesi prima che l’IU e l’AURW riuscissero a decidere chi dovesse rappresentare i ferrovieri nel comitato. Ancora una volta un punto fondamentale era quello della parità. Alla fine ogni sindacato mise un proprio esponente nel comitato, e la proposta di una delegazione congiunta di tutti i ferrovieri non andò mai in porto.

Come vedremo, il malcontento dei ferrovieri e la loro disponibilità all’azione assunsero forme più radicali nei mesi e anni successivi.

 

L’HISTADRUT, HASHOMER HATZAIR E L’ATTIVITA’ ARABA

            Durante il primo anno di guerra i funzionari dell’Histadrut si resero conto che le tensioni dell’epoca della rivolta erano molto diminuite e che si aprivano nuove possibilità per sviluppare relazioni con i lavoratori arabi. Nel luglio 1940, ad esempio, Eliyahu Agassi visitò la città di Safad, in Galilea, dove un gruppo di circa 50 operai arabi aveva contattato il consiglio operaio locale chiedendo aiuto per organizzarsi. Agassi fu colpito dal cambiamento di atmosfera: sebbene gli arabi di Safad, scrisse, fossero noti per essere altrettanto “fanatici” quanto quelli di Nablus, egli trovò arabi ed ebrei mescolati nelle strade e nei caffè.

            Tuttavia, fu presto chiaro ad Agassi e ai suoi colleghi che un aspetto fondamentale era rimasto lo stesso: i lavoratori arabi si avvicinavano all’Histadrut e alla PLL per lo più per trovare lavoro. In questo caso la Solel Boneh, la compagnia di costruzioni dell’Histadrut, aveva vinto un appalto per la costruzione di una nuova stazione di polizia vicino a Safad, a condizione che fosse impiegata manodopera araba indigena. Questa stazione era una delle numerose piazzeforti che il governo aveva costruito per tenere sotto controllo il territorio palestinese durante e dopo la rivolta; esse erano soprannominate “Tegart”, da sir Charles Tegart, l’esperto di controinsurrezione del governo loro ideatore. I lavoratori arabi che avevano contattato l’Histadrut volevano che la Solel Boneh li assumesse al posto dei lavoratori già impiegati dalla compagnia tramite gli intermediari arabi locali. Prudente come sempre, Agassi non era convinto dell’opportunità che la PLL facesse da intermediaria per le aziende dell’Histadrut, soprattutto perché così facendo avrebbe potuto interferire con l’impiego di più lavoratori ebrei nel medesimo progetto. Agassi temeva anche che se avesse aiutato un sindacato arabo questo sarebbe sfuggito al controllo, chiedendo non solo più posti di lavoro ma anche paghe e orari uguali a quelli dei lavoratori ebrei. Ciononostante, concluse, era importante accontentare i lavoratori arabi per ragioni politiche, per dimostrare a loro i benefici derivanti dalle buone relazioni con gli ebrei[58].

            In ogni caso il dipartimento arabo dell’Histadrut non era pronto ad approfittare delle nuove circostanze. I suoi fondi erano a secco, la PLL esisteva solo ad Haifa, ogni suo settore funzionava a fatica, Haqiqat al-Amr dopo tre anni rimaneva un’operazione a metà. La morte di Dov Hoz in un incidente stradale nell’estate 1940 inoltre privò dalla scena uno dei leader dell’Histadrut che prendeva più sul serio l’attività araba. 

            Dal canto suo, Hashomer Hatzair (HH) aveva criticato per anni l’atteggiamento cauto e riluttante dell’Histadrut verso l’attività araba. Ma a dispetto di queste critiche essa stessa negli anni ’30 non aveva fatto molto. Hashomer Hatzair era preoccupata innanzitutto dell’insediamento e consolidamento dei suoi kibbutz, e della cristallizzazione di un movimento consolidato e stabile, perciò le sue roboanti risoluzioni sulla solidarietà arabo-ebraica restarono senza conseguenze pratiche. Solo una volta, all’avvicinarsi del Primo Maggio, il segretario del dipartimento politico di HH preparò un opuscolo che esortava i lavoratori arabi alla solidarietà con i loro compagni ebrei, lo fece tradurre in arabo e lo inviò nei kibbutz perché fosse distribuito nei villaggi arabi vicini.

            Alla fine degli anni ’30, comunque, era cresciuta nel movimento la volontà di muoversi autonomamente su questo terreno. La rivolta non solo aveva reso evidente la profondità dell’opposizione araba al sionismo, ma aveva anche reso plausibile lo spettro della partizione, cui HH era profondamente contraria. Perciò, per “vendere” la sua alternativa binazionalista al movimento operaio ebraico, all’Yishuv e al movimento sionista, HH aveva bisogno di dimostrare che questa aveva dei sostenitori tra gli arabi.

            Nel 1940 la direzione di HH decise così di selezionare un gruppo di attivisti che formulassero e implementassero un programma sistematico di attività araba. Il ruolo principale in tal senso fu affidato ad Aharon Cohen, che lo svolse per tutti gli anni ’40. Cohen era nato in Bessarabia (prima parte dell’impero zarista e poi della Romania) nel 1910; era giunto in Palestina nel 1929 già da militante di HH, unendosi al kibbutz Shaar Haamakim, non lontano da Haifa. Quattro anni dopo il suo movimento lo inviò di nuovo in Romania come emissario sionista. Dopo il suo ritorno fu eletto nell’esecutivo dell’Hakibbutz Haartzi (la federazione dei kibbutz che facevano riferimento ad Hashomer Hatzair), e sarebbe rimasto in tale ente fino al 1954. Nel 1936-37 coordinò il lavoro politico di HH ad Haifa, mentre continuava le missioni all’estero per favorire l’immigrazione illegale in Palestina.

            Con la sua tipica energia, Cohen gettò le basi del dipartimento arabo dell’Hakibbutz Haartzi, che avrebbe guidato nel decennio successivo. Pur riconoscendo la crescente importanza dell’intellighenzia urbana e della classe operaia, egli inizialmente proposte di concentrarsi sulla campagna, anche per non scontrarsi direttamente con l’Histadrut. La sua concezione su come sviluppare i rapporti con gli arabi, almeno sulla carta, era molto più sistematica e pratica di quella del MAPAI. Cohen insisteva che per avere una relazione alla pari con gli arabi bisognava innanzitutto conoscerli a fondo. Egli dunque prevedeva la costituzione di una sorta di banca dati dei villaggi arabi e della comunità araba, da raccogliere attraverso inchieste sistematiche. Le ricerche compiute da Cohen e dai suoi colleghi durante e dopo gli anni della guerra, e le relazioni da essi sviluppate, portarono alla pubblicazione di alcuni dei più notevoli e relativamente oggettivi studi sugli arabi di Palestina prodotti dai sionisti fino ad allora[59]. Come Cohen probabilmente sapeva, anche il servizio di intelligence dell’Haganah all’epoca era coinvolto in una propria raccolta dati su ogni città e villaggio arabo in Palestina.

            Cohen iniziò anche a educare i membri del suo movimento a proposito dell’importanza dei buoni rapporti con gli arabi. In numerose conferenze esortava i membri dei kibbutz a familiarizzare con gli arabi creando ad esempio degli ambulatori o dei club sportivi vicino ai loro villaggi. Egli spinse la direzione di HH ad aderire formalmente alla Lega Arabo-Ebraica per la Riconciliazione e Cooperazione; quando finalmente HH lo fece, nel giugno 1942, Cohen ne divenne uno degli attivisti più impegnati. Allo stesso tempo egli e i suoi seguaci continuarono a insistere affinchè l’Histadrut attivasse la PLL, e più in generale a cogliere le occasioni per la cooperazione arabo-ebraica, da essi ritenuta essenziale per la realizzazione del sionismo[60]. I leader del MAPAI, più concentrati che mai sulla questione dello stato ebraico e scettici sulla possibilità di un compromesso con gli arabi, si opposero alle richieste di HH per quanto riguardava la linea dell’Histadrut. In una lettera alla Lega Arabo-Ebraica Moshe Shertok, direttore del dipartimento politico dell’Agenzia Ebraica, dichiarò:

 

Il periodo cruciale per il sionismo è il passaggio da una minoranza ebraica a una maggioranza ebraica. In questo periodo gli arabi non saranno il fattore decisivo, bensì gli inglesi e gli americani. Non saranno gli arabi ad avere l’ultima parola, né nel mondo né qui; non fateci credere che dobbiamo andare dagli arabi e metterci d’accordo con loro[61].

 

Eliyahu Sassoon, capo dell’ufficio arabo del medesimo dipartimento politico, espresse chiaramente l’atteggiamento della dirigenza in una lettera ad Aharon Cohen, nella quale rispondeva con sarcasmo a un articolo di quest’ultimo sull’opportunità e l’importanza di un compromesso con gli arabi:

 

Le sarei molto grato se fosse così gentile da spiegarmi, in una lettera privata e non sulle pagine dei giornali, quali sono le nuove possibilità per un negoziato politico e quali sono i “solidi ambiti” (tra gli arabi) pronti in questa fase a discutere di un accordo arabo-ebraico che ci permetta la realizzazione dei sionismo[62].

 

A dispetto del disinteresse dei vertici, comunque, il gruppo degli attivisti dell’Histadrut ancora dedito al progetto di organizzare i lavoratori arabi si arrovellava disperatamente per far rinascere la PLL.

 

LA RIPRESA DEL MOVIMENTO OPERAIO ARABO

Due fattori alla fine indussero la leadership dell’Histadrut a impostare sul serio la questione dell’attività araba alla fine del 1942 e a prendere una maggiore iniziativa nel 1943: da una lato il crescente attivismo su questo terreno di Hashomer Hatzair, e dall’altro ancora più importante la ripresa, dopo anni di quiescenza, di un movimento sindacale arabo, legato a nuovo peso assunto in quest’ambito dalla sinistra.

Dopo una fase di avanzata nel 1934 – 36 il movimento sindacale arabo conobbe un periodo di paralisi negli anni della rivolta. L’ampia disoccupazione indebolì l’organizzazione, le energie furono volte alla lotta contro gli inglesi e il sionismo, e la repressione di massa, inclusa la carcerazione di molti sindacalisti, rese l’attività legale pressoché impossibile. Ma durante il 1940 e il 1941 l’AURW aveva gradualmente ripreso l’attività, e alla fine del 1941 la PAWS sua affiliata stava a sua volta allargandosi come iscritti e come influenza. Il cuore della PAWS era ancora formato dai ferrovieri arabi di Haifa, e alcuni dei suoi fondatori del 1925 erano ancora in auge: tra essi Abd al-Hamid Haymur, suo fratello Salim Haymur e Said Qawwas. Tuttavia questi veterani preferivano restare dietro le quinte, mentre l’uomo più noto al pubblico in questo periodo era Sami Taha. Nato nel 1915 nel villaggio di Arraba, Taha aveva iniziato la sua carriera nel 1930 come giovane impiegato alla sede centrale della PAWS. Fu detenuto sei mesi senza processo durante la rivolta araba. Nonostante non fosse ancora trentenne, Sami Taha divenne ora il principale portavoce dell’organizzazione.

La PAWS comunque era un’organizzazione a maglie piuttosto larghe e l’autorità della direzione nazionale era limitata ad Haifa e dintorni. Perciò fu possibile per gli attivisti della sinistra (inclusi alcuni vecchi militanti del PCP) assumere la guida di molte delle nuove sezioni della PAWS che andavano sviluppandosi nel 1942. Ad esempio la forte nuova organizzazione operaia di Jaffa formalmente era una branca della PAWS ma di fatto era guidata da Khalil Shanir, dirigente di lunga data del PCP. Questi attivisti consideravano Sami Taha e la vecchia guardia di Haifa come conservatori e inefficienti, ma preferivano restare dentro la PAWS, la piu vecchia e radicata organizzazione operaia palestinese, nella speranza di cambiarla.

Un opuscolo pubblicato durante questo periodo dalla sezione di Jaffa getta luce sulla condotta degli attivisti della PAWS di quella città. L’opuscolo esorta i lavoratori arabi a unirsi in difesa dei propri comuni interessi economici, espone i principi della PAWS, e spiega le agevolazioni rivolte nei confronti degli iscritti. L’opuscolo è privo di contenuti politici. Gli ebrei sono menzionati, non come un elemento alieno avente lo scopo di occupare la Palestina o privare gli arabi del lavoro (temi popolari fino al 1936), ma anzi come un modello da imitare. “Davanti a voi ci sono gli ebrei” diceva l’opuscolo.

 

Potete vedere che ciascuno di loro non lavora più di otto ore al giorno, guadagna un salario elevato, più del lavoratore arabo, e ha l’assistenza medica gratuita per sé e per i familiari. Cosa li ha portati a questa situazione? Pensate che il padrone ebreo sia più generoso del padrone arabo? No, fratelli! I lavoratori ebrei sanno come difendere i propri diritti, hanno formato un sindacato e tutti si sono iscritti, e questo li ha portati nella situazione che voi vedete[63].

 

La PAWS e anche altri sindacati rivali beneficiarono di un atteggiamento favorevole come non mai da parte del governo mandatario. Alla fine degli anni ’30 l’Ufficio Coloniale aveva iniziato a rivedere la sua condotta tradizionalmente ostile nei confronti dei sindacati nelle colonie dell’impero britannico, anche per non esacerbare la lotta delle classi operaie autoctone in senso nazionalista. L’ingresso del Partito Laburista nel gabinetto di guerra diede ulteriore impulso a questa linea. Nel 1940 il governo mandatario insediò il suo primo consulente del lavoro, R.M. Graves, fratello del poeta e romanziere Robert Graves. Egli raccomandò l’istituzione di un dipartimento governativo del lavoro con compiti di inchiesta, elaborazione di leggi, regolarizzazione dei sindacati. Molti funzionari inglesi, ebrei e arabi andarono a comporre lo staff del dipartimento, e tra questi H.E. Chudleigh, veterano del movimento sindacale inglese, che dedicò molto tempo ed energie nel 1942 – 43 a favorire e monitorare lo sviluppo di sindacati arabi in ogni parte della Palestina. Alcuni osservatori, specialmente funzionari dell’Histadrut, notarono che Chudleigh era particolarmente propenso a sostenere il lavoro dei comunisti. Ciò è plausibile, poiché Chudleigh pensava che i comunisti fossero i migliori organizzatori e in parte perché i comunisti arabi in Palestina nel 1942 – 43 davano un forte aiuto allo sforzo bellico alleato[64].

Il sostegno del governo mandatario indubbiamente favorì la sindacalizzazione dei lavoratori arabi. Ma l’impulso maggiore venne da una serie di militanti comunisti esperti e di intellettuali radicali che contribuirono a creare una nuova sinistra militante nel movimento operaio arabo. Come abbiamo già detto alcuni di essi lavoravano all’interno della PAWS, ma altri riuniti intorno alla figura di Bulus Farah stavano organizzando, sempre ad Haifa, un’organizzazione operaia interamente indipendente.

Farah era andato a lavorare nelle officine ferroviarie di Haifa nel 1925, all’età di 15 anni. All’inizio del 1930 si era unito al Partito Comunista di Palestina e nel 1934 il partito l’aveva inviato all’Università dei Lavoratori d’Oriente di Mosca, dove venivano formati gli attivisti provenienti dalle colonie. Rientrò in Palestina nel 1938 e presto divenne il riferimento di quanti erano in disaccordo con il vecchio segretario del partito, Radwan al-Hilw, detto Musa.

Il conflitto tra Farah e Musa non era legato solamente alle diverse caratteristiche personali; vi erano importanti differenze politiche. Farah era più favorevole al nazionalismo arabo di altri suoi compagni, e giocò un ruolo nella lotta ingaggiata dalla leadership araba del partito per riprendere il controllo sulla sezione autonoma ebraica formatasi durante la rivolta. Mentre alcuni dei componenti della sezione ebraica alla fine obbedirono all’autorità del comitato centrale, altri lasciarono il PCP nel 1940 e formarono un gruppo comunista separato ed esclusivamente ebraico chiamato Emet (Verità). Ma proprio Farah lo stesso anno fu espulso dal comitato centrale del PCP, dopo che altri dirigenti lo avevano accusato di avere passato informazioni alla polizia durante un breve periodo di detenzione. Farah accusò i suoi nemici nel partito di averlo raggirato e di avere infangato il suo nome.

Farah era dunque ai margini del partito e in aperta rottura con la leadership, che egli riteneva non solo inefficiente ma anche colpita dal deviazionismo sionista; tra le altre cose era anche indignato per la riammissione dei dissidenti di Emet nel partito nel 1942. Farah si mise in proprio e nel 1941 – 42 creò un largo seguito in Haifa. Il gruppo comprendeva sia membri del PCP che una cerchia di giovani educati alle idee di sinistra, per lo più diplomati e ora impiegati. Egli e i suoi seguaci svilupparono anche stretti legami con un ampio strato di sindacalisti scontenti per la scarsa aggressività della PAWS di fronte alle condizioni favorevoli create dalla guerra. Nel 1942 il gruppo di Farah aprì una sede in Haifa con il nome di “Raggi di speranza” (Shua al-Amal), con un indirizzo democratico e antifascista. La leadership del PCP replicò aprendo una “Casa del popolo” (Nadi al-Shab), ma sbagliò nel sottovalutare l’influenza del gruppo dissidente di Farah.

Che queste organizzazioni potessero operare più o meno apertamente senza temere la repressione poliziesca era dovuto al fatto che dopo l’invasione dell’URSS da parte della Germania nel giugno 1941 i comunisti erano tra i principali sostenitori dello sforzo bellico alleato presso la comunità arabo-palestinese. Gli inglesi sapevano che molti arabi palestinesi erano ambivalenti nei confronti della causa alleata, o peggio si auguravano la vittoria dell’Asse, che avrebbe significato la fine del dominio britannico e del progetto sionista. Alcuni dei leader del movimento nazionalista, come lo stesso Amin al-Husseini, erano andati oltre abbracciando apertamente la causa dell’Asse dall’esilio. Dunque gli inglesi erano disposti a tollerare e anche incoraggiare l’attività comunista, poiché una componente essenziale di tale attività era la propaganda in favore degli alleati, che i comunisti consideravano come contributo alla difesa dell’Unione Sovietica.

Nel novembre 1942 la coalizione di giovani intellettuali radicali e di attivisti operai organizzata intorno al circolo “Raggi di speranza” costituì la Federazione dei Sindacati e delle Società Operaie Arabe (FATULS). Questa nuova organizzazione presto ottenne l’adesione di sindacalisti attivi in tutte le principali unità lavorative di Haifa, scontenti per il conservatorismo della PAWS, incluso l’Iraq Petroleum Company, le raffinerie, la Shell, e in seguito i lavoratori del porto e dei campi militari. Alla fine del 1942 secondo i dati del dipartimento del lavoro la FATULS contava 1000 – 1500 iscritti, mentre quelli della PAWS in tutto il paese arrivavano a 5000, e gli aderenti paganti alla PLL erano stimati generosamente in circa 500 unità[65]. La rivalità tra la PAWS e la FATULS, e poi tra queste e la PLL, stimolò tutte queste organizzazioni a intensificare il loro lavoro sindacale. Bisogna tenere presente, tuttavia, che molte sezioni della PAWS erano a guida comunista, cosicchè dal 1943 in poi una consistente parte della classe operaia araba organizzata in Palestina era diretta da comunisti. Ma le relazioni tra le varie organizzazioni erano caratterizzate da tensioni interne ed esterne, cui si aggiungevano gli attriti con la sede nazionale della PAWS in Haifa, guidata dall’orientamento conservatore di Sami Taha.

 

HASHOMER HATZAIR VERSO LA SINISTRA ARABA

Aharon Cohen e i suoi compagni di Hashomer Hatzair colsero rapidamente il significato di questi sviluppi. “Stiamo assistendo a importanti novità nel mondo arabo, che aprono nuovi orizzonti e incoraggiano la nostra attività”, scrisse Eliezer Bauer nel luglio 1942. “Sta nascendo un movimento operaio, dei sindacati, gruppi di intellettuali, ed essi si avvicinano l’un l’altro sempre più[66]. La loro frustrazione per lo scarso impegno dell’Histadrut sulla questione crebbe sempre più, e lo riportarono sulla stampa del movimento e nei meeting dell’Histadrut. Ma questi sviluppi spinsero anche Cohen e i suoi a modificare il proprio orientamento, lasciando da parte l’intervento nelle campagne per concentrarsi su quelle che loro definivano le “forze progressiste arabe” nelle città. Essi speravano che sviluppando stretti legami con queste forze Hashomer Hatzair avrebbe contrastato efficacemente sia il nazionalismo arabo che il comunismo anti-sionista, puntando su una sinistra araba favorevole a una Palestina socialista e binazionale.

            Questo riorientamento indusse il dipartimento arabo di Hashomer Hatzair a devolvere tempo e risorse per relazionarsi con la sinistra araba. Durante il 1942 esso prese contatti con la Casa del popolo del PCP ad Haifa, e specialmente con Abdallah al-Bandaq. Non era un segreto per Cohen che al-Bandaq, che veniva da un’eminente famiglia cristiana di Betlemme, avesse stretti legami con il PCP, ed egli sapeva bene che al-Bandaq era anche membro della direzione clandestina del partito. Ciononostante lo presentò alla sua area come il prototipo di una nuova sinistra araba non comunista con la quale il sionismo di sinistra poteva trovare un terreno comune. Egli discusse anche con al-Bandaq l’idea di destinare fondi forniti da Hashomer Hatzair per lanciare un nuovo giornale per condurre la propaganda antifascista nella comunità araba e per promuovere la cooperazione con gli ebrei sulla base dell’uguaglianza politica.

            In retrospettiva, le relazioni di Cohen con al-Bandaq sembrano piuttosto bizzarre, visto che quest’ultimo nonostante lo negasse non solo era membro del PCP ma anche del comitato centrale, sin dal 1936. Nel 1944 egli sarebbe diventato membro del comitato centrale della neonata National Liberation League, un’organizzazione dichiaratamente anti-sionista.

            Uno storico israeliano del movimento comunista in Palestina ha recentemente definito Cohen un ingannatore che mentì ad al-Bandaq, e anche ai suoi stessi compagni[67]. Più ragionevolmente, si può supporre che egli fosse talmente convinto della possibilità di conciliare la cooperazione arabo-ebraica e il sionismo, da vedere in al-Bandaq un effettivo alleato. Sembra dunque che Cohen non si sia reso conto che negli anni ’40 non vi erano forze significative nella sinistra araba pronte a compromessi col sionismo, di qualunque genere. Riconoscere questo avrebbe significato riconoscere la futilità della sua visione della Palestina e del lavoro al quale aveva dedicato anni e anni della sua vita.

 

LA RINASCITA DELLA PLL

            Di fronte alla rapida espansione del movimento operaio arabo e all’intervento di Hashomer Hatzair, la leadership dell’Histadrut finalmente iniziò a dedicare più attenzione e fondi al suo dipartimento arabo e alla PLL. Una serie di dirigenti del MAPAI vennero assegnati al dipartimento arabo dell’Histadrut, aggiungendosi ad Aharon Cohen di Hashomer Hatzair e a Moshe Erem di Poalei Zion Smol, e il budget fu incrementato notevolmente. Ciò rese possibile per la prima volta assumere organizzatori arabi ed ebrei in più, riattivare le sezioni chiuse e aprirne di nuove[68].

            L’idea dell’Histadrut di cosa si stesse facendo e perché fu esposta in un opuscolo sulla PLL pubblicato nell’aprile 1943 e firmato da Abba Hushi[69]. Il pamphlet si apriva con una citazione attribuita a “un vecchio lavoratore arabo” che rende molto bene il modo in cui il sionismo laburista riteneva di essere visto dagli arabi: “Come il sole, senza che gli venga chiesto, sprigiona luce e calore, così l’Histadrut sprigiona luce a calore per i lavoratori arabi per il solo fatto della sua esistenza”. L’opuscolo di Hushi ripercorreva la storia dei tentativi dell’Histadrut di organizzare i lavoratori arabi e l’attività della PLL fino ad allora, sottolineando che la PLL ad Haifa aveva contribuito a impedire ai “terroristi” arabi di bloccare il porto durante la rivolta. Come altri membri del MAPAI, Hushi attribuiva i fallimenti dei decenni precedenti alle difficoltà insite nell’organizzazione dei lavoratori arabi, che appartenevano a un “popolo povero, largamente denutrito, semi-feudale, che vive in una parte del mondo dove il fatalismo è molto radicato, un popolo soggetto a una tradizione religiosa patriarcale che dura pressoché ininterrottamente da più di tredici secoli”. I sindacati arabi sorti durante la guerra secondo Hushi erano organizzati da “figli di ricchi effendi, dal passato assai discutibile, e da comunisti che vi partecipano o apertamente o sotto mentite spoglie” e senza avere veramente a cuore gli interessi dei lavoratori. L’opuscolo esortava l’Histadrut a tornare a organizzare i lavoratori arabi in sindacati sotto sua tutela (come la PLL) per facilitare la realizzazione del progetto sionista. Una versione in inglese dell’opuscolo rimproverava al governo mandatario di ostacolare le relazioni tra i lavoratori arabi ed ebrei – alludendo al favoritismo verso i sindacati arabi e a danno della PLL da parte del dipartimento del lavoro[70].

            I dirigenti dell’Histadrut avevano presente che la riattivazione della PLL e una politica di reclutamento di lavoratori arabi avrebbero reso impossibile la cooperazione con la PAWS e (ad Haifa) con la FATULS, le quali avrebbero visto quei passi come delle provocazioni. Ma a un meeting del dipartimento arabo dell’Histadrut Abba Hushi precisò, riprendendo la vecchia posizione del MAPAI, che “l’Histadrut deve agire come se i sindacati arabi non esistessero…vogliamo che i lavoratori arabi vengano organizzati solo da noi”. Questa posizione non fu condivisa da altri membri del dipartimento arabo, ad esempio Aharon Cohen e Moshe Erem. Quest’ultimo citò un arabo di Haifa che gli aveva detto che avrebbe aderito alla FATULS “perché lì gli arabi fanno tutto, è un organismo forte e attivo e non un’agenzia di collocamento come la PLL[71]. Ma come sempre la linea prevalente fu quella del MAPAI.

            La strategia invocata da Hushi e avallata dall’Histadrut ebbe i suoi primi effetti a Gerusalemme e Jaffa, ove i tentativi di cooperazione tra l’Histadrut e i sindacati arabi furono ostacolati. All’inizio del 1943 la sezione di Gerusalemme della PAWS e il locale consiglio operaio dell’Histadrut stavano congiuntamente trattando con i funzionari comunali per conto di 340 dipendenti del comune, inclusi i netturbini, di cui 250 erano arabi e 90 ebrei. Come molti altri lavoratori in Palestina, anche i dipendenti comunali di Gerusalemme avevano sofferto un forte calo dei salari reali a causa dell’aumento dell’inflazione; essi erano anche privi di alcuni benefici come il pagamento della malattia, delle ferie o degli infortuni. I negoziati fallirono, e nel febbraio 1943 l’Histadrut e la PAWS lanciarono uno sciopero di sei giorni che costrinse la municipalità e le autorità inglesi a garantire ai lavoratori un’indennità di contingenza e altre loro richieste. Sembravano poste le basi per una buona cooperazione tra la PAWS e l’Histadrut, come ebbe a dire un funzionario di quest’ultima coinvolto nei negoziati: “questo è l’inizio di un’azione congiunta e noi continueremo a lavorare insieme per migliorare le condizioni dei salariati di questo paese, ebrei e arabi[72].

In capo a poche settimane, tuttavia, apparve chiaro che l’Histadrut aveva invece deciso di sfruttare il prestigio che la vittoria dei dipendenti comunali le aveva dato per creare una sezione della PLL a Gerusalemme e reclutare lavoratori arabi, una linea che l’opuscolo di Hushi avrebbe di lì a poco esplicitato. Questa svolta offese i sindacalisti arabi, ancor più per il fatto che il nucleo della nuova sezione della PLL (formato per lo più da lavoratori arabi dei vicini campi militari) includesse alcuni ex membri della PAWS. I funzionari dell’Histadrut fin dal settembre 1942 avevano lavorato in segreto con gli anticomunisti che lottavano per il controllo della PAWS di Gerusalemme, e ora in primavera alcuni di questi lasciarono la PAWS per unirsi alla PLL.

La stessa strategia fu presto applicata anche a Jaffa, dove l’Histadrut cercò di aprire un’altra sezione della PLL. In questa città la PAWS aveva un buon radicamento ed era guidata da un veterano comunista, Khalil Shanir. A Jaffa come altrove i leader della PAWS espressero la volontà di cooperare con l’Histadrut, ma si opposero con forza alla linea dell’Histadrut di organizzare i lavoratori arabi attraverso la PLL. L’Histadrut assunse in segreto Adib al-Disuqi, che era stato membro della defunta Arab Workers’ Society, come suo responsabile locale. Al-Disuqi aprì un circolo sportivo che usò per prendere contatti coi lavoratori della zona. Eliyahu Agassi gli diede una mano sfruttando i legami che aveva costruito nel corso degli anni.

Nell’estate 1943 al-Disuqi e Agassi avevano iscritto più di 100 netturbini, alcuni ex-membri della PAWS, che avevano apprezzato la vittoria dei loro colleghi a Gerusalemme ma erano delusi dalla scarsa vena della PAWS nei loro confronti. A luglio Agassi e al-Disuqi iniziarono a trattare con il comune di Jaffa, per conto sia dei lavoratori arabi che di quelli ebrei, e in agosto si sentirono forti abbastanza per indire uno sciopero dei netturbini di quattro giorni. Nonostante le minacce del management e le esortazioni della PAWS ad abbandonare la PLL, gli scioperanti tennero duro e ottennero salari più alti. Questa vittoria permise alla PLL di consolidare la propria sezione di Jaffa che nel settembre 1943 contava circa 200 iscritti, per lo più dipendenti comunali. Nel frattempo la PLL si era allargata ad Haifa, dove (esagerando) affermava di avere 1200 iscritti, e aveva aperto sezioni a Acri, Tiberiade e nel villaggio di Qalunya, presso Gerusalemme.

Le manovre dell’Histadrut a Gerusalemme e Jaffa furono segno della nuova politica e nel breve periodo portarono a significativi successi, ma furono i 50.000 lavoratori arabi ed ebrei impiegati nelle basi militari inglesi e alleate a costituire il principale ambito di scontro tra le organizzazioni sindacali sioniste e arabe.

 

I CAMPI MILITARI, I LAVORATORI DEI CAMPI E LA LOTTA TRA I SINDACATI

Le basi e installazioni militari inglesi che nacquero sul suolo palestinese durante il primo anno di guerra crearono un nuovo spazio sociale in cui interagivano numeri mai visti di salariati arabi ed ebrei. Dal 1943 circa 35.000 arabi (per lo più lavoratori manuali) e 15.000 ebrei (due terzi dei quali qualificati o semiqualificati o impiegati) furono assunti direttamente dalle autorità militari inglesi in più di cento siti, grandi e piccoli; altre migliaia furono messi sotto contratto da intermediari arabi ed ebrei, inclusa la compagnia dell’Histadrut Solel Boneh, per costruire basi, stazioni di polizia, strade, ferrovie e altri progetti. Nel linguaggio di ogni giorno gli ebrei in Palestina generalmente si riferivano a queste basi come hakampim, i campi, ebraicizzazione del termine inglese. In arabo essi venivano chiamati al-muaskarat, i campi militari.

Molti dei lavoratori arabi erano contadini, spesso di villaggi ubicati vicino al campo nel quale erano assunti, alla prima esperienza di lavoro salariato o comunque non agricolo; altri provenivano dalla massa dei disoccupati urbani. Molti dei loro colleghi ebrei erano immigrati di recente provenienza, giovani, di origine mediorientale, individui che per una serie di ragioni non avevano trovato di meglio in altri settori, e anche cercavano di evitare la mobilitazione per la guerra decretata dalle autorità dell’Yishuv. Le condizioni di salario e di lavoro nei campi erano generalmente scadenti. Benchè i lavoratori ebrei fossero meglio pagati degli arabi, l’ammontare in genere era più basso di quello dei salariati ebrei dell’industria, e le autorità inglesi rifiutavano di concedere ai lavoratori dei campi l’indennità di contingenza che era stata conquistata nell’industria. Mentre i campi più grandi erano in genere collocati nelle vicinanze delle città, molti di quelli piccoli si trovavano in zone impervie, dove le condizioni di vita erano precarie, i lavoratori erano sotto il diretto controllo dei militari che li trattavano alla stregua di soldati, e lo sfruttamento e le vessazioni arbitrarie erano frequenti.

Sin dall’inizio del 1940 l’Histadrut si era rivolta al Congresso dei Sindacati in Inghilterra per un aiuto nel miglioramento dei salari nei campi. L’anno seguente Haqiqat al-Amr riportò che i lavoratori arabi ed ebrei avevano chiesto all’Histadrut di aiutarli a ottenere degli aumenti, e dopo lunghi negoziati questi effettivamente arrivarono, anche se furono presto erosi dall’inflazione[73]. Ma l’Histadrut fece sforzi relativamente scarsi di stabilire una propria presenza forte nei campi durante i primi due anni e mezzo di guerra, tanto che alla fine del 1942 solo circa un quarto dei lavoratori ebrei dei campi pagavano le quote all’associazione, un proporzione molto più bassa di quasi tutti gli altri settori che impiegavano lavoro ebraico. Alcuni fattori sembrano legati a questa scelta. Primo, la dispersione dei campi in varie zone del paese rendeva le cose difficili da un punto di vista organizzativo. Inoltre era chiaro che si trattava di posti di lavoro temporanei, legati all’emergenza bellica. A quanto pare la direzione dell’Histadrut era anche riluttante a confrontarsi con le autorità inglesi sulla situazione nei campi vista la minaccia di un’invasione tedesca dell’Egitto e della Palestina; in questo senso il disimpegno da questo settore sarebbe stato un segno dell’appoggio dell’Yishuv allo sforzo alleato.

Tuttavia, documenti dell’Histadrut di questo periodo suggeriscono che vi erano anche altre ragioni. I laburisti tendevano a considerare i lavoratori dei campi alla stregua di “materiale umano” di qualità piuttosto bassa, poco sensibili al progetto sionista. Erano visti come non corrispondenti all’immagine sionista laburista del vero proletario ebreo in Palestina, l’esperto, ascetico e autodisciplinato lavoratore dell’industria o membro del kibbutz. Questa immagine aveva anche una precisa componente etnica, poiché una grossa parte dei lavoratori dei campi erano di origine mizrahi (orientale, nel senso del Medioriente) invece che ashkenazi (Europa centro-orientale), e questo era un segno negativo agli occhi della leadership quasi totalmente ashkenazita dell’Histadrut. Un resoconto del 1942 affermava che i lavoratori ebrei dei campi erano “reclutati tra i venditori ambulanti del Shuk Hakarmel (il mercato ebraico) di Tel Aviv. I ciabattini che si aggirano nelle strade di Tel Aviv si sono elevati al rango di mastri costruttori[74]. Notizie di furti e ricettazione delle proprietà governative nei campi conferirono ai salariati del settore anche la nomea di criminali, o almeno di uomini privi della disciplina sionista – benché anche l’Haganah prelevasse dai campi armi e altro materiale utile. L’Histadrut riteneva questa forza lavoro particolarmente vulnerabile alla “penetrazione” e all’influenza dei suoi rivali politici, incluso i comunisti a sinistra e i revisionisti a destra.

L’Histadrut qualche volta cercò di inviare emissari per prendere contatti coi lavoratori ebrei nei siti più lontani, ma difficilmente ciò bastava a creare dei legami stabili col movimento sionista laburista. Questo scarso attivismo fece sì che i partiti alla sinistra del MAPAI – Hashomer Hatzair e il PCP – ottenessero un certo seguito tra i lavoratori ebrei dei campi, le cui condizioni salariali e di impiego erano sempre precarie. Queste due organizzazioni fecero anche grossi tentativi di stabilire buone relazioni con i salariati arabi del settore.

Nonostante l’interesse economico comune, la cooperazione arabo-ebraica spesso fu impedita dalla sfiducia reciproca. Un episodio dell’estate 1941 può servire a illustrare la complessità della situazione. Circa 150 arabi e 100 ebrei erano impiegati nel sito conosciuto come Wadi Sara, con paghe rispettivamente di 12 e 20 piastre al giorno – una differenza non inusuale, legata solo in parte ai livelli di qualifica. La rabbia si manifestò quando il comandante del campo annunciò che la giornata lavorativa sarebbe passata da nove a dodici ore. Alcuni dei lavoratori arabi ed ebrei concordarono di protestare presentandosi al lavoro con un’ora di ritardo rispetto al solito. Tuttavia la protesta fallì, in parte poiché i lavoratori arabi temevano che i lavoratori ebrei avrebbero approfittato per ottenere i loro posti. Alla fine furono circa 40 lavoratori ebrei ad essere licenziati, e i tentativi dell’Histadrut di farli riassumere non ebbero esito.

Nel lungo periodo, i lavoratori dei campi erano un bacino troppo ampio e potenzialmente importante da essere ignorato, sia dall’Histadrut che dal movimento operaio arabo in ripresa. Così, nell’estate 1942 l’Histadrut istituì un nuovo dipartimento apposito, coordinato da Berl Repetur. I consigli operai di alcune città crearono delle sezioni per i lavoratori dei campi limitrofi. Nello stesso tempo, la PAWS e la FATULS intensificarono i loro sforzi di organizzare i lavoratori arabi dei campi in varie parti del paese.

Nessuna di queste organizzazioni ottenne successi stratosferici. La PAWS (e in minor misura la FATULS) fece nuovi iscritti in diversi campi, ma la grande maggioranza dei lavoratori arabi non fu sindacalizzata. Allo stesso modo, nel marzo 1943 solo circa 8.000 dei 15.000 lavoratori ebrei erano iscritti all’Histadrut, più 1.200 ad altre organizzazioni ebraiche, probabilmente revisioniste o religiose. Un piccolo numero di lavoratori arabi dei campi aderì alla PLL.

All’inizio del 1943 vi furono anche segni di crescente malcontento, con una serie di piccoli scioperi e altre azioni. Benchè le paghe giornaliere fossero salite a 21 piastre per gli arabi e 28 per gli ebrei, i prezzi erano saliti molto più rapidamente. Il malcontento era anche generato dalla riluttanza delle autorità militari a negoziare con i comitati di lavoratori o l’Histadrut stessa; la cosa sembra avere a che fare con la raggiunta abbondanza di manodopera. Alla fine del marzo 1943 un comitato governativo per i salari approvò una consistente indennità di contingenza per i lavoratori dell’industria e dei servizi, ma le autorità militari si rifiutarono di estenderlo ai lavoratori dei campi. I lavoratori dunque mostravano una nuova disponibilità a organizzarsi e lottare, che sia la PAWS che l’Histadrut dovevano cogliere. Era chiaro che fosse giunto il momento di agire, e per entrambe si trattava di decidere quali forme di lotta impiegare e come relazionarsi l’un l’altra per migliorare la situazione di questa così consistente forza lavoro mista arabo-ebraica.

La PAWS rispose all’emergere del malcontento nei campi chiamando un raduno di circa 100 delegati operai a Jaffa il 4 aprile 1943. La situazione dei lavoratori dei campi fu il tema principale in discussione, e la conferenza approvò una risoluzione che esortava il governo a concedere aumenti di salari, il COLA, il pagamento degli straordinari e delle festività religiose, la limitazione della ferrea disciplina e il riconoscimento dei rappresentanti dei lavoratori arabi. Un certo numero di delegati denunciò anche ciò che riteneva la discriminazione in favore dei lavoratori ebrei. La PAWS manteneva la volontà di cooperare con l’Histadrut nei negoziati, a condizione che quest’ultima si astenesse dal reclutare gli arabi e si limitasse a rappresentare solo gli ebrei. I delegati della PAWS non ipotizzarono azioni di sciopero.

L’Histadrut ora doveva decidere se cooperare o meno con la PAWS. Quando la direzione dell’associazione si riunì il 13 aprile 1943, fu concordato da tutti che se l’esercito non avesse esteso entro dieci giorni il COLA ai lavoratori dei campi, l’Histadrut avrebbe convocato una propria conferenza operaia nazionale e anche messo in calendario una giornata di sciopero. La questione della cooperazione con gli arabi fu delegata al nuovo organismo responsabile del lavoro nei campi militari, e al dipartimento arabo di questo. A un incontro congiunto due giorni dopo fu deciso che l’Histadrut non avrebbe collaborato con la PAWS nella vertenza sul COLA. Fu fissata una conferenza nazionale per il 2 maggio a Tel Aviv, cui doveva seguire una giornata di sciopero.

            La PAWS replicò stizzosamente a questa iniziativa unilaterale dell’Histadrut. In un opuscolo datato 26 aprile esortava i lavoratori arabi a non partecipare al meeting del 2 maggio, che veniva descritto come fatto apposta per sabotare la sua conferenza del 4 aprile precedente. Ciononostante l’Histadrut tenne la conferenza, alla quale parteciparono 147 delegati da 99 siti di tutta la Palestina. Il resoconto ufficiale non riporta quanti delegati arabi fossero presenti ma, apparentemente per un intento di equità, afferma che  un numero uguale di oratori arabi ed ebrei presero la parola. Dopo i discorsi conclusivi di Berl Repetur e Golda Meir, allora a capo del dipartimento politico dell’Agenzia Ebraica, i delegati affermarono di parlare a nome di tutti e 50.000 lavoratori dei campi e annunciarono una giornata di sciopero, la cui data esatta sarebbe stata decisa dalla direzione dell’Histadrut. Un telegramma inviato dalla PAWS, che affermava che la conferenza rappresentava solo i lavoratori ebrei e che gli arabi riconoscevano solo le decisioni della conferenza del 4 aprile a Jaffa, non fu letto ai delegati. Pochi giorni dopo l’Histadrut confermò lo sciopero fissandolo per il 10 maggio.

            La PAWS rispose di nuovo con un opuscolo che denunciava la decisione dell’Histadrut di organizzare uno sciopero senza consultare il vero rappresentante dei lavoratori arabi, e iniziò un’intensa campagna per convincere questi ultimi a non scioperare. Pubblicò anche un opuscolo in ebraico che esortava gli ebrei a non fare uno sciopero “separatista” ma a cooperare coi loro compagni arabi e la PAWS per gli interessi di tutti i lavoratori. Nello stesso tempo la PAWS inviò all’Histadrut una lettera proponendo di discutere la cooperazione tra le due organizzazioni.

            Nell’Histadrut vi fu un vivace dibattito se proseguire o meno con lo sciopero, ma alla fine l’esecutivo decise di mantenere la decisione già presa. All’avvicinarsi della data la PAWS intensificò la sua campagna per distogliere i lavoratori arabi dallo sciopero. Un nuovo opuscolo denunciava la diceria propagandata dall’Histadrut che la PAWS era stata consultata sullo sciopero ed aveva acconsentito:

 

La verità è che l’Histadrut non ha riconosciuto e non riconosce i sindacati arabi…la PAWS a Jaffa ha deciso che la data dello sciopero è prematura per gli arabi e ritiene che l’interesse dei lavoratori sia aspettare l’esito degli imminenti negoziati…Lo sciopero è la sola arma dei lavoratori, ma quest’arma deve essere usata nel momento in cui può condurre all’ottenimento delle proprie rivendicazioni…[75]

 

Il giornale dell’Histadrut Davar affermò in seguito che le sue sincere proposte di cooperazione con la PAWS erano state rifiutate e che quest’ultima si era opposta allo sciopero per motivi strettamente politici. Ma l’esame della documentazione di quel periodo esclude entrambe queste affermazioni. Per di più, sembra che gli appelli della PAWS abbiano colpito nel segno, specialmente nei campi più grandi situati presso le città grandi. Un visitatore ebreo a Sarafand, una delle più grandi basi militari inglesi del Medioriente, situata a poche miglia da Ramle, raccontò che i lavoratori arabi gli avevano chiesto: “Come puoi chiederci di collaborare, quando non ci avete consultato e anzi ci avete informato che domani ci sarà uno sciopero, e volete che vi partecipiamo?[76].

Nel giorno prefissato quasi tutti i lavoratori ebrei dei campi si unirono allo sciopero. La portata della partecipazione araba è meno chiara. Un opuscolo della PAWS scrisse che “il 100% dei lavoratori” aveva rifiutato di aderire. Il Davar al contrario affermò che la grande maggioranza di costoro vi aveva preso parte. Sembra in realtà che alcune migliaia di arabi si siano uniti allo sciopero, ovvero una piccola minoranza, il che dimostrò alla leadership dell’Histadrut che la campagna per escludere la PAWS era impraticabile. Dal momento che le autorità inglesi non mostravano alcuna intenzione di estendere il COLA ai lavoratori dei campi, l’Histadrut si trovò a che fare con continue pressioni dal basso: sia ebrei che arabi tenevano meeting di protesta, davano vita a brevi scioperi e facevano appelli ai sindacalisti affinchè lavorassero insieme.

Nelle settimane successive l’Histadrut finalmente rispose ai persistenti inviti della PAWS a incontrarsi. Ma i colloqui erano destinati a fallire dal momento che essa insisteva nel pretendere il riconoscimento della PLL e nell’organizzare i lavoratori dei campi in maniera esclusiva. Negli incontri con i dirigenti della PAWS di Jaffa i funzionari dell’Histadrut (specialmente Berl Repetur) adottarono una linea dura, criticando il sindacato arabo per la sua opposizione allo sciopero e rimproverandogli numerosi errori e mancanze. Né Khalil Shanir né gli altri suoi colleghi apprezzarono questo atteggiamento, e risposero per le rime. Ma ciò che più di tutto sabotò i colloqui fu l’insistenza dell’Hisadrut affinchè vi partecipassero i membri della PLL e in particolare Adib al-Disuqi, suo esponente di Jaffa. Per i dirigenti della PAWS questa fu una deliberata provocazione, se non un insulto, a riprova della cattiva fede dell’Histadrut. Un incontro si trasformò in un tumulto quando al-Disuqi prese la parola per criticare la PAWS. Shanir si infuriò: “Vai fuori di qui, sionista, paria, ti sei venduto agli ebrei, ti fai usare per 18 sterline al mese!” – riferendosi al salario di al-Disuqi come organizzatore della PLL a Jaffa[77].

Vi furono colloqui anche ad Haifa all’inizio di giugno, al meeting dei lavoratori arabi dei campi iscritti alla PAWS. Qui i toni furono meno accesi, e i militanti della PAWS accettarono che esponenti della PLL partecipassero agli incontri, ma sul piano pratico non scaturì quasi nulla. Presto anzi la spinta alla cooperazione venne meno.

All’inizio del giugno 1943 il governo mandatario annunciò che i propri dipendenti avrebbero ricevuto il COLA. Dopo alcune settimane apparve chiaro che esso sarebbe stato applicato anche ai lavoratori dei campi, in un modo da avvicinarsi tangibilmente alle loro richieste. Sebbene nessuno dei due sindacati sentisse la necessità di proseguire i negoziati, entrambi si rinfacciarono la volontà di interrompere i negoziati venendo meno alla solidarietà di classe. Dal canto suo, Agassi continuò nel tentativo di reclutare i lavoratori arabi nella PLL.

Ma sebbene egli, ottimista come sempre, riportasse ai suoi colleghi che molti arabi erano pronti a unirsi alla PLL, l’Histadrut ora non era per nulla interessata a formare nuove sezioni della PLL in questo settore. Uno dei motivi principali era ancora una volta quello della temporaneità del lavoro: con l’approssimarsi della fine della guerra l’Histadrut sarebbe stata obbligata a trovare nuove occupazioni per questa massa di operai, e questo non era nelle sue intenzioni.

Nel settembre del 1943 H.E. Chudleigh, del dipartimento del lavoro del governo, riassunse la situazione in una relazione sul movimento operaio ebraico e arabo in Palestina:

 

Negli ultimi mesi la situazione per i sindacati arabi ed ebraici si è fatta più difficile. I comuni interessi economici sono sovrastati dalle considerazioni politiche, che dominano ogni discussione. “Cocciuta” è il termine adatto per definire la dirigenza da entrambe le parti. Si sono manifestate possibilità di cooperazione nei campi e nelle officine militari, al comune di Jaffa e altrove. Ma solo al comune di Gerusalemme è stata raggiunta una minima collaborazione concreta[78].

 

LA SCISSIONE DEL PCP E LA FORMAZIONE DELLA NLL

Il conflitto tra la PAWS e l’Histadrut sullo sciopero dei lavoratori dei campi del maggio 1943 ebbe un impatto anche in un altro ambito: accelerò la crisi e la successiva disintegrazione del Partito Comunista di Palestina come organizzazione arabo-ebraica. Le tensioni dentro il partito erano in atto da parecchio tempo. Molti membri ebrei erano giunti a ritenere che si doveva moderare l’ostilità verso il sionismo e sfruttare la popolarità dell’Unione Sovietica nell’Yishuv per ampliare di nuovo la base di consenso tra gli ebrei. La comunità ebraica in Palestina, secondo questo punto di vista, doveva essere considerata non come un unico blocco reazionario, un “Ulster ebraico” coloniale impiantato dall’imperialismo inglese, bensì come una società sempre più complessa, con solide e profonde radici nel paese, che aveva acquisito molte delle caratteristiche di una nazione. Alcuni mettevano in discussione anche l’opposizione del PCP all’immigrazione ebraica, e molti membri ebrei proponevano di rientrare nell’Histadrut per fare una battaglia interna[79].

La maggior parte dei membri arabi del PCP erano di tutt’altro parere. Essi credevano che il partito dovesse superare la propria debolezza innanzitutto rivolgendosi alla maggioranza araba, per trasformarsi in una forza politica importante. Consideravano la Palestina un paese arabo, e dunque il partito comunista doveva dedicarsi alla maggioranza dei nativi arabi e al loro movimento nazionalista. Rifiutando ogni concessione al sionismo, il partito avrebbe dovuto rivolgersi ai vari settori della comunità araba con un programma che combinasse il nazionalismo arabo-palestinese con il riformismo social-democratico. Tra i principali comunisti arabi di questo avviso vi erano Bulus Farah, che aveva creato un suo seguito ad Haifa ed era convinto che la direzione del partito fosse ormai preda della deviazione sionista, e Abdallah al-Bandaq, un veterano del partito che, ricordiamo, era il candidato di Aharon Cohen a guidare una sinistra araba non comunista e filo-sionista.

Le tensioni nel partito giunsero all’apice all’inizio del 1943, quando il comitato centrale sciolse le correnti ebraiche dissidenti ed espulse alcuni membri ebrei che avevano disobbedito alla leadership partecipando alle celebrazioni del Primo Maggio organizzate dall’Histadrut. La crisi si inasprì quando fu chiaro che i membri arabi ed ebrei del partito erano su posizioni opposte rispetto alla disputa tra PAWS e Histadrut che precedette lo sciopero dei lavoratori dei campi del 10 maggio, indetto da quest’ultima.

Nonostante gli sforzi di alcuni membri di mantenere unito il partito, nei mesi seguenti si consumò la scissione. Lo scioglimento del Comintern nel maggio 1943 da parte di Stalin, come gesto di buona volontà verso i suoi alleati inglesi e americani, accentuò la divisione. L’eliminazione di questo organismo formalmente internazionalista rafforzò le spinte nazionaliste in seno al PCP. Questa a quanto pare fu la direzione intrapresa da alcuni militanti arabi (tra cui al-Bandaq e il suo giovane sodale Emile Habibi) quando, alla fine di maggio, dichiararono a nome del comitato centrale che il PCP si era finalmente liberato di quei membri ebrei caduti nel deviazionismo sionista. La dichiarazione definiva il PCP come “un partito arabo nazionale che include nei suoi ranghi gli ebrei che accettano il suo programma nazionale”. Questa definizione era una rottura decisiva con quella storica del partito come formazione arabo-ebraica e internazionalista, sebbene i suoi estensori probabilmente la vararono come una risposta al sionismo dei loro ex compagni. Non tutti i comunisti arabi appoggiarono immediatamente tale posizione: alcuni, come Khalil Shanir, speravano ancora in un recupero dell’unità arabo-ebraica. Ma alla fine prevalse l’orientamento più nazionalista, difeso anche da Bulus Farah il cui seguito ad Haifa costituiva il gruppo più coeso.

Dalla scissione del PCP scaturirono tre distinte organizzazioni, due interamente ebraiche e una interamente araba. Il gruppo ebraico più accondiscendente col sionismo si ridenominò Associazione per l’Educazione Comunista in Eretz Israel, seguendo l’esempio dei comunisti degli Stati Uniti guidati da Earl Browder, e poi cambiò ancora in Partito Comunista Ebraico. Un secondo gruppo ebraico, più ampio, insisteva nel considerarsi la continuazione del vecchio PCP e continuò a chiamarsi Partito Comunista di Palestina, anche se era una formazione del tutto diversa, sia per la componente solo ebraica che per le posizioni volte a ottenere maggiore accettabilità nell’Yishuv.

Molto più importante di queste due piccole e deboli fazioni ebraiche fu la nuova formazione politica araba scaturita dalla scissione del PCP. Dopo alcun incontri alla fine del 1943, all’inizio del 1944 un gruppo di dirigenti arabi comunisti diede vita alla Usbat al-Taharrur al-Watani (Lega per la Liberazione Nazionale, NLL), che aveva come organo il giornale al-Ittihad (L’Unità).

Benchè molti dei suoi membri fossero stati nel PCP, la NLL non si definiva come partito comunista ma come un’organizzazione nazionalista progressista aperta a tutti gli arabo-palestinesi che ne accettavano il programma, che prevedeva l’indipendenza della Palestina come stato arabo con un governo democratico e fondamentali trasformazioni sociali. La NLL cercò di propagandare un nazionalismo arabo-palestinese imbevuto di temi sociali progressisti. Essa chiedeva riforme per i lavoratori e contadini arabi e sosteneva che solo un movimento nazionalista a base di massa poteva sfidare con successo il colonialismo inglese e il sionismo.

Sin dalla nascita la NLL strinse forti legami con il movimento operaio, poiché poteva contare sui leader dell’ala sinistra della PAWS e della FATULS di Haifa. Trovò ampio sostegno anche da parte di molti giovani colti organizzati nella Lega degli Intellettuali Arabi. La NLL contava di porsi alla guida di un movimento nazionale così come i comunisti stavano facendo in Cina, Vietnam, Jugoslavia e altrove.

Come dirigenza di un movimento nazionale, la NLL si opponeva al sionismo, all’immigrazione ebraica e allo stato ebraico, e sosteneva che la maggioranza dei nativi arabo-palestinesi avesse diritto all’autodeterminazione. Tuttavia, i suoi leader differivano dalla classica posizione nazionalista poiché mantenevano la distinzione comunista tra masse ebraiche e sionismo: mentre quest’ultimo andava estirpato in quanto forma di colonialismo, le masse ebraiche (e quelle operaie in particolare) dovevano e potevano essere convinte che il loro interesse fosse nella solidarietà e unità con le masse arabe. Ciò implicava che tutti gli ebrei in Palestina diventassero cittadini a tutti gli effetti, e forse potessero beneficiare dello status di minoranza cultural-nazionale all’interno della futura Palestina Araba indipendente. Da un punto di vista pratico i sindacalisti del movimento operaio arabo legati alla NLL furono inclini alla cooperazione con i lavoratori e sindacati ebrei, e anche con l’Histadrut, nella misura in cui quest’ultima non cercava di organizzare, reclutare o rappresentare i lavoratori arabi.

 

SCONFITTA DELLA PLL

Nell’ottobre del 1943 funzionari dell’Histadrut calcolarono che nel corso dell’anno erano state spese circa 3.300 sterline per l’organizzazione dei lavoratori arabi, una somma mai impiegata prima; per il 1944 il dipartimento arabo ne richiedeva 12.000, più dei costi di pubblicazione di Haqiqat al-Amr. Questo grosso aumento dei fondi (forniti in larga parte dell’Agenzia Ebraica) aveva reso possibile l’ampliamento dello staff del dipartimento a Tel Aviv, ma non sembra aver portato grandi benefici al lavoro della PLL. Sulla carta, la PLL di Haifa rimaneva la più forte, con circa 400-500 membri che pagavano la tessera. Ma gli iscritti erano per lo più impiegati in piccole officine sparse tra la città e i suoi dintorni. L’organizzazione non era riuscita a radicarsi in nessuno dei più importanti luoghi di lavoro. Le sezioni nelle altre città erano ancor meno radicate.

I funzionari del dipartimento arabo dell’Histadrut erano incerti sul fatto che la PLL dovesse rimanere a guida ebraica, senza un insieme di dirigenti arabi che la rendessero più “attraente”. D’altra parte essi stessi avevano un’opinione piuttosto negativa degli arabi che a livello locale occupavano posti di responsabilità, e affermavano che “quando non c’è un lavoratore ebreo in una sezione, l’arabo non vale un granchè” e che “molti se non tutti (gli attivisti arabi della PLL) sono avidi” e dovevano essere controllati dagli ebrei, soprattutto in caso di accesso ai fondi. Per discutere il futuro dell’attività araba, membri del dipartimento si incontrarono con la segreteria del MAPAI nel novembre 1943. All’incontro erano presenti alcuni dei massimi dirigenti del MAPAI, inclusi tre futuri primi ministri dello stato di Israele (David Ben-Gurion, Moshe Shertok, Levi Eshkol), un futuro presidente (Zalman Rubashov) e almeno due futuri ministri (Pinhas Lubianker e Eliezer Kaplan)[80].

La discussione fu aperta da Shmuel Solomon, membro anziano del dipartimento arabo, che un sindacalista inglese che lo conobbe descrisse in seguito come “un uomo gentile, un ebreo tedesco che aveva fatto studi ebraici, classici e islamici[81]. Solomon espresse ottimismo sul futuro della PLL ma riconobbe che gli arabi la consideravano innanzitutto come un’agenzia di collocamento – una percezione che avrebbe causato problemi alla fine della guerra, perché i lavoratori dei campi militari avrebbero cercato impiego nelle fabbriche e imprese agricole di proprietà ebraica. “Tutte le nostre spiegazioni sul fatto che essi non sono membri dell’Histadrut, che c’è una differenza, sono di utilità pari al suono di un shofar[82]”. Solomon ammise anche che i lavoratori arabi erano scontenti del fatto che la PLL fosse diretta dai funzionari ebrei dell’Histadrut, e in alcuni casi avevano chiesto di pagare le quote come membri dell’Histadrut a tutti gli effetti, ricevendone i benefici corrispondenti.

I leader del MAPAI non diedero a Solomon e colleghi il sostegno che cercavano. Eliyahu Sasson espresse scetticismo sull’attività araba. Criticando Solomon per le sue stime sulle prospettive di crescita della PLL, ipotizzò un’organizzazione di 1000 – 1500 iscritti fedelissimi, grande abbastanza da ostacolare i sindacati arabi e utile in occasioni come la rivolta araba del 1936 – 39. Ben-Gurion propose la creazione di un piccolo partito arabo filo-sionista che potesse servire per le lotte politiche che si mostravano all’orizzonte. Sembrò insomma che i leader del MAPAI avessero perso quel poco di interesse che avevano precedentemente mostrato per l’attività araba.

Ma lo staff ebraico del dipartimento arabo non aveva ancora del tutto rinunciato. Nella prima metà del 1944 provò a rilanciare il lavoro della PLL introducendovi qualche aspetto di vita organizzativa autonoma. Tra le altre cose, venne creato un bollettino interno in arabo e si tenne, alla sede centrale dell’Histadrut a Tel Aviv, il primo convegno degli attivisti arabi di tutte le sezioni della PLL. Ma nessuna di queste mosse poteva alterare il fatto che la PLL fosse creata e diretta da ebrei, e questo ne ostacolava obiettivamente l’attività araba.

La riprova definitiva delle difficili possibilità per la PLL si ebbe in occasione della lotta che coinvolse l’organizzazione alla fabbrica metallurgica Wagner, nei primi mesi del 1944. Impiantata inizialmente da un uomo d’affari tedesco, con l’avvento della guerra la fabbrica fu requisita dalle autorità inglesi come proprietà nemica, i suoi proprietari incarcerati, e l’attività cessò. Fu riaperta nel 1941 sotto la direzione di un imprenditore arabo, Stilo Awwad. L’atteggiamento dispotico di Awwad verso i suoi circa 160 dipendenti, quasi tutti arabi, e specialmente il suo rifiuto di pagare loro il COLA come decretato dal governo mandatario, spinse un gruppo di operai a contattare la PLL. Con il disappunto del loro padrone e della PAWS la grande maggioranza del lavoratori si iscrisse alla PLL. I funzionari del dipartimento arabo dell’Histadrut credettero di essere giunti a una svolta, in quanto si trattava di lavoratori qualificati di una zona urbana, “proletari autentici” coi quali avevano sognato a lungo di creare legami stabili.

Awwad espresse la volontà di soddisfare le richieste degli operai ma si rifiutò recisamente di negoziare con la PLL. La disputa finì davanti a un arbitro del dipartimento governativo del lavoro, i cui funzionari stabilirono che anche la PAWS dovesse essere inclusa nelle trattative. R.M. Graves, direttore del dipartimento, disse: “Vogliamo l’organizzazione dei lavoratori arabi, ma non col metodo dell’Histadrut”. H.E. Chudleigh aggiunse che “siamo interessati a sostenere organizzazioni di lavoratori arabi dirette da loro stessi. Di più, siamo interessati a unire queste organizzazioni per creare un movimento operaio arabo unitario. La PLL crea divisioni, divide invece che unire[83].

La base della PLL alla Wagner si sfaldò nel corso del 1944. La direzione della fabbrica licenziò un certo numero di lavoratori della PLL e ne emarginò altri, mentre la PAWS spingeva per isolare la PLL e la stampa araba definiva i suoi aderenti lacchè dei sionisti. Quello che sembrava un punto di svolta nella costruzione di un radicamento nella PLL a Jaffa, andò incontro al fallimento completo.

La controffensiva della PAWS contro la PLL giunse al culmine quando alcuni attivisti sabotarono un meeting di quest’ultima organizzato per  celebrare il Primo Maggio 1944 e inaugurare una nuova sezione nel quartiere al-Manshiyya di Jaffa. Gridando, battendo le mani e facendo continue domande ai funzionari dell’Histadrut sul podio, gli attivisti arabi fecero fallire il meeting e, ancora più importante, intimidirono i membri della PLL e le loro potenziali reclute, che in seguito presero le distanze. La PLL fu costretta a spostare la sede da al-Manshiyya a un quartiere ebraico di Tel Aviv, e alla fine del 1944 essa praticamente aveva cessato di esistere a Jaffa.

Possiamo farci un’idea delle posizioni degli arabi che sabotarono la celebrazione della PLL da un opuscolo intitolato Da lavoratori arabi a lavoratori ebrei, firmato da cinque attivisti arabi che l’Histadrut aveva denunciato per disturbo della quiete pubblica dopo il fallimento del meeting. L’opuscolo, in ebraico, respingeva le accuse dell’Histadrut che quel 30 aprile i disturbatori fossero agenti di polizia o di Stilo Awwad. I firmatari affermavano di essere lavoratori della base che volevano sapere perché venivano allontanati dal lavoro e dunque privati del pane.

 

Fratelli operai! Immaginate ciò che direste se questo capitasse a voi, se vi licenziassero soltanto perché siete ebrei, e vedeste le vostre famiglie e i vostri figli piangere per la fame. Immaginate se quelle stesse persone che ieri vi hanno cacciato dal lavoro oggi venissero da voi a parlare del Primo Maggio, dichiarando che domani vi lasceranno a casa, se possono. Ebbene, proprio in questi giorni l’Histadrut ha organizzato dei picchetti alla fabbrica di Rishon Letziyon per allontanare dal lavoro i quattro arabi che vi sono assunti[84].

 

La parabola della PLL a Gerusalemme fu simile a quella di Jaffa. All’inizio del 1944 la PLL riuscì a tesserare più di 100 lavoratori arabo-palestinesi, egiziani e sudanesi impiegati al prestigioso King David Hotel, e dopo una mediazione del dipartimento governativo del lavoro costoro ottennero un contratto decente. Tuttavia questo successo spinse la PAWS a promuovere una campagna per far sì che i lavoratori arabi all’hotel e altrove si staccassero dall’Histadrut. Come a Jaffa, la sezione locale della PAWS disturbò la celebrazione del Primo Maggio della PLL, mentre i suoi opuscoli denunciavano i “mercenari del sionismo” e attaccavano l’Histadrut per aver spinto il partito laburista inglese ad adottare una risoluzione in favore dello stato ebraico in Palestina e del “trasferimento” degli arabi-palestinesi nei paesi vicini. La PLL riuscì a mantenere la maggior parte degli iscritti tra i dipendenti del King David Hotel, ma nel luglio 1946 l’albergo (che era stato occupato dalle autorità inglesi per allestirvi uffici amministrativi) fu chiuso dopo un attentato dinamitardo eseguito dall’organizzazione paramilitare sionista di destra Irgun, che provocò quasi 100 morti tra cui diversi civili arabi ed ebrei.

Un’altra lotta che coinvolse dei dipendenti d’albergo durante questo periodo dimostrò le scarse prospettive per la PLL tra i lavoratori arabi. Nel settembre 1944 alcune dozzine di arabi e arabe impiegate all’hotel American Colony chiesero aiuto alla PLL. Fondato alla fine dell’Ottocento da una setta cristiana americana i cui membri si erano stabiliti in Terrasanta, l’American Colony ora ospitava funzionari governativi e vip stranieri. Quando in ottobre la direzione licenziò alcuni dipendenti identificati come teste calde, i lavoratori scesero in sciopero, e vennero sommariamente cacciati dai loro alloggi presso la colonia. Il conflitto assunse subito un carattere politico, data la frustrazione della PAWS per il mancato allontanamento dei lavoratori arabi dal King David Hotel e la crescente tensione tra ebrei e arabi dovuta ai nuovi tentativi di aumentare l’immigrazione da parte del movimento sionista. La PAWS e la stampa araba denunciarono lo sciopero come complotto sionista e fecero forti pressioni perché i lavoratori lo interrompessero. Fallito questo tentativo, la PAWS arrivò a fornire alla direzione dell’hotel dei nuovi dipendenti per rimpiazzare gli scioperanti della PLL. L’Histadrut cercò senza successo di far intervenire il dipartimento governativo, e lo scioperò fallì[85].

Come per lo sciopero alla Wagner di Jaffa, la sconfitta all’American Colony segnò la fine delle prospettive di organizzare lavoratori arabi per la sezione di Gerusalemme della PLL. In tale città negli anni successivi la PLL guidò uno sciopero vittorioso degli arabi del villaggio di Qalunya, impiegati alla fabbrica di piastrelle Steinberg, e rappresentò i dipendenti ebrei delle fornerie, ma furono risultati di piccola scala. In privato, il dipartimento arabo dell’Histadrut ammise che il sabotaggio delle celebrazioni del Primo Maggio aveva in effetti paralizzato l’organizzazione. La PLL aveva poche prospettive di andare oltre la propria intrinseca debolezza, mentre il movimento operaio arabo, seppur frazionato, andava incontro a una fase di vigorosa ripresa.

 

LOTTE DI CLASSE E MOVIMENTO OPERAIO ARABO

            Sia i lavoratori arabi che i lavoratori ebrei manifestarono un forte dinamismo negli ultimi due anni di guerra. L’aumento dei salari conseguito in vari luoghi di lavoro nel 1943 non bastò a far fronte all’ancor più rapido aumento dei prezzi, e il malcontento non cessò. All’inizio del 1944 la decisione del governo mandatario di ridurre il COLA nelle officine ferroviarie di Haifa provocò forti proteste. Sospinto dalla pressione della base, il comitato di sciopero della sezione dell’IU di Haifa contattò l’AURW per discutere un’azione congiunta. I sindacalisti arabi erano incerti se cooperare o meno, quando un incidente fece precipitare gli eventi.

            Mercoledi 2 febbraio 1944 un lavoratore arabo delle officine ebbe un grave infortunio. Poiché non vi erano medici sul posto e l’ambulanza era in riparazione, si dovette andare un prendere un medico alla vicina fabbrica di gomma Vulcan, di proprietà dell’Histadrut. Quando arrivò egli non fu in grado di suturare la ferita alla testa perché mancavano i materiali necessari. Il ferito alla fine fu portato in ospedale, ma i lavoratori si infuriarono per le mancate cure da parte della direzione. Efrayyim Krisher di Hashomer Hatzair e un dipendente veterano del MAPAI chiamarono immediatamente una manifestazione, e in capo a un quarto d’ora tutti i 1.400 addetti – di cui 200 ebrei – erano riuniti davanti agli uffici. Essi furono presto raggiunti da altri 170 provenienti dai vicini capannoni delle locomotive. Un comitato di sciopero di tre arabi e due ebrei fu scelto per recarsi dai dirigenti e presentare una lunga serie di rivendicazioni, incluso il mantenimento del COLA, un aumento del salario minimo, l’indennità di infortunio, l’estensione del fondo pensione a tutti i lavoratori e la presenza fissa di un medico nelle officine. Il general manager Kirby si rifiutò di negoziare finchè i dipendenti non fossero tornati al lavoro. Alla sera essi andarono a casa, ma il giorno dopo tornarono in massa si rifiutarono di lasciare le officine senza che le richieste fossero soddisfatte. Il morale dei lavoratori era molto alto e l’unità arabo-ebraica evidente. Quando la PAWS fornì del cibo, gli arabi lo divisero coi loro compagni ebrei; e quando il consiglio operaio di Haifa mandò (più tardi) delle scorte, i lavoratori ebrei le socializzarono. Il cibo da parte ebraica arrivò dopo perché i dirigenti dell’Histadrut ad Haifa, e specialmente Abba Hushi, erano fortemente contrari allo sciopero e si auguravano che finisse il prima possibile. Insieme al segretario nazionale dell’IU Yehetzkel Abramov e alla leadership dell’Histadrut a Tel Aviv, Hushi temeva che lo sciopero avrebbe rafforzato l’AURW e la PAWS.

            Abramov fece del suo meglio per far finire lo sciopero. In questo fu aiutato da Sami Taha, segretario generale della PAWS, a capo dell’ala più conservatrice del movimento sindacale arabo. Sotto queste pressioni, i dirigenti sindacali ebrei di Haifa accettarono di chiamare la fine dello sciopero, anche se Kirby non aveva concesso praticamente nulla. I sindacalisti arabi furono più risoluti, ma alla fine cedettero anche loro alle pressioni di Sami Taha. La notte del venerdi, dopo tre giorni di sciopero e due di occupazione delle officine, i lavoratori si ritirarono. Il giorno dopo tornarono al lavoro, avendo ottenuto soltanto una lieve concessione sul fondo pensione e la promessa che il loro caso sarebbe stato esaminato dal dipartimento governativo.

            Pur non avendo ottenuto nulla di sostanziale, i lavoratori delle officine di Haifa uscirono da quelle giornate con una forte consapevolezza della propria forza e del valore dell’unità arabo-ebraica, e il malcontento continuò a manifestarsi attraverso brevi scioperi durante il 1945. In marzo ad esempio le officine di Haifa furono chiuse per un’ora e mezza da uno sciopero di protesta per costringere la direzione a sborsare le paghe prima del solito a causa delle imminenti feste musulmane ed ebraiche. Il mese successivo circa 150 lavoratori delle poste del distretto di Jaffa – Tel Aviv, che non avevano la fama di grande attivismo, fecero un breve sciopero. Durante l’estate i lavoratori delle poste tennero un congresso nazionale ed elessero un comitato di sciopero composto da tre arabi e tre ebrei. L’ala sinistra del movimento operaio arabo, guidata dalla neonata NLL, applaudì a questi sviluppi. Il giornale della NLL al-Hittihad proclamò che  “la cooperazione tra i post-telgrafonici arabi ed ebrei è la prova evidente della possibilità di azione congiunta in ogni luogo di lavoro[86]. Come vedremo, nei tre anni successivi i ferrovieri e i post-telegrafonici ebbero un ruolo preminente nel promuovere una serie di lotte economiche arabo-ebraiche.

            La spinta dal basso indusse la sinistra araba ad assumere la direzione del movimento operaio. La rottura nel Partito Comunista di Palestina a metà del 1943 e la nascita della NLL aprirono la strada ad una ricomposizione delle forze all’interno del movimento. Era ora possibile la creazione di una federazione operaia unitaria, guidata dalla NLL, che includesse la FATULS di Haifa e le varie sezioni della PAWS distribuite nel paese. Allo stesso tempo crebbero le tensioni tra i comunisti che operavano nella PAWS e la leadership nazionale, rappresentata dal conservatore e autoritario Sami Taha. Un sindacalista inglese che visitò la Palestina nel 1945 descrisse lo stile di Taha in questi termini:

 

La PAWS fu fondata nel 1925 e ha svolto una considerevole quantità di genuino lavoro sindacale. Negli anni ha certamente superato molte difficoltà politiche, mantenendo alta la sua bandiera. Ma il suo segretario, Sami Taha, sfuggente come una biscia, ha modificato la scena con un piglio autoritario, ad esempio l’organizzazione è su base territoriale e non sindacale. Cioè, ogni sezione elegge il comitato esecutivo, e ogni comitato invia un rappresentante al consiglio supremo ad Haifa; ma il comitato esecutivo di tutta la PAWS è di fatto il comitato esecutivo della sezione di Haifa, e questo non viene eletto da dieci anni. Non c’è nessuna democrazia, compagni.

 

Questo osservatore, comunque, notava che sebbene “Sami Taha sia un topo di fogna…non credo che sia un topo di fogna completo[87].

Nell’estate del 1944 la sezione di Nazareth della PAWS, guidata dal comunista Fuad Nassar, si staccò dall’organizzazione e con la FATULS costituì un “consiglio supremo dei lavoratori arabi”, che tuttavia esisteva solo sulla carta. Ma la maggioranza dei comunisti della PAWS non vollero seguire l’esempio della sezione di Nazareth. La loro fedeltà peraltro fu messa a dura prova dall’operazione con cui Sami Taha riuscì a far nominare il suo sodale, l’avvocato di Haifa Hanna Asfur, come delegato al congresso sindacale internazionale in programma a Londra nel febbraio 1945. Bulus Farah, capo della FATULS ad Haifa, che insieme ai suoi colleghi della NLL considerava Asfur un reazionario borghese, andò a Londra solo come osservatore, lo stesso status concesso a George Nassar della PLL.

La scelta di un conservatore e non operaio come Asfur, unitamente al fatto che la conferenza di Londra adottò una risoluzione sulla Palestina tendenzialmente in favore del sionismo, spinse la sinistra della PAWS a intensificare la sua campagna contro Sami Taha. In particolare la sinistra decise che i delegati arabi-palestinesi al congresso fondativo della Federazione Mondiale dei Sindacati (WFTU), in programma a Parigi alla fine di agosto 1945, dovessero essere scelti democraticamente e fossero dei salariati. Dopo un meeting a Nablus nel quale Sami Taha e Hanna Asfur si erano autonominati delegati della PAWS a Parigi, le sezioni di Jaffa, Gerusalemme e Gaza, insieme ad altre otto, si separarono e formarono l’Arab Workers’ Congress (AWC), al quale presto aderì anche la FATULS. Questa nuova federazione sindacale, d’accordo con la NLL, scelse Bulus Farah e Mukhlis al-Amr (capo della sezione PAWS di Gerusalemme) come propri delegati a Parigi. Colà essi riuscirono a bloccare un’altra risoluzione pro-sionista e aiutarono ad eleggere un comunista libanese, Mustafa al-Aris, come rappresentante per il Medioriente nell’esecutivo della neonata WFTU, battendo un candidato dell’Histadrut. Sami Taha e Hanna Asfur in quell’assise furono solo osservatori.

 

 

3

 

VERSO LA CATASTROFE

(1945 – 1948)

 

 

 

 

 

 Conferenza sionista internazionale all’Hotel Biltmore di New York, maggio 1942

Viene fissato l’obiettivo di porre fine al mandato inglese e di creare un Commonwealth ebraico su tutta la Palestina

Al centro il presidente dell’Organizzazione Sionista Mondiale Chaim Weizmann, alla sua sinistra David Ben-Gurion

 

 

I cambiamenti politici, economici e sociali che gli anni della guerra avevano arrecato alla Palestina contribuirono al nuovo scenario nel quale si sarebbe giocata la contesa decisiva tra il sionismo e i palestinesi. Anche prima della fine della guerra, l’opposizione sionista alla politica inglese era cresciuta, assumendo anche forme violente e insurrezionali. La campagna sionista stimolò la ripresa del movimento nazionalista arabo-palestinese. Benchè non si fosse ancora ripreso del tutto dalla sconfitta della rivolta del 1936 – 39, esso era determinato come non mai a fermare l’immigrazione ebraica e a bloccare il progetto sionista, ma anche a ottenere l’indipendenza della Palestina come stato arabo unitario. Era chiaro che, una volta finita la guerra, sarebbe cominciata la fase decisiva della lotta per la Palestina.

Curiosamente questi anni, oltre alle crescenti tensioni tra arabi ed ebrei che sarebbero sfociate nella nascita dello stato sionista, videro anche un livello inedito di cooperazione tra lavoratori arabi ed ebrei per raggiungere comuni interessi economici, insieme a disperati sforzi di varie forze politche arabe ed ebree di raggiungere una soluzione pacifica della crisi politica. Per molti arabi ed ebrei non era chiaro che cosa il futuro avrebbe riservato: e molti di loro cercarono di disegnare questo futuro partecipando in prima persona alle lotte politiche e socioeconomiche quotidiane.

 

PROSPETTIVE DI COOPERAZIONE

A differenza della leadership ufficiale del movimento nazionalista palestinese, che era ancora guidata da Amin al-Husseini, i suoi parenti e i suoi alleati, e che spesso non faceva distinzione tra il sionismo e l’Yishuv o gli ebrei in generale, la National Liberation League e il suo nuovo fronte sindacale (Arab Workers Congress) continuavano a mantenere la separazione, ereditata dall’idea comunista, tra sionismo e masse ebraiche in Palestina. Nel gennaio 1945 un articolo pubblicato su Al-Ittihad dichiarava che i rappresentanti dei lavoratori arabo-palestinesi alla conferenza internazionale sindacale in corso a Londra dovevano chiarire all’opinione pubblica mondiale che

 

Noi distinguiamo tra il movimento sionista in quanto movimento sfruttatore e gli ebrei (i lavoratori ebrei in particolare) in quanto minoranza. Lottando per un governo nazionale autonomo, i lavoratori arabi cercano di liberare le masse popolari, arabe ed ebraiche, dal giogo dello sfruttamento e del sionismo, e dichiarano che l’indipendenza nazionale porterà i legittimi diritti nazionali agli ebrei e alle altre minoranze residenti in Palestina[88].

 

Un altro articolo di Al-Ittihad affermava che i reazionari, adottando una terminologia razzista e non dichiarando il carattere democratico del movimento arabo-palestinese, avevano permesso al sionismo di mantenere il controllo sulle masse ebraiche in Palestina, agitando lo spettro dello stato arabo e della violenza araba. Benchè vi fossero disaccordi tra i dirigenti della NLL/AWC su questa questione, essi in generale sostenevano non solo che grazie a una chiara posizione democratica e antifascista degli arabi le masse ebraiche potessero essere liberate dall’influenza del sionismo, ma anche che la cooperazione arabo-ebraica fosse la chiave per raggiungere l’indipendenza di una Palestina unitaria.

Per questo la sinistra araba venne attaccata dai nazionalisti conservatori arabi. Nel novembre 1945 la Lega Araba promosse la ricostituzione dell’Alto Comitato Arabo (AHC), originariamente creato allo scoppio della rivolta araba ma defunto dopo la sconfitta della stessa. All’inizio del 1946 Jamal al-Husseini tornò dall’esilio per assumerne la leadership, benché la presidenza fosse lasciata vacante per suo cugino, l’esule Amin al-Husseini. Deciso a riaffermare l’egemonia dell’Alto Comitato Arabo sulla comunità, Jamal al-Husseini denunciò pubblicamente l’AWC accusandolo di cercare l’unità con Ben-Gurion e gli ebrei. Nella sua replica il dirigente della NLL/AWC Fuad Nassar respinse le critiche di al-Husseini come prive di fondamento e difese il programma del movimento.

La distinzione della NLL tra sionismo e Yishuv era percepita da pochi o nessuno della gran parte degli ebrei residenti in Palestina. Sebbene moltissimi ebrei fossero giunti laggiù non per convinzioni sioniste ma per sfuggire alle persecuzioni in Europa, ciò che maggiormente desideravano era un’illimitata immigrazione ebraica e uno stato ebraico pienamente sovrano su un territorio il più esteso possibile. Vi erano comunque forze significative nell’Yishuv che consideravano tale progetto irrealizzabile a causa dell’opposizione araba, che avrebbe violato i diritti degli arabi, o entrambe le cose. La più importante di queste forze era Hashomer Hatzair insieme al suo partito urbano gemello, la Socialist League, che nel 1946 si fusero nel Hashomer Hatzair Workers’ Party. Come abbiamo già detto Hashomer Hatzair rifiutava l’idea dello stato ebraico su parte o su tutta la Palestina, e proponeva al suo posto la costituzione su tutto il territorio di uno stato binazionale. Allo stesso tempo Hashomer Hatzair riaffermava la libertà di immigrazione per gli ebrei, senza restrizioni.

La posizione favorevole all’unità arabo-ebraica da parte della NLL/AWC contribuì al miglioramento delle relazioni tra le rispettive organizzazioni operaie. Nell’agosto 1945 un articolo nell’edizione in lingua inglese di al-Ittihad faceva appello ai lavoratori ebrei

 

che si mostravano volonterosi a coordinare le loro attività con gli operai arabi, a dispetto del tabù osservato dall’Histadrut…Le condizioni per cooperare ci sono sempre state e ora dipende dalla politica dell’Histadrut, che ha sempre promosso la cooperazione solo allo scopo di promuovere la politica sciovinista del sionismo. In realtà, il futuro è nelle mani degli stessi lavoratori che si impegneranno a costruire questa cooperazione per portare democrazia, pace e libertà in Palestina[89].

 

Sebbene in misura minore, anche la PAWS in questo periodo cooperò con l’Histadrut in certi casi, quando quest’ultima non ambiva a rappresentare i lavoratori arabi e trattava la PAWS alla pari.  

Da parte dell’Histadrut, appunto, la paralisi pressoché totale in cui era caduta la PLL nel 1945 convinse molti dirigenti che per proteggere i numerosi ebrei impiegati nei luoghi di lavoro misti non vi era alternativa alla cooperazione coi sindacati arabi. Abba Hushi sembra essere stato tra i primi a inaugurare questo nuovo orientamento dell’Histadrut. Nell’agosto 1945 egli inviò una lettera insolitamente gentile, quasi amichevole, a Sami Taha proponendo la cooperazione per il periodo post-bellico a venire. Taha replicò che, pur sostenendo la cooperazione arabo-ebraica come principio, il legame del movimento operaio ebraico col sionismo, reso evidente dalla continua campagna per il lavoro ebraico, per il momento rendeva il lavoro congiunto impossibile. La riluttanza di Sami Taha probabilmente era dovuta ai suoi nuovi legami con la leadership del movimento nazionalista. Quando Jamal al-Husseini riorganizzò l’AHC nell’aprile 1946, per alcuni mesi vi inserì Sami Taha, e successivamente questi mantenne contatti e incarichi e fu anche incluso nella delegazione dell’AHC ai negoziati che si tennero senza esito a Londra nel 1947[90].

Inserendo Taha nei suoi ranghi l’AHC cercava di isolare e indebolire la NLL/AWC, e di rendere più difficile la cooperazione tra la PAWS e l’Histadrut. Ciononostante la PAWS e anche l’AWC dimostrarono frequentemente la volontà di cooperare con l’Histadrut, sebbene le interazioni tra queste tre organizzazioni non furono mai esenti da conflitti e sospetti. In questo periodo tre settori di particolare importanza economica e politica videro delle occasioni di cooperazione tra lavoratori arabi ed ebrei: il settore petrolifero; quello dei servizi, inclusi i ferrovieri; e le basi militari inglesi.

 

IL SETTORE PETROLIFERO 1943 – 48

            Nel 1934 era stato completato un oleodotto per il trasporto del petrolio greggio dai pozzi del nord dell’Iraq attraverso la Transgiordania, fino al porto di Haifa. Presto dunque i funzionari del governo inglese cominciarono a discutere la costruzione di una raffineria ad Haifa, che avrebbe permesso di trasformare il greggio iracheno in carburante per le navi da guerra inglesi nel Mediterraneo orientale e di rafforzare la posizione delle compagnie petrolifere inglesi nel mercato mondiale. La costruzione della raffineria di Haifa, che era posseduta e gestita dalla Consolidated Refineries Limited (CRL), di cui una branca sarebbe poi diventata la British Petroleum, iniziò alla fine del 1938 in un luogo circa 7 chilometri a nord del centro di Haifa, sull’autostrada Haifa – Acri, non lontano dalle officine ferroviarie. La PAWS aveva una forte base tra i lavoratori arabi della raffineria, sebbene così fosse anche per i suoi rivali della FATULS; solo circa 30 lavoratori erano iscritti alla PLL. Sebbene gli ebrei costituissero circa un terzo della forza lavoro, essi occupavano la maggior parte dei posti qualificati e da impiegati; solo metà di loro però erano iscritti all’Histadrut, un livello più basso della media degli altri luoghi di lavoro. Come nei campi militari, i lavoratori della raffineria erano entrati da poco nella condizione di salariati industriali.

            In linea con la politica dell’Histadrut del 1942 – 43, il consiglio operaio di Haifa inizialmente fece pressioni sul management della CRL per farsi riconoscere come esclusivo rappresentante di tutti i lavoratori, sia ebrei che arabi. Quando la richiesta fu respinta, l’Histadrut fu indotta a intavolare trattative con la PAWS e la FATULS per costituire un comitato congiunto dei lavoratori. Queste trattative si concentrarono sulla rappresentanza, con l’Histadrut che chiedeva la parità arabo-ebraica e i sindacati arabi che insistevano che la composizione del comitato doveva riflettere la composizione etnica della forza lavoro. Nella primavera del 1943 l’Histadrut decise autonomamente di avviare una vertenza per i propri iscritti, nella speranza di ottenere per loro paghe più alte, miglioramento delle condizioni di lavoro e soprattutto l’indennità di contingenza per far fronte alla mostruosa inflazione. Con la mediazione del dipartimento governativo, l’Histadrut ottenne l’estensione del COLA alla raffineria e il proprio riconoscimento di rappresentante dei lavoratori ebrei.

            L’aggravarsi dell’inflazione e l’approssimarsi della minaccia di licenziamenti alla fine della guerra condussero infine alla cooperazione arabo-ebraica. Durante l’autunno del 1945 la PAWS e l’Histadrut negoziarono congiuntamente con la CRL e ottennero diverse rivendicazioni dei lavoratori, che erano intanto diventati 1.800 e in posizione di forza grazie all’unità. Né i lavoratori della raffinerie né quelli delle compagnie petrolifere operanti in Palestina (Iraq Petroleum Company, Socony Vacuum e Shell le più importanti) parteciparono allo sciopero generale dei dipendenti pubblici dell’aprile 1946, tuttavia subito dopo il loro dinamismo spinse le organizzazioni sindacali a una politica di rivendicazioni più aggressiva. Tuttavia, questo coincise con una nuova fase di rivalità tra la PAWS e l’Histadrut, a causa dei nuovi tentativi di quest’ultima di rappresentare i lavoratori arabi.

            La PAWS si rifiutò di aderire a uno sciopero nazionale dei lavoratori della Socony Vacuum indetto congiuntamente dall’Histadrut e dall’AWC alla fine di aprile 1946. Sami Taha attaccò l’Histadrut perché aveva dichiarato lo sciopero unilateralmente, mentre egli stava conducendo trattative con il management; l’Histadrut denunciò la PAWS come complice delle compagnie petrolifere e facendo leva sull’alleanza di fatto con l’AWC provò a escluderla dai negoziati. Pare che la maggioranza dei salariati arabi abbia aderito allo sciopero tranne che ad Haifa, dove la PAWS ebbe buon gioco a dissuaderli. Lo sciopero durò dodici giorni e portò ad alcuni risultati per i lavoratori. L’Histadrut e l’AWC provarono a escludere la PAWS dal nuovo contratto, ma la direzione la volle includere e Sami Taha potè affermare che la firma era il risultato delle sue trattative e non dello sciopero. Fu chiaro però che egli aveva subito una sonora sconfitta.

            Dopo lo sciopero del 1946 l’Histadrut ipotizzò ancora una volta di provare a scavalcare i sindacati arabi e stabilire contatti diretti con i lavoratori, specialmente i colletti bianchi di quello che veniva chiamato il “settore internazionale” (le compagnie straniere appunto). Ma non riuscì a prendere l’iniziativa che già un’altra protesta dei lavoratori prendeva piede ad Haifa all’inizio del 1947.

            All’inizio il fulcro dell’azione fu ancora la raffineria, ove l’80% dei 1.800 dipendenti erano arabi ma gli ebrei costituivano il 44% dei colletti bianchi. Per la rivalità reciproca né la PAWS né l’Histadrut erano ansiose di guidare un nuovo sciopero, ma i dipendenti iscritti all’AWC spingevano per l’azione, con l’aiuto del comitato operaio ebraico animato da attivisti di Hashomer Hatzair, e a metà gennaio 1947 scoppiò uno sciopero spontaneo che coinvolse subito centinaia di salariati. La PAWS cercò di far finire lo sciopero il prima possibile per non perdere posizioni di influenza nell’azienda, ma così facendo si alienò ancor di più le simpatie degli altri sindacalisti, tanto che questi tennere alcune assemblee dei dipendenti della raffineria non nella sede della PAWS ma in quella della sezione locale di Hashomer Hatzair, indice del buon livello di cooperazione arabo-ebraica.

            La sinistra sindacale araba era particolarmente furiosa con Sami Taha per il sabotaggio dello sciopero. Al-Ittihad sarcasticamente denunciò gli “insigni sindacalisti” della PAWS che

 

Presi dal desiderio di preservare i loro fratello arabi dalle spire dei sionisti dell’Histadrut, hanno pensato che l’unico modo per ostacolare i piani di quest’ultima e isolarla dalle masse operaie fosse chiedere ai lavoratori di tornare al lavoro, con la scusa che lo sciopero era stato loro imposto dai funzionari dell’Histadrut[91].

 

Pochi mesi dopo il comitato dei lavoratori arabi della CRL denunciò pubblicamente la PAWS per la sua condotta.

            La PAWS finì sotto accusa anche quando all’inizio del marzo 1947 il malcontento all’Iraq Petroleum Company sfociò in un altro sciopero. La compagnia impiegava circa 2.500 persone, e gli arabi erano il 98% degli operai e l’84% degli impiegati. L’AWC era la forza dominante. Uno sciopero di circa 1.600 lavoratori (incluse alcune dozzine di ebrei), soprattutto per i salari, iniziò il 6 marzo e durò fino al 19, concludendosi con la soddisfazione di alcune richieste, anche se non certo tutte. Gli scioperanti ricevettero la solidarietà di tutti lavoratori  arabi della Palestina, ma l’AWC accusò Sami Taha di aver provato a farlo fallire, e alla fine di aprile 1947 il sindacato alla CRL sciolse formalmente i suoi legami con la PAWS.

            Vi furono altre manifestazioni di dinamismo operaio in questo periodo nel settore petrolifero. Esse riguardarono quasi esclusivamente lavoratori arabi, con l’eccezione della raffineria di Haifa. L’Histadrut era preoccupata per il numero proporzionalmente basso di addetti ebrei nel settore, e i suoi funzionari ad Haifa si rivolsero alla sede centrale a Tel Aviv per avere fondi per una campagna volta all’assunzione di un maggior numero di ebrei. Abba Hushi disse all’esecutivo dell’Histadrut che si doveva “mettere all’ordine del giorno la conquista del lavoro nelle città. Nei prossimi anni dobbiamo raggiungere i 5.000 nuovi assunti: alle poste, alle ferrovie, nei telegrafi. Oggi sono gli arabi ad avere quei lavori – ed è questo che determinerà il destino di Haifa[92].

Ma Hushi aveva torto: sarebbe stata infatti la superiorità militare ebraica a decidere il destino di Haifa nella primavera del 1948, portando alla fuga dalla città della grande maggioranza dei suoi abitanti arabi. La raffineria, come vedremo, sarebbe stata teatro di uno dei più sanguinosi episodi del conflitto arabo-ebraico successivo alla risoluzione di partizione dell’ONU del 29 novembre 1947.

 

LO SCIOPERO GENERALE DELL’APRILE 1946

Il più vasto e significativo episodio di azione congiunta tra lavoratori arabi ed ebrei nella storia della Palestina ebbe luogo nell’aprile 1946. I lavoratori di poste, telefoni e telegrafi furono protagonisti di quello che divenne un vastissimo sciopero generale dei dipendenti pubblici. I funzionari delle poste avevano a lungo ignorato le richieste dei dipendenti, guidati da Sami Taha della PAWS e Yehezkel Abramov, segretario dell’Unione Internazionale dei Lavoratori di Ferrovie, Poste e Telegrafi (IU), cosicchè venne indetto un piccolo sciopero dei lavoratori delle poste e telegrafi di Tel Aviv, per lo più ebrei, in data 9 aprile 1946. Abramov aveva voluto che lo sciopero fosse rinviato a dopo la partenza dalla Palestina della commissione di inchiesta anglo-americana, per paura che per mano dei nazionalisti arabi si trasformasse in una protesta contro la commissione stessa. In questo settore i sindacalisti arabi ed ebrei avevano molti anni di esperienza di lavoro comune alle spalle, e i rapporti erano per lo più amichevoli.

Il giorno prefissato i lavoratori, compresi 30 o 40 arabi impiegati all’ufficio postale di Tel Aviv, scesero in sciopero. Il loro esempio risultò contagioso e il giorno seguente tutti i dipendenti delle poste in Palestina non erano al lavoro. Nelle trattative seguenti i dirigenti delle poste fecero subito ampie concessioni, e l’Histadrut raccomandò ai lavoratori di accettare e porre fine all’agitazione. Invece essi non vollero fare compromessi e votarono per il rifiuto delle offerte padronali e la prosecuzione dello sciopero. L’agitazione si allargò: il 14 aprile i ferrovieri arabi ed ebrei, membri sia dell’IU che dell’AURW, si fermarono, paralizzando il settore.

Non vi era mai stato uno sciopero generale congiunto di ferrovieri e postelegrafonici in Palestina, ma ciò che lo rese ancor più straordinario fu il fatto che i colletti bianchi di basso e medio livello dipendenti del governo si unirono alla protesta. Il 15 aprile 1946, meno di una settimana dall’inizio dell’agitazione dei postali di Tel Aviv, circa 23.000 dipendenti del governo mandatario erano in sciopero. Per un po’ sembrò che anche le decine di migliaia di lavoratori delle basi militari inglesi e dei lavoratori petroliferi si unissero allo sciopero. Questo certamente è quanto speravano i comunisti arabi ed ebrei. Un opuscolo del 18 aprile firmato congiuntamente da NLL e PCP chiamava tutti i lavoratori a unirsi allo sciopero generale, attaccando il “governo imperialista” mandatario che destinava più di un quinto del suo budget annuale alla polizia e alle carceri e solo l’8% a salute, educazione e welfare messi assieme. Tuttavia sia l’Histadrut che la PAWS si opposero allo sciopero nelle basi e nelle raffinerie. L’Histadrut temeva che l’estensione dello sciopero mettesse in difficoltà la lotta dell’Yishuv per spingere gli inglesi ad aumentare l’immigrazione ebraica, ma ciò non impedì ad Abba Hushi di attribuire a Sami Taha l’iniziativa di ritirarsi dallo sciopero. Hushi affermò che all’inizio dello sciopero Taha aveva ricevuto una telefonata dal quartier generale della Lega Araba al Cairo che gli diceva di non andare troppo oltre nella cooperazione con gli ebrei. La versione di Hushi non fu mai confermata, ma è certamente possibile che Taha abbia usato la sua influenza per impedire l’estensione dello sciopero.

Sebbene né i lavoratori delle raffinerie né quelli delle basi militari si unissero allo sciopero, esso di fatto paralizzò l’amministrazione mandataria e costrinse il governo a cedere a molte delle richieste dei suoi dipendenti, incluso l’aumento dei salari e del COLA e miglioramenti pensionistici. Le forze di sinistra sia arabe che ebraiche salutarono lo sciopero di aprile come una grande vittoria, e la dimostrazione evidente di ciò che si poteva ottenere con la solidarietà di classe. Avvisando di guardarsi dagli “elementi disfattisti e reazionari, sia arabi che ebrei”, la NLL e il PCP definirono lo sciopero “un colpo alla politica del ‘divide et impera’ dell’imperialismo, uno schiaffo in faccia ai portatori di ideologie scioviniste e divisioni nazionali”. Mishmar, l’organo di Hashomer Hatzair, a sua volta applaudì allo sciopero e affermò che esso dimostrava la possibilità e l’efficacia della cooperazione arabo-ebraica. Il Davar, organo dell’Histadrut e fedele esponente della linea del MAPAI, espresse una posizione ambigua. I giornali più conservatori erano quasi terrorizzati. Filastin criticò la PAWS per la sua adesione a un movimento che giudicava ispirato dai sionisti e largamente funzionale ai loro interessi. Il quotidiano ebraico di destra Maariv inizialmente approvò lo sciopero ma poi lo criticò in quanto dannoso per la causa sionista[93].

Qualunque cosa le varie forze politiche fecero dopo lo sciopero, esso si dimostrò essere un caso isolato. Sebbene alcune categorie fossero ancora in agitazione nei mesi seguenti, non vi furono più proteste degne di nota. La speranza di una cooperazione arabo-ebraica suscitata dallo sciopero generale si dissipò presto con l’avanzata della crisi politica nella quale la Palestina finì l’anno successivo.

 

LE BASI MILITARI INGLESI 1945 – 48

Le basi militari inglesi, che durante la guerra avevano rappresentato un importante luogo di interazione tra lavoratori arabi ed ebrei, mantennero la loro rilevanza anche dopo la fine del conflitto. Molti dei salariati dei campi e dei sindacati che li rappresentavano conservarono la coscienza degli interessi comuni, maturata affrontando problemi comuni come la disciplina militare, le difficili condizioni di lavoro, l’aumento dei prezzi etc.

Aumentò comunque anche la prospettiva della perdita del posto. Con l’avanzata degli alleati e dei sovietici in Nord Africa e in Europa e la fine della minaccia tedesca sul Medioriente, le necessità dell’esercito inglese di impiegare civili in Palestina diminuirono. Nell’ottobre del 1943 il dipartimento della guerra impiegava circa 50.000 civili in Palestina, ma all’inizio del 1944 questo numero era sceso a 47.500 e a marzo sotto i 44.000. La fine della guerra in Europa portò a un numero molto più alto di licenziamenti: durante i primi dieci mesi del 1945 quasi 20.000 lavoratori dei campi persero il posto. L’ondata di licenziamenti quindi si arrestò, e nei sei mesi successivi il trasferimento in Palestina di forze inglesi di stanza in Siria e l’espansione delle infrastrutture militari esistenti portarono all’assunzioni di una quota supplementare di addetti. Nell’aprile 1946 un funzionario dell’Histadrut stimò che le forze armate britanniche impiegassero in Palestina circa 22.000 arabi e 8-9.000 ebrei, anche se il dato reale probabilmente era più alto. Era chiaro comunque che nel lungo periodo questo numero sarebbe sceso drasticamente[94].

La situazione critica dei lavoratori dei campi ricevette l’attenzione dei sindacati a partire dal 1945. Al-Ittihad scrisse che i lavoratori della Palestina avevano sostenuto lo sforzo bellico alleato e ora necessitavano del sostegno del governo mandatario per contenere la disoccupazione e aumentare i salari[95]. L’Histadrut aveva preoccupazioni simili, e in aggiunta temeva per il destino della minoranza dei lavoratori ebrei, che avrebbero potuto essere particolarmente colpiti dai licenziamenti. Data l’impossibilità di rappresentare direttamente i lavoratori arabi, come visto in occasione dello sciopero del 1943, in tale situazione l’azione congiunta coi sindacati arabi era essenziale.

Uno dei primi luoghi in cui questo nuovo spirito collaborativo si manifestò furono le officine allestite dall’esercito inglese sui terreni di quella che era stata la Fiera del Levante, nei dintorni di Tel Aviv. Nel settembre 1945 l’AWC e l’Histadrut organizzarono e guidarono congiuntamente uno sciopero di sette giorni di circa 1.300 lavoratori, per ottenere il riconoscimento del proprio comitato unitario, il pagamento del COLA e la riassunzione di alcuni lavoratori licenziati ingiustamente. I lavoratori arabi ed ebrei organizzarono picchetti davanti ai cancelli della fiera e organizzarono una marcia per le strade di Tel Aviv, cantando nelle due lingue slogan come: “I lavoratori arabi ed ebrei sono fratelli”, “Lunga vita all’Histadrut e all’Arab Workers’ Society (affiliata all’AWC)” Il quotidiano in lingua ebraica Haaretz  scrisse di “masse di persone affollate ai lati delle strade per vedere lo straordinario spettacolo di lavoratori arabi ed ebrei che marciavano insieme nel cuore di Tel Aviv[96].

Tuttavia la cooperazione fu resa difficoltosa da alcuni fattori. Uno fu la divisione del movimento operaio arabo in due fazioni ormai ostili tra loro, ognuna delle quali era radicata tra i lavoratori arabi dei campi. L’AWC non aveva remore ideologiche alla collaborazione coi sionisti dell’Histadrut limitatamente alla lotta di classe, a patto che questi ultimi si astenessero dal reclutamento dei lavoratori arabi. Invece la direzione della PAWS in questo periodo era riluttante a collaborare con l’Histadrut per le questioni di nazionalismo che abbiamo già visto. Sia i sindacalisti arabi che quelli ebrei sapevano che senza l’apporto degli 8.000 lavoratori dei campi che sostenevano l’organizzazione di Sami Taha, sarebbe stato molto difficile, se non impossibile, condurre una lotta vittoriosa.

Un altro fattore negativo era il malcontento tra i lavoratori arabi per le paghe più alte spesso percepite dai lavoratori ebrei a parità di impiego, così come la loro migliore collocazione nei vari settori. Sami Taha aveva sollevato la questione in un telegramma alle autorità nel 1944, e al-Ittihad la riprese all’inizio del 1946 riportando che i lavoratori arabi della base di Beit Nabala, vcino a Lydda, chiedevano non solo paghe più alte ma anche uguali a quelle degli ebrei, oltre all’assunzione di più capisquadra arabi poiché i capisquadra ebrei davano l’impressione di fare discriminazioni nel trattamento dei dipendenti. Le proteste arabe in questo caso culminarono con scontri e feriti. Secondo l’organo dell’AWC, i lavoratori arabi volevano più capisquadra arabi “non perché odiano i capisquadra ebrei, ma perché questi ultimi eseguono fedelmente i piani dei sionisti; come dice il detto, ‘non combattiamo il lupo per il suo aspetto ma perché mangia le nostre pecore’”. Nella primavera del 1947 circa 1.500 lavoratori arabi delle basi militari intorno ad Haifa parteciparono a uno sciopero di un’ora organizzato dalla PAWS per chiedere che i capisquadra ebrei fossero rimpiazzati da arabi.

Ciononostante, nei primi mesi del 1947 l’Histadrut cercò di accordarsi sia con la PAWS che con l’AWC, fungendo in questa fase anche da mediatore tra le due fazioni arabe. Quando nel maggio 1947 le autorità inglesi diedero il via a una nuova serie di licenziamenti senza preavviso, i sindacalisti arabi lanciarono una giornata di sciopero in tutti i campi, alla quale l’Histadrut aderì. Lo sciopero, fissato per il 20 maggio, coinvolse circa 40.000 lavoratori e si svolse senza incidenti. A partire da questo risultato la PAWS avrebbe voluto condurre un’ulteriore azione di allargamento dello sciopero, ma i funzionari dell’Histadrut si opposero poiché temevano che ciò avrebbe giovato alla causa nazionalista.

Con il volgere della primavera nell’estate, poiché le trattative tra i rappresentanti sindacali e le autorità inglesi non procedevano come sperato, la PAWS e l’AWC iniziarono a spingere per uno sciopero di durata indefinita. All’inizio di luglio la PAWS dichiarò che se non vi fossero stati progressi entro 25 giorni, avrebbe chiamato i lavoratori a scioperare. L’Histadrut si era convinta che Sami Taha e i suoi fossero strumenti dei piani nazionalisti di Amin al-Husseini, che era ancora in esilio, e che uno sciopero nei campi in questa fase avrebbe danneggiato la causa sionista in un momento politicamente significativo. Come Berl Repetur successivamente affermò in un rapporto all’esecutivo dell’Histadrut, “temevamo uno sciopero arabo-ebraico, uno sciopero che sarebbe stato anti-ebraico dal punto di vista politico”. Perciò l’Histadrut rifiutò la proposta della PAWS e in alternativa propose uno sciopero di tre giorni.

Per un momento sembrò che sia l’AWC che la PAWS fossero d’accordo, ma all’inizio di agosto quest’ultima annunciò unilateralmente che il 25 di quel mese i lavoratori dei campi sarebbero scesi in sciopero. L’AWC denunciò questa decisione come dannosa per i lavoratori e accusò la PAWS di collaborare in segreto con l’Histadrut per emarginare l’AWC. L’Histadrut e la PAWS in effetti si incontrarono e decisero di astenersi da azioni unilaterali. Pochi giorni dopo le autorità inglesi annunciarono l’accoglimento di alcune delle rivendicazioni dei lavoratori dei campi. Sebbene la richiesta principale, ovvero un’indennità per i licenziati, non fosse accolta, questa piccola vittoria allentò la tensione tra l’Histadrut, la PAWS e l’AWC. Subito dopo il dipartimento della guerra riconobbe i sindacati arabi e l’Histadrut come legittimi rappresentanti dei lavoratori dei campi, lasciando intendere la possibilità di ulteriori benefici per questi ultimi.

 

LA DISINTEGRAZIONE DEL MOVIMENTO OPERAIO ARABO

Il 31 agosto 1947 la Commissione Speciale delle Nazioni Unite per la Palestina (UNSCOP) diramò le sue indicazioni per la soluzione del problema palestinese. L’UNSCOP era stata istituita dall’Assemblea generale dell’ONU il maggio precedente dopo che una stremata Gran Bretagna, non riuscendo a soffocare l’insurrezione sionista, a promuovere un accordo tra arabi ed ebrei e a imporre una propria soluzione, aveva demandato la questione alle Nazioni Unite. La Commissione aveva visitato la Palestina nell’estate, e dopo lunghe discussioni aveva votato a maggioranza un rapporto che raccomandava la partizione della Palestina in uno stato arabo e uno ebraico, con Gerusalemme sotto controllo internazionale. Secondo questo rapporto, lo stato ebraico avrebbe compreso circa il 55% del territorio palestinese, mentre la popolazione ebraica ammontava a meno di un terzo rispetto a quella araba. La leadership sionista applaudì al disegno di partizione, anche se mirava ad avere un territorio ancora più vasto. Il movimento nazionalista arabo-palestinese, come gli stati arabi, si oppose fortemente al rapporto, considerandolo una violazione del diritto all’autodeterminazione nazionale della maggioranza araba indigena, da realizzarsi in una Palestina unitaria.

All’indomani della pubblicazione del rapporto iniziò un’intensa battaglia diplomatica per ottenere l’approvazione dell’Assemblea generale, con un voto a maggioranza qualificata (due terzi). In Palestina il clima tra gli arabi e gli ebrei cambiò bruscamente, e la cooperazione tra lavoratori e sindacati arabi ed ebrei fu messa in grave difficoltà. Il movimento operaio arabo andò incontro a una vera e propria paralisi, che colpì in particolare la PAWS.

L’Histadrut era convinta che il segretario generale della PAWS, Sami Taha, fosse da tempo alle complete dipendenze di Amin al-Husseini, Mufti di Gerusalemme e presidente dell’AHC. In realtà, il Mufti e i suoi alleati erano sempre più arrabbiati con Taha per le sue frequenti prese di distanza dagli ordini dell’AHC, ad esempio in occasione del rifiuto della PAWS nel novembre 1946 di aderire all’appello dell’AHC per una giornata di sciopero nell’anniversario della Dichiarazione Balfour. A ciò si aggiungevano l’adozione da parte della PAWS di slogan vagamente “socialisti” e le voci sul progetto di Taha di creare un partito politico arabo autonomo. Vi era l’impressione che Taha fosse favorevole a trovare una sorta di modus vivendi con gli ebrei, e potesse anche accettare la partizione, cosa ipotizzata dalla constatazione dei legami del segretario della PAWS con alcuni dei rivali del Mufti in esilio, in particolare Musa al-Alami, che nell’estate del 1947 era considerato dalla fazione di Husseini come il leader delle forze arabe più disponibili al compromesso con il sionismo[97].

La spaccatura tra Sami Taha e l’AHC divenne di dominio quando alla fine dell’agosto 1947 il leader della PAWS venne attaccato dai giornali legati alla fazione Husseini, specialmente al-Wahda. Taha e la sua organizzazione furono accusati non essere abbastanza anti-sionisti e anti-inglesi, non abbastanza allineati alla posizione nazionalista ufficiale, e correvano voci che Taha fosse pagato dai sionisti. Al-Wahda citava una risoluzione del congresso nazionale della PAWS, tenutosi ad Haifa alla fine di agosto, la quale affermava che “gli ebrei arabi sono nostri concittadini e fratelli”. La PAWS rispose pubblicando una serie di opuscoli che respingevano le accuse; l’ultimo di questi, datato 9 settembre 1947, sottolineava che lo stesso Alto Comitato Arabo aveva recentemente dichiarato che gli ebrei che avevano abitato il paese prima della conquista britannica e i loro discendenti erano i benvenuti come cittadini della futura Palestina araba indipendente.

Il 12 settembre 1947 Sami Taha fu assassinato davanti a casa sua ad Haifa. Il responsabile non fu mai trovato, ma si credette che Taha fosse stato ucciso su ordine di Amin al-Husseini. Probabilmente non è un caso che il fatto accadde subito dopo l’uscita del rapporto di partizione dell’UNSCOP, contro il quale l’AHC diede subito indicazione di battersi con ogni mezzo a disposizione.

Nel frattempo gli inglesi iniziarono l’evacuazione delle proprie forze militari dalla Palestina, e i lavoratori dei campi furono così colpiti da una nuova ondata di licenziamenti. La PAWS non riuscì più a riprendersi dall’uccisione del suo segretario. Nell’autunno e inverno 1947 e nei primi mesi del 1948, con la sua base nei campi militari e nelle istituzioni del governo mandatario che andava disfacendosi, la sua attività declinò sempre più fino a raggiungere un grado di paralisi. All’inizio di aprile 1948 Eliyahu Agassi dell’Histadrut si incontrò ad Haifa con Said Qawwas e Husayn Nasir, vecchi leader della PAWS. Un adirato Qawwas rimproverò Agassi per i giudizi negativi riportati su Haqiqat al-Amr a proposito degli arabi e del movimento operaio arabo[98]. “Perché si parla solo dei problemi con il Mufti? Non ci sono problemi con Ben-Gurion?” chiese Qawwas. Da allora la PAWS praticamente cessò di esistere, e i suoi principali dirigenti si dispersero poche settimane dopo, quando i quartieri arabi di Haifa si arresero alle forze militari ebraiche e la grande maggioranza degli abitanti lasciò la città.

L’AWC non ebbe miglior fortuna tra la fine del 1947 e l’inizio del 1948. Tenne un congresso apparentemente ben riuscito nel settembre (il terzo). Ma nelle settimane successive l’attivismo operaio fu sempre più ostacolato dalle crescenti tensioni politiche, e in particolare l’AWC e la NLL che lo guidava furono gettati nello sconforto dalla drammatica scelta di campo dell’Unione Sovietica sulla questione palestinese.

Pur non essendo formalmente un partito comunista, la NLL aveva partecipato alla conferenza dei partiti comunisti dell’impero inglese, tenutasi a Londra nel febbraio-marzo 1947. Tuttavia l’Unione Sovietica iniziò a distanziarsi dalla sua tradizionale posizione sulla Palestina e sul sionismo nella primavera del 1947, e la abbandonò del tutto nell’autunno, nel pieno della lotta per la risoluzione di partizione all’ONU. Nel maggio 1947 il rappresentante sovietico Andrei Gromyko disse abbastanza chiaramente all’ONU che il suo governo stava seriamente riconsiderando la sua storica posizione contraria allo stato ebraico in Palestina. Esprimendo empatia per le sofferenze del popolo ebraico durante la guerra, e mostrando comprensione per le aspirazioni del popolo ebraico sulla Palestina, Gromyko implicitamente riconosceva l’esistenza di due comunità nazionali e a malincuore concludeva che, se non vi erano le condizioni per una coesistenza pacifica di arabi ed ebrei all’interno di un unico stato, la partizione sarebbe stata la sola soluzione possibile.

I dirigenti della NLL fecero del loro meglio per evitare di far fronte alle implicazioni del discorso di Gromyko, ma non poterono ignorare l’esplicita decisione dell’URSS di approvare il rapporto di partizione dell’UNSCOP. Il risultato fu una scissione nella NLL. Alcuni dei leader si allinearono alla nuova linea sovietica, accettando la partizione; altri la rifiutarono, a avrebbero cercato di partecipare alla lotta contro la creazione dello stato ebraico. In seguito alla sicssione, alla soppressione del giornale al-Ittihad da parte delle autorità inglesi nel febbraio 1948 e al trasferimento di gran parte della popolazione araba-palestinese nei mesi che seguirono, la NLL e l’AWC caddero nello scompiglio. Nella primavera del 1948 attivisti dell’AWC collaborarono all’organizzazione delle unità di autodifesa a Jaffa e Gaza per proteggere i quartieri poveri, ma furono trascinati nella sconfitta. La nuova sinistra araba emersa in Palestina durante gli anni della guerra veniva così travolta dall’incedere delle tensioni interetniche, tensioni che essa aveva sperato di stemperare attraverso la solidarietà di classe arabo-ebraica.

 

L’ULTIMO SERVIGIO DELLA PLL AL SIONISMO

            Nella primavera del 1946 le discussioni interne tra i funzionati dell’Histadrut avevano portato alla conclusione che la PLL non fosse più uno strumento utile alla causa sionista. Tuttavia, essa ritornò utile ancora una volta a fini di pura propaganda. Il memorandum che l’Histadrut sottopose all’UNSCOP nell’estate del 1947 includeva una sezione nella quale la PLL (di cui si esagerava il numero di iscritti fino a 2.500) veniva rappresentata come lo strumento essenziale della cooperazione tra arabi ed ebrei e si rimproverava la “leadership politica reazionaria” della comunità araba che impediva “al nascente proletariato arabo di trovare il suo naturale alleato nell’Histadrut”. I funzionari del dipartimento arabo compresero l’utilità che questi pochi arabi palestinesi favorevoli al sionismo avrebbero potuto avere presso l’opinione pubblica internazionale. Riferendosi alle imminenti conferenze degli scout in Francia, dei giovani a Praga, degli atleti a Varsavia, notarono che “è auspicabile che anche le delegazioni arabe amiche partecipino a queste conferenze insieme alle delegazioni ebraiche. La PLL può formare queste delegazioni scegliendo alcuni dei suoi membri”. Ancora nel giugno 1947 l’Histadrut inviò George Nassar a Praga come rappresentante della PLL a un meeting del consiglio generale della WFTU, accompagnato da Eliyahu Agassi; il dipartimento arabo ritenne utile che fosse inviato anche un altro delegato arabo, preferibilmente musulmano, per dare alla delegazione una migliore apparenza[99].

            Nel marzo 1948 ciò che rimaneva del dipartimento arabo dell’Histadrut a Tel Aviv era dedito alla propaganda, mentre la PLL era poco più che un’agenzia di collocamento attraverso la quale circa 100 lavoratori arabi ad Haifa trovavano impiego nelle imprese ebraiche del porto, soprattutto la Solel Boneh.

Quando la battaglia per il controllo di Haifa si intensificò nell’aprile 1948, i contatti tra i quartieri arabi ed ebraici divennero sempre più difficili. Nella seconda metà di aprile, dopo alcune settimane di combattimenti e di intensi bombardamenti dei quartieri arabi da parte delle forze militari ebraiche, la resistenza araba fu vinta. La parte araba di Haifa si arrese il 22 aprile, e nei giorni che seguirono la gran parte della popolazione araba, terrorizzata, fu evacuata verso nord sotto la tutela inglese, in direzione di Acri e del Libano; molti finirono nei campi profughi in Libano. In visita ai quartieri arabi di Haifa alla fine di aprile, Eliyahu Agassi scrisse che “le strade un tempo affollate e rumorose ora erano divenute silenziose come un cimitero”. Ma egli riuscì a rintracciare alcuni membri della PLL che erano rimasti nelle loro case, fece loro avere del cibo e provò a rassicurarli dei diritti di cui i lavoratori arabi avrebbero goduto nello stato ebraico, la cui nascita era questione di poche settimane[100].  

 

HASHOMER HATZAIR E LA FINE DEL SOGNO BINAZIONALE

            I militanti di Hashomer Hatzair impegnati nell’attività araba all’inizio del 1945 erano giunti alla conclusione che la PLL non solo era inutile ma rappresentava anche un serio ostacolo allo sviluppo di buone relazioni con il movimento operaio arabo. Un attivista di Hashomer Hatzair nel sindacato dei ferrovieri di Haifa sarebbe poi arrivato a dire che in quella città, luogo di nascita della PLL, essa era vista dagli arabi come un’organizzazione di “quisling”, alla quale nessun arabo degno di rispetto si sarebbe legato.

            Nel contesto delle sue battaglie politiche in seno all’Yishuv e al movimento sionista nel 1945 – 47, la posizione di Hashomer Hatzair per uno stato binazionale come alternativa alla partizione doveva essere rafforzata trovando elementi della comunità araba che assumessero una linea analoga. Di tali elementi ve ne erano ben pochi, e i pochi arabo-palestinesi disposti ad andare contro il parere della loro comunità erano presto messi ai margini, se non liquidati. Ciononostante, fino alla fine del 1947 Hashomer Hatzair fece grossi sforzi per creare situazioni favorevoli alla cooperazione e amicizia arabo-ebraica. Quando per esempio unità della Legione Araba, una forza composta da transgiordani ma sotto comando britannico, furono inviate in Palestina per mantenere l’ordine e reprimere la rivolta sionista, la leadership dell’Yishuv protestò e proclamò la non fraternizzazione coi legionari. Alcuni membri di Hashomer Hatzair disobbedirono a questa linea e presero contatti coi transgiordani, che con grande disappunto dei loro ufficiali inglesi pare abbiano risposto calorosamente[101].

            I pochi membri di Hashomer Hatzair interessati alla cooperazione arabo-ebraica sapevano di incontrare ostilità anche nel loro stesso movimento. Zyoma Ben-Artzi, membro del kibbutz Mazra, raccontò che quando entrò in rapporti di amicizia coi legionari arabi stanziati nei dintorni alcuni membri del suo kibbutz lo ammonirono dal fraternizzare con “quei negri”, termine dispregiativo che non avrebbero mai usato coi legionari indiani o con gli inglesi. La gioventù del kibbutz (cui Ben-Artzi si riferiva col termine arabo shabab) era da lui paragonata a un mucchio selvaggio per niente incline alle relazioni arabo-ebraiche, e capace per divertimento di prendersela con “un povero pastore arabo” e di rubargli una capra. Yosef Vashiz, che lavorava con Cohen nel dipartimento arabo del movimento, notò tristemente che

 

C’è un atteggiamento più umano da parte degli arabi verso gli ebrei che non da parte degli ebrei verso gli arabi. Per l’arabo l’ebreo è innanzitutto un essere umano, e solo dopo un ebreo; per un ebreo, l’arabo è un arabo e solo dopo un essere umano. Nei nostri kibbutz solo pochi individui hanno un atteggiamento umano verso i loro vicini arabi. Dobbiamo rimuovere la mentalità nazionalista dalle nostre relazioni quotidiane e preoccuparci delle normali relazioni umane. Non dovremmo comportarci da missionari o predicatori politici, ma cercare di costruire relazioni tra persone che benché differenti l’una dall’altra sono sempre esseri umani[102].

 

Più importanti dell’atteggiamento individuale, tuttavia, rapidi cambiamenti politici stavano eliminando il terreno sul quale Hashomer Hatzair sperava di sviluppare la cooperazione necessaria a una soluzione binazionale della questione palestinese. Nel maggio 1947 l’Unione Sovietica iniziò ad allontanarsi dal suo storico appoggio alla linea della Palestina unitaria, dirigendosi verso l’accettazione della partizione se arabi ed ebrei non avessero trovato un modo per convivere in un unico stato. L’endorsement ufficiale sovietico al rapporto dell’UNSCOP dell’ottobre 1947 fu segno che il movimento comunista mondiale, cui Hashomer Hatzair faceva riferimento, aveva abbandonato la soluzione binazionale.

Con disappunto della controparte araba, i comunisti ebrei in Palestina si affrettarono ad allinearsi alla nuova posizione sovietica. L’intero PCP non soltanto abbandonò la linea binazionale, avallando la partizione; prima della fine del novembre 1947 cancellò la parola “Palestina” dal proprio nome e iniziò a definirsi Partito Comunista di Eretz Israel, sdoganando una denominazione del paese che i comunisti avevano sempre rifiutato[103]. Quando il 29 novembre 1947, dopo mesi di pressioni da parte della lobby sionista e accese discussioni interne, l’Assemblea Generale dell’ONU votò con la maggioranza necessaria dei due terzi la risoluzione di partizione, la soluzione binazionale fu messa ai margini.

Da allora Hashomer Hatzair si adeguò alla realtà in mutamento. Nell’autunno 1947 vi furono negoziati con un altro partito della sinistra sionista, Ahdut Haavoda, nato nel 1944 dalla divisione del MAPAI e che due anni dopo aveva assorbito i resti di Poalei Zion Smol. Le diverse traiettorie da cui questi partiti provenivano trovarono una convergenza comune. I membri di Ahdut Haavoda avevano ruoli importanti ai vertici della più forte milizia dell’Yishuv, l’Haganah, e nelle forze di elite di quest’ultima, il Palmach. Questo partito era caratterizzato da un forte ethos militarista, in netto contrasto con la tradizionale avversione alla violenza e la tendenza alla coesistenza pacifica di Hashomer Hatzair. Ma la risoluzione ONU di partizione fece sì che Hashomer Hatzair si unisse ad Ahdut Haavoda. All’inizio del 1948 i due partiti si fusero per formare il MAPAM (acronimo ebraico di Partito Unificato dei Lavoratori), che sarebbe stato di appoggio al MAPAI nel governo provvisorio dello stato di Israele proclamato il 14 maggio 1948, e avrebbe fornito un gran numero di comandanti al nuovo esercito israeliano. Nelle prime elezioni parlamentari israeliane, tenutesi nel gennaio 1949, il MAPAM risultò il secondo partito dopo il MAPAI[104].

 

LA NAKBA AD HAIFA

E’ tristemente ironico che il più sanguinoso episodio di violenza arabo-ebraica nel primo mese che seguì la delibera di partizione all’ONU si svolse in un luogo dove non solo i lavoratori erano misti, ma vi era anche una storia di cooperazione tra sindacalisti arabi ed ebrei. Questo fatto, uno dei primi massacri del periodo 1947 – 49, contribuì fortemente a diffondere paura e odio reciproco tra arabi ed ebrei in Palestina.

Il luogo in questione fu la raffineria di Haifa, che alla fine del 1947 impiegava circa 1700 operai arabi e 270 ebrei, oltre a 190 impiegati ebrei, 110 arabi e 60 inglesi. I lavoratori della raffineria erano stati coinvolti in importanti lotte negli anni 1946 – 47. In queste lotte i lavoratori e gli attivisti sindacali arabi avevano avuto un ruolo primario, il che non deve sorprendere data la composizione della forza lavoro e il suo alto grado di organizzazione. Ma le relazioni dei sindacalisti arabi con i lavoratori ebrei della raffineria sembravano buone. Nell’estate 1947, ad esempio, i membri del comitato operaio ebraico furono invitati ad assistere ad Acri al funerale di un operaio arabo della raffineria morto in un incidente sul lavoro. Gli attivisti ebrei accettarono, e al cimitero uno di loro commemorò il defunto. La partecipazione degli ebrei fece buona impressione sui lavoratori arabi della raffineria e di Acri in generale. I comitati operai arabo ed ebraico collaborarono anche nell’organizzazione di un breve sciopero commemorativo nel reparto del defunto, fecero insieme una colletta per i familiari, e insieme fecero pressioni sulla direzione per un equo indennizzo[105].

Per quanto vi fossero buoni rapporti essi sembrarono svanire durante la crisi, e dopo il voto dell’Assemblea Generale dell’ONU i lavoratori ebrei alla raffineria cominciarono a temere per la loro incolumità. All’indomani del voto la violenza esplose in varie parti del paese. Inizialmente assunse la forma di attacchi casuali arabi contro gli ebrei e le loro proprietà e insediamenti, ma presto gli ebrei risposero a loro volta. Ciò presto degenerò in una serie di atti di terrorismo reciproco, la prima fase di una crescente guerra civile che avrebbe messo milizie arabe ed ebraiche le une contro le altre in una lotta mortale per il controllo di strade e luoghi strategici, e di tutta la Palestina. Da parte ebraica il ruolo principale nella lotta fu svolto dall’Haganah, la più ampia milizia dell’Yishuv, che era molto legata all’Histadrut ed era sotto il controllo della leadership ufficiale dell’ebraismo in Palestina. Vi erano tuttavia altre milizie che non accettavano l’autorità della leadership dell’Yishuv. La più importante di queste (sebbene molto più piccola dell’Haganah) era l’Etzel, guidata da Menachem Begin e meglio conosciuta negli Stati Uniti come Irgun. Fu l’Etzel (legata al partito revisionista, di destra, predecessore dell’odierno Likud) a effettuare l’attentato dinamitardo al King David Hotel nel luglio 1946. E fu un’azione pianificata ed eseguita da questa organizzazione che alla fine del 1947 provocò lo spargimento di sangue alla raffineria di Haifa.

Il 29 dicembre 1947 l’Etzel aveva compiuto un attacco bomba alla porta di Nablus della Città Vecchia di Gerusalemme, facendo 44 tra morti e feriti. Il mattino del giorno successivo, il 30 dicembre, miliziani dell’Etzel lanciarono granate da una macchina in corsa contro una folla di alcune centinaia di arabi che si trovavano all’ingresso principale della raffineria di Haifa nella speranza di trovare un impiego a giornata; 6 persone furono uccise e 42 ferite. L’Etzel avrebbe in seguito annunciato che questi atti terroristici a Gerusalemme e Haifa erano stati compiuti per vendicare recenti attacchi compiuti agli ebrei in Palestina.

Poco dopo l’attacco bomba all’ingresso della raffineria, parte della folla di arabi fece irruzione nel sito e insieme ad alcuni lavoratori arabi iniziò ad assalire i lavoratori ebrei. Passò un’ora prima dell’arrivo dei soldati e poliziotti inglesi per sedare gli animi, durante la quale quasi cento ebrei furono uccisi o feriti. Fu il più ampio massacro che la Palestina avesse visto dopo il voto dell’ONU, un mese prima. Una commissione di inchiesta allestita dalla comunità ebraica di Haifa stabilì che il massacro degli ebrei non era stato premeditato e che era stato provocato dall’attacco dell’Etzel ai lavoratori ai cancelli. L’Agenzia Ebraica, la leadership ufficiale dell’Yishuv, subito attaccò l’Etzel per l’ “atto di follia” che aveva portato alla catastrofe della raffineria, ma nel contempo decise di comportarsi allo stesso modo autorizzando segretamente l’Haganah a vendicarsi. Il giorno dopo la strage della raffineria la forza d’elite dell’Haganah, il Palmach, attaccò il villaggio di Balad al-Sheik, non lontano da Haifa, dove abitavano alcuni lavoratori arabi della raffineria, e Hawasa, il villaggio vicino. Gli assalitori ebrei uccisero circa 60 tra uomini, donne e bambini e distrussero dozzine di case. Il contrasto tra la posizione ufficiale dell’Yishuv e la sua risposta concreta al massacro della raffineria fu chiaro a molti arabi[106].

Quando la notizia dell’attacco bomba alla raffineria si diffuse, la tensione salì e i lavoratori arabi più giovani e determinati smisero di lavorare, fermarono i macchinari e impugnarono qualsiasi arma improvvisata capitasse loro tra le mani. Per un momento sembrò che il massacro della raffineria dovesse ripetersi alle officine ferroviarie. Ma i sindacalisti arabi, inclusi vecchi attivisti della PAWS come Said Qawwas e anche dell’AWC, intervennero prontamente per evitare violenze. Rischiando la propria incolumità riuscirono a calmare i più facinorosi e a mantenere la calma finchè i lavoratori ebrei poterono lasciare il lavoro e andarsene a casa. Un sindacalista ebreo delle officine dichiarò che “senza ombra di dubbio fu grazie a quell’atto di coraggio se ciò che accadde ai lavoratori della raffineria non accadde anche a noi quel giorno[107].

L’intervento dei sindacalisti arabi alle officine ferroviarie ricevette ben poca pubblicità. Non a caso l’Yishuv si concentrò sul massacro degli ebrei alla raffineria, mentre la comunità araba preferì soffermarsi sui precedenti attacchi-bomba per mano ebraica e sulla successiva rappresaglia dell’Haganah che fece un numero di vittime arabe anche più elevato. L’idea di una solidarietà operaia arabo-ebraica e di coesistenza pacifica che una volta era così diffusa tra la gente non sopravvisse alle atrocità e alla reciproca deumanizzazione che attraversarono tutta la Palestina nei mesi successivi.

 

Il 14 maggio 1948, quando lo stato di Israele fu costituito formalmente, diverse centinaia di migliaia di arabi erano già fuggiti o erano stati cacciati dalle loro case, terre e luoghi di lavoro. Nel corso dell’anno successivo il numero dei profughi raddoppiò, arrivando complessivamente a circa 700.000 persone, metà della popolazione araba della Palestina e circa l’80% degli arabi che vivevano nei tre-quarti di Palestina che ora era divenuta Israele.

Fu così che nell’estate del 1948 Efrayyim Krisher, attivista di Hashomer Hatzair impiegato nelle officine ferroviarie di Haifa, che aveva lavorato insieme ai sindacalisti arabi per un decennio e doveva la vita al coraggio che essi avevano avuto il 30 dicembre 1947, quell’estate fu molto impegnato ad assumere un numero sufficiente di ebrei che sapessero qualcosa del mestiere, per rimettere in sesto quelle che ora si chiamavano Israel Railways. Alcuni dei nuovi assunti erano rifugiati ebrei provenienti dall’Europa, sopravvissuti allo sterminio nazifascista e appena giunti nel nuovo stato ebraico. I nuovi arrivati, e altri ancora scelti da Krisher, occuparono posti di lavoro che fino a poco tempo prima erano di arabi, la maggior parte dei quali avevano perso la casa e la patria, e si apprestavano a trascorrere il resto della loro vita come profughi.

 

 

 

Il presente testo affronta un aspetto specifico fondamentale della storia del sionismo: come questa ideologia si sia declinata nel movimento socialista della prima metà del Novecento, al fine di cooptare strati di proletari ebrei, in larga parte dell’Europa orientale, nel progetto di colonizzazione della Palestina.

La componente socialista (o laburista) del sionismo fu altrettanto importante quanto la componente borghese-liberale, e anzi dall’inizio degli anni ’30 sotto la guida di David Ben-Gurion (futuro primo premier di Israele) divenne la fazione egemone nel movimento sionista mondiale. Si può dire che il sionismo, mentre nella versione liberale originaria acquisì dalla borghesia ebraica il capitale, nella sua veste laburista prelevò dalle masse ebraiche impoverite dell’Europa orientale gli uomini e le braccia per l’insediamento in Palestina. La corrente laburista inoltre contese alla corrente sionista di destra (o revisionista) l’organizzazione militare delle colonie.

La migrazione di centinaia di migliaia di proletari ebrei in Palestina suscitò nel paese numerose lotte di classe unitarie con il nascente proletariato arabo, ma tra i dirigenti sionisti laburisti prevalse sempre la linea che privilegiava la “conquista del lavoro ebraico” e la segregazione nazionale, sabotando la lotta internazionalista per convogliarla nella lotta per lo stato ebraico. L’epilogo tragico di questa parabola, nella quale furono implicate anche le fazioni più progressiste della sinistra sionista, compreso il movimento dei kibbutz, fu la pulizia etnica della Palestina del 1948.

La fonte principale del testo è il libro di Zackary Lochman Comrades and Enemies: Arab and Jewish Workers in Palestine, 1906 – 1948 (1996), la cui parte relativa al periodo 1936 – 48 è stata sintetizzata e rielaborata.

 

febbraio 2017

 

  

 

 



[1] Marie Syrkin, Nachman Syrkin, Socialist Zionist: A Biographical Memoir and Selected Essays, 1960

[2] Nachman Syrkin, La questione ebraica e lo stato socialista ebraico, 1898

[3] B.Borochov, La nostra piattaforma, 1906

[4] B.Bochorov, On the Question of Zionism and Territory, 1905

[5] B.Borochov, La nostra piattaforma, 1906

[6] B.Bochorov, On the Question of Zionism and Territory, 1905

[7] Per “nemici di Sion” si intendono i socialisti antisionisti o i sionisti territorialisti.

[8] B.Borochov, La nostra piattaforma, 1906

[9] Y. Ben-Tzvi, Il movimento arabo, 1921. Tutte le citazioni del paragrafo vengono da questa fonte.

[10] “Signori”, termine nobiliare o di cortesia in uso in Turchia e nelle province orientali dell’impero ottomano.

[11] quello inglese

[12] Yonathan Shapiro, The formative years of the Israeli Labour Party: the organization of power, 1919-1930, 1976.

[13] Nel 1921 di fronte all’aut aut sulla questione dell’adesione al Comintern il SWP andò incontro a una scissione dalla quale nacquero il Partito Comunista Palestinese, antisionista (che divenne la sezione della Terza Internazionale in Palestina), e il gruppo Poalei Zion Smol (Lavoratori di Sion di Sinistra), sionista.

[14] Kuntres (periodico di Ahdut Haavoda), agosto 1921

[15] Kuntres, gennaio 1922

[16] Kuntres, 14 marzo 1924

[17] Esecutivo dell’Histadrut, minute e corrispondenze

[18] Filastin, 2 maggio 1936

[19] Regione della Siria meridionale.

[20] Ian Black, Zionism and the Arabs 1936 – 39, 1986

[21] Yehoshua Porath, The Palestinian Arab National Movement, from Riots to Rebellion, 1977

 

[22] David Hachoen, Time to Tell: an Israeli Life 1908 – 1984, 1985

[23] George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937

[24] Termine ebraico per indicare gli insediamenti agricoli di proprietà ebraica (singolare: moshava)

[25] Palestine Royal Commission: Minutes of Evidence Heard at Public Sessions, 1937

[26] ibidem

[27] MAPAI Archives

[28] Histadrut Archives

[29] George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937

[30] David Horowitz, Rita Hinden, Economic Survey of Palestine, 1938

[31] Histadrut Archives

[32] ibidem

[33] George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937

[34] Mordechai Orenstein, Jews, Arabs and British in Palestine: A Left Socialist View, 1936

[35] Histadrut Archives

[36] Ian Black, Zionism and the Arabs 1936 – 39, 1986

[37] Central Zionist Archives

[38] Filastin, 17 gennaio 1937

[39] George Mansur, The Arab Worker under the Palestine Mandate, 1937

[40] Esecutivo dell’Histadrut, minute e corrispondenze

[41] Yonathan Shapiro, The formative years of the Israeli Labour Party: the organization of power, 1919-1930, 1976

[42] Haqiqat al-Amr, 24 marzo 1937

[43] Ben Gurion espresse concisamente questa idea in una sua affermazione nell’ottobre 1936: “Non c’è alcun conflitto tra un nazionalismo ebraico e un nazionalismo palestinese poiché la nazione ebraica non è in Palestina e i palestinesi non sono una nazione”. In Simha Kaplan, Zionism and the Palestinians, 1979

[44] Shabtai Teveth, Ben Gurion: The Burning Ground, 1886-1948, 1988

[45] ibidem

[46] Central Zionist Archives

[47] Yehoshua Porath, The Palestinian Arab National Movement, from Riots to Rebellion, 1977

[48] Histadrut Archives

[49] Central Zionist Archives

[50] Ann Mosely Lesch, Arab politics in Palestine, 1917-1939, 1979

[51] Tzvi Lavi, tesi di laurea non pubblicata, Università di Tel Aviv 1980

[52] Rachelle Taqqu, Arab Labor in Mandatory Palestine, 1920-1948, 1977

[53] Joel Beinin, Was the Red Flag Flying There?, 1990

[54] Histadrut Archives

[55] ibidem

[56] Palestine Railways, report of the General Manager for the Years 1942-43, 1943-44, 1944-45, 1945-46

[57] Haqiqat al-Amr, 17 febbraio 1942

[58] Histadrut Archives

[59] Joel Beinin, Knowing Your Enemy, Knowing Your Ally: The Arabists of Hashomer Hatzair, 1991

[60] Hashomer Hatzair Archives

[61] Simha Kaplan, Zionism and the Palestinians, 1979

[62] Hashomer Hatzair Archives

[63] Histadrut Archives

[64] Rachelle Taqqu, Arab labor in mandatory Palestine, 1920-1948, 1977

[65] Rachelle Taqqu, Arab labor in mandatory Palestine, 1920-1948, 1977

[66] Hashomer Hatzair Archives

[67] Shmuel Dothan, Reds: The Communist Party in the Land of Israel, 1991

[68] Histadrut Archives

[69] Riassunto ed estratti dell’opuscolo contenuti in Jewish Frontier, dicembre 1942

[70] Alcuni mesi dopo H.E. Chudleigh del dipartimento governativo del lavoro fu spinto a replicare alle affermazioni di Hushi in una lettera privata. Egli descrisse come totalmente scorretta le tesi di Hushi che i nuovi sindacati arabi fossero controllati da “figli di ricchi effendi” o da comunisti. “Il fatto puro e semplice è” puntualizzò Chudleigh “che circa 10.000 arabi ora sono sindacalizzati, ma solo il dieci per cento di loro è iscritto alla Palestine Labor League”.

[71] Histadrut Archives

[72] ibidem

[73] Trade Unions Congress Archives

[74] Histadrut Archives

[75] Histadrut Archives

[76] Hashomer Hatzair Archives

[77] Esecutivo dell’Histadrut, minute e corrispondenze

[78] Colonial Office papers

[79] Musa al-Budayri, Development of Arab Workers’ Movement in Palestine, 1981

[80] Labour Party Archives, appunti del segretariato del MAPAI

[81] Trade Unions Congress Archives

[82] Piccolo corno di montone utilizzato come strumento musicale durante alcune funzioni religiose ebraiche.

[83] Davar, 24 gennaio 1944

[84] Histadrut Archives

[85] Davar, 1 gennaio 1945

[86] Al-Ittihad, 17 giugno 1945

[87] Trade Unions Congress Archives

[88] Al-Ittihad, 14 gennaio 1945

[89] Al-Ittihad (edizione inglese), 15 agosto 1945

[90] Issa Khalaf, Politics in Palestine: Arab Factionalism and Social Disintegration, 1939-1948, 1991

[91] Al-Ittihad, 2 febbraio 1947

[92] Esecutivo dell’Histadrut, minute e corrispondenze

[93] Histadrut Archives

[94] Foreign Office papers

[95] Al-Ittihad, 17 giugno 1945

[96] Haaretz, 25 settembre 1945

[97] Fonti di Hashomer Hatzair riportano anche che durante l’estate del 1947 Sami Taha aveva suscitato le ire del Mufti per aver ostacolato il progetto di usare uno sciopero dei lavoratori dei campi come miccia per accendere una rivolta anti-ebraica alla vigilia dell’arrivo dell’UNSCOP nel paese.

[98] Haqiqat al-Amr, 10 e 19 settembre 1947

[99] Histadrut Archives

[100] ibidem

[101] Bulitin (bollettino della federazione dei kibbutz di Hashomer Hatzair), 23 marzo 1947

[102] ibidem

[103] Joel Beinin, Was the Red Flag Flying There?, 1990

[104] ibidem

[105] Bulitin, 18 agosto 1947

[106] Walid Khalidi, All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948, 1992

[107] Histadrut Archives. Probabilmente la dichiarazione fu di Efrayyim Krisher.