Palestina. Rapporto OCHA del 30 gennaio

 

 

Laith Abu Naim 16 anni, ucciso con un colpo alla testa reo di avere da solo tirato delle pietre ai soldati

Il 30 gennaio, nel villaggio di Al Mughayyir (Ramallah), durante un episodio di lancio di pietre, un ragazzo palestinese di 16 anni è stato ucciso dalle forze israeliane.

Il ragazzo è stato colpito al collo con arma da fuoco, secondo quanto riferito, dopo aver lanciato pietre contro due veicoli militari israeliani che attraversavano il villaggio. Secondo testimoni oculari e fonti della comunità locale, in quel momento nel villaggio non erano in corso scontri. Le autorità israeliane hanno annunciato l’apertura di un’indagine da parte della polizia militare. Dall’inizio del 2018, questo è il quarto ragazzo palestinese ucciso nei territori occupati in episodi di lancio di pietre; gli altri minori sono stati uccisi in Iraq Burin (Nablus), Deir Nidham (Ramallah) e nel Campo profughi di Al Bureij (Deir Al-Balah).

Un colono israeliano e un palestinese sono stati uccisi in due distinte aggressioni con coltello. Un colono israeliano di 29 anni è stato accoltellato e ucciso al raccordo stradale di Ariel (Salfit); l’aggressore è fuggito. A quanto riferito, si tratta di un palestinese 19enne, cittadino di Israele. Il 7 febbraio, un giovane palestinese di 18 anni ha ferito con coltello una guardia di sicurezza dell’insediamento di Kermei Tsur (Hebron) e successivamente è stato ucciso da un’altra guardia; il suo corpo è stato trattenuto dalle forze israeliane. Il 12 febbraio, due soldati israeliani sono entrati inavvertitamente nella città di Jenin dove sono stati circondati da un folto gruppo di palestinesi; prima di essere soccorsi da poliziotti palestinesi sono stati bersagliati e feriti con lanci di pietre.

Tre palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane durante tre distinte operazioni di ricerca-arresto. Due di queste ricerche sono state effettuate il 3 ed il 6 febbraio nei villaggi di Birqin e Yamoun (entrambi a Jenin) e, a quanto riferito, erano finalizzate all’arresto dei presunti responsabili dell’attacco con armi da fuoco che, il 9 gennaio, ha provocato la morte di un colono israeliano. Sempre a quanto riferito, l’uomo ucciso a Yamoun era armato e, secondo le autorità israeliane, è risultato coinvolto nell’attacco del 9 gennaio. Un altro uomo, accusato del coinvolgimento nello stesso attacco, è stato ucciso dalle forze israeliane il 18 gennaio, durante un’operazione di ricerca. La terza uccisione registrata durante questo periodo (un giovane di 19 anni) è avvenuta il 6 febbraio, durante scontri con le forze israeliane scoppiati nella città di Nablus, nel corso di un’operazione di ricerca finalizzata all’arresto del presunto colpevole dell’aggressione con coltello avvenuta all’incrocio di Ariel (vedi sopra).

In Cisgiordania, complessivamente, le forze israeliane hanno condotto 211 operazioni di ricerca-arresto di cui almeno sette hanno innescato scontri e conseguenti ferimenti (vedi sotto). Durante queste operazioni sono stati arrestati, in totale, 330 palestinesi, tra cui almeno 51 minori. A Gerusalemme Est, i residenti hanno tenuto dimostrazioni e recitato le preghiere del venerdì all’ingresso del quartiere di Al ‘Isawiya, come protesta per le ricorrenti operazioni di ricerca-arresto da parte delle forze israeliane.

Nei Territori palestinesi occupati, nel corso di scontri, le forze israeliane hanno complessivamente ferito 464 palestinesi, tra cui 92 minori. 365 di questi ferimenti (78%) sono stati registrati durante manifestazioni contro il riconoscimento da parte degli Stati Uniti (6 dicembre 2017) di Gerusalemme quale capitale di Israele. 85 delle lesioni totali sono state segnalate vicino alla recinzione perimetrale di Gaza e le rimanenti in Cisgiordania: il maggior numero nella città di Al Bireh vicino al DCO [District Coordination Office] di Beit El e, a seguire, al checkpoint di Huwwara (Nablus) e nelle vicinanze dell’ingresso nord della città di Qalqiliya. La maggior parte degli altri ferimenti (147) sono stati registrati durante operazioni di ricerca-arresto: nella città di Nablus (l’operazione più vasta, in cui è stato ucciso un palestinese di 19 anni – vedi sopra), nel villaggio di Beita (Nablus) e nei villaggi di Birqa e di Al Yamun (entrambi a Jenin). Analogamente al precedente periodo di riferimento, più della metà delle lesioni (245, pari al 53%) sono state causate da inalazioni di gas lacrimogeno necessitanti cure mediche, seguite da ferite da proiettili di gomma (122, pari al 26%).

Il 7 febbraio, nell’area H2 della città di Hebron controllata dagli israeliani, 58 minori in età scolare e due insegnanti hanno subito lesioni a causa dell’inalazione di gas lacrimogeno: in cinque scuole le lezioni sono state interrotte. Secondo fonti israeliane, le forze israeliane hanno lanciato bombolette di lacrimogeni in risposta al lancio di pietre, da parte di minori, contro veicoli di coloni israeliani. Nelle cinque scuole le lezioni sono state sospese per il resto della giornata, coinvolgendo oltre 1.200 studenti. Sempre nell’area H2, nel corso di alterchi verificatisi in diversi checkpoint, tre palestinesi sono stati aggrediti fisicamente e feriti da soldati israeliani, mentre un ragazzo palestinese di 15 anni che stava tornando a casa è stato aggredito fisicamente e ferito da coloni israeliani.

Il 5 febbraio, le forze israeliane hanno svolto esercitazioni di addestramento militare nella parte settentrionale della Valle del Giordano, in prossimità della Comunità pastorale di Al Farisiya Ihmayyer, danneggiando circa 7 mila mq di terra coltivata e determinando la necessità di ricovero in ospedale di un bambino di quattro mesi. La Comunità si trova in un’area dichiarata da Israele “zona per esercitazioni a fuoco” ed è considerata ad alto rischio di trasferimento forzato. Le “zone per esercitazioni a fuoco” coprono quasi il 30% dell’Area C e ospitano circa 6.200 persone in 38 comunità che vivono situazioni di elevato bisogno umanitario.

In tre diverse occasioni, gruppi armati palestinesi di Gaza hanno lanciato verso il sud di Israele tre razzi, tutti caduti, a quanto riferito, in aree non abitate di Israele. Questi lanci sono stati seguiti da attacchi aerei israeliani, che hanno provocato danni ad un sito militare di un gruppo armato palestinese, ma anche a cinque appartamenti di un vicino edificio residenziale.

In Gaza, in almeno 46 casi, le forze israeliane, al fine di imporre le restrizioni di accesso, hanno aperto il fuoco verso agricoltori e pescatori presenti in zone limitrofe alla recinzione perimetrale ed in zone di pesca lungo la costa: due pescatori sono stati colpiti da proiettili rivestiti di gomma e arrestati; successivamente sono stati rilasciati. Inoltre, quattro minori palestinesi sono stati arrestati dalle forze israeliane mentre tentavano di entrare in Israele attraverso la recinzione. In un caso, nelle vicinanze della recinzione perimetrale di Khan Yunis, le forze israeliane hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo.

In area C e Gerusalemme Est, per mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 25 strutture, tra cui una scuola finanziata da donatori. L’esecuzione di tali provvedimenti ha causato lo sfollamento di 33 palestinesi, tra cui 18 minori, mentre altri 135 ne sono stati diversamente colpiti. Il 4 febbraio, nella Comunità di beduini e rifugiati di Abu Nuwar (in zona C, alla periferia di Gerusalemme), sono state demolite due aule scolastiche che ospitavano 26 alunni palestinesi di 3a e 4a elementare. Questa è una delle 46 comunità beduine della Cisgiordania centrale che subisce un contesto coercitivo (compresi i progetti di ricollocazione da parte delle autorità israeliane) ed è a rischio di trasferimento forzato. Si stima che almeno 44 scuole (36 nella zona C e 8 a Gerusalemme Est) siano in attesa di ordini di demolizione o di blocco-lavori. Delle altre strutture prese di mira durante il periodo di riferimento, 15 erano a Gerusalemme Est (Silwan, Beit Hanina e Al ‘Isawiya) e nove nell’Area C, compresa la Comunità di pastori di Um al Jmal (Tubas) e in Wadi Qana (Salfit ).

Un palestinese è stato ferito e sono stati segnalati danni alle proprietà in distinti episodi che hanno coinvolto coloni israeliani o che si sono verificati in prossimità di insediamenti israeliani. Nelle vicinanze di Qabalan (Nablus), coloni israeliani hanno aggredito fisicamente e ferito un palestinese. Nell’area di Silwan, a Gerusalemme Est, e vicino a Khirbet Zakariya (Betlemme), otto veicoli palestinesi sono stati vandalizzati da coloni. In tre diversi episodi, secondo fonti locali, circa 246 alberi di proprietà palestinese, su terreni appartenenti a palestinesi dei villagi di Bitillu (Ramallah), Yasuf (Salfit) e Burin (Ramallah) sono stati vandalizzati da coloni israeliani provenienti, secondo quanto riferito, dagli insediamenti di Nahliel, Rechalim, Yitzhar. Inoltre, in tre diversi episodi, 12 palestinesi, tra cui un minore, sono rimasti feriti in scontri con le forze israeliane intervenute a seguito di risse tra palestinesi e coloni israeliani. Questi episodi si sono verificati dopo l’ingresso di coloni in terreno privato nel villaggio Madama (Nablus), e in seguito a risse presso Abu Dis (Gerusalemme) e vicino all’insediamento colonico di Kokhav Ya’kov a Gerusalemme.

Secondo resoconti di media israeliani, sono stati segnalati almeno 14 episodi di lancio di pietre da parte di palestinesi contro veicoli israeliani: feriti tre coloni israeliani, inclusa una donna, e danni a cinque veicoli privati. Gli episodi si sono verificati sulle strade vicine ai villaggi di Tuqu’a (Betlemme), Beit ‘Ur at Tahta e Ni’lin (Ramallah), nella città di Abu Dis e nel villaggio di Hizma (Gerusalemme). Dal 1 febbraio, l’esercito israeliano ha chiuso l’ingresso principale del villaggio di Hizma, affermando che ciò veniva attuato in risposta al lancio di pietre [ad opera di palestinesi] contro veicoli di coloni israeliani transitanti sulla strada 437. La chiusura ha condizionato direttamente gli spostamenti di circa 7.000 palestinesi che vivono nel villaggio.

Nel periodo di riferimento, il valico di Rafah sotto controllo egiziano è stato aperto, per tre giorni, in entrambe le direzioni, consentendo l’attraversamento a 1.894 persone (890 in uscita, 1.004 in entrata). Secondo le autorità palestinesi a Gaza, oltre 23.000 persone, compresi i casi umanitari, sono registrate e in attesa di attraversare Rafah.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

ð sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

ð la versione in italiano è scaricabile dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

 


 

Insegnante palestinese dilaniato da un cane dell’esercito israeliano mentre i soldati stavano a guardare

Gideon Levy, Alex Levac , 16 febbraio 2018, Haaretz

Dopo aver fatto irruzione nella casa di un insegnante a notte fonda, i soldati gli hanno aizzato contro il loro cane. Il cane lo ha azzannato e bloccato, mentre i suoi familiari assistevano inorriditi

Non è un bello spettacolo. Sua moglie ci mostra le foto sul suo telefonino: il suo braccio ferito, malconcio e sanguinante, morsicato e lacerato, deturpato in tutta la sua lunghezza. Lo stesso vale per la sua gamba. È il risultato della notte di orrore che ha trascorso, insieme a sua moglie e ai suoi bambini.

Immaginatevi: la porta d’ingresso viene sfondata in piena notte, i soldati irrompono con violenza in casa e gli scatenano contro un cane. Lui cade sul pavimento, terrorizzato, mentre il feroce animale addenta la sua carne per un quarto d’ora. Per tutto il tempo, sia lui che sua moglie e i bambini gridano in modo straziante. Poi, ferito e sanguinante, viene ammanettato e arrestato dai soldati, gli vengono negate per ore cure mediche, finché viene portato in ospedale, dove questa settimana lo abbiamo incontrato insieme alla moglie. Anche là è rimasto agli arresti, costretto a giacere incatenato al letto.

Quel semilinciaggio è stato perpetrato da soldati dell’esercito israeliano nei confronti di Mabruk Jarrar, un insegnante arabo trentanovenne del villaggio di Burkin, vicino a Jenin, nel corso della brutale caccia all’uomo seguita all’assassinio, il 9 gennaio, del rabbino Raziel Shevach della colonia di Havat Gilad. E, come se non bastasse, pochi giorni dopo quella notte di terrore i soldati sono tornati nel cuore della notte. Le donne della casa sono state costrette a svestirsi completamente, compresa l’anziana madre di Jarrar e sua sorella muta e disabile, a quanto pare per cercare denaro.

Reparto ortopedico dell’ospedale Haemek di Afula, lunedì: una piccola stanza con tre letti. In quello di mezzo c’è Jarrar, che è qui da circa due settimane. Domenica mattina l’insegnante era ancora legato al letto con catene di ferro ed i soldati impedivano alla moglie di avvicinarsi. Se ne sono andati a mezzogiorno dopo che il tribunale militare ha ordinato il rilascio incondizionato di Jarrar.

Non è chiaro perché sia stato arrestato né perché i soldati gli abbiano aizzato contro il cane.

Il suo braccio sinistro e la sua gamba sinistra sono bendati, il dolore acuto che ancora accompagna ogni movimento è chiaramente visibile sul suo viso. Sua moglie Innas, di 37 anni, è accanto a lui. Si sono sposati appena 45 giorni fa, il secondo matrimonio per entrambi. I suoi due bambini nati dal primo matrimonio – Suheib, di nove anni, e Mahmoud, di cinque – sono stati testimoni di ciò che i soldati ed il loro cane hanno fatto al padre. I bambini adesso stanno con la loro madre a Jenin, ma il loro sonno è disturbato, come ci dice Jarrar: si svegliano con gli incubi, chiamandolo e bagnando il letto per la paura.

Jarrar insegna arabo nella scuola elementare Hisham al-Kilani di Jenin. Venerdì 2 febbraio lui e sua moglie sono andati a dormire circa a mezzanotte. Nella stanza accanto stavano dormendo i suoi due figli, che trascorrono con lui i fine settimana. Intorno alle 4 del mattino la famiglia è stata svegliata da un’esplosione proveniente dalla porta d’ingresso. Parecchie finestre sono state distrutte dalla potenza dell’esplosione. Jarrar è balzato dal letto ed è corso dai bambini. Fuori dalla casa erano ferme delle jeep dell’esercito. Secondo la coppia, un grosso cane, probabilmente dell’“Oketz”, l’unità cinofila dell’esercito, è stato portato dentro la casa, seguito da almeno 20 soldati. È facile immaginare il terrore che ha assalito loro ed i bambini.

Il cane si è lanciato su Jarrar, affondando i denti nel suo fianco sinistro, gettandolo a terra e trascinandolo sul pavimento. All’inizio i soldati non hanno fatto niente. Sua moglie è corsa verso di lui con una coperta, cercando di coprire il cane e salvare suo marito. I bambini guardavano e piangevano mentre i genitori gridavano aiuto; adesso dicono che le loro grida erano molto forti. Innas non è riuscita a liberare il marito dalla presa del cane.

Ci sono voluti alcuni minuti, ricordano, prima che anche i soldati cercassero di trattenere il cane, ma l’animale non gli obbediva. Mabruk era certo che stesse per essere fatto a pezzi ed ucciso; anche Innas temeva il peggio.

I soldati hanno strappato via i vestiti di Jarrar, a quanto pare nel tentativo di liberarlo dalle fauci del cane, ed alla fine ci sono riusciti – dopo circa un quarto d’ora, secondo la sua impressione. Poi uno dei soldati lo ha colpito due volte in faccia. Lui era ferito e barcollava per lo spavento ed in quello stato i soldati gli hanno legato le mani dietro la schiena. Lo hanno portato di sotto e a quel punto è arrivato un ufficiale che ha chiesto a Jarrar il suo nome, lo ha liberato dalle manette ed ha fotografato le sue ferite. L’ufficiale, ci dice ora Jarrar, è sembrato anche lui sconvolto dalle ferite sanguinanti, dal braccio e dalla gamba dilaniati.

Dopo essere stato nuovamente ammanettato, l’insegnante è stato portato con un veicolo militare al centro di detenzione di Salem, vicino a Jenin, dove dice di essere rimasto per circa tre ore senza nessuna assistenza medica. Alla fine è stato portato all’ospedale Haemek, dove è arrivato circa alle 10,30 del mattino. A quel punto era in arresto, anche se non era chiaro per quale motivo.

Quella stessa notte sono stati arrestati anche i suoi due fratelli, Mustafa e Mubarak Jarrar. Mubarak è stato rilasciato, Mustafa resta detenuto. Hanno tutti lo stesso cognome della persona ricercata per l’assassinio del rabbino Shevach, Ahmed Jarrar, che è stato in seguito ucciso dall’esercito.

Sempre quella stessa notte è accaduto un evento simile, che ha coinvolto altre forze dell’esercito, nel villaggio di Al-Kfir, vicino a Jenin. Circa alle 4 del mattino i soldati hanno fatto irruzione nella casa di Samr e Nour Adin Awad, genitori di quattro bambini piccoli. Insieme ai soldati è stato fatto entrare in camera da letto un cane dell’unità “Oketz”, che ha azzannato e ferito entrambi i genitori.

Come ha spiegato Nour a Abd Al-Karim a-Saadi, ricercatore sul campo dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem: “Stringevo al petto mio figlio Karem di due anni, che piangeva. Ho aperto la porta, su cui i soldati stavano picchiando, ed un cane mi ha attaccata, saltandomi addosso. Karem è caduto dalle mie braccia. Poi ho visto che mio marito lo ha sollevato da terra. Ho cercato di cacciare via il cane dopo che mi ha morsicato il petto. Sono riuscita ad allontanarlo, ma poi ha afferrato coi denti la mia gamba sinistra. Con tutte le mie forze sono riuscita a scacciarlo. In quel momento i soldati guardavano il cane, ma non facevano niente. Per tutto quel tempo mio marito pregava i soldati di togliermi il cane di dosso. Un soldato ha parlato al cane in ebraico e allora esso mi ha afferrato per il braccio sinistro tenendomi stretta per alcuni minuti, finché è arrivato un soldato da fuori e lo ha allontanato. Io sanguinavo ed avevo molto male.”

La seconda irruzione dei soldati è avvenuta qualche giorno dopo, l’8 febbraio. C’erano solo donne e bambini in casa Jarrar: Innas, i due figli di suo marito ed anche sua madre e sua sorella, che vivono nello stesso edificio. Erano le 3,30 di notte. Secondo Innas, circa 20 soldati, maschi e femmine, hanno preso parte al raid. Le hanno detto che nella casa c’era del denaro di Hamas e che loro erano venuti per confiscarlo. Hanno calpestato i letti, ignorando le preghiere di Innas di fermarsi. Hanno chiesto dove fosse Mabruk – probabilmente non sapendo che era già detenuto dall’esercito in ospedale.

Poi ci sono state le perquisizioni corporali. Una donna soldato ha portato le tre donne – la moglie di Jarrar, sua madre di 75 anni e sua sorella cinquantenne disabile – in una stanza ed ha loro ordinato di spogliarsi completamente. La ricerca non ha portato a niente: niente soldi, niente Hamas. Di conseguenza i soldati hanno dato ad Innas un permesso di ingresso in Israele, per visitare suo marito ad Afula. Dice che le hanno detto che lui si trovava nel carcere di Megiddo. Vi si è recata il giorno dopo, solo per scoprire che lui non era là. Ha chiamato Abed Al-Karim a-Saadi di B’Tselem, che lei descrive come il suo gentile salvatore. Lui ha fatto qualche telefonata e ha scoperto che Mabruk era in realtà in ospedale ad Afula. Era ancora in arresto quando lei vi è arrivata e le è stato permesso solo di fargli visita per 45 minuti.

In risposta alla richiesta di una dichiarazione, il portavoce dell’esercito ha detto questa settimana ad Haaretz: “Il 3 febbraio 2018 le forze di sicurezza sono arrivate nel villaggio di Burkin, alla casa di Mabruk Jarrar, che è sospettato di attività dannose alla sicurezza in Giudea e Samaria (la Cisgiordania). Una volta giunti alla casa, i soldati lo hanno invitato ad uscire. Dopo ripetuti richiami e dato che non usciva, i soldati hanno agito secondo la procedura ed è stato inviato un cane a cercare la gente dentro casa. Il sospettato si era chiuso in una stanza al piano superiore dell’edificio insieme alle donne della sua famiglia.

Quando si è aperta la porta, il cane ha azzannato il sospettato, ferendolo. Egli ha ricevuto immediata assistenza dai medici dell’esercito fino a quando è stato trasferito all’ospedale. In seguito sono state svolte altre attività di ricerca di individui ricercati. Sottolineiamo che, contrariamente a quanto si sostiene nell’articolo, le donne della casa non sono state denudate dalle forze dell’esercito.”

Jarrar è seduto sul suo letto d’ospedale, parla con difficoltà, ogni movimento gli costa fatica. Innas viene ogni giorno da Burkin. “Come pensate che mi sentissi?”, risponde alla domanda su come si sentisse mentre il cane lo aggrediva. “Ho pensato che stavo per morire.”

Data la composizione etnica di medici, pazienti, infermieri e visitatori, questo è effettivamente un ospedale bi-nazionale ebreo-arabo – come molti degli ospedali nel nord del Paese. Ma un addetto alla manutenzione ebreo entra improvvisamente nella stanza, fremente di rabbia. “Perché state intervistando degli arabi? Perché non degli ebrei?”, chiede. L’uomo minaccia di chiamare l’ufficiale di sicurezza dell’ospedale, perché il ferito e straziato Mabruk Jarrar stava parlando con noi.

(Traduzione di Cristiana Cavagna) - da Zeitun